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Appartenente alle forze dell'ordine esalta via social fascismo e nazismo commette reato? (Cass. 3351/25)

27 gennaio 2025, Corte di cassazione

Un appartenente alle forze dell'ordine, pubblico ufficiale e di ufficiale di polizia giudiziaria addetto alla tutela dei confini marini dello Stato commette reato se diffonde, anche da un suo profilo scogli provato, chiari e inequivoci messaggi di invito all’adesione all’ideologia fascista e ai suoi metodi violenti per risolvere, nello specifico, la questione dell’immigrazione mediante l’eliminazione fisica e la deportazione delle persone di etnia diversa.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE 

sentenza

dep. 27 gennaio 2025, n. 3351

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

** nato ad**  il **/1971 avverso la sentenza del 12/02/2024 della Corte d'appello di Lecce

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Stefano Aprile;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gianluigi PRATOLA, che ha concluso perl'inammissibilità del ricorso.

udito il difensore avvocato CR, del foro di Santa Maria Capua Vetere in difesa di **, che conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.  Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce in data 16 maggio 2019 con la quale ** è stato condannato, per avere pubblicamente esaltato, tramite vari post e commenti sul proprio pubblico profilo di Facebook, esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo e le sue finalità antidemocratiche, condotta punita dall’art. 4 legge 20 giugno 1952, n. 645, con l’aggravante dell’esaltazione delle idee e dei metodi razzisti, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, alla pena di un anno di reclusione ed euro 350 di multa.

1.1.   Sulla base delle non controversa ricostruzione materiale dei fatti, caratterizzati dalla pubblicazione di post inneggianti a Mussolini e Hitler e ai relativi simboli di regime, nonché ai metodi di sterminio degli stranieri, sia mediante la soppressione con pallottole, che venivano pubblicamente esibite, sia mediante la deportazione con l’uso di treni blindati, i giudici di merito affermavano che le condotte di esaltazione e apologia erano idonee a porre il rischio di ricostituzione del disciolto partito fascista nonché a esaltare e propagandare le idee razziste e i metodi antidemocratici dai medesimi utilizzati, precisando che le condotte avvenivano in un periodo immediatamente anteriore al novembre 2017.

2.  Ricorre **, a mezzo del difensore avv. **, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata, denunciando la violazione di legge, in riferimento alla norma incriminatrice, e il vizio della motivazione con riguardo alla mancanza di nesso funzionale tra la condotta e il pericolo concreto nonché con riguardo all’elemento soggettivo.

Non è stato accertato il pericolo concreto, richiesto dalla giurisprudenza, pretendendosi cioè di punire le idee, senza che sia stata verificata l’idoneità in concreto a porre il pericolo di ricostituzione del partito fascista, anche perché non è stata verificata, nei destinatari dei post, l’effettività del pericolo.

Si tratta di post estemporanei e non veicolati in forum o altre comunità aperte dei quali andava verificata la idoneità in concreto a ricostituire il partito fascista o a impressionare le folle, come recentemente ribadito dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 16153 del 18/01/2024, Clemente, Rv. 286241 – 01), senza accontentarsi della generica idoneità del social network a raggiungere un ampio numero di soggetti.

Il profilo Facebook, pur pubblico, era però personale, cioè non appartenente a un personaggio pubblico, sicché poteva essere raggiunto soltanto da coloro che “seguono” il ricorrente e non da una congerie indiscriminata e ampiadi soggetti, venendo, quindi, meno il pericolo osteggiato dalla norma incriminatrice.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.  Il ricorso è infondato.

2.  Il ricorso non contesta il contenuto e l’astratta idoneità apologetica e di esaltazione dei regimi fascista e nazista, costellata da simboli, espressioni e richiami specifici alle ideologie suddette e alle azioni violente poste in essere e delle specifiche azioni di deportazione ed eliminazione fisica degli stranieri (immagini di proiettili di grosso calibro con l’espressione “sono arrivati i vaccini obbligatori per i clandestini”; immagine di una locomotiva con la svastica, accompagnata dalla frase “la locomotiva è pronta”; vessilli dell’aquila romana; la scritta “buona domenica fascista”; l’immagine di Hitler che, idealmente dialogando con il Ministro dell’interno in carica che si domandava come risolvere il problema della immigrazione clandestina, innalza l’indice a pugno chiuso; l’immagine del “giuramento del fascista”; l’espressione, con l’effige di Mussolini, “quando l’ingiustizia diventa legge, la ribellione diventa dovere”), ma stigmatizza, anche a fronte delle specifiche ammissioni dell’imputato sulla materialità dei fatti, la mancanza di idoneità a costituire il pericolo concreto di ricostituzione del partito fascista.

2.1.  I giudici di merito hanno evidenziato:

-  che l’imputato, sottufficiale delle Capitanerie di Porto, costituiva, in quanto pubblico ufficiale e rappresentante delle forze dell’ordine, un soggetto particolarmente credibile e affidabile nella prospettiva dei soggetti che conquesti interagivano tramite il social network;

-  che il mezzo impiegato, caratterizzato da un profilo personale, ma pubblico, costituisce uno strumento formidabile di diffusione verso un numero indiscriminato di soggetti, anche attraverso la metodica delle citazioni e dei richiami o rimandi;

-  che i post e le pubblicazioni sono stati numerosi e reiterati, sicché affatto estemporanei e, dunque, idonei a persuadere i propri followers;

-  che la continua adesione manifestata da terzi al materiale pubblicato dall’imputato dimostra, per un verso, il concreto effetto conseguito dall’apologia e, per altro verso, l’ulteriore perniciosità della esaltazione fascista e razzista derivanti dal sostegno offerto e ottenuto dal pubblico nonché dalla crescente consapevolezza di non essere isolati nel predicare tali violente e razziste convinzioni.

2.2.  Le risposte fornite dai giudici di merito, sia in diritto che dal punto di vista motivazionale, sono pienamente aderenti ai principi espressi dalla giurisprudenza.

La giurisprudenza di legittimità, anche dopo la richiamata pronuncia delle SU, Clemente, cit., relativa al reato di esibizione di simboli fascisti ex art. 5 l. n. 645 del 1952, ha chiarito che «il reato di apologia del fascismo postula una condotta di propaganda ed esaltazione in concreto idonea a procurare adesioni e consensi funzionali alla ricostituzione del disciolto partito fascista» (Sez. 1, n. 37859 del 28/06/2024, Picano, Rv. 287070, ha confermato la sentenza di condanna dell'imputato, ritratto in video e fotografie, poi pubblicati on line, in cui si rivolgeva ai "camerati della rete", invitandoli a tesserarsi a un movimento definito "fascista" e a partecipare a una manifestazione del medesimo movimento).

2.3.  Premesso che, come il ricorso non nega, la condotta possiede natura apologetica e di esaltazione ideologica, i giudici di merito, con ampia e logica motivazione, hanno verificato l’idoneità in concreto della condotta a porre il rischio di ricostituzione del partito fascista.

Le peculiari caratteristiche dell’imputato, con non illogica valutazione, sono state riconosciute alla stregua di un elemento di rafforzamento del pericolo di ricostituzione del partito fascista, in considerazione della qualità di pubblico ufficiale e di ufficiale di polizia giudiziaria addetto alla tutela dei confini marini dello Stato.

Analogamente, l’idoneità della condotta è stata ravvisata nell’effettivo consenso raccolto dall’imputato ai chiari e inequivoci messaggi di invito all’adesione all’ideologia fascista e ai suoi metodi violenti per risolvere, nello specifico, la questione dell’immigrazione mediante l’eliminazione fisica e la deportazione delle persone di razza diversa.

2.4.   Sotto questo profilo la natura di utente “privato”, cioè afferente a un profilo personale intestato a un soggetto non istituzionale o di rilievo pubblico, è stata correttamente valutata irrilevante per sminuire o escludere l’idoneità della condotta, in quanto il funzionamento del social network, viepiù quando si usa la comunicazione sul profilo pubblico, costituisce un veicolo di diffusione indiscriminata, intrinsecamente destinato a essere raggiunto dachicchessia.

D’altra parte, attraverso l’utilizzo delle basilari funzioni dello strumento informatico prescelto dall’imputato per diffondere le idee finalizzate a ricostituire il partito fascista, i messaggi sono stati effettivamente ulteriormente diffusi, rimandati, richiamati, condivisi e approvati dagli utenti, così costituendo un formidabile strumento di diffusione di idee e notizie, come avvenuto nel caso di specie.

2.5.   Del resto, il ricorso, che si limita a denunciare la mancanza dell’elemento psicologico senza però sviluppare alcun argomento in proposito, non contiene una critica idonea a scardinare il logico ragionamento giuridico, solidamente ancorato alle risultanze probatorie, che ha condotto i giudici di merito, con concorde giudizio di fatto, a ravvisare la concreta idoneità della condotta a procurare adesioni e consensi funzionali alla ricostituzione del disciolto partito fascista tramite l’esaltazione dei suoi capi, delle idee antidemocratiche e dei metodi violenti e razzisti utilizzati. È stato opportunamente sottolineato che i contenuti vietati e destinati a ricostituire il partito fascista, anche tramite la specifica diffusione dei suoi simboli e delle idee razziste e antidemocratiche, sono stati oggetto, da parte dell’imputato, di una specifica e reiterata esaltazione cui numerosi soggetti hanno prestato piena e convinta adesione, così palesandosi la concretezza del pericolo di ricostituzione del partito fascista che la norma incriminatrice, in attuazione della previsione costituzionale, osteggia.

3.  Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamentodelle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma, lì, 27/01/2025