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Paziente muore perchè medico non sa il tedesco? E' critica, non reato (Tr BZ,26/6/2023)

26 giugno 2023, Tribunale di Bolzano e Ufficio GIP

"Paziente muore perchè il medico non sa il tedesco": è critica legittima, non reato,m segnalare in modo sia pure aspro, ma all'evidenza metaforico, mediante l'utilizzo di una immagine grafica stilizzata, il rischio di gravi conseguenze in caso di ravvisata perdurante insensibilità ed inattività dei responsabili politici rispetto alle carenze, ritenute ormai insostenibili, di un settore, quello sanitrio, fondamentale per l'intera comunità.

(qui un articolo del quotidiano Alto Adige sulle origini della querelle giudiziaria)

 

TRIBUNALE DI BOLZANO

UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

3287/2020 R.G.N.R.                             1915/2021 R.G. GIP

 

Ordinanza
Il giudice per le indagini preliminari,

a scioglimento della riserva assunta all'udienza a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione nel procedimento indicato in epigrafe nei confronti di

KE , KS, TW, ZS, HM, HA , TE , PG, tutti generalizzati in atti,

sentite le parti in contraddittorio, letti gli atti,

RILEVATO IN FATTO E DIRITTO

Il presente procedimento trae origine dalla denuncia - querela presentata in data 27.11.2019 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano dalla dott. ssa MO, in proprio e nella sua qualità di Presidente dell"'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia Autonoma di Bolzano", nei confronti dei rappresentanti del partito politico SUEDTIROLER FREIHEIT e del/dei responsabile/i della ideazione, creazione, divulgazione e diffusione di un manifesto nonché del legale rappresentante e comunque dei responsabili della società ** s.r.l., per aver pubblicato il manifesto senza un preventivo controllo sul contenuto asseritamente lesivo del medesimo, per il reato previsto dall'art. 595, co. 3, c.p.

Alla denuncia- querela venivano allegati i seguenti documenti elencati in calce all'atto: 1. "Segnalazione della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, protocollata in data 08.11.2019"; 2. Articoli di giornale dal 09.11.2019 al 12.11.2019; 3. Segnalazione inviata alla Provincia Autonoma di Bolzano in data 06.11.2019; 4. pagine Facebook, 5. pagine Instagram.

Il Pubblico Ministero in esito alle indagini individuava le persone contro le quali veniva proposta la querela negli indagati sopra indicati, ed in data 19.04.2021 depositava richiesta di archiviazione dd. 24.03.2021, per infondatezza della notitia criminis nei confronti di tutti gli indagati, ritenuta la insussistenza di elementi idonei a "sostenere in giudizio che il fatto costituisca reato".

A seguito di rituale avviso ai sensi dell'art. 408 c.p.p. le persone offese, con atto depositato negli uffici della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano in data 14.04.2021, presentavano opposizione alla richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero dd. 13.04.202, nei confronti di KE , KS, ZS, HM e HA , e non anche nei confronti di TW e PG, affinché il giudice per le indagini preliminari provvedesse ad ordinare al P.M. la formulazione dell'imputazione coatta per il reato di cui agli artt. 110 e 595, co. 3 c.p. e, in via subordinata, la prosecuzione delle indagini mediante acquisizione di documenti e l'assunzione di sommarie informazioni delle persone indicate nell'atto di opposizione.

Il P.M., presa visione dell'atto di opposizione, in data 14.04.2021 insisteva nella richiesta di archiviazione, trasmettendo in particolare al Giudice per le indagini preliminari la detta opposizione con l'annotazione "Visto, si insiste nell'archiviazione."

Con decreto dd. 03.08.2021, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano, originario assegnatario del procedimento, fissava l'udienza ai sensi degli artt. 410, comma 3, e 409 c.p.p. nei confronti di KE , KS, TW, ZS, HM, HA , TE , PG, tutti in atti generalizzati, per il giorno 24.09.2021, con decreto ritualmente notificato agli indagati ed alle persone offese opponenti ed ai rispettivi difensori.

In accoglimento di istanza di rinvio tempestivamente depositata e motivata nonché corredata da idonea documentazione attestante concomitante impegno professionale del Difensore delle persone offese, la predetta udienza veniva rinviata dal giudice per le indagini preliminari con provvedimento dd. 21.09.2021 al giorno 16.11.2021.

In esito alla detta udienza il giudice, in accoglimento di istanza congiunta di rinvio avanzata dalle parti in pendenza di trattative, disponeva rinvio al 10.02.2022.

Tale udienza veniva rinviata dal giudice, su concorde istanza di rinvio delle parti in pendenza di trattative, al 24.05.2022.

In accoglimento di successiva istanza di rinvio dd. 11.05.2022, depositata il 12.05.2022 per impedimento a comparire del Difensore delle persone offese in ragione di concomitanti impegni professionali fuori sede, la scrivente Giudice per le indagini preliminari, nuova assegnataria, in forza di decreto di assegnazione, del procedimento iscritto il 15.5.2020 ma non ancora definito e pertanto pendente, rinviava l'udienza per gli stessi incombenti al 21.09.2022.

Tale udienza doveva essere rinviata su richiesta di differimento ai sensi dell'art. 420ter, comma 5, c.p.p., tempestivamente comunicata il 07.09.2022, per concomitanti impegni professionali adeguatamente documentati del Difensore degli indagati, al 18.01.2023.

A tale udienza, a fronte dell'esito infruttuoso delle trattative tra le parti, si procedeva alla discussione, in esito alla quale la Difesa degli opponenti si richiamava all'atto di opposizione, il Difensore dell'indagato HA  si richiamava alla memoria depositata in data 15.11.2021 e chiedeva l'archiviazione del procedimento, il Difensore degli altri indagati rimetteva la decisione sulla archiviazione o sul rinvio a giudizio al Giudice, precisando che nei confronti degli indagati TE  e PG non è stata interposta opposizione.

Esposto quanto sopra in ordine allo svolgimento del procedimento, prima di passare alla disamina nel merito appare necessaria ed opportuna in via di premessa un breve cenno all'intervenuta entrata in vigore della c.d. "riforma Cartabia" ed alle conseguenze della stessa anche sul presente procedimento, tenuto conto del principio del tempus regit actum in materia processuale,

All'atto della presentazione della richiesta di archiviazione, come pure dell'opposizione e della fissazione dell'udienza ex art. 410, co. 3, c.p.p., in epoca precedente all'entrata in vigore 1'1.11.2022, differita poi con d.l. n. 162/2022 convertito dalla Legge n. 199/2022 al 30.12.2022, della c.d. "Riforma Cartabia", ossia del decreto legislativo n. 150/2022, il combinato disposto degli artt. 408 c.p.p. e 125 disp. att. c.p.p. imponeva di valutare gli elementi raccolti non nella chiave dell'esito finale del processo, ma nella chiave della loro attitudine a giustificare il rinvio a giudizio. La valutazione sull'infondatezza della notizia di reato era legata alla necessità o meno dell'accertamento giudiziale condotto con le regole del contraddittorio. L'archiviazione si giustificava pertanto, come noto, laddove si potesse fondatamente ritenere che la formazione della prova non sarebbe risultata comunque decisiva ai fini dell'accertamento della responsabilità o meno dell'indagato. Tale situazione sussiste sia quando ricorre la mancanza di prove in ordine alla sussistenza del fatto o della responsabilità dell'indagato in ordine ad esso, ma altresì nel caso di insufficienza o contraddittorietà della prova, lacuna non suscettibile di essere colmata mediante la progressione processuale. In sostanza, il giudizio sulla fondatezza della notitia criminis si risolveva in una prognosi di utilità del dibattimento, ai sensi dell'art. 125 disp. att. c.p.p.

Con la riforma, la regola di giudizio è, come insegna la migliore dottrina, quella di valutare il compendio probatorio nell'ottica di verificarne l'idoneità alla ragionevole previsione di condanna relativamente all'ipotesi accusatoria, nel senso di valutare con ragionevolezza le prospettive di accoglimento in giudizio dell'ipotesi accusatoria, e pertanto la ragionevole previsione di condanna.

La domanda da porsi e da risolvere, anche nel caso di specie, è dunque se, in base al compendio probatorio caratterizzato da incertezza in ordine alla sussistenza del reato ed alla responsabilità degli indagati opposti, possa considerarsi ragionevole attendere dal prosieguo del procedimento, considerati altresì l'oggetto delle investigazioni suppletive e gli ulteriori elementi di prova indicati dagli opponenti, contributi idonei a far superare il dubbio in ordine alla sussistenza dell'ipotizzato reato e della responsabilità degli indagati.

La regola di giudizio nella presente fase non è pertanto più quella di valutare se gli elementi raccolti siano idonei a sostenere da parte del Pubblico Ministero l'accusa in giudizio, bensì quella di esprimere, da parte del P.M. prima e nel caso di specie, da parte del giudice delle indagini preliminari in esito all'udienza in sede di opposizione nel contraddittorio delle parti, una ragionevole previsione di condanna, ancor prima della

formazione della prova nel contraddittorio delle parti, essendo il riferimento normativo relativo non più all'accusa ma alla condanna. L'oggetto della previsione non è più se gli elementi raccolti siano idonei a sostenere l'accusa in giudizio, e dunque la formazione della prova in giudizio, ma la prognosi di condanna, vale a dire se è ragionevole prevedere la condanna, con la conseguenza che in caso di dubbio dovrà concludersi per la richiesta di archiviazione da parte della Pubblica Accusa e dell'archiviazione da parte del giudice per le indagini preliminari.

Svolta tale premessa con riferimento alla normativa vigente da applicare con riguardo alla archiviazione, la valutazione della previsione di condanna in termini di ragionevolezza, richiede nel caso di specie, considerata la fattispecie di reato in cui verte il procedimento, una breve esposizione dei principi in materia di libera manifestazione del pensiero, diritto di cronaca e diritto di critica, con i correlativi doveri e limiti, e quindi la valutazione sotto tale profilo delle emergenze investigative e delle investigazioni suppletive e degli elementi di prova indicati nell'opposizione.

Come noto, l'articolo 21 della Costituzione italiana afferma il principio della libertà di manifestazione del pensiero: "Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione."

La libertà di manifestazione del pensiero esprime un valore fondamentale della nostra società democratica. Il nostro ordinamento ne sancisce l'inviolabilità nei confronti di tutti i soggetti e la tutela sotto ogni forma, parlata, scritta, e con ogni altro mezzo di diffusione.

Questa libertà riconosciuta dalla Costituzione italiana è un pilastro dello Stato di diritto, come affermato dalla Corte Costituzionale,"è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle[ ... ] che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com'è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale" (Corte Cost., sent. n. 9/1965).

Ad essa sono inoltre dedicati due articoli della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" del 1948, che all'art. 19 sancisce: "Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere."

La libertà di espressione è riconosciuta anche dall'art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali" "l. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera."

Nella libertà di espressione è compresa una moltitudine di diritti; il diritto di esprimere le proprie idee, il diritto di diffondere le proprie idee, di convincere gli altri, raccogliere adesioni, manifestare; ed altresì il diritto di criticare le manifestazioni di pensiero altrui, nei limiti consentiti; il diritto di cronaca, di informazione, mediante la stampa o con qualsiasi altro mezzo di diffusione; il diritto ad essere informati.

La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero è contemperata dal dovere di rispettare la libertà di pensiero altrui, di non offendere, diffamare, discriminare.

La Suprema Corte di Cassazione ha più volte sancito innanzitutto i principi cui deve conformarsi il diritto di cronaca (v,si ex multis Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 7579 del 17.01.2013).

In conformità il diritto di cronaca, come noto, per essere esercitato legittimamente, deve rispettare i seguenti principi:

-  il principio della verità dei fatti, appresi e riportati, che devono essere oggettivamente veri. Il diritto di cronaca è correlato e presuppone l'esercizio del dovere di compiere una attenta valutazione circa l'attendibilità delle fonti di conoscenza

-  il principio della pertinenza, ovvero l'interesse pubblico alla divulgazione della notizia, ossia le informazioni riportate devono essere socialmente utili;

- il principio della continenza, ossia la correttezza delle espressioni utilizzate, in modo tale da non esorbitare in lesioni arbitrarie dell'altrui onore e reputazione.

Ai fini della valutazione del caso in esame, va ricordata la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione in materia di corretto esercizio del diritto di critica, la quale ha evidenziato, in via logica che il diritto di critica, essendo espressione di una valutazione soggettiva, "di un giudizio o, più genericamente di un'opinione che, come tale non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su un'interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e comportamenti" (Cass. pen, sez. V, n. 34432 del 05.06.2007; Cass. pen., sez. V, n. 7499 del 14.02.2000), con la conseguenza che il requisito della verità rispetto all'esercizio del diritto di critica si atteggia in modo diverso, nel senso che per giurisprudenza nazionale, come sovranazionale della CEDU (cfr. infra), la critica può non essere completamente obiettiva. Il limite dell'esercizio del legittimo diritto di critica, in particolare dell'esercizio del diritto di critica in ambito politico, "è essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale" (Cass. pen., sez. V, sent. n. 4938 del 28.10.2010, Cass. pen, sez. V, sent. n. 55739 del 25.9.2017).

Il corretto esercizio del diritto di critica presuppone e richiede dunque di non travalicare il confine tra il diritto di critica e l'offesa all'altrui onore e reputazione, condotta suscettibile di integrare i reati di ingiuria, quale offesa nei confronti di persona presente, anche in modo virtuale, sussistendo il requisito della contestualità, e diffamazione negli altri casi, quando l'offesa viene pronunciata in assenza della persona, alla presenza di almeno due persone, o quando il contenuto offensivo è inviato ad una pluralità di persone mediante pubblicazione su piattaforme informatiche, nell'ipotesi di non contestualità del recepimento del messaggio da parte dell'offeso.

Sempre con riguardo alla valutazione del caso in esame, va ricordato in particolare anche quanto rilevato in particolare in materia di diritto di critica dalla CEDU, che ha ripetutamente delineato i principi dell'esercizio lecito del diritto di critica, evidenziando che la tutela riservata a tale diritto è rafforzata e deve considerarsi più ampia laddove lo stesso si inserisca in un dibattito di interesse pubblico ed è esercitato nei confronti di soggetti pubblici, di talché le manifestazioni del pensiero critico affinché possano considerarsi conformi ai principi sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritto dell'uomo e delle libertà fondamentali, che devono contribuire alla formazione di un'opinione pubblica critica e consapevole e non risolversi in aggressioni gratuite alla reputazione altrui, e conseguentemente le limitazioni del diritto di critica in tanto saranno lecite e conformi ai principi regolatori della materia in quanto non comprimano siffatte manifestazioni del pensiero critico (dr. Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, n. 08,07.1999 n. 23556/94).

Venendo all'applicazione dei menzionati principi al caso concreto in esame nel presente procedimento, va evidenziato in primo luogo che emerge dagli atti che gli ideatori e realizzatori del manifesto in questione abbiano mutuato l'immagine da manifesto analogo utilizzato all'estero, in Paese comunitario, in un contesto sempre afferente alla tematica della sanità e cura del paziente.

Trattavasi in particolare di manifesto-segnalazione della situazione delle gravi carenze di organico affliggenti il comparto della sanità, incidenti sul servizio pubblico e la cura del paziente. Mediante ricorso ad una metafora certamente forte, ma pur sempre chiaramente simbolica ed all'evidenza leggibile da tutti come critica, esasperata a fronte di un grave problema ritenuto irrisolto ormai da troppo tempo, i promotori intendevano scuotere il mondo della politica affinché adottasse provvedimenti e determinare gli attori politici all'assunzione di interventi efficaci idonei a risolvere il problema. La campagna era stata ideata dai rappresentanti del personale medico quale avvertimento di sensibilizzazione alla politica in ordine alla necessità di prendersi cura di uno dei compiti fondamentali delle istituzioni, quello di assicurare il servizio di cura in favore dei pazienti. La condivisione dell'impianto argomentativo dei querelanti opponenti porterebbe alla conclusione che la detta campagna di critica, mediante l'utilizzo di siffatto manifesto, sarebbe stata suscettibile di offendere il personale medico in servizio, coincidente con gli stessi promotori, o mancante ma necessario al fine di garantire il servizio di cura. Non consta che vi siano state conseguenze giudiziarie per avere segnalato in modo sia pure aspro, ma all'evidenza metaforico, mediante l'utilizzo di una immagine grafica stilizzata, il rischio di gravi conseguenze in caso di ravvisata perdurante insensibilità ed inattività dei responsabili politici rispetto alle carenze, ritenute ormai insostenibili, di un settore fondamentale per l'intera comunità.

 

Proseguendo con la disamina del manifesto oggetto di querela va osservato che lo stesso deve essere valutato nella sua interezza. In tal senso risulta con chiarezza che lo stesso si compone di una parte figurativa e di una parte testuale, che devono essere lette in correlazione. Risulta inoltre a chiare lettere e dall'apposizione del simbolo e dalla scritta "Wir kaempfen fuer dein Recht" (combattiamo per il tuo diritto, ndr) che compaiono sul manifesto, che lo stesso è riconducibile ad una precisa formazione politica, e che lo stesso è espressione di manifestazione di attività di critica politica, rivolta ai potenziali elettori ma al contempo, in considerazione delle espressioni utilizzate, alle forze di governo detentrici del potere esecutivo di messa a disposizione e organizzazione delle risorse necessarie per il servizio sanitario per la collettività.

Dall'analisi congiunta delle immagini e del testo risulta che il manifesto annuncia la morte di due soggetti, del paziente e del diritto all'uso della madrelingua - tema quest'ultimo che, come noto a tutti coloro che vivono, si interessano del territorio e delle sue vicende peculiari, che leggono i mezzi di informazione e votano in Alto Adige, rientra tra le principali tematiche e la cui tutela rientra tra gli scopi della detta formazione politica -, ma che esso non riguarda in alcun modo la preparazione scientifica e professionalità del medico e della generalità dei medici.

E l'incipit del testo, contraddistinto da un verbo al passato ma dai puntini alla fine della frase, va letto chiaramente in termini generali, simbolici e metaforici, nel senso di segnalazione di rischio in generale, connesso alla carenza di personale medico sanitario ed alla mancanza di comprensione ed ascolto del paziente, non riferita ad alcun caso concreto e specifico.

Sempre nell'ottica della contestualizzazione e comprensione del manifesto, non può, infine, negarsi la attualità e l'interesse pubblico del tema dell'assistenza e cura medica, le gravi criticità persistenti in cui il settore versa ormai da anni, le gravissime carenze di organico, a livello nazionale e locale, di medici ed infermieri e personale specializzato, problema che affligge il nostro Paese, la nostra provincia, ma altresì in generale gli Stati membri ed ogni Paese che non abbia tempestivamente e con lungimiranza compreso ed adottato le misure necessarie a prevenire situazioni quali quella attuale, mediante preciso rilevamento ed adeguata pianificazione delle risorse personali necessarie, a partire dall'accesso agli studi e dalla formazione delle stesse, nell'interesse precipuo ed imprescindibile della comunità e dei suoi membri e realizzazione in concreto del diritto alla salute e alle cure.

È pertanto fuori discussione la sussistenza dell'interesse pubblico alla tematica di sensibilizzazione alla necessità di un sistema sanitario efficiente, a tutela del diritto fondamentale alla salute costituzionalmente garantito.

 

Ai fini della corretta lettura complessiva e della contestualizzazione del manifesto e della vicenda, oltre alla ricordata rilevanza costituzionale del diritto alla salute, e delle conseguenze evidenti di carenze strutturali che costituiscono un rischio per la tenuta del sistema sanitario e per le ripercussioni sul paziente, va ricordato per completezza, che nel territorio della provincia di Bolzano vige il principio, anch'esso garantito, della parificazione della lingua italiana e tedesca nel settore pubblico, a tutela dei diritti dei singoli, tutela e diritti, come noto, riconosciuti a livello nazionale ed internazionale.

 

 

 
 
 
 

 

 

 


Ciò detto, la trattazione del tema oggetto della campagna di sensibilizzazione e del manifesto in oggetto, ed in particolare del testo che appare su di esso "Um Patienten zu verstehen und gut zu behanden, mussen Arzte in Sud-Tirol Deutsch konnen" (“per capire i pazienti e curarli vorretamente, in Sudtirolo i medici devono sapere il tedesco”,ndr), risulterebbe, inoltre, incompleta senza un cenno al tema della relazione di cura. Il 22 dicembre 2017, come noto, dopo un lungo percorso parlamentare, in Italia è stata finalmente approvata la Legge 219/2017 dal titolo "Previsioni in materia di consenso informato e direttive anticipate di trattamento", legge che ha rappresentato per la sanità e per la medicina legale un punto di svolta normativo epocale, andando a disciplinare il processo di acquisizione del consenso informato relativo ai trattamenti sanitari.

 

Tale legge, come noto, non si è peraltro limitata a normare il processo di acquisizione del consenso informato ad un trattamento, ma è andata oltre, disciplinando plurimi aspetti inerenti al diritto all'autodeterminazione del paziente e pertanto del suo diritto di scelta in ambito sanitario.

 

Nello specifico, la legge che si compone complessivamente di otto articoli, all'articolo 1 stabilisce: «La presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge».

 

Dalla lettura dell'articolo risulta immediatamente evidente il riferimento alla Costituzione Italiana con l'espresso richiamo agli articoli 2, 13 e 32, riguardanti la tutela delle libertà personali dell'individuo.

Notevole interesse assume anche quanto riportato nel successivo comma 2, nel quale viene posto l'accento sulla valorizzazione della relazione di cura che si instaura tra medico e paziente.

Il detto articolo cita infatti: «È promossa e valorizzata la relazione di cura e fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e l'autonomia professionale e la responsabilità del medico. Contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l'équipe sanitaria. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell'unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo».
Dalla lettura dell'ultima parte del comma in esame risulta evidente la valorizzazione quale requisito fondamentale della relazione di cura e fiducia che si instaura tra il medico e il suo paziente, relazione che costituisce la base fondante dell'espressione di un consenso informato, processo nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente basata sulla informazione resa in termini a questi comprensibile con l'autonomia professionale del

medico.

 

 

 
 
 
 

 

 

 


Nel successivo comma 3 vengono poi elencati quelli che rappresentano i requisiti fondamentali di un adeguato consenso informato. «Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Può rifiutare in tutto oin parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l'eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico».

La ratio della legge è dunque quella di valorizzare al massimo il diritto della persona malata a ricevere delle informazioni che siano complete e tali da metterlo nelle condizioni di esercitare in maniera realmente informata il suo diritto all'autodeterminazione. Affinché ciò avvenga è quindi necessario che le informazioni fornite al paziente siano complete contenendo la diagnosi, la prognosi, i benefici e rischi legati sia all'accettazione che al rifiuto del trattamento diagnostico e/o terapeutico proposto dai sanitari.

Di rilievo risulta inoltre il successivo comma 5 della disposizione citata. Il legislatore interviene nel disciplinare una materia delicatissima del rifiuto di accertamenti diagnostici e terapeutici, trattamenti nei quali sono stati ricompresi la nutrizione e l'idratazione artificiale. «Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. Ferma restando la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà, l'accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico».

Dalla lettura del comma appare evidente l'obiettivo del legislatore di voler garantire la massima tutela del diritto all'autodeterminazione del paziente e quindi della sua libertà di scegliere o rifiutare un qualsiasi trattamento sanitario.

 

 
 
 
 

 

 

 

 


La possibilità di poter rifiutare trattamenti anche necessari per la sopravvivenza non trasforma il medico in un semplice esecutore delle volontà del paziente ma proprio l'espressione di un dissenso comporta a carico del medico uno sforzo ulteriore nel processo comunicativo con il paziente e i suoi familiari. Infatti, come descritto nella norma, il medico è tenuto a dover informare chiaramente il paziente delle conseguenze delle proprie scelte, delle eventuali alternative terapeutiche nonché dovrà coinvolgere nel processo informativo i familiari del paziente oltre a predisporre un'assistenza psicologica al paziente.

Sempre nell'ottica dell'espressione di un rifiuto ad un determinato trattamento si inserisce il successivo comma 6. In particolare, viene garantita l'esenzione da profili di responsabilità civile e/o penale per il medico che assiste un paziente che rifiuta un trattamento. «Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali».

L'articolo 1, comma 7, disciplina la diversa ipotesi dello "stato di necessità" ed il relativo obbligo del medico di intervenire in situazioni di emergenza e/o urgenza, in condizioni in cui il consenso del paziente può anche essere di tipo presunto salvo la sussistenza di elementi di senso contrario. «Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell'équipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla».

Il comma 8 si sofferma su un aspetto spesso sottovalutato nella pratica quotidiana ovvero che la carenza di personale medico non consente di attuare adeguatamente, ma che il legislatore ha voluto sottolineare in quanto spesso determinante nella relazione di cura che si instaura tra medico e paziente. «Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura». Appare quindi innegabile la volontà del legislatore di sottolineare anche tramite tale previsione l'importanza del processo comunicativo che si instaura tra il medico e il paziente durante l'erogazione delle cure sanitarie.

Nei successivi commi dell'articolo 1 viene prevista la piena libertà delle strutture sanitarie nell'applicazione dei principi stabiliti dalla legge purché venga garantita l'informazione al paziente e venga assicurata un'adeguata e continua formazione del personale anche e soprattutto in termini di comunicazione con il paziente. Il comma 9 sancisce infatti: «Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l'informazione necessaria ai pazienti e l'adeguata formazione del personale». 

 

Il successivo comma 10 dell'art. 1 cita: «La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative».

Alla luce di tutto quanto risultante dagli atti e sopra esposto, si ritiene di dover fondatamente concludere, con riguardo al caso in esame, che la fattispecie appare in concreto suscettibile di essere inquadrata nell'esercizio del diritto di critica; che il destinatario e/o i destinatari non sono né l'Ordine dei medici chirurghi né il medico querelante, bensì la politica locale, esortata ad agire e a porre rimedio alla problematica ritenuta sussistere ad avviso degli organizzatori della campagna pubblicitaria avente natura politica ed esponenti di un partito di opposizione; che il manifesto letto e valutato nella sua composizione grafica complessiva, costituita da titolo, immagini, scritta sul cartellino apposto, testo, didascalie, non appare lesivo delle competenze tecniche professionali del medico e/o dell'Ordine dei medici, della reputazione del personale medico in generale ed in servizio in particolare, ma volto a scuotere la politica, che nelle dinamiche di uno Stato democratico deve sopportare critiche aventi ad oggetto ritenute criticità organizzative e strutturali, in particolare riguardanti la tutela di diritti fondamentali, ed esortazioni all'attuazione di interventi e soluzioni dirette alla sempre migliore tutela dei diritti nel rispetto dell'applicazione delle norme, in particolare anche di quelle attinenti ai fondamentali della relazione di cura ed al consenso informato sopra specificate; che il manifesto pare manifestazione ed espressione di una critica basata su giudizi, opinioni e timori soggettivi di individui e gruppi di persone; che non ricorre un attacco gratuito alla persona o aggressione al suo patrimonio morale e professionale; che sussiste l'interesse pubblico in considerazione dei temi di fondamentale importanza oggetto della campagna di sensibilizzazione.

 

Rimane da valutare la continenza espositiva della critica espressa, che ai fini del legittimo esercizio di critica, può assumere in particolare in ambito politico, toni anche aspri e duri, deve essere tuttavia scevra da espressioni gratuitamente offensive, e priva di mistificazioni e manipolazioni strumentali.

 

Dalla lettura complessiva del manifesto, testo ed immagini, non paiono rinvenibili espressioni diffamanti, lesive della reputazione di alcun medico nello specifico né in generale dell'Ordine dei medici.

 

Le risultanze in atti depongono dunque, anche sotto il profilo dell'elemento materiale, per la mancata integrazione di una condotta penalmente rilevante.

 

Ma anche a voler ritenere, non interpretando correttamente l'incipit e valutando l'immagine grafica in modo avulso dal contesto delle didascalie accompagnatorie, che la critica sia stata espressa in modo sproporzionato, ma altresì allarmanti per la popolazione, e che in tal modo sia stato travalicato il limite della continenza espositiva, e concludendo quindi per la integrazione dell'elemento oggettivo del reato, ciò non di meno, alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve concludersi, in condivisone altresì degli argomenti posti a base della richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero e 

 

 
 
 
 

 

 

 


trovano conferma in atti, per la esclusione dell'elemento soggettivo ovvero della volontà e consapevolezza di ledere la reputazione dei querelanti, e certamente, sulla base degli atti richiamati nella richiesta di archiviazione, che qui si intende integralmente richiamata, ed alla luce dei principi e motivi sopra esposti, per la esclusione della ragionevole previsione di condanna degli indagati, con riferimento in particolare alla mancata integrazione del reato anche sotto tale profilo.

 

In conclusione, le emergenze investigative confortano sicuramente alla luce di tutto quanto premesso il giudizio della Pubblica Accusa con riguardo all'esclusione dell'elemento soggettivo del contestato reato. Le risultanze investigative emerse non sono sicuramente tali, quanto meno sotto il profilo soggettivo, da consentire di ordinare di formulare l'imputazione coatta, non consentendo il compendio investigativo, alla luce degli elementi in fatto e ed in applicazione delle considerazioni in diritto sopra esposte, una ragionevole previsione di condanna. Le investigazioni suppletive e gli elementi di prova offerti appaiono alla luce di tutto quanto sopra esposto insuscettibili di inficiare efficacemente le anzidette conclusioni, se non altro in quanto irrilevanti, non decisive né dirimenti con riguardo alla idoneità a provare la sussistenza dell'elemento soggettivo.

 

Come già ricordato, la nuova regola di giudizio quale discrimine tra archiviazione e rinvio a giudizio è ora incentrata, in forza della c.d. riforma "Cartabia" sul parametro della "ragionevole previsione di condanna", e dunque sullo specifico esito del processo.

 

Nel caso in esame gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna. Alla luce di tutto quanto premesso si ritiene invero che in base alle risultanze investigative non possa formularsi ragionevole previsione di condanna per il reato ai sensi dell'art. 110,595, co. 3,

c.p. in capo agli indagati KE , KS,, TWr, ZS, HM, HA  né l'indagine suppletiva richiesta appare idonea a colmare l'insufficienza degli elementi sotto il profilo dell'integrazione dell'ipotizzato reato di diffamazione quanto meno dell'elemento soggettivo.

Peraltro, in ragione di quanto sopra evidenziato in ordine al contesto in cui è maturata la campagna di denuncia delle criticità del sistema sanitario per mancanza di adeguate sufficienti risorse personali (problematica che affligge ormai molti Paesi e non solo la nostra provincia), al destinatario del manifesto da individuare piuttosto negli antagonisti politici della formazione autrice della campagna di sensibilizzazione, ossia negli attori politici locali onde determinare l'azione degli stessi ad interventi efficaci per la soluzione del problema, e non nell'Ordine dei medici chirurghi ed odontoiatri o a singoli professionisti, in ordine alla normativa sull'uso della lingua vigente in provincia di Bolzano, alla disciplina legislativa della relazione di cura e del consenso informato del paziente, tenuto conto della riforma intervenuta, rispetto al momento della presentazione dell'opposizione non pare potersi formulare una ragionevole previsione di condanna altresì sotto il profilo dell'elemento oggettivo.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 


In definitiva, alla luce di tutto quanto premesso, l'applicazione della regola vigente in tema di archiviazione e rinvio a giudizio sopra richiamata, impone di giungere alla conclusione di fondatezza della richiesta di archiviazione, che si intende qui integralmente richiamata, dovendosi escludere per tutti i motivi esposti, la ragionevole previsione di condanna, non ricorrendo i presupposti per ordinare la imputazione coatta e non risultando risolutive le indagini suppletive richieste.

Va conseguentemente disposta, in accoglimento della stessa, l'archiviazione del procedimento in ogni caso perché il fatto non costituisce reato.

Va infine, precisato che nei confronti degli indagati PG e TE , legali rappresentanti della società incaricata della realizzazione grafica del manifesto, non risulta essere stata presentata opposizione all'archiviazione.

P.Q.M.

Visti gli artt. 408 e segg. c.p.p.,

dispone

l'archiviazione del procedimento e la restituzione degli atti al P.M Bolzano, 16.06.2023

Giudice per le indagini preliminari