La formulazione letterale dell'art. 10 del codice penale non impone allo Stato italiano di offrire al paese cui lo straniero appartiene la sua estradizione, si da far ritenere che lo straniero possa essere processato in Italia solo dopo che le autorità italiane si siano accertate che il suo Stato di appartenenza non abbia intenzione di chiederne l'estradizione.
L'estradizione costituisce una variabile solo eventuale della procedura, nel senso che, di essa, va tenuto conto solo se vi sia stata una effettiva richiesta in tal senso dello Stato di appartenenza dello straniero, ipotesi questa non verificatasi nella specie.
L'estradizione, quale forma di cooperazione giudiziaria fra gli Stati, è caratterizzata per sua natura da un ampio margine di discrezionalità, si che, in assenza di specifici trattati, l'estradizione non può ritenersi caratterizzata da alcun carattere di obbligatorietà; né è annoverabile fra i principi di diritto internazionale quello per cui uno Stato sia obbligatoriamente tenuto ad offrire l'estradizione al paese di appartenenza dello straniero che abbia commesso un reato perseguibile dai propri organi giudiziari.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 settembre 2013 - 23 gennaio 2014, n. 3155
Presidente Bardovagni – Relatore Capozzi
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 20 febbraio 2012 la Corte d'Assise d'Appello di Catania si è pronunciata in grado di appello sulla sentenza emessa il 28 giugno 2010 col rito abbreviato dal G.U.P. di Siracusa nei confronti di W.T. ; O.K. ; U.S. ed OK.Pi. , tutti stranieri extracomunitari di nazionalità nigeriana, decidendo come segue:
- W.T. :
in primo grado gli è stata inflitta la pena di anni 30 di reclusione, con attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti di cui all'art. 61 n. 4 cod. pen. (avere agito con crudeltà verso la persona) ed all'art. 61 n. 5 cod. pen. (avere agito in ora notturna, ostacolando la privata difesa), per il delitto di omicidio volontario di cinque persone (un nigeriano interessatosi al funzionamento della bussola ed ucciso, siccome accusato di essere indemoniato e di averla rovinata; un ghanese di nome I. , ritenuto di essere posseduto da forze malefiche; un nigeriano soprannominato ..., siccome troppo lamentoso ed ingombrante; un nigeriano di circa 16 anni di nome P. o F. , che delirava per mancanza di acqua e cibo ed era stato ritenuto essere uno spirito maligno ed infine un nigeriano che, evidentemente spossato dalla mancanza di acqua e di cibo, delirava, dicendo di voler uscire per effettuare acquisti), da lui gettati in mare dal gommone, sul quale stavano compiendo la navigazione dalla Libia all'Italia. In appello la pena gli è stata ridotta ad anni 20 di reclusione, essendogli stata riconosciuta la continuazione fra i cinque omicidi ascrittigli;
- O.K. (detto ...);
in primo grado gli è stata inflitta la pena di anni 30 di reclusione, con attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante di cui all'art. 61 n. 4 cod. pen. (avere agito con crudeltà verso la persona), per il delitto di omicidio volontario di tre persone (un nigeriano interessatosi al funzionamento della bussola ed ucciso, accusato di aver rovinato lo strumento anzidetto, siccome indemoniato; un ghanese di nome I. , ritenuto di essere posseduto da forze malefiche e di un nigeriano soprannominato ..., siccome troppo lamentoso ed ingombrante), da lui gettati in mare dal gommone, sul quale stavano compiendo la navigazione dalla Libia all'Italia.
In appello la pena gli è stata ridotta ad anni 17 di reclusione, per essere stata riconosciuta la continuazione fra i tre omicidi ascrittigli;
- U.S. : in primo grado è stato condannato ad anni 16 di reclusione, con attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante di cui all'art. 61 n. 4 cod. pen. (avere agito con crudeltà verso la persona) per il delitto di omicidio volontario di un nigeriano soprannominato ..., da lui gettato in mare dal gommone, sul quale stavano compiendo la navigazione dalla Libia all'Italia, siccome troppo lamentoso ed ingombrante.
In appello la pena gli è stata ridotta ad anni 14 di reclusione, avendo la Corte d'assise d'appello ritenuto come pena base non quella della reclusione di anni 24, ma quella della reclusione di anni 21, ridotta di un terzo per il rito abbreviato prescelto;
- OK.Pi. :
in primo grado gli è stata inflitta la pena di anni 30 di reclusione, con attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante di cui all'art. 61 n. 4 cod. pen. (avere agito con crudeltà verso la persona), per il delitto di omicidio volontario di due persone (un ghanese di nome I. , ritenuto di essere posseduto da forze malefiche ed un nigeriano soprannominato ..., siccome troppo lamentoso ed ingombrante), da lui gettati in mare dal gommone, sul quale stavano compiendo la navigazione dalla Libia all'Italia.
In appello la pena gli è stata ridotta ad anni 15 e mesi 6 di reclusione, per esser stata riconosciuta la continuazione fra i due omicidi;
2. I fatti di causa si sono verificati fra il (omissis) nel tratto di mare che separa la Libia dall'Italia a bordo di un gommone diretto verso le coste italiane, intercettato, con 59 cittadini extracomunitari a bordo, da un guardiacoste della guardia di finanza di Augusta alle ore 9,05 dell'(omissis) a circa 12 miglia dalla Sicilia, all'interno delle acque nazionali italiane; era emerso che il gommone in questione era partito dalla Libia circa 9 giorni prima con a bordo 72 persone; di esse erano quindi decedute 13 persone, i cui corpi erano stati abbandonati in mare.
I quattro imputati, capeggiati dal W. , avevano preso il controllo del gommone, dopo che, al quarto giorno di navigazione, il pilota dello stesso, A.G. , aveva ammesso di non essere più in grado di condurre il gommone in Italia; essi si erano posti a poppa dell'imbarcazione, vicino al motore, gestendo il poco cibo ed acqua potabile rimasta a bordo e creando un vero e proprio clima di terrore e di soggezione nei confronti degli altri trasportati, ai quali avevano nascosto di avere smarrito la rotta per giungere in Italia. I giudici di merito hanno ritenuto la propria giurisdizione a giudicare i fatti di causa, sebbene verificatisi in acque internazionali, avendo ravvisato la sussistenza dei requisiti all'uopo indicati dall'art. 10 cod. pen. (presenza degli imputati nel territorio dello Stato; delitto per il quale era stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a 3 anni; richiesta del Ministro della giustizia; mancata richiesta di estradizione degli imputati da parte dello Stato di appartenenza).
3. Gli elementi di prova a carico degli imputati sono consistiti:
-nelle concordi ed attendibili dichiarazioni accusatorie rese nei loro confronti da 19 partecipanti alla tragica traversata, precisamente S.A. , (+Altri) ;
-nelle intercettazioni ambientali disposte all'interno del carcere di Cavadonna ed intercorse fra gli odierni imputati ed alcuni dei testi escussi, della cui genuinità non era dato dubitare, almeno fino al 16 ottobre 2008, non potendosi attribuire la medesima valenza indiziaria alle intercettazioni disposte dopo tale data, in quanto gli imputati, proprio il 16 ottobre 2008, erano stati informati che le loro conversazioni potevano essere intercettate.
3. Avverso detta sentenza della Corte d'assise d'appello di Catania ricorrono per cassazione W.T. , O.K. , U.S. , OK.Pi. , tutti a mezzo dei rispettivi difensori.
4. W.T. formula quattro doglianze:
1)-erronea ed irragionevole applicazione degli artt. 10 e 13 cod. pen., in quanto, in caso di reati che non riguardavano cittadini italiani e non ledevano la sovranità dello Stato italiano, siccome avvenuti fuori del territorio dello Stato, il Ministro della giustizia godeva di un potere discrezionale illimitato ed eccessivo; non era peraltro ravvisabile alcun concreto interesse del nostro paese di giudicare fatti che non lo riguardavano assolutamente, siccome commessi al di fuori del territorio italiano ed in danno di stranieri; in tal modo gli era stata sottratta la possibilità di essere giudicato nel proprio paese d'origine, che avrebbe potuto usare criteri più miti, con palese violazione del diritto naturale delle genti, secondo il quale ogni soggetto aveva diritto di essere giudicato secondo le leggi del proprio paese; invero l'art. 10 cod. pen., faceva salva la possibilità per lo straniero che si trovava in Italia di essere giudicato dal giudice del suo paese di provenienza, il quale poteva chiederne l'estradizione; e, dall'esame congiunto degli artt. 10 e 13 cod. pen. era da ritenere che, nel silenzio del suo paese d'origine, lo Stato italiano era obbligato ad offrire l'estradizione dello straniero giudicando; e solo a seguito del mancato accoglimento dell'offerta di estradizione poteva ritenersi radicata la giurisdizione del giudice italiano, purché il Ministro della giustizia ne avesse fatto richiesta; la giurisprudenza di legittimità, con un'unica remota sentenza, era favorevole alla propria tesi difensiva, avendo esaminato un caso nel quale il Regno Unito aveva abdicato a processare un proprio cittadino; ed anche sul piano pattizio era da rilevare che nessun trattato di estradizione esisteva fra l'Italia e la Nigeria, paese di recente indipendenza; era pertanto da ritenere che il governo italiano, prima di processarlo, avrebbe dovuto offrire la sua estradizione alla Nigeria e solo in caso di rifiuto da parte di tale ultimo paese egli avrebbe potuto essere processato in Italia;
2)-violazione art. 85 cod. pen., non potendo ravvisarsi una sua normale capacità d'intendere e volere al momento dei fatti, verificatisi in un contesto di oltre 50 persone stipate su di un gommone restato alla deriva sotto il sole per 9 giorni, con cibo ed acqua finiti al terzo giorno; la perizia medica da lui prodotta aveva rilevato come la sua prolungata esposizione al sole aveva comportato uno stato di malattia, tale da escludere la possibilità di mantenere le facoltà intellettive e volitive; si erano verificate allucinazioni ed alcuni di essi erano saltati fuori del gommone per fare acquisti; la sentenza impugnata non aveva indicato su quali basi aveva ritenuto che sussistessero scorte sufficienti per consentire ai passeggeri di rimanere vigili; solo apparente era stata pertanto la motivazione della sentenza nella parte in cui egli era stato ritenuto pienamente capace d'intendere e volere;
3)-pena immotivatamente severa, che avrebbe dovuto essere rapportata al minimo edittale; nessuna motivazione era stata poi addotta in ordine all'aumento di pena disposto per i fatti in continuazione;
4)-mancata traduzione della sentenza emessa dalla Corte d'assise d'appello nella lingua inglese e conseguente violazione del suo diritto di difesa.
5. O.K. formula cinque doglianze:
1)-erronea ed irragionevole applicazione artt. 10 e 13 cod. pen., atteso che in caso di reati che non riguardavano cittadini italiani e non ledevano la sovranità dello Stato italiano, siccome avvenuti fuori del territorio dello Stato, il Ministro della giustizia disponeva di un potere discrezionale illimitato ed eccessivo per processare o meno gli imputati; non era peraltro ravvisabile alcun concreto interesse dell'Italia di giudicare fatti che non la riguardavano assolutamente, siccome commessi al di fuori del territorio italiano ed in danno di stranieri; in tal modo gli imputati erano stati privati della possibilità di essere giudicati nel proprio paese d'origine, che avrebbe potuto usare criteri più miti ed a lui più favorevoli, con conseguente violazione del diritto naturale delle genti, secondo il quale ogni soggetto aveva diritto di essere giudicato dalle leggi del proprio paese; peraltro l'art. 10 cod. pen., faceva salva la possibilità per lo straniero che si trovasse in Italia di essere giudicato dal giudice del suo paese di provenienza, il quale poteva chiederne l'estradizione; e dall'esame congiunto degli artt. 10 e 13 cod. pen. era da ritenere che, nel silenzio del suo paese d'origine, lo Stato italiano fosse obbligato ad offrire l'estradizione dello straniero da giudicare; e solo in caso di mancato accoglimento dell'offerta di estradizione avrebbe potuto scattare la giurisdizione del giudice italiano, purché il Ministro della giustizia ne avesse fatto richiesta; la giurisprudenza di legittimità con un'unica remota sentenza del 1989 aveva rafforzato la propria tesi difensiva, avendo rilevato che, nel caso esaminato, il Regno unito aveva abdicato al suo diritto di processare un proprio cittadino; ed anche sul piano delle convenzioni internazionali era da rilevare che fra l'Italia e la Nigeria, paese di recente indipendenza, non era intercorso alcun trattato di estradizione; era pertanto da ritenere che il governo italiano, prima di processare esso ricorrente, avrebbe dovuto offrire la sua estradizione alla Nigeria e solo in caso di rifiuto egli avrebbe potuto essere processato in Italia;
2)-violazione art. 85 cod. pen., non potendo ravvisarsi una sua normale capacità d'intendere e volere al momento dei fatti, avvenuti in un contesto di oltre 50 persone stipate su di un gommone restato alla deriva sul mare sotto il sole per 9 giorni, con cibo ed acqua finito al terzo giorno; la perizia medica di parte da lui prodotta aveva rilevato come l'esposizione al sole prolungata aveva comportato uno stato di malattia, tale da avere escluso la possibilità di mantenere integre le facoltà intellettive e volitive; si erano determinate allucinazioni ed alcuni erano saltati fuori del gommone per fare acquisti; la sentenza impugnata non aveva indicato su quali basi aveva ritenuto che sussistessero scorte sufficienti per consentire ai passeggeri di rimanere vigili; la motivazione della sentenza impugnata era pertanto apparente nella parte in cui era stato ritenuto pienamente capace d'intendere e volere;
3) - erroneo rigetto da parte della Corte territoriale del suo motivo di gravame concernente l'essere stato egli minore d'età al momento dei fatti; egli era stato ritenuto maggiorenne sulla base di presunzioni non condivisibili, in quanto non poteva ritenersi che lo sviluppo scheletrico di un negro fosse assimilabile a quello di un bianco; dalle intercettazioni ambientali disposte non era poi emerso che egli avesse confessato la sua vera età;
4)-pena immotivatamente severa, che avrebbe dovuto essere rapportata al minimo edittale; motivazione carente in punto di aumento di pena disposto per i fatti in continuazione;
5)-mancata traduzione della sentenza emessa dalla Corte d'assise d'appello nella lingua inglese, con conseguente violazione del suo diritto di difesa.
6. U.S. ed OK.Pi. , a mezzo del loro comune difensore, formulano due doglianze:
1)-erronea applicazione di legge, in quanto non sussisteva nella specie una condizione di procedibilità a loro carico, atteso che dall'esame di un unico precedente giudiziario di legittimità del 1989, poteva dedursi che la giurisprudenza di legittimità aveva affermato un principio diverso rispetto a quello fatto proprio dalla Corte territoriale e cioè che solo se lo Stato estero avesse espressamente o tacitamente rinunciato a procedere nei confronti dell'imputato non era necessario che lo Stato italiano facesse precedere la richiesta ministeriale di processare gli imputati dall'offerta di estradizione; era irragionevole far coesistere i due istituti anzidetti; e la procedura di estradizione era un presupposto necessario per la validità della richiesta. Non era inoltre condivisibile il richiamo fatto dalla sentenza impugnata alle disposizioni relative alla convenzione in materia di reati contro la sicurezza della navigazione, firmata il 10 marzo 1988 e resa esecutiva in Italia con legge n. 422 del 1989; in tal caso l'estradizione non era necessaria, ma solo nei confronti degli Stati aderenti alla convenzione, che non era stata ratificata dalla Nigeria; anche da tale riferimento normativo poteva peraltro desumersi che, in mancanza di convenzioni in materia di cooperazione penale, era necessario procedere necessariamente con l'istituto dell'estradizione; il che poteva altresì desumersi dall'esame dell'art. 10 cod. pen., il quale, fra le condizioni necessarie per processare uno straniero in Italia per un delitto commesso all'estero, prevedeva espressamente la mancata concessione dell'estradizione, ovvero la circostanza che la stessa non fosse stata accettata dal governo dello Stato a cui lo straniero apparteneva.
Era quindi necessario che l'estradizione fosse stata in precedenza offerta, come del resto espressamente previsto dall'art. 13 comma 3 cod. pen.; e, nella specie, nella richiesta del Ministro della giustizia non vi era alcun riferimento al procedimento della loro estradizione; né avrebbe potuto sostenersi che, nella specie, il governo italiano non avrebbe potuto iniziare le procedure per la concessione della estradizione ad essi ricorrenti in quanto in Nigeria l'omicidio volontario era punito con la pena capitale; invero non era certo che per i medesimi reati in Nigeria sarebbe stata applicata la pena di morte, in quanto su 36 stati confederati solo in 14 era vigente la pena di morte; e fra di essi non vi era quello da cui provenivano essi ricorrenti; restava comunque il fatto che nel provvedimento ministeriale di richiesta di processare essi ricorrenti in Italia nessun cenno era stato fatto a detta problematica.
D'altra parte i due istituti della condizione di procedibilità e dell'estradizione perseguivano esigenze procedimentali strettamente correlate fra di loro, essendo la procedura dell'estradizione di natura giurisdizionale, affidata alla Corte d'appello e ricorribile in Cassazione; ed era correlata a detti caratteri la norma di cui all'art. 698 cod. proc. pen., secondo cui l'estradizione non poteva essere concessa in ipotesi di reato politico, ovvero se l'imputato poteva essere sottoposto a trattamenti degradanti tali da violare i fondamentali diritti della persona.
Era il Ministro della giustizia tenuto ad accertare la sussistenza di garanzie offerte dallo Stato estero per assicurare la compatibilità del trattamento cui sarebbe sottoposto l'estradato ai principi consacrati dalla nostra Costituzione; e solo a seguito di valutazione negativa in ordine alla concedibilità dell'estradizione il Governo italiano avrebbe potuto procedere nei confronti dell'imputato straniero; al contrario, nel caso in esame, il Ministero della giustizia non aveva effettuato alcun accertamento del genere, essendosi limitato ad effettuare un generico giudizio di opportunità;
2)-motivazione illogica e meramente apparente circa la valutazione delle prove poste a loro carico.
La sentenza impugnata non aveva dato alcuna risposta alle censure da essi formulate in appello circa l'inattendibilità delle dichiarazioni fatte dai loro compagni di viaggio, siccome rilasciate solo al fine di ottenere il permesso di soggiorno; numerosi erano gli atti probatori che contrastavano con la ricostruzione dei fatti proposta dalle fonti d'accusa escusse; ed essi avevano elencato una serie di documenti, dei quali la sentenza impugnata non aveva fornito alcuna valutazione; ed anche il G.U.P. che aveva giudicato un altro coimputato, AK.Ey. , aveva rilevato come le dichiarazioni rese dai testi a carico del predetto imputato non erano di elevatissima credibilità, sia per le loro pessime condizioni fisiche e mentali, sia perché le dichiarazioni da essi rese erano del tutto ripetitive; sia perché nessuno dei testi escussi, sentiti per primi nel settembre 2008, avevano mai menzionato il nome di esso ricorrente. Con riferimento all'omicidio del nigeriano soprannominato ... il materiale probatorio utilizzato era in particolare generico ed apodittico; non erano state contestate in modo adeguato le censure da loro formulate in appello, con le quali avevano rilevato la dubbia attendibilità dei dichiaranti, con specifico riferimento ai testi OB.Cl. e M.S. , le cui dichiarazioni erano state evidentemente costruite in modo progressivo e modulato, con macroscopiche contraddizioni, avendo essi prima detto di avere saputo della morte del ghanese di nome I. de relato e poi di averlo constatato con i propri occhi.
Anche il teste M.A. aveva fatto dichiarazioni generiche, aspecifiche, incongrue e non individualizzanti.
Infine la responsabilità di OK. in ordine all'omicidio del ghanese I. era stata ritenuta sebbene egli non fosse stato individuato fra gli autori del delitto, ma solo quale componente del c.d. "gruppo di comando", secondo lo schema della convergenza del molteplice, che non era utilizzabile nella fattispecie in esame.
Considerato in diritto
1. È infondato il primo motivo di ricorso, comune a tutti e quattro i ricorrenti, tutti di nazionalità nigeriana, con il quale è stato eccepito erronea applicazione degli artt. 10 e 13 cod. pen., in quanto il reato ad essi contestato, non commesso nei confronti di cittadini italiani e tale da non avere leso la sovranità dello Stato italiano, non poteva essere perseguito dal giudice italiano solo per averne fatto richiesta il Ministro della giustizia, essendo stato altresì necessario un ulteriore passaggio procedurale nella specie non verificatosi, in quanto l'Italia avrebbe dovuto previamente offrire al loro paese d'origine, la Nigeria, la possibilità di chiedere la loro estradizione, si che solo in caso di rifiuto da parte della Nigeria essi avrebbero potuto essere giudicati in Italia per il reato ad essi ascritto.
2. Va innanzitutto rilevato che la formulazione letterale dell'art. 10 comma 2 n. 3 cod. pen. non autorizza a ritenere che lo Stato italiano sia in ogni caso obbligatoriamente tenuto ad offrire al paese cui lo straniero appartiene la sua estradizione, si da far ritenere che lo straniero possa essere processato in Italia solo dopo che le autorità italiane si siano accertate che il suo Stato di appartenenza non abbia intenzione di chiederne l'estradizione. Invero la dizione letterale della norma in esame lascia chiaramente intendere che l'estradizione costituisce una variabile solo eventuale della procedura, nel senso che, di essa, va tenuto conto solo se vi sia stata una effettiva richiesta in tal senso dello Stato di appartenenza dello straniero, ipotesi questa non verificatasi nella specie.
3. D'altra parte l'estradizione, quale forma di cooperazione giudiziaria fra gli Stati, è caratterizzata per sua natura da un ampio margine di discrezionalità, si che, in assenza di specifici trattati stipulati in materia fra l'Italia e la Nigeria, l'estradizione non può ritenersi caratterizzata da alcun carattere di obbligatorietà; né è annoverabile fra i principi di diritto internazionale quello per cui uno Stato sia obbligatoriamente tenuto ad offrire l'estradizione al paese di appartenenza dello straniero che abbia commesso un reato perseguibile dai propri organi giudiziari.
4.Va infine ritenuto che è improprio e fuorviante il richiamo giurisprudenziale di legittimità fatto dai ricorrenti per avallare la tesi da essi sostenuta, atteso che la sentenza da essi richiamata (Cass. Sez. 1 n. 13988 del 14/7/1989, Hamdan, Rv. 182309) aveva ad oggetto la diversa ipotesi di uno Stato estero che non solo non si era avvalso della facoltà di chiedere l'estradizione, ma aveva altresì collaborato con lo Stato, nel quale il reo si trovava, nella raccolta delle prove, in tal modo facendo intendere di avere rinunciato a punire direttamente l'autore del fatto; dal precedente in esame è dato anzi evincere la conferma della diversa interpretazione dell'art. 10 cod. pen. fatta dal Collegio, essendo esso evincibile il diverso principio secondo cui è, in ogni caso, lo Stato di appartenenza dell'imputato a doversi rendere parte attiva per chiedere l'estradizione, ovvero comunicare la propria rinuncia alla richiesta di estradizione di un suo cittadino in attesa di essere giudicato in un diverso Stato.
5. È da ritenere poi infondato al limite dell'inammissibilità il secondo motivo di ricorso, comune ai ricorrenti W.T. ed O.K. , concernente carenza di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui non era stata ravvisata una loro totale incapacità di intendere e di volere al momento del fatto, in considerazione delle condizioni di grave emergenza in cui era stata da essi effettuata la traversata del Mediterraneo dalla Libia alla Sicilia su di un gommone, sul quale erano stipate molte decine di persone con poche scorte di viveri e di acqua.
6.La sentenza impugnata ha invero adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza di una loro piena capacità di intendere e volere al momento del fatto, avendo fatto riferimento all'essere stati essi di nazionalità nigeriana e, come tali, maggiormente addestrati a resistere a situazioni di grande calura e di penuria d'acqua; inoltre dall'esame dei dati processuali era da escludere che i due ricorrenti fossero affetti da disturbi della personalità così rilevanti da avere fatto scemare in maniera rilevante la loro capacità d'intendere e volere; essi avevano invero assunto il comando dell'imbarcazione, si che era da ritenere avere essi conservato per sé un'adeguata riserva di acqua e di cibo, come del resto era stato confermato dalle dichiarazioni rese in tal senso dai testi o.s. e K.S.J. ; ed anche dal loro comportamento processuale e sostanziale successivo alla commissione dei fatti poteva evincersi che entrambi i ricorrenti erano stati nel pieno possesso delle loro facoltà mentali al momento del fatto, essendo emerso che essi lucidamente avevano mostrato di temere quanto potessero avere riferito gli altri occupanti dell'imbarcazione contro di essi.
7. È infondato il motivo di ricorso sub 3), proposto da W.T. , identico a quello proposto sub 4) da O.K. e concernente carenza di motivazione in ordine alla pena ad essi comminata.
Va al contrario rilevato che la sentenza impugnata ha attentamente valutato la loro posizione processuale, essendo stata ad entrambi sensibilmente ridotta la pena in grado di appello (al W. da anni 30 ad anni 20 di reclusione; all'O. da anni 30 ad anni 17 di reclusione), essendo stato riconosciuto in favore di entrambi il vincolo della continuazione fra i vari omicidi a ciascuno dei due ascritti ed avendo altresì correttamente indicato, per entrambi i ricorrenti, il reato più grave e gli aumenti di pena disposti in continuazione. La Corte territoriale ha in tal modo dimostrato di avere quantificato la pena inflitta ai due ricorrenti dopo avere attentamente esaminato le circostanze di tempo e di luogo in cui i fatti si sono svolti, in tal modo avendo adeguatamente adempiuto all'obbligo su di essa incombente di motivare in concreto la determinazione della pena, applicando tutti gli elementi ritenuti determinanti o rilevanti allo scopo, nell'ambito dei criteri offerti dall'art. 133 c.p. (cfr., in termini, Cass. Sez. 6, n. 9120 del 2.7.98, Urrata ed altri, Rv. 211582).
8. È infondato il quarto motivo di ricorso proposto da W.T. , identico a quello proposto sub 5) da O.K. , concernente la mancata traduzione nella lingua inglese da essi conosciuta della sentenza impugnata. La prevalente giurisprudenza di legittimità e la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo sono invero orientate nel senso di ritenere che, dalla normativa in vigore, non è ricavabile l'obbligo di provvedere alla traduzione della sentenza o dell'estratto contumaciale della medesima nella lingua nazionale dell'imputato che non conosca la lingua italiana, atteso che la sentenza non è ricompresa fra gli atti, rispetto ai quali la lingua processuale assicura all'imputato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, il diritto alla nomina di un interprete per la traduzione nella lingua a lui nota.
Invero la sentenza non è un atto cui lo straniero partecipa direttamente, essendo invece da qualificare come atto che conclude una fase processuale ed il cui precipuo fine è, oltre a rendere noti i motivi posti a fondamento della decisione, di consentire agli aventi diritto di dare impulso ad una successiva fase processuale, che è tuttavia solo eventuale, si che la sua traduzione nella lingua da lui conosciuta è da ritenere rimessa all'iniziativa e valutazione dello straniero;
e la traduzione della sentenza può solo comportare per quest'ultimo un eventuale differimento del relativo termine per impugnare (cfr., in termini, Cass. Sez. 4 n. 26239 del 19/3/2013, Gharby ed altri, Rv. 255694).
9. È infondato il terzo motivo di ricorso proposto da O.K. , con il quale è stato censurato l'averlo la sentenza impugnata ritenuto maggiore d'età al momento del fatto.
Va al contrario rilevato che la Corte territoriale ha adeguatamente e diffusamente indicato i validi motivi, per i quali l'imputato anzidetto era da ritenere maggiore di età al momento del fatto, avendo il medesimo indicato, anche in sede di dichiarazioni spontanee rese innanzi alla Corte territoriale l'8 febbraio 2012, quale sua data di nascita, quella del (OMISSIS) .
Inoltre in primo grado era stata disposta perizia medico legale sulla sua persona, in esito alla quale era stata accertato che la sua età biologica era da ritenere certamente superiore agli anni 18.
Da un'intercettazione ambientale svolta in carcere il 25 ottobre 2008 era infine emerso come il ricorrente, parlando con il coimputato W. , aveva chiaramente fatto intendere che la carta della sua minore età era fra quelle che egli si riproponeva di giocare al fine di alleggerire la sua posizione processuale e di contrastare le deposizioni rese dai testi nei suoi confronti.
10. È infine infondato al limite dell'inammissibilità il secondo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti U.S. ed OK.Pi. lamentano l'illogicità e la mera apparenza dei motivi addotti dalla sentenza impugnata per ritenere validi gli elementi di colpevolezza ravvisati a loro carico.
La doglianza in esame è invero chiaramente attinente la merito e come tale non è proponibile nella presente sede di legittimità, siccome avente ad oggetto la mera riproposizione di censure concernenti l'inattendibilità delle deposizioni rese dai testi nei loro confronti, già da essi già formulate in appello e già adeguatamente confutate dalla Corte territoriale, la quale ha rilevato come le testimonianze raccolte nei confronti dei due ricorrenti erano state sostanzialmente concordi nella ricostruzione dei vari episodi e per la parte che ciascun teste era stato in grado di percepire in concreto della drammatica vicenda da essi vissuta.
Va aggiunto che la Corte territoriale non ha solo tenuto presente quanto dichiarato dai testi escussi nei confronti dei due ricorrenti anzidetti, ma ha altresì valutato, al fine di ricostruire i fatti, il contenuto delle conversazioni ambientali intercettate nelle celle del carcere di Cavadonna ed intercorse fra i due ricorrenti e gli altri coimputati, nonché alcuni dei testi, correttamente avendo ritenuto la valenza probatoria delle intercettazioni disposte fino al 16 ottobre 2008, data in cui gli imputati erano stati resi edotti della possibilità che le loro conversazione venissero intercettate.
Uno specifico riferimento alla posizione dell'OK. è emersa dalla conversazione dell'8 ottobre 2008 intercorsa fra S.A. e K.S. , un ulteriore specifico riferimento alla posizione di entrambi è emersa nella successiva conversazione registrata l'11 ottobre 2008.
Non è infine consentito richiamare nella presente sede quanto disposto da un altro G.U.P. in sede di giudizio abbreviato svoltosi nei confronti di un altro concorrente, attesa l'autonomia di ciascun giudizio e tenuto conto della genericità di quanto riferito al riguardo dai due ricorrenti.
Invero l'eventuale estensione nei loro confronti di un eventuale giudicato formatosi nei confronti di un concorrente presupponeva l'esistenza di una sentenza assolutoria definitiva per insussistenza del fatto, circostanza questa non addotta dai ricorrenti (cfr. Cass. Sez. 6 n.7804 del 28/2/200, P.M. e Piccinni, Rv. 220520).
11.1 ricorsi proposti da W.T. , O.K. , U.S. ed OK.Pi. vanno pertanto respinti, con loro condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.