Inutili gli accertamenti tecnici quando vi è testimonianza della persona offesa e stampa del post incriminato, nel quale è esattamente indicato il gruppo, il nome e il cognome del mittente, corrispondenti all'imputato.
Corte di Cassazione
sez. V Penale, sentenza 14 marzo – 12 giugno 2019, n. 26054
Presidente Vessichelli – Relatore Belmonte
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Messina confermava la decisione del Tribunale di Patti che aveva ritenuto Mi. Za. colpevole del reato di diffamazione aggravata, in danno di Lu. Gu., commesso il 18 agosto 2010 perché comunicando con più persone, in particolare inviando sulla email del profilo del social network Facebook di Gu. Lu. una nota riportante tra l'altro le seguenti parole "Faremo forti gesti di protesta affinchè Pi. Ve., Ci. Gu., suo nipote Lu. Gu. , Sa. Im. e tutti gli altri inutili e devastanti intrallazzatori vadano per sempre a casa...", offendeva la reputazione del predetto Gu. Lu. con l'aggravante di avere commesso il fatto mediante la attribuzione di un fatto determinato e con il mezzo di un sito internet pubblico.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con il patrocinio del difensore, il quale ne ha chiesto l'annullamento svolgendo due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione per manifesta illogicità con riferimento all'art. 595 cod.pen. ( ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. B) ed E) cod. proc. pen.) lamentando che la Corte territoriale ha pronunciato sentenza di condanna ritenendo la responsabilità dell'imputato in assenza di accertamento in ordine alla provenienza della missiva e-mail dall'imputato, non essendo stato verificato l'indirizzo IP (Internet Protocol address) del mittente, né alcuna rilevanza assume la mera fotocopia del messaggio inoltrato ai membri del gruppo Facebook, la quale reca, peraltro, una data (09/11/2010) diversa a quella indicata in imputazione (18/08/2010), e non potendosi dalla stessa desumere il numero effettivo di destinatari che ne ha preso lettura, non essendo stata svolta prova testimoniale sul punto.
2.2. Con il secondo motivo denuncia mancanza della motivazione in ordine alla pena irrogata - errata in quanto era stata irrogata la sanzione della ammenda piuttosto che della multa (legalmente prevista) - in ogni caso di gran lunga eccedente il minimo edittale senza alcuna giustificazione.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile perché tende a una rivalutazione delle risultanze probatorie non consentita nel giudizio di legittimità, laddove il ricorrente invoca una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio.
Come affermato già da Sez. U. n. 6402/1997, Dessimone, Rv. 207944, esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito.
Deve, infatti, tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di legittimità, di procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o all'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 6, sent. n. 27429 del 04/07/2006, dep. 01/08/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, sent. n. 35964 del 28/09/2006, dep. 26/10/2006, Foschini e altro, Rv. 234622; Sez. 3, sent. n. 39729 del 18/06/2009, dep. 12/10/2009, Belluccia e altro, Rv. 244623; Sez. 5, sent. n. 39048 del 25/09/2007, dep. 23/10/2007, Casavola e altri, Rv. 238215; da ultimo, Sez. 6, sent. n. 5146 del 16/01/2014, dep. 03/02/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774).
2. Con il motivo di ricorso in esame il ricorrente contesta la decisione dei giudici di merito che hanno fondato il giudizio di penale responsabilità solo sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, omettendo di accertare se l'indirizzo IP della e-mail inoltrata dallo Za. sul profilo del social network Facebook di Gu. Lu. dal contenuto diffamatorio - destinata a tutti gli appartenenti al gruppo face book, che contava oltre 200 iscritti - corrispondesse a quello dell'odierno imputato, né la stampa della comunicazione in questione era in grado di dimostrare quanti destinatari avesse effettivamente raggiunto e che essi l'avessero letta. Come premesso, il motivo è una riedizione del motivo di appello al quale la Corte territoriale ha fornito adeguata replica, rilevando che l'imputato non aveva mai contestato nel giudizio di primo grado che la email in questione fosse stata da lui spedita, né la pluralità di componenti del gruppo face book a cui la stessa fu inoltrata. Ha altresì ritenuto superfluo, con giudizio discrezionale che, in quanto immune da palesi incongruenze logiche non è censurabile in questa sede, l'accertamento tecnico ritenendo correttamente, secondo la regola di giudizio di cui all'art. 192 cod.proc.pen , sufficiente, in termini probatori, la stampa del messaggio nel quale è esattamente indicato il gruppo, il nome e il cognome del mittente, corrispondenti, appunto, al ricorrente, e attenendosi all'indirizzo affermato da questa Corte in tema di configurabilità del delitto di diffamazione nel caso di invio di una e-mail a contenuto diffamatorio realizzato tramite internet.
2.1. In questa sede il ricorrente, come premesso, reitera la medesima doglianza, confrontandosi in modo solo apparente con l'incedere argomentativo sviluppato nella sentenza impugnata, al fine di proporre una rilettura dei risultati dell'istruttoria che assecondi la prospettazione difensiva. I vizi di motivazione evidenziati in ricorso si risolvono, quindi, in inammissibili richieste, al giudice di legittimità, di effettuare una nuova valutazione del risultato della prova e di sostituirla a quella effettuata dal giudice di merito, valutazione, quest'ultima, che invece si sottrae al sindacato di legittimità, se condotta nel rispetto dei canoni della logica e della completezza.
2.2. Ciò che è riscontrabile nel caso di specie, dove la Corte di appello ha reso una plausibile argomentazione, a giustificazione della propria decisione, tanto in ordine alla ricostruzione dei fatti, sulla base degli elementi provenienti dalla prova dichiarativa e di quella documentale, correttamente esaminati e sinergicamente valutati con giudizio che, non palesando vistose incongruenze e manifeste fratture logiche, si sottrae alle censure di legittimità, atteso che la mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. U, sent. n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, sent. n. 12 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U,sent. n. 47289 del 24/09/2003, dep. 10/12/2003, Petrella, Rv. 226074).
3. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge ( art. 616 cod.proc.pen ) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (sez. 2 n. 35443 del 06/07/2007 Rv 237957), al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo fissare in Euro 3000,00 (tremila).
P.Q.M.
Dichiara Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende.