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Evasione su spazi condominiali dagli arresti domiciliari (Cass. 3212/08)

26 marzo 2012, Cassazione penale

In tema di evasione dagli arresti domiciliari, agli effetti dell'art. 385 cod. pen. deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell'imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà. (Fattispecie in cui l'imputato, all'atto del controllo, si trovava in uno spazio condominiale esterno alla sua abitazione e proveniva da un altro appartamento).

CASSAZIONE PENALE  

SEZ. VI, 18 DICEMBRE 2007, N. 3212 (DEP.21 GENNAIO 2008)

FATTO-DIRITTO

1) Con ordinanza in data 6/4/2007 il Tribunale di Brindisi in composizione monocratica non ha convalidato l'arresto in flagranza di reato effettuato dai Carabinieri di Brindisi in data 5/4/2007 nei confronti di P.G., ritenendo che nella fattispecie non potevano ravvisarsi gli estremi del reato di evasione, in quanto l'imputato si era trattenuto a pochissimi metri di distanza dalla propria abitazione, nella quale dovevano essere eseguiti gli arresti domiciliari, e tale condotta integrava una mera inosservanza delle prescrizioni inerenti la misura cautelare.

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi ha proposto ricorso per cassazione avverso tale provvedimento, chiedendone l'annullamento per erronea applicazione dell'art. 385 c.p.. Il ricorrente ha fatto presente che dal verbale di arresto e dalle stesse dichiarazioni dell'imputato risulta che quest'ultimo, al momento del controllo effettuato dai Carabinieri di Brindisi, non si trovava nella propria abitazione, ma in uno spazio condominiale ad essa esterno, e proveniva da altro appartamento. Nella specie, pertanto, vi è stato un allontanamento volontario del prevenuto dal luogo a lui concesso per l'espiazione degli arresti domiciliari.

Contrariamente a quanto ritenuto nell'impugnata ordinanza, d'altro canto, l'allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari non può essere considerato alla stregua della violazione di una prescrizione inerente agli obblighi imposti, in quanto la permanenza nel domicilio costituisce l'obbligo essenziale dell'arrestato, e non una delle prescrizioni ad esso inerenti.

Con memoria difensiva depositata in data 4/12/2007, il P. ha dedotto che, a seguito di sentenza di primo grado con cui è stata pronunciata la sua assoluzione dal reato contestatogli., è venuto meno l'interesse del P.M. all'impugnazione dell'ordinanza in oggetto, potendo se del caso la Pubblica Accusa proporre impugnazione avverso tale sentenza.

2) Il ricorso è fondato.

Deve premettersi che, contrariamente a quanto dedotto dal P. nella memoria difensiva depositata il 4/12/2007, il fatto che l'imputato sia stato assolto in primo grado dal reato contestatogli, non ha fatto venir meno l'interesse della Pubblica Accusa all'accertamento giurisdizionale della legalità dell'arresto, essendo il giudizio di convalida finalizzato alla verifica dei requisiti di legittimità dei provvedimenti sulla libertà personale.

Ciò posto, si osserva che dalla lettura del verbale di arresto si evince che il P., al momento del controllo effettuato dai Carabinieri di Brindisi, non si trovava all'interno della sua abitazione, ove era sottoposto agli arresti domiciliari, ma in uno spazio condominiale ad esso esterno (pianerottolo), e proveniva da altro appartamento.

Alla stregua di simili emergenze, non può condividersi il giudizio espresso dal giudice dì merito, circa la non ipotizzabilità, nella specie, degli elementi costitutivi del reato di evasione.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, agli effetti dell'art. 385 c.p., per "abitazione" dalla quale la persona in stato di arresti domiciliari non può allontanarsi, deve intendersi unicamente il luogo in cui il soggetto svolge la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante; e ciò anche al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell'imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non alcatorietà (Cass. Sez. 6^, 17/1/2007 n. 4143; Cass. Sez. 1^, 30/3/2004 n. 17962; Cass. Sez. 6^, 7/1/2003 n. 15741; Cass. 10/2/1995 n. 5770).

Parimenti erronea risulta l'affermazione del giudice di merito, secondo cui la condotta del P. integrerebbe una mera inosservanza delle prescrizioni inerenti la misura cautelare.

Come è stato precisato da questa Corte, infatti, l'allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari non può considerarsi alla stregua della violazione di una "prescrizione inerente agli obblighi imposti" (art. 276 c.p.p.), in quanto la permanenza nel domicilio costituisce l'obbligo essenziale dell'arrestato, e non una delle prescrizione ad esso inerenti, sicchè la sua violazione configura il delitto di evasione (Cass. Sez. 4^, 3/6/1997 n. 1554).

Pertanto, poichè l'ordinanza impugnata si pone in contrasto con i principi di diritto sopra enunciato, si impone il suo annullamento.

Tale annullamento va disposto senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Brindisi.

In caso di accoglimento del ricorso per cassazione del Pubblico Ministero avverso l'ordinanza di diniego della convalida di arresto, infatti, il ricorso, avendo ad oggetto la rivisitazione di una fase ormai definitivamente perenta, è finalizzato esclusivamente alla verifica della correttezza dell'operato degli agenti di polizia giudiziaria, mentre l'eventuale rinvio del provvedimento impugnato solleciterebbe soltanto una pronuncia meramente formale, senza alcuna ricaduta di effetti giuridici (Cass. Sez. 6, 28/3/2007; Cass. Sez. 6^, 11/7/2006).

P.Q.M

annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata, perchè l'arresto è stato eseguito legittimamente.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2007.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2008

***

Nota:

In senso conforme: Cass. pen., sez. VI, 17 gennaio 2007 n. 4143, Cass. pen. n. 17962 del 2004, Cass. pen., sez. VI, 7 gennaio 2003 n. 15741, Cass. pen., sez. VI, 10 febbraio 1995 n. 5770, Cass. pen. n. 11000 del 1994. In relatà si tratta di giurisprudenza costante. In senso conforme, v. Sez. VI, 17 gennaio 2007, Bompressi, in Guida dir., 2007, n. 12, p. 87, che ha affermato che: "L'abitazione dalla quale la persona in stato di arresti (o detenzione) domiciliari non può allontanarsi deve intendersi unicamente come il luogo in cui il soggetto svolge la propria vita domestica e privata, con esclusione di appartenenze (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non siano strettamente attigui o "pertinenti" (annessi) all'abitazione. Non può invece invocarsi la più estesa nozione civilistica di pertinenza (art. 817 c.c.), sì da poter fare considerare come pertinenza dell'abitazione, ai fini penalistici, anche un orto non immediatamente contiguo all'abitazione medesima, bensì raggiungibile da questa previo attraversamento della strada e del fondo di un vicino, giacché, ai fini dell'apprezzamento di condotte potenzialmente elusive del regime cautelare o espiatorio degli arresti (o detenzione) domiciliari, non può prescindersi dalle esigenze applicative connesse a siffatto regime, in virtù delle quali è indispensabile che i controlli della polizia giudiziaria periodicamente o saltuariamente esperibili sulla presenza o reperibilità dell'imputato nel luogo di custodia domiciliare assumano le valenze dell'immediatezza e della non aleatorietà. Tali esigenze sarebbero infatti senz'altro frustrate laddove si consentisse l'allontanamento del soggetto dallo spazio definito dalla sua stretta abitazione o dalle sue immediate adiacenze (senza alcuna frattura spaziale), sia pure per recarsi per un breve tempo in un luogo senz'altro vicina (quale, come nella specie, l'orto sia pure non contiguo), ma non visibile dalla dimora né raggiungibile né in altro modo se non uscendo dall'alloggio e dopo un percorso di diversi metri". Sulla stessa linea, v. anche Sez. VI, 10 aprile 2007, R., ivi, 2007, n. 24, p. 68, Sez. VI, 7 gennaio 2003, Favero, Cass. pen.,2005, p. 59, con nota di ulteriori precedenti conformi cui si rinvia.

In tema di uso di mezzi tecnologici durante la misura degli arresti domiciliari la Corte di Cassazione (II, sentenza 29 settembre - 18 ottobre 2010, n. 37151) ha stabilito che la generica prescrizione di "non comunicare con persone diverse dai familiari conviventi" prevista dall'articolo 276, comma uno, c.p.p., va intesa nella accezione di divieto non solo di parlare con persone non della famiglia e non conviventi, ma anche di entrare in contatto con altri soggetti, dovendosi ritenere estesa, pur in assenza di prescrizioni dettagliate e specifiche, anche alle comunicazioni, sia vocali che scritte attraverso Internet.

Prosegue la corte di legittimità: "L'uso di Internet non può essere vietato tout court ove non si risolva in una comunicazione con terzi, comunque, attuata, ma abbia solamente funzione conoscitiva o di ricerca, senza di entrare in contatto, tramite il web, con altre persone. La moderna tecnologia consente oggi un agevole scambio di informazioni anche con mezzi diversi dalla parola, tramite Web, e anche tale trasmissione di informazioni deve ritenersi ricompresa nel concetto di "comunicazione", pur se non espressamente vietata dal giudice, dovendo ritenersi previsto nel generico "divieto di comunicare", il divieto non solo di parlare direttamente, ma anche di comunicare, attraverso altri strumenti, compresi quelli informatici, sia in forma verbale che scritta o con qualsiasi altra modalità che ponga in contatto l'indagato con terzi ("pizzini", gesti, comunicazioni televisive anche mediate, etc.). L?eventuale violazione di tale divieto va, comunque, provato dall?accusa e non può ritenersi presunto, nella fattispecie, dall?uso dello strumento informatico."