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Finanzieri come la Gestapo? Critica legittima se .. (Cass. 36045/14)

20 agosto 2014, Cassazione penale

Coloriture e iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o persino gergale, non possono considerarsi di per sè punibili quando siano proporzionati e funzionali all'opinione o alla protesta da esprimere.

La diversità dei contesti nei quali si svolge la critica, così come la differente responsabilità e funzione, specie se pubblica, dei soggetti ai quali la critica è rivolta, possono quindi giustificare attacchi di grande violenza se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi

A differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si concretizza nella manifestazione di un'opinione (di un giudizio valutativo). E' vero che essa presuppone in ogni caso un fatto che è assunto ad oggetto o a spunto del discorso critico, ma il giudizio valutativo, in quanto tale, è diverso dal fatto da cui trae spunto e a differenza di questo non può pretendersi che sia "obiettivo" e neppure, in linea astratta, "vero" o "falso".

Anche ove fosse appurato che la notizia sia falsa, se risulta però che l'agente l'ha diffusa nella ragionevole e giustificabile convinzione che lo fosse, il fatto non è punibile, perchè nulla consente di escludere che la regola dettata dall'art. 59 cod. pen., comma 4 trovi interamente applicazione con riferimento all'esercizio del diritto  di libera manifestazione del pensiero.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

(ud. 13/06/2014) 20-08-2014, n. 36045

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI M. S. - rel. Presidente -

Dott. CAVALLO Aldo - Consigliere -

Dott. BARBARISI Maurizio - Consigliere -

Dott. LA POSTA Lucia - Consigliere -

Dott. BONI Monica - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.G., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa in data 19.11.2013 dalla Corte militare di appello;

parte civile: Sc.Ro.Gi.;

Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere M. Stefania Di Tomassi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale militare FLAMINI Luigi Maria, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso per la diffamazione nei confronti di D.;

l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata con riferimento alla diffamazione nei confronti di Sc.;

udito l'avvocato Paglione Alfio in sostituzione dell'avvocato SC per la parte civile Sc.Ro.Gi., che ha concluso, come da note scritte, chiedendo il rigetto del ricorso;

udito l'avvocato CA in sostituzione dell'avvocato SC, difensore del ricorrente come da nomina depositata in udienza, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa il 23 maggio 2013 la Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della Corte militare di appello in data 14 marzo 2012, con cui era stata confermata la condanna, condizionalmente sospesa, di S.G. - militare in servizio presso il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Lecce - per il reato di diffamazione militare aggravata, ridotta la pena a quattro mesi di reclusione militare e confermata la decisione del primo giudice quanto alle restanti conseguenze di legge nonchè alla condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, Sc.Ro.Gi., Comandante all'epoca dei fatti di quel Nucleo.

1.1. Al S. era stato contestato, in riferimento all'art. 47 c.p.m.p., comma 1, n. 2 e art. 227 c.p.m.p., commi 1, 2 e 3, di avere pubblicato in data (OMISSIS), mediante uno pseudonimo, sul forum del sito Internet (OMISSIS) un messaggio (il cui contenuto si intende interamente richiamato per costituire parte integrante del ... capo d'imputazione) contenente giudizi ed affermazioni non veritieri offensivi della reputazione della Guardia di Finanza, del Comandante Provinciale di Lecce Col. D.M., del Comandante del Nucleo di Polizia Tributaria di Lecce Magg. Sc. R.G. e segnatamente affermando "il Nucleo di P. T. di Lecce è ormai giunto al collasso: gli ufficiali che lo dirigono, su input del Comandante Provinciale ... Esercitano con continuità e sistematicità un'azione vessatoria nei confronti del personale ...parlo dell'atteggiamento violento e persecutorio attuato da parte di questi ufficiali della Gestapo salentina".

Per quanto interessa ai fini del presente ricorso, la Corte di merito, nel precedente giudizio d'appello aveva ritenuto non indispensabile la rinnovazione dibattimentale chiesta dall'appellante con riguardo al tema della veridicità dei fatti narrati nel post, assumendo che non era stata contestata l'aggravante dell'attribuzione di fatti determinati e che le espressioni utilizzate non potevano comunque ritenersi compatibili con il diritto di critica, giacchè il post non faceva riferimento solo ad un atteggiamento prevaricatorio degli ufficiali, bensì a concetti più gravi (vessazione, violenza e persecuzione), addirittura aggiungendo un paragone con la Gestapo, sicchè era in ogni caso ampiamente superato il limite della continenza.

1.2. I motivi di ricorso articolati al proposito venivano ritenuti fondati dalla Cassazione, che osservava:

I giudici di merito hanno del tutto svalorizzato il dato della non veridicità dei fatti narrati, benchè il richiamo ad essa fosse presente nell'imputazione, che faceva riferimento a "giudizi ed affermazioni non veritieri offensivi della reputazione..."; la Corte risolve sbrigativamente la questione, rilevando che non era stata contestata all'imputato l'aggravante dell'attribuzione di fatti determinati.

La questione della veridicità dei fatti narrati deve essere diversamente valutata: per quanto compreso, il messaggio completo conteneva l'indicazione di fatti specifici, cosicchè - benchè (evidentemente per un errore materiale) l'intero contenuto del messaggio non sia stato inserito nell'imputazione - la valutazione delle espressioni menzionate nel capo di imputazione non può prescindere dal resto del messaggio; in altre parole, se, ad esempio, il messaggio conteneva l'indicazione specifica di episodi di vessazione, risulta illogica una valutazione astratta come quella operata dalla Corte, secondo cui l'uso della parola "vessazione" è diffamatoria in ogni caso.

Questo vale anche per il riferimento alla "Gestapo salentina": espressione certamente forte, ma che potrebbe assumere una diversa valenza nel caso fossero provate condotte come quelle menzionate nella missiva del brigadiere G., che riferisce di impiego indebito di un militare disabile da parte degli ufficiali D. e Sc..

La rilevanza della questione riguarda sia la valutazione del rispetto del criterio di continenza, dovendosi riconoscere anche ai militari della Guardia di Finanza il diritto costituzionale di critica che, peraltro, deve essere esercitato secondo i limiti generali elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, sia - nel caso il giudice ritenesse non rispettato il limite della continenza - la valutazione complessiva della responsabilità dell'imputato e, quindi, della determinazione della pena: ad esempio, potrebbe non risultare più aderente al fatto e alla personalità dell'imputato la valutazione sull'intensità del dolo operata dalla Corte per negare la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti ritenute.

La sentenza impugnata veniva dunque annullata con riferimento alla mancata riapertura dell'istruzione dibattimentale, limitatamente alla questione della veridicità dei fatti narrati nel messaggio, nonchè alla valutazione della natura diffamatoria del messaggio.

2. La Corte di appello militare, quale giudice del rinvio, disponeva la riapertura dell'istruzione dibattimentale; acquisiva in originale la lettera a firma di G.A. e i documenti prodotti dall'imputato, concernenti la documentazione medica e la determinazione del comandante generale della Guardia di Finanza relativa alla parziale inidoneità del militare B. nonchè gli ordini servizio allo stesso relativi; procedeva all'audizione dei testi G., B., C. e M..

All'esito, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolveva l'imputato dal reato contestato limitatamente alle frasi esercitano con continuità e sistematicità un'azione vessatoria, atteggiamento violento e persecutorio, per l'ingrato compito di C., riferite al maggiore Sc.Gi.Ro., con la formula "perchè il fatto non costituisce reato"; riconosceva all'imputato le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti; confermava per il resto la sentenza di condanna del Tribunale ma diminuiva la pena a mesi due di reclusione militare e riduceva il risarcimento del danno liquidato in favore della parte civile Sc. alla misura complessiva di Euro 500.

2.1. A ragione, premesso che la diffamazione contestata si componeva in realtà di due condotte in concorso formale, l'una ai danni dello Sc., l'altra del D., rilevava che solo per la prima poteva ritenersi dimostrata la veridicità dei fatti riportati.

Da quanto accertato emergeva difatti che effettivamente erano stati effettuati dallo Sc. i fatti riferiti nel post, di cui avevano dato conferma i testimoni, consistenti: nei continui e ripetuti controlli a sorpresa; nell'utilizzo a tal fine di personale distolto dai compiti di servizio; nelle ispezioni personalmente effettuate per verificare che nessuno consumasse un qualche alimento durante il servizio (anche annusando l'aria e controllando i cestini getta carte); nel frazionamento dei servizi esterni per impedire la fruizione di buoni pasti; infine (ma soprattutto) nella destinazione e nell'impiego del militare B. a servizi esterni dai quali era esonerato per grave invalidità e che risultavano incompatibili con le sue condizioni di salute.

Tali condotte potevano fondatamente qualificarsi ingiustificate e vessatorie, in quanto oppressive, moleste e finanche persecutorie, oltre che violente (almeno dal punto di vista morale) e lesive della dignità morale del sottoposto con riferimento all'impiego del B. in servizi non consoni alla sua condizione di invalido per ragioni di servizio.

Adeguata alla ricostruzione dei controlli demandati dallo Sc. ai sottoufficiali, poteva ritenersi inoltre la frase che richiamava l'ingrato compito di C..

Non altrettanto, ad avviso della Corte di merito, poteva dirsi per le frasi Gestapo salentina, stato di terrore e angherie, usate nel messaggio, che trascendevano la realtà e la continenza e si risolvevano in (pura) denigrazione della persona.

2.2. Con riferimento al D., invece, non poteva per nessun aspetto parlarsi di esercizio del diritto di critica, giacchè non risultava affatto provato che le condotte trasbordanti le esigenze di disciplina e di servizio fossero state da lui poste in essere. I militari G. e B. avevano riferito che dei comportamenti dello Sc. era stato messo a conoscenza anche il comandante provinciale D., ma questo non significava che lo stesso avesse posto in essere quel tipo di condotte o che le avesse anche solo in parte giustificate. E non v'era prova che D. non avesse in qualche modo cercato di ostacolare l'atteggiamento dello Sc. (sul punto non erano state rivolte domande al D. e quelle poste allo Sc. non erano state ammesse).

3. Ha proposto ricorso il S., personalmente, chiedendo l'annullamento della sentenza di condanna.

3.1. Con il primo motivo denunzia violazione della legge processuale mancanza, contraddittorietà - anche esterna, rispetto agli atti acquisiti - e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla esclusione della verità dei fatti e all'esercizio del diritto di critica in relazione alle accuse mosse al comandante D..

Tutti testi (non i soli G. e B. come aveva riconosciuto la stessa sentenza impugnata, ma anche, espressamente, C. e M., come emergeva dai verbali allegati) avevano concordemente riferito che l'appuntato B. veniva adibito a servizi esterni sia dallo Sc. sia dal D., e dagli stessi ordini di servizio prodotti, citati a pag. 22 della sentenza impugnata (e allegati al ricorso), emergeva il coinvolgimento del D., che aveva personalmente sottoscritto la maggior parte di detti ordini di servizio.

Era dunque patentemente illogico ritenere non dimostrato che il medesimo comportamento definito violento e persecutorio, era stato posto in essere anche dal D..

3.2. Con il secondo motivo denunzia violazione di legge sostanziale e processuale (con riferimento all'art. 51 cod. pen. e all'art. 125 c.p.p.e art. 627 c.p.p., comma 3) nonchè mancanza e vizi della motivazione, con riferimento alla ritenuta valenza diffamatoria delle espressioni Gestapo salentina, stato di terrore, spirale di angherie.

La stessa Cassazione, nella sentenza di annullamento, aveva evidenziato che la prima espressione poteva assumere valenza non diffamatoria ove fossero risultati veri gli episodi denunciati.

L'esclusione della scriminante del diritto di critica con riferimento a dette espressioni cozzava d'altro canto con il riconoscimento che i comportamenti posti in essere dal comandante erano violenti, vessatori e persecutori, dunque anche contrari alla legge, specie ove riferiti a quanto concerneva l'atteggiamento adottato nei confronti del B.. Ingiustificatamente s'era omesso di considerare quindi: da un lato che vessazioni e angherie sono, nell'uso corrente, sinonimi; dall'altro che la stessa sentenza riconosceva che tutti i militari pativano con ansia i controlli ricordati, esisteva un generalizzato malcontento, erano stati manifestati sdegno e paura.

Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare, nei termini che verranno precisati, fondato.

2. Va brevemente ricordato che lo scritto pubblicato tramite internet dall'imputato era composto da una parte in cui si riferivano determinati comportamenti dei comandanti, territoriale e provinciale, del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Lecce, da altra in cui si commentavano e definivano in termini aspramente negativi e decisamente, dal punto di vista oggettivo, offensivi, tali comportamenti.

I giudici del merito, nelle precedenti fasi, avevano ritenuto che l'obiettiva gravità e la pesantezza di tali definizioni e commenti, ritenuti di per sè eccedenti la continenza, rendevano superfluo l'accertamento sulla verità dei fatti cui dette critiche si riferivano.

La sentenza di annullamento con rinvio, facendo applicazione dei consolidati principi in tema di diritto alla libera manifestazione del pensiero, in genere, e di diritto di denunzia e di critica in particolare, ha imposto ai giudici del merito di verificare la verità dei fatti narrati, così spazzando via ogni dubbio sulla astratta possibilità di ritenere scriminabili le critiche, anche esasperate, formulate nel post alla luce degli eventuali esiti di tale accertamento.

3. Disposta l'audizione dei testimoni richiesti dalla difesa dell'imputato, e acquisiti i documenti che questo aveva chiesto di produrre, la Corte di appello ha ritenuto che quanto alle condotte poste materialmente in essere dallo Sc., lo scritto dell'imputato dicesse, dal punto di vista obiettivo, la verità.

In particolare ha rilevato che lo stesso era l'autore di particolari modalità esplicative del proprio comando ... non ortodosse nè giustificate da reali ragioni oggettive; che pretendeva fossero effettuati controlli del personale in servizio anche più volte al giorno, in modo seriale e ripetitivo, giungendo persino alla verifica, con una sorta di schedatura, delle momentanee assenze per l'uso dei servizi igienici e del consumo di cibo da asporto; che ad assumere l'ingrata veste di controllori erano costretti gli stessi militari in forza al nucleo; che il personale viveva in modo ansiogeno tali metodi esasperati di presunta disciplina; che il malcontento era generale; che l'appuntato B., affetto da grave invalidità e formalmente esonerato dai servizi esterni, era stato effettivamente comandato e impiegato in servizi esterni gravosi, durati sino a nove ore consecutive, senza alcuna necessità legata a carenze di organico; che tutti i militari sentiti avevano riferito con sdegno gli episodi relativi al collega.

In altri termini, secondo la sentenza impugnata: era risultato sicuramente vero che il maggiore Sc. stesse esercitando con continuità e sistematicità una azione vessatoria nei confronti del personale, effettuando sullo stesso un controllo in modo stabile e ininterrotto attraverso condotte oppressive, moleste, finanche persecutorie. E l'utilizzazione a turno di colleghi per i controlli giornalieri era evidentemente indicativo della volontà di creare dissapori.

Del pari, secondo la Corte di appello, corrispondeva al vero che lo Sc. tenesse comportamenti violenti e persecutori, essendo senza dubbio da qualificare comportamento violento e persecutorio (quantomeno dal punto di vista morale) il fatto di adibire a turni esterni di servizio, anche notturni e prolungati ... un militare affetto da grave invalidità riconosciuta come dipendente da causa di servizio ... che lo costringeva ad utilizzare i servizi igienici con frequenza di gran lunga superiore alla normalità; sicchè quella posta in essere era senza dubbio condotta violenta ... lesiva della dignità morale del lavoratore e persecutoria, perchè realizzata non una sola volta ma in ben diciassette episodi, tutti ingiustificati perchè il militare ... poteva essere sostituito.

4. Su questa base, con riferimento alla diffamazione del maggiore Sc., la sentenza impugnata ha ritenuto giustificate alcune delle espressioni usate (esercitano con continuità e sistematicità un'azione vessatoria, atteggiamento violento e persecutorio, per l'ingrato compito di C.), assolvendo per esse l'imputato, ma non altre, quali Gestapo salentina, stato di terrore, angherie, ritenendole eccedenti la continenza e attacchi non consentiti alla persona.

Così facendo è tuttavia incorsa in un duplice errore.

4.1. In primo luogo ha male interpretato la giurisprudenza di questa Corte che, richiamandosi alla giurisprudenza costituzionale ed europea, considera in ogni caso non consentito dal diritto di critica reso legittimo dalla funzione pubblica esercitata dal soggetto criticato e dall'interesse pubblico della notizia, l'attacco "alla persona": da intendersi però quale offesa rivolta, senza ragione, alla sfera privata, non coinvolta dall'ambito di pubblica rilevanza della notizia, mediante l'utilizzo di non pertinenti argumenta ad hominem (tra moltissime: Sez. 5, n. 3477 del 8/02/2000, Rv. 215577; Sez. 5 n. 38448 del 26/10/2001, Rv. 219998; Sez. 5, sent. n. 10135 del 12/03/2002, Rv. 221684; Sez. 5, n. 13264 del 2005; Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239).

Nel caso in esame, invece, nessuno degli epiteti o delle frasi ritenute offensive si rivolge alle persone offese in quanto uomini, e cioè al loro privato, tutte concernendo la funzione svolta e il criticato loro modo d'intendere la disciplina militare e la potestà di comando (in senso analogo, v. Sez. 5, n. 29433 del 16/05/2007, Mancuso, Rv. 236839).

4.2. In secondo luogo ha sostanzialmente ridotto la facoltà di critica alla esposizione dei fatti e alla loro puntuale, esatta illustrazione e definizione.

4.3. A differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si concretizza nella manifestazione di un'opinione (di un giudizio valutativo). E' vero che essa presuppone in ogni caso un fatto che è assunto ad oggetto o a spunto del discorso critico, ma il giudizio valutativo, in quanto tale, è diverso dal fatto da cui trae spunto e a differenza di questo non può pretendersi che sia "obiettivo" e neppure, in linea astratta, "vero" o "falso".

La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioè, normalmente, un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 del 14/02/2000, Rv. 216534), ma non può pretendersi che si esaurisca in essi. In altri termini, come rimarca la giurisprudenza CEDU la libertà di esprimere giudizi critici, cioè "giudizi di valore", trova il solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un "sufficiente riscontro fattuale" (Corte EdU, sent. del 27.10.2005 caso Wirtshafts-Trend Zeitschriften-Verlags Gmbh c. Austria rie. n 58547/00, nonchè sent. del 29.11.2005, caso Rodrigues c. Portogallo, ric. n 75088/01), ma al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, è sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perchè, se la materialità dei fatti può essere provata, l'esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata (Corte EdU, sent. del 1.7.1997 caso Oberschlick c/Austria par. 33).

4.4. Nella zona tra ciò che è sicuramente "fatto", la sua rappresentazione connotata da aspetti valutativi, la valutazione, infine, spiccatamente critica, si colloca quindi della continenza, che concerne un aspetto sostanziale e un profilo formale.

La continenza sostanziale, o "materiale", attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all'interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia. La continenza sostanziale ha dunque riguardo alla quantità e alla selezione dell'informazione in funzione del tipo di resoconto e dell'utilità/bisogno sociale ad esso.

L'aspetto non viene però in considerazione nel caso in esame, in cui neppure i giudici del merito hanno mai dubitato, e non può in astratto dubitarsi, che esisteva non solo un diritto, ma addirittura un dovere militare, e civico, alla denunzia di comportamenti contrari ad una amministrazione della disciplina militare in senso compatibile con l'assetto democratico dell'apparato statuale e con i principi costituzionali che regolano l'ordinamento delle Forze armate (art. 53 Cost., u.c.).

4.5. La continenza formale attiene invece al modo con cui il racconto sul fatto è reso o il giudizio critico esternato, e cioè alla qualità della manifestazione. E per lo più riguarda, come nel caso in esame, proprio il giudizio critico, poco spazi di "originalità" descrittiva consentendo di regola i fatti. Essa postula dunque una forma espositiva proporzionata, "corretta" in quanto non ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere.

Questo comporta che le modalità espressive non devono essere gratuitamente offensive, o, come detto prima, mere contumelie.

Tuttavia coloriture e iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o persino gergale, non possono considerarsi di per sè punibili quando siano proporzionati e funzionali all'opinione o alla protesta da esprimere.

La diversità dei contesti nei quali si svolge la critica, così come la differente responsabilità e funzione, specie se pubblica, dei soggetti ai quali la critica è rivolta, possono quindi giustificare attacchi di grande violenza se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi (Sez. 5, n. 45163 del 2/10/2001, Rv. 221013; Sez. 5, n. 22031 del 24/04/2003, Rv. 224674; Sez. 5, n. 19334 del 5.3.2004, Rv. 227754). Sono, in definitiva, gli interessi in gioco che segnano la "misura" delle espressioni consentite.

D'altronde, come ricorda la giurisprudenza CEDU (v. sentenze citate), il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni non concerne unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, alla cui manifestazione nessuno mai s'opporrebbe, ma è al contrario principalmente rivolta a garantire la libertà proprio delle opinioni che urtano, scuotono o inquietano. E ciò tanto più ove dette opinioni veementi siano rivolte a soggetti che detengono o rappresentano un potere pubblico, e siano dunque giustificate dalla sentita necessità di rispondere con violenza alla violenza del potere (salve, come detto, le espressioni dileggianti o che colpiscano senza ragione la sfera privata, ovverosia i non ammessi argumenta ad hominem).

4.6. Nel caso in esame, pertanto, termini ed espressione quali "angherie", "Gestapo salentina", "stato di terrore", usati in senso non storico - letterale ma come figurato, evocative di gestioni esasperate e odiosamente antidemocratiche del potere poliziesco, costituiscono certamente esagerazioni, volte a scuotere, urtare e inquietare i destinatari. Ma, accompagnate come sono dall'illustrazione di adeguata base fattuale che consente di intenderle nel loro giusto valore di espediente retorico, non possono considerarsi estranee al diritto di critica o eccedenti i valori democratici e gli interessi umani che l'imputato pretendeva di difendere, e che la stessa Corte di appello riconosce gravemente lesi dai comportamenti vessatori, persecutori e violenti sicuramente posti in essere dallo Sc. nei confronti dei suoi sottoposti.

4.7. Per tali ragioni, con riferimento a tutti gli aspetti della diffamazione contestata ai danni del maggiore Sc., la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perchè l'imputato ha agito nell'ambito del diritto di denunzia e del diritto di critica ed è perciò scriminato ai sensi dell'art. 51 cod. pen. e dell'art. 21 Cost..

5. Per quanto concerne la diffamazione ai danni del comandante D., la Corte di appello si è risolta invece a confermare la condanna del ricorrente sul rilievo che non risultava provato che le condotte trasbordanti le esigenze di disciplina e di servizio fossero state anche da lui (materialmente) poste in essere e che, seppure i militari ascoltati (in parte motiva si fa riferimento ai testi G. e B., ma nella parte in fatto si da atto che gli altri militari avevano reso dichiarazioni in tutto coincidenti) avevano riferito che dei comportamenti dello Sc. era stato messo a conoscenza anche il comandante provinciale D., ciò non bastava a dimostrare che quel tipo di condotte fossero riferibili anche al D. o che il D. le avesse, anche solo in parte, giustificate.

5.1. Così argomentando, tuttavia, effettivamente la sentenza impugnata omette di fare riferimento alcuno agli ordini di servizio che, pure, riferisce versati in atti e che, relativi all'assegnazione del B. a servizi esterni e firmati da D., sono allegati in copia al ricorso, ma che questa Corte non può direttamente apprezzare quantomeno perchè la mera controfirma ad opera del comandante del nucleo provinciale andrebbe valutata assieme agli altri elementi acquisiti per trarne la sua sicura consapevolezza in ordine alla situazione personale del comandato e all'illegittimità, perciò, dell'ordine direttamente impartito.

Dalla motivazione della sentenza impugnata emerge però, in relazione alla posizione del d. e ai fini della valutazione della diffamazione nei suoi confronti, altra più decisiva omissione. La Corte di appello, difatti, ha escluso che in sede giudiziale fosse stata raggiunta la certezza della verità dei fatti addebitati nello scritto dell'imputato al D., ricordando persino che alcune domande rivolte a tal fine al teste non erano state ammesse in primo grado. Ma non si è in alcun modo posta il problema della configurabilità putativa, alla luce di quanto emerso, dell'esimente.

5.2. Dalla mancanza di certezza in ordine alla falsità (non verità) della notizia (anche ove dovesse risolversi nel mero dubbio del giudicante), va tenuto infatti distinto il problema della acquisita opposta certezza dell'agente: anche ove fosse appurato che la notizia non può ritenersi vera (è falsa), se risulta però che l'agente l'ha diffusa nella ragionevole e giustificabile convinzione che lo fosse, il fatto (anche a stare alla radicata elaborazione giurisprudenziale secondo cui, per quanto promani dal diritto alla libertà di manifestazione del "proprio pensiero", è connaturale al diritto di cronaca evocabile per il tramite dell'art. 51 c.p. la necessità di "obiettiva" verità della notizia) non è punibile, perchè nulla consente di escludere che la regola dettata dall'art. 59 cod. pen., comma 4 trovi interamente applicazione con riferimento all'esercizio del diritto in esame (tra molte, Sez. 5, n. 15643 del 11/03/2005, Scalfari, Rv. 232134).

5.3. Nel caso in esame non può dunque non riconoscersi immediata evidenza e rilevanza decisiva: da un lato, alla obiettiva esistenza di ordini di servizio a firma D. e alla circostanza che i testi hanno confermato che il D. era stato informato del comportamento del maggiore Sc., anche nei confronti del B.; dall'altro, al fatto che il D. era sovraordinato allo Sc. e che la regola che non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico, e la possibilità concreta, di impedire equivale a cagionarlo, vale a maggior ragione per i preposti a funzioni di comando e garanzia.

5.3. Deve in conclusione convenirsi che il S., come ogni agente di polizia giudiziaria e ogni militare aduso a tale regola, ha attribuito al comandante provinciale una corresponsabilità della quale, perlomeno putativamente, era ragionevolmente e giustificabilmente convinto.

Non appare pertanto necessario procedere all'annullamento con rinvio della sentenza impugnata perchè, tenuto conto delle dichiarazioni di tutti i testi e dei documenti prodotti, si completino gli accertamenti mancanti in ordine alla verità di quanto riferito a proposito della corresponsabilità del D., potendo sin d'ora addivenirsi alla conclusione che il fatto contestato non costituisce reato, difettando in capo all'imputato quantomeno l'elemento soggettivo, ai sensi dell'art. 59 c.p., comma 4.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè trattasi di fatto non punibile ai sensi dell'art. 51 cod. pen. in relazione alla diffamazione nei confronti dello Sc. e perchè il fatto non costituisce reato in relazione alla diffamazione nei confronti del D..

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2014.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2014