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Farneticazioni via social non sono reato (Cass. 23213/24)

10 giugno 2024, Cassazione penale

Profluvio di parole, assai vaghe e indeterminate, e una teatralità evocativa di farneticazione non costituiscono una intimidazione.

Per quanto un canale di comunicazione assicuri una veicolazione in tempo reale e altamente diffusiva di un messaggio, non se ne può desumere la sicura ed immediata conoscenza in capo alle persne offese: il giudice di merito deve accertare se, nel caso concreto, il messaggio sia effettivamente entrato nel patrimonio cognitivo dei soggetti passivi.

 

Corte di Cassazione 

sez. VI penale, ud. 22 maggio 2024 - dep. 10 giugno 2024, n. 23213

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza sopra indicata, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Latina in data 15 giugno 2021, con cui P.M. veniva ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 338 cod. pen. per avere minacciato, in un video pubblicato sul sito (omissis) in data (omissis), i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, per un torto asseritamente subito da parte dei giudici circa oltre venti anni prima e rispetto al quale chiedeva il risarcimento del danno.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il P.M., con atto sottoscritto dal suo difensore, affidato a tre distinti motivi.

2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione all'art. 338 cod. pen. per avere la Corte distrettuale ravvisato il reato, nonostante le minacce proferite fossero poco credibili e nonostante il contenuto dell'audio-video non fosse stato portato a conoscenza dei destinatari.

2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione, per avere i giudici di merito erroneamente valutato la portata offensiva del video-messaggio che - per forma e contenuto ma anche per le condizioni di salute del ricorrente - era privo di carica minatoria essendo riconducibile piuttosto ad una mera "goliardata".

2.3. Con il terzo motivo, il difensore ha dedotto il vizio di motivazione per avere i giudici negato i benefici di legge.

3. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all'art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da successive modifiche legislative.

Considerato in diritto

1. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto, essendo fondati il primo e il secondo motivo.

1.1. Il devolutum consiglia una sintetica ricognizione degli approdi interpretativi della giurisprudenza di legittimità in ordine agli elementi costituivi del reato in contestazione.

Al proposito, si è ritenuto che, con la norma in contestazione, il legislatore abbia inteso garantire l'effettivo funzionamento delle istituzioni democratiche, perseguendo, con una sorta di anticipazione di tutela, ogni tentativo, minatorio o violento, finalizzato all'eterodirezione dell'organo politico, amministrativo o giudiziario e/o dei suoi componenti. La ratio puniendi impone, dunque, l'accertamento della idoneità della violenza e/o della minaccia, in tutte le loro declinazioni, ad eliminare o ridurre apprezzabilmente nel soggetto passivo la capacità di determinarsi e di agire secondo la propria indipendente volontà. Non richiede, invece, che l'impedimento o la turbativa si realizzino effettivamente. Analogamente, ai fini della consumazione del reato, non assume rilevanza l'eventuale resistenza alla minaccia del soggetto passivo ed è sufficiente che la condotta minatoria o violenta sia stata esternata anche solo alla presenza di un singolo componente dell'organo collegiale e non necessariamente alla presenza dell'organo collegiale riunito (ex multis, Sez. 6, n. 2810 del 14.10.1994; Sez. 6, n. 45506 del 27.4.2023). Con precipuo riferimento al thema relativo alla valutazione della "idoneità del comportamento e/o dell'atteggiamento intimidatorio" è ius receptum come la idoneità debba essere necessariamente rapportata alle concrete circostanze del fatto e, quindi, innanzitutto al contesto socio-ambientale in cui la condotta si realizza, di guisa che anche un comportamento o un atteggiamento che, in altri contesti, possano sembrare neutri ed indifferenti o costituire, ad esempio, una sollecitazione, per quanto deprecabile, in determinate circostanze possono invece assumere un significato fortemente minaccioso, (ex multis, Sez. 6, n. 3828 del 4/11/2005, Rv 232858-01).

2. Tale essendo le regulae iuris cui attenersi, si rileva come - nel caso in esame - il giudice di merito si sia solo in parte uniformato agli enunciati principi di diritto.

La Corte distrettuale - nel richiamare la trama motivazionale della sentenza impugnata - aveva inferito la serietà della minaccia dal tenore esplicito delle parole minacciose, dalla invasività del mezzo di comunicazione, dalla evocazione di soggetti di elevato spessore criminale, dal richiamo a pregresse esperienze militari e dal riferimento ad una vicenda realmente accaduta (sent. pagg. 3 e 4).

2.1. Ritiene, purtuttavia, il Collegio che detti elementi abbiano un valore neutro, vieppiù al cospetto di un profluvio di parole, assai vaghe e indeterminate, e di una teatralità evocativa di farneticazione, piuttosto che espressione di una vera e propria intimidazione.

La insufficienza degli elementi enunciati dal giudice di merito ai fini della formulazione del giudizio di serietà della minaccia si traduce nel denunciato vulnus motivazionale, sì da richiedere un nuovo giudizio sul punto per l'eventuale indicazione ed apprezzamento di ulteriori e concreti elementi da cui inferire la idoneità della minaccia ex art. 338 cod. pen.

3. Fondato è altresì il motivo relativo alla qualificazione giuridica della fattispecie concreta, contestata e ritenuta nelle forme del delitto consumato, ma da ricondurre, secondo il difensore, nella ipotesi del tentativo ex art. 56 cod. pen.

La Corte distrettuale - benché sollecitata a scrutinare la dedotta quaestio iuris - è rimasta completamente silente, associando alle modalità di comunicazione del messaggio, oggettivamente invasive, la sicura conoscenza dello stesso in capo all'organo collegiale del C.S.M. e/o ai suoi componenti.

Il sillogismo, tuttavia, non convince. Nella ipotesi in cui il reato sia stato commesso mediante un «processo esecutivo frazionabile», come quando la minaccia non sia stata esternata alla presenza del destinatario ma sia stata allo stesso veicolata in modo indiretto, è necessario accertare - per stabilire l'esatto inquadramento nella fattispecie del delitto consumato e/o del delitto tentato - se la minaccia sia venuta o meno a conoscenza del soggetto passivo. Nella seconda ipotesi, il reato rimane confinato allo stadio del tentativo punibile (ex multis, Sez. 6, n. 45506 del 27/04/2023, Bagarella, Rv. 285548 - 01).

3.1. Nel caso in esame, dalla ricostruzione in fatto della vicenda sub iudice, operata dai giudici di merito, non è emerso che il P.M. avesse esternato il suo pensiero al cospetto dei Magistrati interessati, avendo lo stesso diffuso il messaggio per il tramite del social network (Youtube). Ora, per quanto il canale di comunicazione abbia assicurato una veicolazione in tempo reale e altamente diffusiva del messaggio, non può la descritta modalità comunicativa assicurare eo ipso la sicura ed immediata conoscenza del propalato in capo ai diretti interessati. Le concrete "modalità di comunicazione" imponevano al giudice di merito di accertare se, nel caso concreto, il messaggio audio-video postato dal ricorrente fosse stato veicolato e fosse effettivamente entrato nel patrimonio cognitivo dei soggetti passivi.

4. I motivi di ricorso relativi alla mancata concessione dei benefici di legge restano assorbiti dovendosi procedere ad un nuovo giudizio.

5. Per le ragioni esposte, si impone dunque l'annullamento della sentenza con rinvio per nuovo giudizio perché sia accertata la idoneità della minaccia e, in caso di valutazione positiva, sia verificata l'effettiva conoscenza del contenuto del messaggio minatorio in capo all'organo collegiale del C.S.M. o quantomeno di uno dei suoi componenti, ai fini della esatta qualificazione giuridica, in termini di delitto consumato e/o tentato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
 
 
 
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