Un soggetto privato, quale Facebook Ireland, non può invocare disposizioni negoziali che attribuiscano poteri sostanzialmente incidenti sulla libertà di manifestazione del pensiero e di associazione tali da eccedere i limiti che lo stesso legislatore si è dato nella norma penale; peraltro, la verifica della compatibilità di CasaPound con la disciplina contrattuale riguardante le condizioni di utilizzo di Facebook alla stregua dei fatti e dei documenti allegati, non competendo a questo giudice la funzione di attribuire in via generale ad una associazione una “patente” di liceità, posto che condizione e limite dell’attività di qualsiasi associazione è il rispetto della legge, la cui verifica è rimessa al controllo giurisdizionale diffuso.
La normativa italiana in nessun caso sanziona la mera manifestazione del pensiero ma fa riferimento a condotte di diversa gravità ed intensità che presentano connotazioni ulteriori che le qualificano secondo i casi come diffusione, propaganda, istigazione, incitamento, apologia; per quanto riguarda in particolare le associazioni vietate dall’art. 3 della L. 654/75 l’elemento in cui si sostanzia il carattere di offensività è lo scopo (di incitamento alla discriminazione o alla violenza) del quale non si richiede la effettiva realizzazione ma che deve pur sempre essersi in qualche modo estrinsecato nel mondo materiale; sicché una estensione siffatta del divieto opererebbe in assenza di tali connotazioni oggettive e colpirebbe solo un contenuto di pensiero imputato sulla base di una deduzione astratta, secondo la quale il soggetto non potrebbe non avere un pensiero corrispondente a quello la cui manifestazione si assume illecita, quando invece la libertà di pensiero implica logicamente la libertà di individuare i contenuti ed i valori cui aderire, anche scegliendo, rielaborando, variamente combinando quelli già noti nel vasto repertorio offerto dalla storia del pensiero e dall’esperienza dell’umanità, non potendo ridursi alla scelta iniziale fra l’uno o l’altro sistema codificato, come se una tale scelta fosse necessaria e come se potesse esaurire l’esercizio dello spirito critico.
In definitiva qualunque criterio in base al quale si pretenda di attribuire posizioni razziste o discriminatorie per derivazione da contenuti di pensiero in cui obiettivamente tali contenuti non si ritrovano non può che essere arbitrario e quindi radicalmente inidoneo a definire i confini dei limiti legittimamente segnati alla libertà dimanifestazione del pensiero; il giudizio di valore sui riferimenti storici ed ideali richiamati da ciascun attore del dibattito politico, come quello sulla coerenza con tali riferimenti dei principi affermati nel tempo presente, rimane così affidato al libero confronto delle idee.
REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI ROMA
XVII SEZIONE CIVILE
udienza 14.2.2020 - deposito 29.04.2020
Il Tribunale di Roma, nelle persone dei componenti:
Dott.ssa Claudia Pedrelli Dott. Fausto Basile Dott. Vittorio Carlomagno
Presidente Giudice Giudice rel
a scioglimento della riserva presa all’udienza del 14.02.2020 ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nella causa iscritta al n. 80961/19, avente per oggetto: reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. avverso
ordinanza resa dal Tribunale di Roma in composizione monocratica in data 11.12.19, TRA
FACEBOOK IRELAND LIMITED, numero di registrazione 462932, con sede legale in Grand Canal Square, 4, Dublino 2, Irlanda, rappresentata e difesa dagli avv. MM, ML e FF,
RECLAMANTE
E Associazione di Promozione Sociale CASAPOUND ITALIA, con sede in Roma, Via Napoleone III n. 8, C.F.**1, in persona del legale rappresentante, GI, DSD, nato a Roma, **1I, residente in
Roma, Via Napoleone III, n. 8, rappresentati e difesi dall’avv. GC e dall’avv. prof. AS
RECLAMATI
La Associazione di Promozione Sociale CasaPound ed il sig. DDS hanno proposto ricorso ex art. 700 c.p.c. contro Facebook Ireland Limited, gestore in Europa del servizio on line Facebook, a seguito della rimozione, il 9.09.19, della pagina dell’associazione e del profilo personale del sig. Di Stefano, lamentando l’assenza di preventivo avviso e la mancata risposta da parte di Facebook Ireland alla diffida da loro trasmessale, assumendo di avere sempre rispettato le condizioni contrattuali regolanti il servizio e denunciando di conseguenza l’inadempimento contrattuale del gestore, nonché l’esistenza di un pregiudizio grave per la propria immagine e per il libero esercizio della propria attività politica, costituzionalmente tutelato.
Facebook Ireland resistendo al ricorso ha affermato la violazione da parte di CasaPound dei termini di utilizzo (Condizioni d’Uso e Standard della Comunità) da questa accettati all’atto della richiesta del servizio, che prevedono espressamente, nei casi di maggiore gravità, anche la disabilitazione definitiva e la facoltà, non l’obbligo, a carico del gestore di un preventivo richiamo al loro rispetto; in particolare il divieto di presenza sulla piattaforma di “organizzazioni o individui che proclamano missioni violente o che sono coinvolti in azioni violente” e di diffondere messaggi di odio e discriminatori, sostenendo che CasaPound è un movimento che si proclama fascista, i cui aderenti si sono resi responsabili di atti di violenza e di discriminazione, che diffonde messaggi di odio e discriminatori e che ha utilizzato il servizio per diffondere tali messaggi, incorrendo in una pluralità di violazioni delle condizioni di utilizzo.
L’ordinanza oggi reclamata in accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c. ha ordinato a Facebook Ireland l’immediata riattivazione della pagina dell’Associazione di Promozione Sociale CasaPound Italia all’indirizzo https://www.facebook.com/casapounditalia/ e del profilo personale di DDS, quale amministratore della pagina, fissando una penale di € 800,00 per ogni giorno di violazione.
L’ordinanza muove dal rilievo dell’importanza assunta da Facebook per chiunque intenda partecipare al dibattito politico e quindi per l’attuazione di principi cardine essenziali dell’ordinamento come quello del pluralismo dei partiti politici (art. 49 Cost.); ne deduce che il rapporto tra il gestore e l’utente che intenda registrarsi al servizio (o con l’utente già abilitato al servizio come nel caso in esame) non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati qualsiasi ma che il gestore ricopre una posizione speciale per cui nel rapporto con gli utenti deve strettamente attenersi al rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali, finché non si dimostri (con accertamento da compiersi attraverso un giudizio a cognizione piena) la loro violazione da parte dell’utente; conclude che il rispetto dei principi della Costituzione e dell’ordinamento giuridico costituisce per il gestore ad un tempo condizione e limite nel rapporto con gli utenti. Afferma, sulle violazioni ascritte a CasaPound, che non è possibile ravvisare incitamento all’odio e alla violenza nella mera promozione delle sue finalità nella sua pagina Facebook, trattandosi peraltro di soggetto legittimamente operante nel panorama politico italiano dal 2009; che gli episodi connotati da atteggiamenti di odio contro le minoranze e violenza attribuiti a suoi membri o simpatizzanti non hanno trovato ingresso sulla sua pagina Facebook e che essa non può essere chiamata a risponderne a titolo di responsabilità oggettiva; in particolare sulle violazioni strettamente relative all’utilizzo del servizio, la diffusione di immagini nelle quali era presente la c.d. croce celtica o altri simboli, che queste non sembrano di gravità tale da giustificare la disabilitazione dell’intera pagina e che infatti il gestore si era limitato in un primo tempo a rimuovere i singoli contenuti ritenuti non accettabili.Conclude che, in assenza di violazioni accertate e non potendosi valutare in sede cautelare la contrarietà delle finalità dell’associazione con i principi costituzionali, la disabilitazione della pagina Facebook è ingiustificata e produttiva di un pregiudizio non suscettibile di riparazione per equivalente, relativo alla partecipazione CasaPound dal dibattito politico, incidente su beni costituzionalmente tutelati.
Propone reclamo Facebook Ireland la quale denuncia che l’ordinanza impugnata erroneamente: ha affermato, in assenza di alcun fondamento normativo, il carattere di specialità del contratto concluso con l’utente, che invece è un ordinario contratto di diritto civile, ed attribuito al gestore, in assenza di una espressa previsione di legge, obblighi di servizio pubblico, quando invece si tratta di una società privata operante a scopo di profitto, non soggetta a discipline particolari, tutelata dall’art. 41 della Costituzione;
ha affermato, in assenza di alcun fondamento normativo, che ad alcuni utenti – quali le organizzazioni impegnate in attività politiche – debba essere garantita una tutela speciale nell’ambito del contratto che regola il Servizio Facebook, in virtù del loro ruolo nel dibattito politico, ritenendo inefficaci solo nei loro confronti le regole del servizio applicate a tutti gli utenti ed anche da loro accettate ed onerando il gestore di accertare caso per caso, sulla base di verifiche estranee ai contenuti delle loro pagine Facebook, se essi rientrino nelle condizioni che darebbero diritto a tale speciale tutela;
ha affermato che le fosse preclusa, in assenza di un preventivo giudizio a cognizione piena, l’attivazione dei rimedi di autotutela previsti dalla disciplina generale dei contratti e dalle specifiche condizioni contrattuali;
non ha rilevato che CasaPound rientra nella definizione di organizzazione che incita all’odio prevista dagli Standard della Comunità, essendo “impegnata nella violenza” attraverso azioni di “odio organizzato” e di “violenza organizzata o attività criminale”;
non ha tratto le necessarie conseguenze dal richiamo di CasaPound al fascismo e quindi, inscindibilmente, ai suoi crimini ed alle sue politiche razziste;
ha affermato l’irrilevanza di condotte imputabili a CasaPound ma estranee alla piattaforma, in contrasto con i termini di utilizzo, che necessariamente consentono di valutare tali condotte al fine di stabilire se un’associazione sia qualificabile come organizzazione che incita all’odio;
non ha considerato che gli atti di violenza commessi da singoli, anche se estranei alla piattaforma, hanno carattere sistematico, sono stati posti in essere da una vasta pluralità di appartenenti all’organizzazione, inclusi esponenti di vertice, sotto le insegne dell’associazione, in coerenza con le idee da questa professate ed in attuazione dei suoi scopi, attribuite dalla stampa all’associazione stessa e raramente da questa ripudiate ma anzi spesso apertamente rivendicate;
non ha dato rilievo alla pubblicazione da parte di CasaPound sulla piattaforma Facebook di molteplici contenuti contrari agli Standard della Comunità ed alle Condizioni d’Uso;
non ha tenuto conto, nella valutazione del periculum in mora, dell’ampia disponibilità in Internet di strumenti di comunicazione diversi dalla piattaforma Facebook.
Sulla base di questi elementi sostiene che la rimozione della pagina e del profilo dei reclamati fosse giustificata e comunque che siano assenti i requisiti della tutela cautelare e quindi conclude per l’integrale riforma dell’ordinanza impugnata e per il rigetto della domanda cautelare.
- La difesa dei reclamati nella presente fase in primo luogo argomenta che la condotta dell’utente debba essere valutata esclusivamente alla luce della disciplina negoziale e che di conseguenza sarebbe preclusa qualsiasi valutazione di condotte estranee all’utilizzo del servizio Facebook; sostiene, comunque, che le affermazioni della reclamante sulla natura di CasaPound sono infondate e non provate, come pure quelle sulla sua responsabilità per atti di violenza o di incitamento all’odio; si sofferma sul rapporto fra CasaPound ed il fascismo storico, affermando che essa ne propone una attualizzazione che ne valorizza in via esclusiva le politiche di carattere sociale, e che ha pubblicamente condannato le leggi razziali; contesta che qualsiasi riferimento a quella esperienza storica ed a quella ideologia possa essere qualificato automaticamente come adesione a posizioni razziste e discriminatorie; richiamando la libertà di manifestazione del pensiero tutelata dall’art. 21 della Costituzione sostiene che manifestazioni di adesione da parte di CasaPound all’ideologia fascista potrebbero assumere rilevanza solo qualora fossero superati i limiti previsti dalle disposizioni penali dettate in materia.
- Il collegio ritiene indubbia la qualificazione del rapporto fra Facebook Ireland e l’utente come un ordinario contratto di diritto civile – un contratto atipico nel quale il gestore fornisce gratuitamente un servizio di condivisione di documenti e di comunicazione e che prevede a carico dell’utente l’impegno a rispettare determinate condizioni di utilizzo – con la conseguenza che la legittimità dell’esercizio del potere di recesso del fornitore del servizio deve essere valutata in primo luogo sulla base delle regole negoziali dallo stesso dettate, secondo il modello del contratto per adesione.
- La qualificazione del rapporto in termini contrattuali e l’assenza di disposizioni normative speciali non implicano che la sua disciplina sia rimessa senza limiti alla contrattazione fra le parti ed al rapporto di forza fra le stesse né che l’esercizio dei poteri contrattuali sia insindacabile. I limiti sono quelli di carattere generale ordinariamente riconosciuti per l’autonomia privata, riconducibili alle clausole generali dell’ordine pubblico, del buon costume, della buona fede ed al divieto di abuso del diritto, da interpretarsi secondo i principi costituzionali. Si deve ricordare che secondo l’elaborazione giurisprudenziale più avanzata i princìpi di correttezza e buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti e consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20106 del 18/09/2009). Non è da escludersi neanche l’applicazione diretta di parametri costituzionali quale limite all’autonomia privata (v. ad es. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5476 del 04/06/1998, relativa proprio alla libertà di associazione). In generale si deve ritenere preclusa all’autonomia privata la limitazione a carico di uno dei contraenti dell’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti, attuata ricollegando al loro esercizio conseguenze negative sul piano contrattuale, tanto più in assenza di una giustificazione oggettiva nella funzione riconosciuta al contratto; in questo senso si può richiamare il paradigma del divieto di licenziamento del lavoratore per motivi politici, sindacali e religiosi.
- Si palesa così l’infondatezza di tutte le argomentazioni della reclamante riconducibili in ultima analisi all’affermazione che essendo il servizio Facebook da essa gestito ed organizzato le regole da essa dettate sarebbero sottratte a qualsiasi controllo; tanto che neanche una disposizione normativa espressa potrebbe limitare il suo diritto di decidere quali contenuti ospitare e quali escludere (pag. 15 punto 4.4 del reclamo), e “La circostanza che si tratti di un’organizzazione proibita o meno secondo la legge italiana non assume[rebbe] alcuna rilevanza.” (pag. 26 punto 4.21 della memoria di costituzione di primo grado).
- Al contrario se la posizione del gestore è riconducibile alla libertà di impresa tutelata dall’art. 41 della Costituzione, quella dell’utente è riconducibile, di fronte a contestazioni relative alle opinioni espresse sulla piattaforma, alla libertà di manifestazione del pensiero protetta dall’art. 21 e, di fronte a contestazioni relative alla natura ed agli scopi dell’associazione, all’art. 18 e quindi a valori che nella gerarchia costituzionale si collocano sicuramente ad un livello superiore. Si deve concludere che la disciplina contrattuale non può lecitamente assumere quale causa di risoluzione del rapporto manifestazioni del pensiero protette dall’art. 21 né consentire l’esclusione di associazioni tutelate dall’art. 18; mentre si deve ritenere irrilevante la questione, pur sollevata nel giudizio, della riconoscibilità a CasaPound della qualità di partito politico, non risultando che questa possa attribuire nei rapporti interprivati alcuna tutela ulteriore rispetto a quella già spettante in base agli artt. 18 e 21.
- I limiti connessi al rispetto delle libertà di pensiero e di associazione hanno carattere generale e non sono riferibili a categorie speciali di utenti, né comportano a carico del gestore la necessità di alcuna verifica supplementare, essendo evidente che nel momento in cui questi solleva contestazioni relative ad opinioni espresse sulla piattaforma od alla natura ed alle finalità dell’associazione è già avvertito della natura degli interessi in gioco; il limite del rispetto della libertà di pensiero poi opera nel medesimo modo per le organizzazioni dichiaratamente politiche e per qualunque altro utente che, occasionalmente o meno, utilizzi il servizio Facebook per esprimere opinioni politiche o diffondere informazioni o documenti di interesse politico; la differenza è soltanto nell’entità delle conseguenze dannose che l’illegittima rimozione di contenuti o l’illegittima sospensione del servizio possono determinare.
- Le regole contrattuali sono contenute nei documenti denominati Condizioni d’Uso e Standard della Comunità. In particolare vengono in rilievo l’impegno a “non usare Facebook per scopi illegali, ingannevoli, malevoli o discriminatori” e a non “pubblicare o eseguire azioni su Facebook che non rispettano i diritti di terzi o le leggi vigenti” ed il divieto di presenza sulla piattaforma di “organizzazioni o individui che proclamano missioni violente o che sono coinvolti in azioni violente” e dei “loro leader e i loro membri di spicco”. Gli Standard della Comunità contengono una definizione di “organizzazione che incita all’odio”: “Qualsiasi associazione di almeno tre persone organizzata con un nome, un segno o simbolo e che porta avanti un’ideologia, dichiarazioni o azioni fisiche contro individui in base a caratteristiche come razza, credo religioso, nazionalità, etnia, genere, sesso, orientamento sessuale, malattie gravi o disabilità”. Gli Standard della Comunità vietano anche “la condivisione sulla [...] piattaforma di simboli che rappresentano una delle organizzazioni o degli individui di cui sopra se non ai fini di condanna o discussione” e di “contenuti che elogiano le organizzazioni e gli individui di cui sopra o atti da loro commessi”. Qui si deve osservare che Facebook Ireland se da un lato sostiene di non essere soggetta a limiti normativi dall’altro rivendica la conformità ai valori costituzionali ed alle leggi vigenti delle limitazioni che essa ha inserito nella disciplina del rapporto, assumendo che esse sono dirette a tutelare la libertà di tutti gli altri utenti di discutere su vari argomenti senza essere intimiditi o offesi a causa del colore della loro pelle, della loro etnia, della loro nazionalità.
- Le regole contrattuali effettivamente consentono di dare rilevanza, quale causa giustificativa del recesso del gestore, ad una qualità intrinseca dell’associazione che in quanto tale non deve necessariamente essersi manifestata nell’utilizzo del servizio Facebook. Il collegio ritiene che siano pienamente conformi ai limiti di carattere generale sopra richiamati purché laddove definiscono le associazioni escluse dal servizio e le condotte vietate siano interpretate conformemente alle leggi dello stato che nel rispetto, o in attuazione, dei principi costituzionali o di fonti sovranazionali definiscono i limiti della libertà di associazione e della libertà di manifestazione del pensiero. L’esigenza di fare riferimento a limiti cogenti ed esterni alla disciplina contrattuale appare del tutto coerente con la necessità per il gestore di rispettare gli obblighi che incombono al prestatore di servizi in virtù della Direttiva 2000/31/CE sui servizi della società dell’informazione, richiamata dalla reclamante, che invece non potrebbe essere invocata per coprire limitazioni di natura esclusivamente negoziale.
- Le discipline normative che vengono in rilievo sono quella attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione sulla ricostituzione del partito fascista (legge 20 giugno 1952, n. 645) e quella relativa alla discriminazione razziale, etnica e religiosa (contenuta nella legge 13 ottobre 1975, n. 654, di ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale di New York sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, e poi nel D.L. 26 aprile 1993, n. 122 convertito con modificazioni dalla L. 25 giugno 1993, n. 205 e negli artt. 604 bis e 604 ter del codice penale). Esse sono indirizzate, la prima a condotte che confliggono col carattere democratico e col principio fondativo alla base della Costituzione, la seconda a condotte confliggenti con il principio costituzionale di uguaglianza, che consacra solennemente la pari dignità e l’eguaglianza di tutte le persone senza discriminazioni di razza, e in tal modo legittima ogni legge ordinaria che vieti e sanzioni anche penalmente, nel rispetto dei principi di tipicità e di offensività, la diffusione e la propaganda di teorie razziste, basate sulla superiorità di una razza e giustificatrici dell'odio e della discriminazione razziale. E’ legittima pertanto dal punto di vista costituzionale la limitazione che esse realizzano del diritto alla libera manifestazione del pensiero, tutelato dall'art. 21 della Costituzione, che non può essere esteso fino alla giustificazione di atti o comportamenti che, pur estrinsecandosi in una esternazione delle proprie convinzioni, leda tuttavia altri principi di rilevanza costituzionale, ai quali si devono aggiungere i valori tutelati da fonti sovranazionali e dal diritto dell’Unione Europea, la Convenzione di New York del 1966, lo Statuto della Corte Penale Internazionale, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (con riferimento alla legislazione contro la discriminazione v. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 556 del 28/01/1994; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23024 del 7 giugno 2001; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 31655 del 24/01/2001; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 37581 del 03/10/2008).
- Le ragioni poste da Facebook Ireland a fondamento dell’esclusione di CasaPound dalla piattaforma sono la pubblicazione di contenuti non consentiti dalle condizioni di utilizzo ed i caratteri intrinseci dell’associazione, desunti sia da notizie di cronaca e da studi sociologici, sia dall’esame delle posizioni da questa assunte nel dibattito pubblico e dei suoi dichiarati riferimenti ideali.
- Le violazioni ascritte a CasaPound relative alla pubblicazione di contenuti vietati sono solo sommariamente richiamate nel reclamo; si tratta di comunicazioni relative a dibattiti e manifestazioni pubbliche, alcune delle quali aventi per oggetto proteste contro la presenza di campi Rom, corredate di fotografie. In alcune di queste fotografie compare la c.d. croce celtica, in un caso su un’immagine d’epoca riprodotta nella locandina di un dibattito, pubblicizzato sulla pagina Facebook di CasaPound, sulla storia del Fronte della Gioventù (organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, partito politico che come è noto è stato presente in parlamento per decenni), negli altri casi rappresentata su stendardi esibiti in manifestazioni pubbliche. Al riguardo l’ordinanza reclamata ha ritenuto che tali episodi per sé stessi non configurassero una violazione di gravità tale da giustificare la disabilitazione dell’intera pagina, osservando che essi hanno determinato quale unica immediata reazione la rimozione dei singoli contenuti ritenuti non accettabili. Il collegio, rilevato che in caso di violazione delle regole da parte dell’utente i termini di utilizzo prevedono l’applicazione di misure di crescente gravità, a partire dalla rimozione dei contenuti sino alla disabilitazione definitiva dell’account, e considerato che l’ultimo degli episodi contestati risale a quasi tre mesi prima della disabilitazione della pagina Facebook di CasaPound, ritiene che essi, in assenza di fatti successivi, non possano più essere posti a fondamento di misure più gravi di quelle già adottate dal gestore. E’ significativo del resto il fatto che nel presente giudizio le difese della reclamante nel loro complesso siano incentrate non tanto sulle specifiche violazioni quanto sui caratteri dell’associazione e sulla sua affermata incompatibilità con gli standard Facebook e con i principi costituzionali.
- Gli atti di odio e di violenza ascritti a CasaPound risultano, secondo le difese della reclamante, da notizie di stampa e da indagini sociologiche relative ad una pluralità di crimini e di manifestazioni di intolleranza in danno di minoranze, in particolare dei Rom, che sono richiamate nella loro globalità, e quindi in modo generico, in assenza di alcun elemento di riscontro delle perentorie affermazioni di Facebook Ireland sul carattere sistematico degli atti di violenza ascritti a singoli aderenti, sulla posizione apicale rivestita da alcuni degli autori, sull’utilizzo nella loro commissione delle “insegne” dell’associazione, sulla loro aperta rivendicazione da parte della stessa associazione; sicché tali affermazioni in realtà presuppongono, e non supportano, il giudizio sul carattere illecito degli scopi e delle modalità di azione dell’associazione. Sul piano sociologico, sul piano dell’analisi della situazione dell’ordine e la sicurezza pubblica, ovviamente sul piano politico, è evidente la legittimità dell’indagine della correlazione fra le dinamiche politiche ed il livello di conflittualità sociale e la frequenza di atti di violenza, pur se essa sconta una inevitabile semplificazione delle posizioni e degli attori in campo e non richiede l’attribuzione di responsabilità individuali; ma il metodo di indagini e valutazioni siffatte non può essere trasposto sui diversi piani della verifica della conformità della condotta delle parti al programma contrattuale e della liceità dell’associazione secondo l’ordinamento generale, nei quali devono trovare applicazione, come rilevato nell’ordinanza reclamata, l’onere della prova e l’esclusione di qualsiasi responsabilità oggettiva.
- La compatibilità di CasaPound con le condizioni contrattuali deve essere valutata anche sotto il profilo dell’intrinseca natura dell’associazione, legittimamente desumibile dalla sua autorappresentazione e dalle finalità da essa dichiarate. I suoi riferimenti ideali e la collocazione politica sono evidenti già nella scelta del nome, che richiama il poeta americano Ezra Pound (1885-1972) il quale, come è noto, visse gran parte della sua vita in Italia, fu un ammiratore di Mussolini, tenne durante la guerra alla radio italiana una serie di interventi contro la posizione assunta dal suo paese nel conflitto, fu arrestato nel 1945 per essere processato per tradimento negli USA, evitò il processo ma fu internato in un ospedale psichiatrico e poi, una volta rilasciato, tornò a vivere in Italia.
- Secondo la reclamante il richiamo anche solo ad alcuni elementi dell’ideologia fascista equivale al sostegno di “politiche incompatibili con quelle del Servizio Facebook” e quindi legittima, in applicazione delle regole contrattuali, il recesso del gestore. Rileva al riguardo la reclamante che il carattere razzista e discriminatorio del fascismo costituisce un dato di fatto, risultante non solo dall’adozione delle leggi razziali del 1938 ma da dichiarazioni di Mussolini risalenti agli albori del fascismo e dall’atteggiamento nei confronti delle popolazioni africane delle colonie. Conclude per l’impossibilità di svincolare l’adozione degli ideali fascisti dai caratteri razzisti e discriminatori che li hanno storicamente contraddistinti.
- La valutazione della liceità dell’associazione, necessaria per le ragioni esposte ai superiori punti 8/11, deve fare riferimento alle discipline pubblicistiche sopra richiamate e quindi al modo in cui il legislatore, in attuazione dei principi costituzionali e delle fonti sovranazionali sopra richiamate, e nel rispetto dei principi di offensività e tipicità, ha individuato le associazioni illecite; infatti i limiti alla libertà di associazione sono segnati dall’art. 18 della Costituzione, secondo cui cittadini hanno diritto di associarsi liberamente per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 243 del 2001), e non dalla verifica di una generica conformità dell’associazione ai valori costituzionali, essendo “consentita l'attività di associazioni che si propongano anche il mutamento degli ordinamenti politici esistenti, purché questo proposito sia perseguito con metodo democratico, mediante il libero dibattito e senza ricorso, diretto o indiretto, alla violenza” (Corte Costituzionale, sentenza n. 114 del 1967, v. anche sentenza n. 87 del 1966).
- La Corte Costituzionale, in una delle prime pronunce sulla disciplina attuativa della XII disposizione transitoria e finale, ha precisato che questa, nel vietare la ricostituzione del partito fascista, enuncia un principio o indirizzo generale, ispirato alla necessità di tutelare il nascente ordinamento democratico, ma rimette al legislatore ordinario non solo la disciplina sanzionatoria ma anche la compiuta formulazione del precetto (sentenza della Corte Costituzionale n. 74 del 1958). In questo quadro, nell’attuazione della XII disposizione, il legislatore, nell'ambito della sua discrezionalità, ha stabilito quali fatti siano illeciti ai fini di una riorganizzazione del disciolto partito fascista, comprendendo in essi quelli idonei a creare un effettivo pericolo in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute ed ha vietato non solo gli atti finali e conclusivi della riorganizzazione ma anche manifestazioni, espressioni, gesti, comportamenti, che possano costituire concreti antecedenti causali della ricostituzione del partito fascista (sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 1957 e n. 15 del 1973). Così ha individuato nell’art. 1 della legge 20 giugno 1952, n. 645 i caratteri e le finalità di una associazione o movimento in presenza dei quali deve ritenersi violato il precetto posto dalla XII disposizione, individuando in via alternativa diversi tipi di condotta: il perseguimento di finalità antidemocratiche proprie del partito fascista; la finalizzazione dell'attività associativa alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del detto partito; il compimento di manifestazioni esteriori di carattere fascista; il primo tipo di condotta può essere realizzato in via alternativa attraverso l'esaltazione, la minaccia o l'uso della violenza quale metodo di lotta politica ovvero propugnando la soppressione delle libertà costituzionali o mediante la denigrazione della democrazia, delle sue istituzioni e dei valori della resistenza oppure, infine, attraverso lo svolgimento di propaganda razzista (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9121 del 16/03/1978; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9160 del 20/04/1979). La norma incriminatrice non colpisce l’associazione neofascista in sé ma il suo modo di operare nella vita politica e non limita la libera manifestazione del pensiero, se non in quanto connessa ad atti di ricostituzione del partito fascista che presentino i caratteri oggettivi da essa previsti e siano idonei a determinare il risultato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7560 del 05/03/1982); a più forte ragione è stata ritenuta estranea alla previsione normativa la costituzione e l’attività di movimenti che facciano propria non la intera ideologia del disciolto partito fascista, ma soltanto alcuni dei suoi punti programmatici (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1564 del 27/10/1980). Si deve concludere che questa fattispecie, configurata in termini di pericolo concreto, non consente di affermare il carattere illecito di una associazione sulla sola base del richiamo all’ideologia fascista ma richiede elementi ulteriori, attinenti alle specifiche finalità perseguite ed alle modalità di azione.
- La successiva normativa dettata a tutela del valore costituzionale dell’eguaglianza si pone in una prospettiva parzialmente diversa e comunque più ampia, avendo di mira la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico e la commissione e l’istigazione alla commissione di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; essa qualifica come illecita qualsiasi organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Essa fa anche riferimento (tratto da canestriniLex.com)(a partire dalla l. 16 giugno 2016, n. 115 che ha aggiunto il comma 3 bis all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, abrogato nella sua interezza dall’art. 7 del D. L.vo 1marzo 2018, n. 21 e trasfuso nell’art. 604 bis del codice penale) alla negazione, alla minimizzazione in modo grave o all'apologia della Shoah, oltre che dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale.
- Questa disciplina individua una finalità, l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, che rende l’associazione illecita, e la cui sussistenza legittimamente può essere desunta dal suo statuto e dal suo programma politico. Nella prospettazione della reclamante tale finalità sarebbe in concreto sussistente, dovendosi desumere dai richiami all’ideologia ed all’esperienza del fascismo presenti nel suo programma politico, disponibile sul suo sito internet, e per deduzione dai caratteri razzisti e discriminatori propri di tale regime. In effetti la reclamante, che cita ampiamente il programma di CasaPound (doc. n. 64), non indica alcuna dichiarazione o alcun punto programmatico di carattere razzista o discriminatorio; la sua posizione sul punto è fondata essenzialmente sull’affermazione dell’inscindibilità di tali aspetti dall’ideologia e dall’esperienza del fascismo. Al riguardo cita Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19449 dell’ 08/01/2010, che non attiene all’individuazione dei limiti delle fattispecie penali sopra richiamate ma, in materia di diffamazione, ha riconosciuto l'esimente del diritto di critica storica e politica nell’utilizzo nei confronti di aderenti all'associazione Forza Nuova delle espressioni “nazifascisti” e “neonazisti”, ritenendo sulla base del dato storico, in particolare delle leggi razziali del 1938 e della collaborazione nel periodo della RSI con l’occupante tedesco nella persecuzione e deportazione degli ebrei, che la qualità di “fascista” non possa essere depurata dalla qualità di razzista e dall’accostamento al nazismo e quindi che questi termini, pur oggettivamente offensivi, avessero una base di verità.
- Ma si deve domandare se una estensione del perimetro delle associazioni vietate fondata su tali basi sia consentita dalle norme di riferimento. La risposta negativa si impone per il carattere di tipicità della norma penale, la quale nel suo contenuto precettivo dà corpo al principio di offensività. Le normative esaminate in nessun caso sanzionano la mera manifestazione del pensiero ma fanno riferimento a condotte di diversa gravità ed intensità che presentano connotazioni ulteriori che le qualificano secondo i casi come diffusione, propaganda, istigazione, incitamento, apologia; per quanto riguarda in particolare le associazioni vietate dall’art. 3 della L. 654/75 l’elemento in cui si sostanzia il carattere di offensività è lo scopo (di incitamento alla discriminazione o alla violenza) del quale non si richiede la effettiva realizzazione ma che deve pur sempre essersi in qualche modo estrinsecato nel mondo materiale; sicché una estensione siffatta del divieto opererebbe in assenza di tali connotazioni oggettive e colpirebbe solo un contenuto di pensiero imputato sulla base di una deduzione astratta, secondo la quale il soggetto non potrebbe non avere un pensiero corrispondente a quello la cui manifestazione si assume illecita, quando invece la libertà di pensiero implica logicamente la libertà di individuare i contenuti ed i valori cui aderire, anche scegliendo, rielaborando, variamente combinando quelli già noti nel vasto repertorio offerto dalla storia del pensiero e dall’esperienza dell’umanità, non potendo ridursi alla scelta iniziale fra l’uno o l’altro sistema codificato, come se una tale scelta fosse necessaria e come se potesse esaurire l’esercizio dello spirito critico. In definitiva qualunque criterio in base al quale si pretenda di attribuire posizioni razziste o discriminatorie per derivazione da contenuti di pensiero in cui obiettivamente tali contenuti non si ritrovano non può che essere arbitrario e quindi radicalmente inidoneo a definire i confini dei limiti legittimamente segnati alla libertà di manifestazione del pensiero; il giudizio di valore sui riferimenti storici ed ideali richiamati da ciascun attore del dibattito politico, come quello sulla coerenza con tali riferimenti dei principi affermati nel tempo presente, rimane così affidato al libero confronto delle idee.
- Non si ravvisano, sulla base di quanto è stato dedotto e documentato nel presente giudizio, elementi che consentano di concludere che CasaPound sia una associazione illecita secondo l’ordinamento generale. La necessità di ricondurre il giudizio a questo parametro è imposta dall’impossibilità di riconoscere ad un soggetto privato, quale Facebook Ireland, sulla base di disposizioni negoziali e quindi in virtù della disparità di forza contrattuale, poteri sostanzialmente incidenti sulla libertà di manifestazione del pensiero e di associazione, tali da eccedere i limiti che lo stesso legislatore si è dato nella norma penale. Il giudizio trova conforto nel fatto che, come rilevato nell’ordinanza reclamata, CasaPound è presente apertamente da molti anni nel panorama politico. Appare in ogni caso utile precisare che la valutazione trova il suo limite nell'oggetto del presente giudizio, la verifica della compatibilità di CasaPound con la disciplina contrattuale riguardante le condizioni di utilizzo di Facebook alla stregua dei fatti e dei documenti allegati, non competendo a questo giudice la funzione di attribuire in via generale ad una associazione una “patente” di liceità, posto che condizione e limite dell’attività di qualsiasi associazione è il rispetto della legge, la cui verifica è rimessa al controllo giurisdizionale diffuso. (tratto da canestriniLex.com)
- L’esclusione di CasaPound dalla piattaforma si deve dunque ritenere ingiustificata sotto tutti i profili richiamati da Facebook Ireland. Il periculum in mora si deve considerare sussistente sulla base delle considerazioni svolte nell’ordinanza reclamata, che meritano piena condivisione, sul preminente e rilevante ruolo assunto da Facebook nell’ambito dei social network, e quindi oggettivamente anche per la partecipazione al dibattito politico. La disponibilità in Internet di altri strumenti di comunicazione non si può reputare sufficiente ad escludere la gravità del pregiudizio, che appare evidente anche solo dal dato del numero degli utenti della piattaforma, pari a 2,8 miliardi (dato riferito da Facebook Ireland).
- Il reclamo pertanto deve essere rigettato e l’ordinanza reclamata confermata. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Infine va rilevata l’estraneità della presente controversia alle materie devolute al Tribunale per le Imprese e disposta la conseguente correzione dell’iscrizione del procedimento.
P .Q.M.
rigetta il reclamo e conferma l’ordinanza impugnata; condanna la reclamante Facebook Ireland Limited alla rifusione delle spese di lite sostenute da Associazione di Promozione Sociale CasaPound Italia e DDS, reclamati, che liquida complessivamente in euro 12.000,00 per compensi, oltre IVA, CPA, rimborso spese generali; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della reclamante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il reclamo, a norma del citato art. 13, comma 1 bis;
manda alla Cancelleria per la correzione dell’iscrizione del procedimento come procedimento ordinario e non della sezione specializzata imprese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29.04.2020
IL GIUDICE ESTENSORE IL PRESIDENTE Dott. Vittorio Carlomagno Dott.ssa Claudia Pedrelli