La lesione della reputazione professionale o personale va valutata in astratto, ossia con riferimento al contenuto della reputazione quale si è formata nella coscienza sociale di un determinato momento storico mentre il danno è in re ipsa, in quanto è costituito dalla diminuzione o privazione di un valore, benché non patrimoniale, della persona umana.
In tema di esatta identificazione della persona offesa della diffamazione via Facebook, non è necessario che il soggetto passivo sia precisamente e specificamente nominato, ma la sua individuazione deve avvenire, in assenza di un esplicito e nominativo richiamo, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, di guisa che possa desumersi, con ragionevole certezza, l'inequivoca individuazione dell'offeso.
Tribunale di Pavia
sez. III Civile, sentenza 13 – 14 marzo 2019, n. 468
Giudice Marzocchi
Fatto e svolgimento del giudizio
1.- Con atto di citazione ritualmente notificato ex art. 143 c.p.c. l'8.03.2018, il sig. (omissis...) conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Pavia il sig. (omissis...) per l'udienza del 27.06.2018 per ivi sentirlo condannare al risarcimento del danno subito sia per i fatti accaduti nei locali dell'Ufficio Anagrafe diretto dall'attore che per la pubblicazione delle offese tramite la rete internet e, in conclusione, per la complessiva lesione dell'integrità morale dell'attore, postate dal convenuto sulla pagina del Comune di Vigevano di quel social network e chiedeva la sua condanna, ex artt. 2043, 2059, c.c. e art. 185 cp, al risarcimento del danno di Euro 10.000,00, da quantificarsi in via equitativa, secondo i criteri di cui agli 1226 e 2056 c.c., oltre alla rivalutazione monetaria. 11 tutto con il favore delle spese.
A sostegno della sua pretesa risarcitoria, l'attore esponeva di essere dipendente del Comune di Vigevano con funzioni di responsabile dell'Ufficio Anagrafe; che il 13.12.2017 il sig. (omissis...) si presentava allo sportello dell'ufficio diretto dall'attore per chiedere il rilascio di un nuovo documento di identità, avendo smarrito in Spagna il suo e presentando all'uopo, all'impiegata dello sportello, copia della relativa denuncia di smarrimento in spagnolo; che l'impiegata spiegava al convenuto che per ottenere una nuova carta di identità avrebbe dovuto presentare analoga denuncia di smarrimento del documento anche avanti all'Autorità italiana; che il convenuto insisteva affinché fosse ritenuta sufficiente la denuncia di smarrimento già presentata in Spagna; che ne nasceva un diverbio nel corso del quale il convenuto asseriva di essersi già recato dai carabinieri in Italia e di aver da loro appreso della piena validità della sua denuncia già presentata in Spagna; che protraendosi la discussione allo sportello, doveva interveniva l'attore che chiamava al telefono i carabinieri, al fine di appurare quanto asserito dal convenuto; che i carabinieri confermavano la tesi dell'Ufficio Anagrafe per la quale era necessaria una nuova denuncia in Italia; che, ad un certo punto della discussione, il sig. (omissis...) si rivolgeva direttamente al dott. (omissis...) e lo apostrofava con il termine maleducato, aggiungendo che l'attore "non conosceva la legge e che avrebbe dovuto imparare la normativa", che al termine di una discussione protrattasi per mezz'ora, l'attore invitava il convenuto ad allontanarsi dagli sportelli in quanto con la propria condotta stava provocando ritardi nell'erogazione dei servizi al pubblico e lo esortava a recarsi al comando dei Carabinieri per sporgere la relativa denuncia di smarrimento; che presentata la denuncia ai carabinieri, il convenuto tornava nello stesso giorno all'anagrafe per il rilascio del documento, che gli veniva rilasciato sostanzialmente in tempo reale, nonostante qualche ulteriore problema insorto per far risultare sulla nuova carta di identità la dicitura "unito civilmente" riferita al titolare, il quale teneva particolarmente che tale dicitura risultasse e doveva nel contempo partire l'indomani per la Spagna; che poco dopo, sulla pagina Facebook del Comune di Vigevano appariva, a nome del sig. (omissis...), il seguente commento: "Volevo solo dire che il capo ufficio dell'anagrafe di Vigevano è una persona maleducata che non conosce molto bene le procedure cui deve applicare ed è una persona veramente ignorante sia nei modi che nelle parole. Se assumete personale così meglio chiudere" (cfr. doc. 1). Ciò premesso, l'attore conveniva in giudizio il sig. (omissis...) per ottenere il risarcimento del danno subito ma il convenuto rimaneva contumace.
2.- All'udienza del 27.06.2017, dichiarata la contumacia del convenuto, si procedeva con la fissazione dei termini per le memorie ex art. 183, co. 6, c.p.c. e, nel contempo, si ordinava a parte attrice di svolgere una mediazione demandata. All'udienza dell'8.11.2017 era ammessa la prova per interpello dell'attore e per testimoni. Alle udienze successive erano espletate le prove ammesse e, esaurita la prova orale, parte attrice, chiedeva la decisione del giudizio con le forme di cui all'art. 281 quinqnies, co. 2 c.p.c., per la discussione orale all'udienza del 20.02.2019, assegnandosi il termine per il deposito della sola comparsa conclusionale. All'udienza del 20.02.2019, precisate le conclusioni e udita la discussione orale, la causa era posta in decisione.
Motivi della decisione
3.- La decisione non può prescindere dall'esito della prova orale, che si è rivelata decisiva per la valutazione della fondatezza della domanda risarcitoria di parte attrice. Anzitutto era ammesso l'interrogatorio formale del convenuto contumace dando onere alla difesa di parte attrice di provvedere alla notifica al sig. (omissis...) sia della memoria n. 2 che dell'ordinanza del 18/10/2018. La notifica si perfezionava e nessuno compariva per il convenuto contumace all'udienza destinata all'interrogatorio. Ai sensi dell'art. 232, co. 1, c.p.c. "Se lo parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il collegio, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio"
In secondo luogo era ammessa la prova testimoniale. Le testimoni escusse hanno confermato quanto prospettato in ordine ai fatti accaduti il 13/12/2017 ai danni di (omissis...). La teste (omissis...) affermava di essere a conoscenza dei fatti di causa per avervi assistito e preso parte personalmente. Avvalorava quanto dedotto nei capitoli di prova di cui alla memoria n. 2, ex art. 183, co. 6, c.p.c.. La teste (omissis...), esaminata solo sul capitolo n. 18, confermava di aver visto il post su Facebook scritto da (omissis...) e di aver provveduto a contattare il sig. (omissis...) per farsi chiarire quanto accaduto. La teste, invero, confermava, altresì, di aver provveduto a relazionare l'accaduto e riconosceva il documento n. 2 a lei mostrato.
Si devono dunque considerare provate le due diverse condotte generative di responsabilità, poste in essere dal convenuto ai danni dell'attore. Il 13/12/2017, all'interno degli uffici comunali, il convenuto offendeva l'onore e il decoro detrattore apostrofandolo con il termine "maleducato" ed aggiungendo che lo stesso "non conosceva la legge e che avrebbe dovuto imparare la normativa". In secondo luogo, lo stesso convenuto postava sulla sua pagina Facebook del Comune di Vigevano nello stesso giorno dell'accesso all'ufficio anagrafe il commento offensivo, già testualmente riportato.
4.- Con riguardo alla prima condotta si concretizzava la fattispecie delittuosa dell''oltraggio pubblico ufficiale, reato previsto e punito dall'art. 341-bis c.p., ai sensi del quale "Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l'onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni". In tal senso la giurisprudenza ha sancito "poiché il bene giuridico tutelato dall'art. 341 bis c.p. è il buon andamento della pubblica amministrazione, allora è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale possano essere udite dai presenti, poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie" (Cass. Pen., 13/04/2016 n. 15440).
Nel caso in esame ricorrono tutti gli elementi costitutivi del reato: l'attore nel suo molo di pubblico ufficiale e mentre stava compiendo un atto del proprio ufficio, nell'esercizio delle proprie funzioni e all'interno degli uffici comunali, veniva raggiunto dalle sopracitate espressioni offensive e pronunciate dal sig. Queste ultime venivano udite dai presenti oltre che dai colleghi del sig. (omissis...) che si trovavano in servizio quel giorno. In proposito, nessun dubbio può sussistere sulla portata offensiva e ingiuriosa dell'espressione impiegata dal convenuto.
Più precisamente la (omissis...) ha stabilito che l'epiteto "maleducato" ha un'oggettiva portata offensiva, sottolineando che si tratta senza dubbio di "un 'espressione a contenuto ingiurioso che potrebbe integrare fattispecie di reato e, più in particolare reato di ingiuria". Secondo la Corte, infatti, non vi era ragione, "di porre in dubbio l'esistenza di tale elemento, costituito unicamente dalla coscienza e volontà di pronunciare all'indirizzo altrui espressioni di cui si conosca l'oggettiva portata offensiva" (Cass. Pen. 9799/2006).
5.- Con riguardo alla seconda condotta, le parole scritte e pubblicate su Facebook dal sig. (omissis...) concretizzavano la fattispecie della diffamazione a mezzo internet, reato previsto e punito dall'art. 595 c.p., secondo cui "Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 Euro". In particolare, il comma 3 della stessa norma prevede che "Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 Euro".
La giurisprudenza ritiene che "l'utilizzo di un sito internet per la diffusione di immagini o scritti atti ad offendere un soggetto è azione idonea a ledere il bene giuridico dell'onore nonché potenzialmente diretta "erga omnes", pertanto integra il reato di diffamazione aggravata" (Cass. pen. 4741/2000). Tale orientamento è stato confermato da successive pronunce, al punto da far ritenere consolidato il seguente principio "La diffamazione tramite internet costituisce un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma 3, c.p., in quanto commessa con altro (rispetto alla stampa) mezzo di pubblicità. Del resto, essendo internet un potente mezzo di diffusione di notizie, immagini ed idee (almeno quanto la stampa, la radio e la televisione), anche attraverso tale strumento di comunicazione si estrinseca il diritto di esprimere le proprie opinioni, tutelato dall'art. 21 cast., che, per essere legittimo, deve essere esercitato rispettando le condizioni e i limiti dei diritti di cronaca e di critica" (Cass. Pen., n. 31392/08).
All'interno della generica diffamazione compiuta a mezzo internet, la giurisprudenza ha poi ritagliato un'ipotesi più specifica, cioè la diffamazione compiuta a mezzo Facebook. Nel caso di specie il convenuto, con la sua condotta, ha integrato la fattispecie di cui all'art. 595, comma 3, cp, attraverso la pubblicazione della frase diffamatoria come sopra precisata. La ha dato continuità al principio di diritto già precedentemente affermato secondo il quale: "la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'articolo 595 c.p., comma 3, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l'aggravante dell'uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell'idoneità del mezzo utilizzato di coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando - e aggravando - in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante" (ex multis, Cass. Pen. 50/17; Cass. Pen. 8328/16; Cass. Pen. 24431/15).
In tali pronunce, la (omissis...) precisava che la circostanza per la quale l'accesso al social network richieda all'utente una procedura di registrazione, non vale ad escludere la natura di altro mezzo di pubblicità richiesta dalla norma penale per l'integrazione dell'aggravante; quest'ultima invero "discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall'indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia (come si verifica nel caso della stampa, che integra un'autonoma ipotesi di diffamazione aggravata), in puntuale conformità all'elaborazione giurisprudenziale di questa Corte che ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 595 c.p., comma 3 nella diffusione della comunicazione diffamatoria col mezzo del fax (Sez. 5 n. 6081 del 9/12/2015) e della posta elettronica indirizzata a una pluralità di destinatari" (Cass. Pen., 29221/2011).
A sostegno di quanto esposto, in materia di diffamazione a mezzo social network, anche la giurisprudenza di merito si è mostrata concorde nel ritenere che "il messaggio pubblicato sulla "bacheca " di un iscritto è ben visibile anche da numerosi altri utenti e può essere incontrollabilmente diffuso a seguito di "tagging". Gli utenti del social network sono dunque ben consapevoli che molti altri iscritti potranno prendere visione delle informazioni inserite in rete, anche a prescindere dal proprio consenso: per tale motivo, ove dette informazioni abbiano carattere lesivo della reputazione, dell'onore e del decoro altrui, l'autore dell'illecito sarà obbligato a risarcire il danno morale cagionato" (cfr. Trib. Monza, 2 marzo 2010 n. 770 e Trib. Livorno, il quale ultimo ha affermato che "L'uso di espressioni di valenza denigratoria e lesiva della reputazione del profilo professionale della parte civile integra sicuramente gli estremi della diffamazione alla luce del detto carattere pubblico del contesto in cui quelle espressioni sono manifestate, della sua conoscenza da parte di più persone e della possibile sua incontrollata diffusione tra i partecipanti alla rete del social network. Lo specifico episodio in trattazione va più esattamente qualificato come delitto di diffamazione aggravato dall'aver arrecato l'offesa con un mezzo di pubblicità (fattispecie considerata dal comma terzo dell'art. 595 c.p. ed equiparata, sotto il profilo sanzionatorio, alla diffamazione commessa con il mezzo della stampa)". (...) Si giunge agevolmente a ritenere che l'utilizzo di Internet integri l'ipotesi aggravata di cui all'art. 595, co. 3, c.p. (offesa recata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità), poiché la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio rende l'agente meritevole di un più severo trattamento penale" (anche Cass. Pen. 38912/12).
6.- In ordine all'esatta identificazione della persona offesa, si riportano i seguenti principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di diffamazione a mezzo stampa, applicabili per analogia anche al caso in esame della diffamazione "con altro mezzo" ai sensi dell'art. 595 co 3, c.p.: "non è necessario che il soggetto passivo sia precisamente e specificamente nominato, ma la sua individuazione deve avvenire, in assenza di un esplicito e nominativo richiamo, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, di guisa che possa desumersi, con ragionevole certezza, l'inequivoca individuazione dell'offeso" (Cass. Civ., 28/09/2012 n. 16543; Cass. Civ., 06/08/2007, n. 17180; Cass. Pen. 11/03/2005 n. 15643) e dunque "l'individuazione della persona offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell'offesa, desumibile anche dal contesto in cui è inserita, senza fare ricorso ad intuizioni o congetture" (Cass. Civ. 16543/12; Cass. Pen., 3756/87).
Secondo i principi elaborati dalla S.C. pertanto "non occorre che la persona cui l'offesa è diretta venga nominativamente designata" (Cass. Civ. 16543/12; Cass. pen., 3900/93), "essendo sufficiente che l'individuazione sia possibile per esclusione, in via induttiva, tra una categoria di persone, senza che assuma importanza il fatto che l'identificazione venga in concreto compiuta da un ristretto numero di persone" (Cass. Civ. 16543/12; Cass. Pen. 7410/10). Sulla base della giurisprudenza citata è chiara la riferibilità delle offese recate all'attore, sig. (omissis...), il quale riveste come detto la funzione di responsabile dell'ufficio anagrafe del Comune di Vigevano.
Fermo quanto sopra, ai fini della configurabilità del reato e del conseguente diritto al risarcimento dei danni subiti, palese è la gravità dell'offesa arrecata alla reputazione dell'attore. L'epiteto di "persona veramente ignorante" in questo caso, allude all'incompetenza professionale del sig. (omissis...). L'offesa è trasmodata in "un pesante attacco personale che colpisce la sfera professionale e privata della parte offesa"; con rilevanza penale ai sensi dell'art. 595, comma 3, cp (Cass. Pen. 1798/2011).
Con riguardo all'accertamento della lesione della reputazione personale o professionale la (omissis...) ha stabilito che la "lesione della reputazione professionale o personale va valutata in abstracto, ossia con riferimento al contenuto della reputazione quale si è formata nella coscienza sociale di un determinato momento storico mentre il danno è in re ipsa, in quanto è costituito dalla diminuzione o privazione di un valore, benché non patrimoniale, della persona umana" (Cass. Civ. 16543/12; Cass. Civ. 6507/01; Cass. Civ. 20120/09).
Non vi sono quindi dubbi in ordine alla fondatezza della pretesa risarcitoria avanzata dal sig. (omissis...), ai sensi dell'art. 185 cp; pretesa che viene equitativamente e complessivamente determinata nella somma di Euro 5.000,00, secondo i criteri di cui agli 1226 e 2056 c.c., oltre interessi dal 31.12.2017 fino al completo saldo. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo secondo quanto prescritto dal D.M. 55/2014.
P.Q.M.
Il Tribunale di Pavia, definitivamente pronunciando ogni diversa domanda ed eccezione rigettata o assorbita, così provvede:
1. Accoglie per quanto di ragione la domanda dell'attore, sig. (omissis...) nei confronti del convenuto contumace, sig. (omissis...);
2. Condanna il sig. (omissis...) per le condotte illecite tenute verso l'attore sig. (omissis...), alla risarcimento del danno per la lesione dell'integrità morale dell'attore, che liquida nella misura di Euro 5.000,00, oltre interessi legali dalla data del fatto al saldo;
3. Condanna l'attore alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 2.000,00 oltre spese generali, IVA e CPA nelle misure di legge;