In tema di estradizione per l'estero, dopo una decisione favorevole all'accoglimento della relativa domanda, la Corte di appello deve disporre la custodia in carcere dell'estradando sul solo presupposto della richiesta in tal senso formulata dal
Ministro della giustizia, senza possibilità di una successiva revoca del provvedimento cautelare sulla base della dedotta insussistenza del pericolo di fuga, non assumendo più alcun rilievo, in questa fase, le esigenze cautelari cui la misura è subordinata, a norma dell'art. 714, comma secondo, cod. proc.
pen., quando è emessa prima della sentenza favorevole all'estradizione.
Corte di Cassazione
Sez. 6 Penale
Sent. Num. 38171 Anno 2021
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: CRISCUOLO ANNA
Data Udienza: 05/10/2021 – deposito 25/10/2021
SENTENZA
sul ricorso proposto da
BF nato in Albania il ** 1984
avverso l'ordinanza del 01/07/2021 della Corte di appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Criscuolo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Luigi Orsi, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. I difensori di BF propongono ricorso avverso l'ordinanza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Milano, dopo aver dichiarato sussistenti le condizioni per l'estradizione del B., richiesta dal governo della repubblica di Albania per l'esecuzione della pena inflitta per il reato di furto aggravato, ha applicato al ricorrente la misura della custodia cautelare in
carcere.
Con unico motivo deducono l'erronea applicazione di legge e il vizio di motivazione per insussistenza del pericolo di fuga. Si premette che il B., arrestato il 2 agosto 2020, era stato rimesso in libertà il 9 settembre successivo per mancanza di pericolo di fuga; in sede di interrogatorio aveva negato il consenso all'estradizione e chiesto di scontare in Italia la pena inflittagli dal Tribunale albanese; pervenuta la domanda tardiva di estradizione, corredata da documentazione, la Corte di appello aveva accolto la domanda di estradizione e applicato la misura custodiale per il ravvisato pericolo di fuga, in accoglimento
dell'istanza ministeriale formulata ai sensi degli artt. 704, comma 3, e 714 cod. proc. pen.
Si sostiene che: è improprio riferimento all'entità della pena inflitta, trattandosi solo di 20 mesi di reclusione; non risponde al vero che il B. si era allontanato dall'Albania e non aveva stabile dimora in Italia; non vi sono discrasie negli indirizzi forniti, corrispondenti al luogo di residenza del B. e del fratello, inizialmente dichiaratosi disposto ad accoglierlo, e la documentazione prodotta dimostra l'insussistenza del pericolo di fuga, risultando che il B. vive in Italia da anni con il proprio nucleo familiare, ha un regolare contratto di locazione e di lavoro a tempo indeterminato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, trattandosi di misura cautelare disposta su richiesta del Ministro della Giustizia contestualmente alla sentenza favorevole alla estradizione.
Secondo il risalente orientamento di questa Corte, in tema di estradizione per l'estero, dopo una decisione favorevole all'accoglimento della relativa domanda, la Corte di appello deve disporre la custodia in carcere dell'estradando sul solo presupposto della richiesta in tal senso formulata dal
Ministro della giustizia, senza possibilità di una successiva revoca del provvedimento cautelare sulla base della dedotta insussistenza del pericolo di fuga, non assumendo più alcun rilievo, in questa fase, le esigenze cautelari cui la misura è subordinata, a norma dell'art. 714, comma secondo, cod. proc.
pen., quando è emessa prima della sentenza favorevole all'estradizione (Sez. 6, n. 1842 del 19/12/2019, dep. 2020, Aliaj, Rv. 278106; Sez. 6, n. 15161 del 18/03/2014, Imperiale, Rv. 260880).
Si sostiene infatti, che una voltaintervenuta la pronunzia favorevole all'estradizione, la custodia cautelare deve essere applicata a semplice richiesta del Ministro della Giustizia e dunque, a prescindere dai presupposti richiesti e dai criteri di applicazione dettati nella normativa generale sull'applicazione delle misure cautelari (Sez. 6, n. 746 del 24/02/1999, Rv. 213912).
A fondamento di tale principio, si é evidenziato che l'estradizione é un istituto preordinato al solo scopo di consegnare una determinata persona allo Stato che ne abbia fatto richiesta, e che quindi, postula la "fisica disponibilità" dell'estradando da parte dello Stato richiesto, che diviene pertanto, il primo ed essenziale presupposto dell'estradizione, in difetto del quale il procedimento sarebbe privo del suo oggetto tipico e la relativa decisione sarebbe inutiliter data (in tal senso, Sez. 6, n. 2977 del 04/10/1996, Rv. 206883).
Conseguentemente, si è ritenuto che, mentre prima che sia intervenuta la decisione sull'estradizione, le misure coercitive, e tra queste la custodia cautelare in carcere, possono - e quindi non debbono, necessariamente - essere disposte (e in ogni caso, secondo i criteri per la loro applicazione richiamati nel secondo comma dell'art. 714 cod. proc. pen.), dopo tale pronuncia viene ad operare una sorta di automatismo, fondato sulla sola richiesta del Ministro (da ultimo, Sez. 6, n. 1842 del 19/12/2019, dep. 2020, Rv. 278106).
Tuttavia, quand'anche si volesse seguire un più recente orientamento (Sez. 6, n. 23252 del 5 giugno 2021, De Francesco, Rv. 281523), secondo il quale la richiesta ministeriale di applicazione della custodia cautelare, formulata a seguito
della decisione favorevole alla consegna nell'ipotesi prevista dall'art. 704, comma 3, cod. proc. pen., non è vincolante per l'autorità giudiziaria, dovendo la misura cautelare essere comunque, disposta in vista delle esigenze cautelari afferenti al
procedimento di estradizione, da valutarsi ai sensi dell'art. 714, comma 2, cod. proc. pen., l'esito non muterebbe, risultando del tutto generiche e infondate le censure formulate nel ricorso.
I giudici hanno fondato il pericolo di fuga sulla gravità del reato, sull'entità della pena inflitta e, soprattutto, sul comportamento successivo alla commissione del reato, essendosi il B. allontanato dall'Albania, riparando in Italia, pur in assenza di una lecita occupazione e di stabilità; peraltro, anche nel ricorso si
deduce che il B., entrato per la prima volta in Italia nel 2002, era ritornato in Albania dopo quale anno per farvi ritorno nel 2018, in tal modo dando atto dell'estrema mobilità del ricorrente, sicché non irragionevolmente tali elementi specifici sono stati ritenuti dimostrativi di un reale rischio di allontanamento
clandestino da parte dell'estradando. Risulta inoltre, compiuta una valutazione anche in punto di adeguatezza della misura cautelare, avendo i giudici ritenuto non applicabile una misura attenuata in ragione delle divergenze rilevabili tra i luoghi di domicilio indicati dal ricorrente e quelli indicati nelle note difensive, tali da rendere dubbia la disponibilità di un luogo di esecuzione della misura effettivo, certo e monitorabile.
All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 5 ottobre 2021