Il Pubblico Ministero, per acquisire prove in un procedimento italiano, può agire ai sensi dell'art. 45 del decreto OIE, ai limitati fini di chiedere la trasmissione di documentazione acquisita nel corso di un diverso procedimento pendente in quel Paese; è infatti sempre rimessa allo Stato di esecuzione, con le modalità previste in quell'ordinamento, la concreta acquisizione della prova da trasferire. L'emissione, da parte del Pubblico Ministero, di O.E.I. diretto ad ottenere il contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall'autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, dunque, non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano - come avvenuto nel caso di specie - perché una tale autorizzazione non è richiesta, nell'ordinamento italiano, per l'acquisizione del contenuto di comunicazioni telefoniche già acquisite in altro procedimento, eventualmente anche, a norma dell'art. 132 D.Lgs. n.,196 del 2003, presso i gestori di servizi telefonici o telematici.
E' precluso all'autorità richiedente un vaglio in ordine alla legittimità delle modalità di esecuzione dell'atto rogatoriale qualora non sia stata indicata alcuna specifica formalità nella richiesta di assistenza giudiziaria, ed a maggior ragione quando l'atto di indagine sia stato svolto in precedenza, nel corso di autonome investigazioni intraprese dallo Stato estero, fermo restando che tale atto, una volta introdotto nel procedimento italiano a seguito di relazioni rogatoriali, e quindi utilizzabile, sarà poi sottoposto a tutte le regole processuali e sostanziali proprie dell'ordinamento italiano, in particolare quanto alla valutazione da parte del giudice del compendio delle acquisizioni documentali ed investigative ed alle possibilità di esercitare le prerogative di tutela da parte dell'indagato. Il giudice italiano non può e non deve conoscere della regolarità degli atti di esecuzione di attività di indagine compiuta dall'autorità giudiziaria straniera, giacché detta attività investigativa è eseguita secondo la legislazione dello Stato straniero; e, a maggior ragione, ciò vale ove l'originaria attività investigativa non sia stata compiuta su richiesta dell'autorità giudiziaria italiana, ma sia stata eseguita, nell'ambito di altro procedimento instaurato nello Stato estero, su iniziativa di quell'autorità giudiziaria i cui esiti sono stati trasmessi, come dati c.d. freddi, siccome acquisiti in epoca antecedente alla richiesta di O.E.I.
Non può dirsi che in relazione ai dati acquisiti dall'autorità estera e trasmessa in Italia sia stata accertata la violazione di diritti fondamentali, dovendosi in particolare escludere che l'indisponibilità delle chiavi di cifratura necessarie per rendere le comunicazioni acquisite intellegibili costituisca una violazione dei diritti di difesa e della garanzia di un giusto processo.E' principio consolidato quello secondo cui l'indisponibilità dell'algoritmo utilizzabile per la decriptazione dei dati informatici non determina alcuna lesione del diritto di difesa, visto che l'interessato può avvalersi della procedura prevista dall'art. 268, commi 6 e 7, cod. proc. pen. per verificare il contenuto delle captazioni, ma non può anche pretendere un controllo diretto mediante l'utilizzo esclusivo e non mediato del programma di decriptazione.
L'impossibilità per la difesa di accedere all'algoritmo utilizzato nell'ambito di un sistema di comunicazione per criptare il testo delle stesse non determina alcuna violazione dei diritti fondamentali, dovendo negarsi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura. Ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo, anche solo parzialmente.
L'acquisizione ed utilizzazione di messaggi di criptofonini è sottoposta a regole, limiti e garanzie diverse, che dipendono dalle modalità con cui l'autorità estera ha, a sua volta, acquisito i dati conservati nel server. In particolare, se ciò è avvenuto mediante captazione, condotta in tempo reale, di un flusso di comunicazioni in atto, si è realizzata attività di intercettazione in procedimento separato con la conseguenza che trova applicazione l'art. 270 cod. proc. pen. Qualora, invece, fossero ottenute da autorità giudiziaria estera trascrizioni di comunicazioni già avvenute e conservate nella memoria dei supporti utilizzati dai dialoganti, allora i relativi dati sarebbero da considerare documenti, acquisibili ai sensi dell'art. 238 cod. proc. pen.
La disposizione di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen. è inapplicabile in materia di acquisizione ed utilizzabilità dei dati relativi alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema criptato Sky ECC, perché si tratta di disciplina alternativa e, quindi, incompatibile con quella relativa al sistema dell'O.E.I.
L'ordine europeo di indagine deve aver ad oggetto una prova acquisibile nello Stato di emissione e deve essere eseguito in conformità di quanto previsto nello Stato di esecuzione per il compimento di un analogo atto di acquisizione probatoria, potendosi peraltro presumere il rispetto di tale disciplina e dei diritti fondamentali, salvo concreta verifica di segno contrario.
Per qualunque atto del procedimento penale rileva, in ipotesi di motivazione per relationem, è che l'atto, ancorché non allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia specificato attraverso dati identificativi e, se non conosciuto, sia agevolmente conoscibile dall'interessato, indipendentemente dalla sua esistenza e dalla validità della sua notificazione, posto che questa non rappresenta l'unico modo attraverso cui gli atti sono conoscibili nel processo.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
SENTENZA
(ud. 26/09/2024) 03/12/2024, n. 44047
Composta da
Dott. RAMACCI Luca - Presidente
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
A.A., nato a L il (Omissis);
avverso l'ordinanza del 14/07/2023 del Tribunale di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro Maria Andronio;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano Tocci, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 14 luglio 2023, il Tribunale di Reggio Calabria, quale giudice del riesame, ha confermato il provvedimento emesso in data 27 giugno 2023 dal Gip del medesimo Tribunale, con il quale era stata applicata nei confronti del ricorrente, la misura della custodia cautelare in carcere, giacché indagato per il delitto, aggravato dalla recidiva reiterata, di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, comma 1, e 80, comma 2, del D.P.R. n. 309 del 1990 - capo d'incolpazione D) -perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 del medesimo decreto, in concorso con altri, offriva in vendita a terzi non identificati un ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina, nonché per il reato, anch'esso aggravato dalla medesima recidiva, ex artt. 110 e 61, primo comma, n. 6), cod. pen., e 73;, commi 1 e 6, del D.P.R. n. 309 del 1990 - capo d'incolpazione F) - per avere,, senza la predetta autorizzazione, in concorso con altri, acquistato, ai fini di successiva cessione, 1 kg di sostanza stupefacente del tipo cocaina,, contrassegnata dallo stemma numerico (Omissis).
2. Avverso la sentenza A.A., tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si deduce la nullità del procedimento incidentale tenutosi dinnanzi al giudice del riesame, nonché quella del provvedimento reso in esito al medesimo, per violazione dell'art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen., relativamente all'omessa trasmissione degli atti impiegati per emettere l'ordinanza impugnata e alla loro tardiva produzione in udienza.
In un lungo ed articolato motivo di censura, il ricorrente ripercorre preliminarmente quanto accaduto nel corso dell'udienza camerale del 13 luglio 2023 nell'ambito del procedimento pendente n. 2516/2023 R.G.N.R., allorquando, rigettando le opposizioni della difesa in punto di tardività della produzione documentale, il Tribunale di Reggio Calabria ha accolto le richieste, avanzate dal Pubblico Ministero, dì deposito dì tutti gli atti del connesso procedimento n. 4837/2022 R.G.N.R., dell'ordinanza cautelare del 7 marzo 2023 emessa nei confronti del ricorrente nell'ambito di quel procedimento, nonché della scheda di identificazione del A.A. inerente il procedimento pendente
Dopodiché, con riferimento alla prima richiesta di ammissione - presentata in sede di discussione ed afferente al deposito dì tutti gli atti del connesso procedimento, con i relativi allegati - il ricorrente precisa che il Tribunale aveva disposto la sospensione dell'udienza, concedendo al difensore un tempo utile per l'esame di detta documentazione. Si sarebbe trattato, tuttavia, di un termine - pari a 58 minuti - incongruo rispetto alla mole degli atti, non potendosi attribuire alcun rilievo alla circostanza che il difensore già ne conoscesse il contenuto, avendo partecipato anche all'altro procedimento incidentale nel corso del quale si era già proceduto al deposito dei medesimi atti. Né il Tribunale avrebbe consentito alla difesa di estrarre copia degli atti tardivamente prodotti.
Il giudice cautelare, sul punto, si sarebbe peraltro limitato a rivendicare l'astratta legittimità del deposito di documentazione nell'udienza di riesame, altresì poggiando le proprie argomentazioni sulla circostanza che al deposito avrebbe fatto seguito l'istaurazione del contraddittorio sulle produzioni. Se non che, nel fare ciò, questi avrebbe omesso di confrontarsi sia con il dato che il deposito avrebbe avuto luogo non già in sede di discussione, bensì una volta conclusa la medesima, così impedendo l'effettiva instaurazione del contraddittorio sul contenuto degli atti e sulla loro relazione con i fatti descritti nell'imputazione cautelare, sia con la natura necessariamente limitata che lo stesso contraddittorio, in ogni caso, avrebbe avuto.
Quanto, invece, alla seconda richiesta di ammissione - riguardante l'ordinanza cautelare del 7 marzo 2023 e presentata solo dopo la conclusione della discussione - sostiene la difesa che, trattandosi di atto già menzionato ed utilizzato nel provvedimento impugnato, esso avrebbe dovuto costituire oggetto di iniziale trasmissione, anziché essere prodotto e depositato nel corso dell'udienza.
Infine, con riguardo alla terza richiesta di deposito - riferita alla scheda di identificazione del ricorrente nel procedimento pendente e anch'essa avanzata all'esito della discussione - oltre alla già censurata violazione del principio del contraddittorio per l'impossibilità della difesa di visionare il contenuto dell'atto, si evidenzia che la scheda in oggetto, costituendo atto del presente procedimento -posto che il giudice competente ne aveva utilizzato i contenuti per procedere alla identificazione dell'indagato e per emettere il provvedimento coercitivo cautelare - avrebbe dovuto essere trasmessa al Tribunale del riesame entro il termine perentorio previsto dalla legge, ovverosia entro il giorno successivo e comunque non oltre il quinto giorno dalla ricezione della richiesta.
Nella fattispecie, dunque, la produzione tardiva degli atti procedimentali già presenti nella disponibilità dell'Ufficio di Procura, in violazione dell'art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen., impendendo alla difesa di prenderne tempestivamente visione, di estrarne copia, di procedere allo studio dei medesimi, nonché di presentare memorie contenenti specifiche repliche, avrebbe integrato un'evidente lesione del diritto di difesa dell'indagato incidente sulla libertà personale ai sensi degli artt. 13 e 24 Cost. e 6, comma 3, lettera b), CEDU.
2.2. In secondo luogo, ci si duole dell'uso illegittimo della motivazione per relationem, per omesso deposito dell'atto richiamato.
Nell'apparato motivazionale del provvedimento impugnato, infatti, il Tribunale del riesame avrebbe operato numerosi richiami alle decisioni assunte nel provvedimento di rigetto adottato all'esito del diverso procedimento incidentale, senza che, tuttavia, tale atto fosse presente nel fascicolo.
2.3. Con un terzo motivo di impugnazione, si censurano l'inosservanza degli artt. 266, 266-bis, 267, 268, 270, 271, 234, 234-bis, 253, 254 e 254-bis, cod. proc. pen. e la mancata assunzione di prova decisiva, nonché il vizio di motivazione.
La censura, formulata in relazione al giudizio di gravità indiziaria, ha per oggetto le modalità di acquisizione dei relativi elementi, alla luce delle norme di diritto processuale interno.
Dopo avere premesso che tutte le questioni processuali costituenti oggetto delle relative censure sono state decise attraverso il richiamo al contenuto di altro provvedimento già emesso nell'ambito del diverso procedimento incidentale n, 4837/2022 R.G.N.R. - di talché esse riguarderanno le argomentazioni giudizialmente addotte nel richiamato provvedimento, nonostante esso non sia stato ritualmente incluso nel fascicolo afferente al presente procedimento - e dopo aver precisato che gli elementi indizianti sussistenti nel caso di specie a carico dell'odierno indagato risultano essere, per intero, ricavati dal contenuto di messaggi telematici, intercettati in territorio francese sulla base di provvedimenti autorizzativi - espressamente nominati "decreti di intercettazione" - emessi dall'autorità giudiziaria di quello Stato, il ricorrente pone il problema della natura dell'atto di indagine e, qualificando tale atto quale intercettazione ex artt. 266 ss. cod. proc. pen., lamenta la nullità dei relativi decreti, per difetto della specifica indicazione del reato oggetto di accertamento, giacché contenenti la generica descrizione di una serie di reati, alternativamente indicati, la cui futura consumazione sarebbe stata solo prevista. E ciò, a prescindere dall'omesso deposito dei verbali e delle registrazioni, previsto dall'art. 270 cod. proc. pen., il quale, nel caso di specie, in ogni caso precluderebbe, nel procedimento penale italiano, l'utilizzabilità delle intercettazioni eseguite nel procedimento penale francese.
Nullo, sarebbe, inoltre, lo stesso procedimento incidentale tenutosi dinanzi al giudice del riesame, lesivo del diritto di difesa dell'imputato, in conseguenza della mancata acquisizione al fascicolo e dell'omessa consegna alla parte privata richiedente dei relativi flussi telematici, peraltro manipolati mediante conclamate operazioni di eliminazione ed omogeneizzazione dei medesimi.
Secondo il ricorrente, l'apprensione dei messaggi telematici non potrebbe sostanziarsi in un mezzo di ricerca della prova diverso da quello delle intercettazioni telematiche e, segnatamente, in un sequestro telematico di documenti o di dati informatici: nella specie, infatti, sarebbe stata l'autorità giudiziaria francese ad effettuare le operazioni di intercettazione delle comunicazioni, mentre l'autorità giudiziaria italiana si sarebbe limitata a riceverne i risultati, afferendo, dunque, tale attività all'apprensione di una comunicazione ancora in atto. Il sequestro, anche laddove configurabile, sarebbe comunque nullo, per mancanza del relativo provvedimento autorizzativo ex artt. 253 e 254-bis cod. proc. pen. Né - sostiene la difesa - al sequestro di un documento, ovvero di dati informatici, potrebbe procedersi mediante un decreto di intercettazione, stante la diversa procedura normativamente prevista ai sensi dell'art. 234-bis cod. proc. pen. Nella fattispecie, anzi, il menzionato sequestro dovrebbe ritenersi irrituale, tenuto conto che i dati informatici, conservati all'estero, sono stati acquisiti senza il consenso del legittimo titolare, non potendosi ritenere tale l'autorità giudiziaria francese, come erroneamente affermato dal Tribunale. Illegittima sarebbe stata, poi, la raccolta dati eseguita attraverso l'impiego dello strumento investigativo dell'IMSI Catcher, per l'invasività del mezzo, la verosimile intrusione in un luogo di privata dimora, la concreta possibilità di assimilare tale atto di indagine all'acquisizione dei tabulati telefonici e la correlativa assenza del necessario provvedimento autorizzativo, con conseguente inutilizzabilità dei risultati, ex art. 191 cod. proc. pen.
Parzialmente riprendendo le argomentazioni spese nel secondo motivo di doglianza, il ricorrente censura l'illegittimo uso della motivazione per relationem, non essendovi prova di un'autonoma valutazione delle ragioni poste a base della decisione. Nello specifico, sarebbe carente il segmento argomentativo concernente l'identificazione personale del ricorrente A.A. quale soggetto che aveva fatto uso dell'apparecchio telefonico per inviare i messaggi telematici, visto il promiscuo impiego del medesimo e la rilevata assenza di un criterio di natura obiettiva per attribuirgliene la piena ed esclusiva disponibilità, specialmente tenuto conto che le utenze in questione venivano utilizzate pacificamente da diversi soggetti, che avevano nickname differenti.
2.4. Con un quarto motivo di ricorso, si lamentano l'inosservanza di norme processuali, la mancata assunzione di prova decisiva, nonché il vizio di motivazione, relativamente agli artt. 266, 266-bis, 267, 268, 270, 271, 234, 234-bis, 253, 254 e 254-bis, cod. proc. pen.
La difesa richiama, in primo luogo, quanto dedotto con memoria del 12 luglio 2023 - contenente considerazioni sostanzialmente coincidenti con quanto censurato nel motivo di ricorso sub 2.3., da intendersi qui integralmente richiamato - e ripercorre le argomentazioni spese, in risposta, dal Tribunale del riesame nel provvedimento impugnato. Il giudice cautelare aveva rilevato, nello specifico: a) l'esistenza di una presunzione di legittimità dell'attività svolta in relazione agli atti investigativi assunti dall'autorità giudiziaria estera nel corso di autonome investigazioni dalla stessa intraprese; b) la spettanza al giudice straniero della verifica della irregolarità degli atti compiuti dall'autorità straniera; c) la necessarietà della sottoposizione di tali atti, una volta introdotti nel procedimento penale italiano, e quindi ritenuti utilizzabili, a tutte le regole processuali e sostanziali proprie del nostro ordinamento; d) la legittimità dell'acquisizione di tutto il materiale informatico fornito all'autorità italiana, espletata non sulla base di attività pregresse di intercettazione, ma per effetto di provvedimenti di acquisizione emessi dall'autorità francese; e) l'impossibilità di ricondurre l'attività di acquisizione e decifrazione dei dati comunicativi oggetto delle chat nel novero delle attività di intercettazione, postulando, queste ultime, la captazione di un flusso dì comunicazioni in atto.
A fronte di tali rilievi, il difensore sostiene che alla predetta presunzione di legittimità non possa conferirsi carattere assoluto: se così non fosse, gli atti compiuti all'estero dall'autorità giudiziaria straniera sarebbero insindacabili e, dunque, violativi del principio di eguaglianza formale e sostanziale e del diritto di difesa dell'imputato, il quale si vedrebbe leso nel caso in cui, per esempio, detti atti non dovessero essere conformi alla legge del luogo nel quale essi dovrebbero trovare applicazione, con ciò ingenerando un'evidente disparità di trattamento per tutti gli imputati per i quali le prove venissero ricavate da atti compiuti all'estero da un'autorità giudiziaria diversa da quella italiana. Inoltre, non potrebbe ritenersi praticabile l'assunto per il quale spetta al giudice straniero verificare la regolarità degli atti compiuti dall'autorità estera, posto che il ricorrente non è parte nel procedimento penale nel corso del quale è stato compiuto l'atto del quale si contesta la legittimità. Tale affermazione, del resto, parrebbe contraddittoria rispetto a quanto affermato dal Tribunale del riesame nel segmento motivazionale subito successivo, ovverosia nella parte in cui afferma che il giudice italiano è tenuto a verificare la rispondenza degli atti compiuti in territorio straniero dall'autorità giudiziaria di un altro Stato alle regole processuali e sostanziali proprie del nostro ordinamento.
Secondo la difesa, un tale controllo non potrebbe essere effettuato dall'autorità giudiziaria straniera, priva del potere giurisdizionale nel territorio dello Stato italiano, spettando al solo giudice interno, ovverosia il giudice italiano, il potere di stabilire se un atto, anche se compiuto all'estero dall'autorità giudiziaria di un altro Stato, sia conforme o meno alla legge dello Stato. Ciò che, dunque, nel caso in esame, dovrebbe comportare la verifica, da parte del giudice italiano, della rituale acquisizione delle comunicazioni telematiche.
Se non che, il ricorrente denuncia come, nella specie, non vi sia stata alcuna verifica di tale tipo: pur avendo individuato il giudice italiano quale organo competente per effettuare tale controllo, il giudice cautelare avrebbe infatti omesso di procedervi, così sostanzialmente eludendo la questione afferente alla legittimità dell'atto. Né la diversa qualificazione giuridica dell'atto in termini di "sequestro di documenti", anziché di "intercettazione di comunicazioni", potrebbe escludere la necessità di verificarne la legittimità. Anche per il sequestro di dati informatici eseguito presso fornitori di servizi informatici, telematici e di telecomunicazioni ai sensi dell'art. 254-bis cod. proc. pen., infatti, la norma regolatrice prevede che l'acquisizione avvenga con una procedura che assicuri la conformità dei dati acquisiti a quelli originali e la loro immodificabilità: procedura, questa, che, nel caso di specie, non sarebbe stata eseguita dal momento che i dati, non solo non sono stati copiati su un adeguato supporto, ma sono stati anche modificati. Mancante sarebbe, poi, in ogni caso il provvedimento motivato a mezzo del quale autorizzare il sequestro dei dati telematici.
A partire da pag. 54 del ricorso, la difesa ripropone poi, nuovamente, il tema della natura dell'atto investigativo costituito dall'acquisizione dei messaggi telematici da parte dell'autorità giudiziaria francese attraverso le operazioni tecniche di controllo sul server ubicato nel territorio di quello Stato. Censurando la motivazione dell'ordinanza impugnata nella parte in cui il Tribunale del riesame ha erroneamente parlato di "provvedimenti di acquisizione" - tuttavia dimenticando che essi vengono espressamente qualificati dalla stessa autorità francese come "decreti di intercettazione" - il ricorrente torna a ribadire che, nella specie, si tratterebbe di attività di intercettazione, e non già di acquisizione di documenti. Da un lato, i documenti acquisiti sarebbero, infatti, dei messaggi telematici trasmessi impiegando un apparecchio telefonico ovvero una comunicazione intercorsa tra soggetti distinti; dall'altro, il provvedimento dispositivo della relativa apprensione sarebbe stato precedente all'invio dei messaggi, così consentendo l'acquisizione del contenuto delle comunicazioni in tempo reale, contestualmente al momento stesso della loro trasmissione. In caso contrario, si dovrebbe ammettere che il giudice francese abbia emesso un decreto di intercettazione per sequestrare documenti telematici costituenti corrispondenza. Ma anche il sequestro di corrispondenza, giacché lesivo di un interesse costituzionalmente rilevante ex art. 15 Cost., soggiace a norme specificamente previste dal nostro ordinamento, che prevedono l'adozione di un provvedimento dispositivo motivato, che, nel caso in esame, comunque risulterebbe mancante.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale del riesame, che perviene alle conclusioni sulla natura dell'atto compiuto in termini di sequestro di documenti e non di intercettazione, evidenzia il ricorrente che l'atto di indagine compiuto dall'autorità francese sarebbe da qualificarsi come intercettazione, il cui contenuto, una volta decriptato, è stato documentato con la forma del verbale, con conseguente applicazione della relativa disciplina processuale.
2.5. Un quinto motivo di censura è, invece, riferito alla violazione dell'art. 270 cod. proc. pen., sul rilievo che il deposito dei verbali e delle registrazioni non sarebbe mai stato effettuato, pur trattandosi dell'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni eseguite in altro procedimento. Oltre alla diversità insita nel fatto che si tratta di procedimenti pendenti in Stati diversi, in relazione ai quali non vi è la possibilità di un generalizzato esercizio del potere giurisdizionale, del resto, deporrebbe in tal senso la stessa diversità di contenuto degli atti procedimentali, derivante dalla diversità dei reati per i quali si procedeva in ciascuno dei procedimenti in esame.
Da qui, l'inutilizzabilità del contenuto dei messaggi telematici intercettati dall'autorità francese nell'ambito di un diverso procedimento.
Ciò premesso, la censura è diretta, in primo luogo, a denunciare la natura meramente assertiva dell'argomentazione giudiziale secondo cui i procedimenti penali avviati in stati diversi, da autorità giudiziarie diverse, in relazione a reati diversi costituirebbero lo stesso procedimento. In secondo luogo, si sottolinea che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale del riesame - secondo cui i reati per i quali sono state disposte le intercettazioni dall'autorità francese rientrerebbero nel novero di quelli per i quali è prevista l'utilizzazione anche in altri procedimenti, evidentemente diversi da quelli nei quali le stesse sono state eseguite - la tipologia del reato non inciderebbe in alcun modo sull'obbligo di deposito dei verbali e delle registrazioni quando trattasi di intercettazioni di diverso procedimento. In terzo luogo, si ribadisce, ancora una volta, l'esclusiva applicabilità della disciplina delle intercettazioni.
2.6. Con un sesto motivo, si deducono la violazione di legge ed il connesso vizio di motivazione, relativamente alle modalità di acquisizione degli elementi indizianti desunti dal contenuto dei messaggi telematici appresi dall'autorità giudiziaria francese e da questa trasmessi a quella italiana, che ne ha fatto uso per formulare il giudizio di gravità indiziaria, posta alla base della disposta misura coercitiva.
Ribadito che la presunzione di legittimità non può avere carattere assoluto, afferma la difesa di parte ricorrente che non sarebbe possibile sostenere che il procedimento impiegato da un'autorità giudiziaria straniera per acquisire all'estero elementi indizianti sia sottratto al sindacato dell'autorità giudiziaria italiana, posto che il divieto di utilizzazione non conosce eccezioni e si applica a tutti gli atti del procedimento ex art. 191 cod. proc. pen. Viziata sarebbe, inoltre, la parte motiva del provvedimento impugnato, nella parte in cui afferma la necessità, per la difesa che lamenti una illegittima acquisizione del dato da parte dell'autorità francese, di far valere davanti a quest'ultima la relativa lesione dei propri diritti, attesa l'impossibilità per il ricorrente A.A. di impugnare dinanzi al giudice francese il provvedimento limitativo della sua libertà personale emesso dal giudice italiano.
2.7. Con una settima doglianza, si denuncia la nullità del procedimento incidentale.
Il giudice del riesame avrebbe omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla mancata ostensione alla difesa dei flussi telematici e in relazione alla violazione del principio giurisprudenziale, affermato dalla Corte di cassazione, circa la necessità di verificare, mediante l'apprensione della relativa documentazione, che l'acquisizione della messaggistica mediante l'accesso ai server di (Omissis) non sia in contrasto con norme inderogabili e principi fondamentali del nostro ordinamento, esclusivamente concentrandosi, all'opposto, sul tema della mancata esibizione dei criteri di decifrazione. Se non che, affrontare questo tema richiederebbe almeno la disponibilità dei flussi da decodificare, i quali, invece, nel caso di specie, risultano assenti dal fascicolo.
2.8. Con un ottavo motivo di ricorso, si lamenta la violazione del diritto di difesa, sul rilievo che la mancata consegna dei flussi telematici e della chiave per procedere alla loro decodifica automaticamente inibirebbe alla parte privata la possibilità di esercitare le proprie prerogative difensive, ivi compresa la possibilità di dimostrare l'avvenuta manipolazione dei flussi e dei dati ricavabili dai medesimi.
Nello specifico, il ricorrente si ricollega a quanto dedotto nel precedente motivo di impugnazione e chiarisce che l'eccezione di nullità del procedimento incidentale tenutosi dinanzi al giudice del riesame non era unicamente legata alla mancata ostensione dei flussi telematici ma, anche, all'assenza di qualsiasi atto procedimentale che documentasse rilevanti attività, quali la decifrazione dei messaggi e la conseguente trascrizione dei medesimi. Dopodiché deduce la totale carenza di motivazione in ordine alla relazione consulenziale depositata dalla difesa, del tutto pretermessa dall'analisi del giudice cautelare, benché riferita all'incertezza in ordine al procedimento tecnico-pratico adottato al fine di giungere ad ottenere il dato intellegibile delle chat e all'impossibilità di verificarne la asserita inalterabilità.
2.9. Una nona censura - ampiamente ripetitiva delle precedenti - è nuovamente riferita alla natura dell'atto di acquisizione dei messaggi telematici.
Il Tribunale del riesame, confondendo le nozioni di "contenuto" e di "contenitore", avrebbe infatti erroneamente ritenuto che i messaggi telematici acquisiti dall'autorità giudiziaria francese e trasmessi a quella italiana, lungi dal costituire vere e proprie intercettazioni, altro non fossero che documenti, pur qualificandoli esso stesso come intercettazioni nella parte in cui richiama una sentenza che assegna loro detta natura.
2.10. Con l'ultimo motivo di impugnazione, si lamenta, infine, la violazione dell'art. 354 cod. proc. pen. e del principio della inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost.
Il ricorrente rappresenta l'inutilizzabilità dei risultati - afferenti all'identificazione dell'imputato quale soggetto autore dei messaggi telematici inviati attraverso l'impiego di una determinata utenza, avente quale formale intestatario tale B.B. - acquisiti per effetto dell'atto investigativo compiuto per mezzo dello strumento denominato IMSI Catcher, sulla base della rilevata mancanza di un apposito provvedimento autorizzativo. Secondo quanto precisato dalla difesa, trattasi, nello specifico, di un sistema che viene impiegato per raccogliere dati che non sono nella disponibilità dell'autorità giudiziaria; dati che, da un lato, sono finalizzati a consentire il proseguimento delle indagini e che, dall'altro, vengono poi utilizzati come veri e propri elementi di prova a carico dell'imputato, quantomeno con riferimento alla identificazione personale del medesimo. Tale atto, dunque, diversamente da quanto rappresentato dal Tribunale del riesame, non sarebbe prodromico alla esecuzione di operazioni di intercettazione delle comunicazioni da eseguirsi in relazione all'utenza telefonica individuata per effetto dell'impiego del menzionato strumento. Nel caso in esame, infatti, l'utenza telefonica era già conosciuta dagli inquirenti, residuando, piuttosto, il problema di localizzare l'utenza in questione, ovvero di stabilire in quale luogo essa fosse operativa, giacché impiegata per trasmettere messaggi.
Nella specie, tuttavia, tale problema sarebbe stato risolto dagli ufficiali di Polizia Giudiziaria portandosi nei pressi dell'abitazione del ricorrente e raccogliendo, mediante l'uso del menzionato strumento, dati unicamente impiegati per abbinare l'utenza, già individuata, al soggetto, anch'esso già identificato, e, quindi, al solo fine di acquisire la prova in punto di identificazione del medesimo. Contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale del riesame, l'atto di indagine compiuto con lo strumento in contestazione - non essendo stato impiegato nella immediatezza del fatto e non essendo servito per acquisire la disponibilità di cose pertinenti al reato o con lo scopo di evitare la dispersione delle tracce del medesimo - non sarebbe parificabile agli atti urgenti della P.G., previsti dall'art. 354 cod. proc. pen.; di talché esso avrebbe dovuto essere espletato previa autorizzazione.
3. In data 30 agosto 2024, la difesa dell'indagato ha depositato memoria, con la quale insiste in quanto già dedotto.
Nella prima parte dell'atto, la difesa richiama, innanzitutto, la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia UE in data 30 aprile 2024 e la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione del 29 febbraio 2024. Si ricorda che, secondo la Corte di Giustizia, allorquando il diritto di difesa venga violato, trova applicazione la sanzione processuale dell'inutilizzabilità; e ciò accade nel caso in cui l'imputato non possa confutare gli elementi a carico, venendo così privato degli strumenti per potersi difendere. Ne consegue che l'omessa ostensione dei flussi telematici, la mancata consegna della chiave di decriptazione, nonché l'impossibilità di disporre dei verbali di trascrizione delle comunicazioni captate nella forma integrale, determina la predetta violazione e, dunque, l'inutilizzabilità degli elementi a carico. Anche la richiamata pronuncia della Corte di Giustizia, peraltro, qualifica la captazione di ogni dato telematico quale attività di intercettazione; di talché, in mancanza del relativo provvedimento autorizzativo, i dati acquisiti sarebbero inutilizzabili.
Per il ricorrente, anche la sentenza delle Sezioni Unite ha posto l'accento sulla violazione del diritto di difesa, allorché ha subordinato la piena utilizzabilità delle prove acquisite all'estero secondo la lex loci al rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento interno, differenziandosi dalla pronuncia dell'organo giurisdizionale sovranazionale solo per le modalità di realizzazione della violazione e per la distribuzione dell'onere probatorio. Laddove la sentenza della Corte di Giustizia prevede che già la mancata ostensione degli atti determini la lesione del diritto di difesa, per l'impossibilità che ne deriva di formulare conclusioni sugli elementi a carico, le Sezioni Unite richiedono la concreta dimostrazione dell'esistenza del rischio di alterazione del dato telematico, sostenendo che, non potendo la chiave di decriptazione generare dati erronei, la conseguente operazione di cifratura sarà sempre corretta. A parere del ricorrente, dunque, tale pronuncia fissa il principio secondo cui spetta alla difesa dimostrare l'errore nella trascrizione dei dati telematici, così assurgendo il diritto di accesso agli atti a condizione essenziale per poter esercitare le prerogative difensive.
Nel caso di specie, dunque, tale diritto risulterebbe inibito ab origine, non disponendo l'indagato di ciò di cui necessita per poter controdedurre e contrastare l'accusa, come richiesto dalla Corte di Giustizia, in violazione dell'art. 111 Cost. Da qui, la necessità di interpretare la sentenza interna confrontandola con quella sovranazionale.
Tutto ciò premesso, la difesa ripropone, dunque, le medesime censure già avanzate nel ricorso principale, richiamando in gran parte argomentazioni ivi già spese.
A pag. 24 della memoria, la difesa solleva, infine, questione di legittimità costituzionale dell'art. 270, comma 2, cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., anche con riferimento all'art. 268, comma 5, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede un divieto probatorio diretto di utilizzabilità dei risultati acquisiti, collegato all'inadempimento dell'obbligo di deposito dei verbali e delle registrazioni, attesa la rilevanza costituzionale degli interessi coinvolti.
4. Con successiva memoria di replica, datata 20 settembre 2024, il difensore insiste nel censurare la mancata ostensione dei flussi telematici, della chiave di decriptazione e dei relativi verbali di trascrizione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo di censura, relativo alla violazione dell'art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen., quanto alla tardiva produzione in udienza degli atti impiegati per emettere l'ordinanza impugnata, è infondato.
1.1.1. La questione circa la possibilità che il Pubblico Ministero arricchisca il quadro conoscitivo del Tribunale del riesame attraverso la produzione di elementi di prova di cui aveva già la disponibilità attiene in primo luogo al rispetto del contraddittorio nel procedimento di riesame. Va ricordato che, a seguito delle modifiche introdotte con la legge n. 332 del 1995, grava sul Pubblico Ministero l'obbligo di presentare al giudice anche gli elementi a favore dell'indagato nonché le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate, innovazione che ha ampliato le garanzie per la persona sottoposta ad indagini e che ha incrementato gli spazi di conoscenza attribuiti al giudice nella fase del controllo sul provvedimento cautelare. Allo stesso tempo, risulta potenziato il procedimento di riesame, che ha particolare efficienza e rapidità, soprattutto attraverso l'effetto caducatorio dell'ordinanza determinato dall'inosservanza del termine perentorio previsto dall'art. 309, comma 5, cod. proc. pen.: la prevista trasmissione degli atti al Tribunale finisce per assicurare anche l'operatività del contraddittorio. Infatti, al Tribunale del riesame pervengono tutti gli atti in precedenza presentati a sostegno della richiesta di misura cautelare, senza che il Pubblico Ministero possa compiere alcuna selezione del materiale, altrimenti il giudizio di riesame verrebbe alterato da una trasmissione frazionata o parziale di atti, con conseguente pregiudizio per lo stesso contraddittorio. D'altra parte, oltre agli atti sui quali si è formata la decisione cautelare l'art. 309, comma 5, cod. proc. pen. prescrive che siano trasmessi anche gli elementi sopravvenuti a favore dell'indagato e la giurisprudenza ha ritenuto legittima anche la produzione di elementi a carico, a cui si contrappongono gli esiti delle indagini difensive che l'indagato può introdurre nel giudizio di riesame.
È evidente, da un lato, l'equilibrio tra le parti che la disciplina processuale vuole assicurare, dall'altro, la preoccupazione di attribuire al Tribunale del riesame la stessa posizione in cui si è trovato il giudice della cautela al momento dell'emissione della misura. Questa situazione di equilibrio si ripropone anche nel corso dell'udienza, prevedendo l'art. 309, comma 9, cod. proc. pen. che il giudice del riesame decida "anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza". Tuttavia, se anche si dovesse ritenere che la norma faccia riferimento agli elementi nuovi conosciuti dalle parti dopo lo scadere del termine perentorio, deve riconoscersi che le norme in esame comunque mirano ad assicurare il contraddittorio sul contenuto indiziario e sul fondamento dei presupposti cautelari, nel rispetto del diritto di difesa dell'indagato, sicché un tale obiettivo presuppone che il soggetto interessato sia posto nelle condizioni di difendersi concretamente attraverso la conoscenza degli atti. Tale conoscenza è assicurata dalla possibilità che è riconosciuta al difensore di esaminare gli atti depositati nella cancelleria del giudice a quo e del giudice del riesame, funzionale alla sua partecipazione informata alla discussione davanti al Tribunale.
Se si dovesse ammettere, senza alcun bilanciamento, la produzione in udienza ex art. 309, comma 9, cod. proc. pen. degli elementi in possesso del Pubblico Ministero e da questi non posti a base della domanda cautelare, l'equilibrio del sistema rischierebbe di incrinarsi, in quanto si tradurrebbe in una menomazione dell'attività difensiva, venendo compromesso il contraddittorio tra le parti: l'indagato si troverebbe a dover fronteggiare un elemento sfavorevole di cui il Pubblico Ministero era già in possesso e presentato solo all'udienza camerale, peraltro oltre il termine perentorio di cinque giorni previsto dall'art. 309, comma 5, cod. proc. pen. Tuttavia, deve rilevarsi che è ben possibile che un elemento ritenuto dal Pubblico Ministero irrilevante al momento della richiesta della misura cautelare, possa diventare importante e rilevante nel prosieguo delle indagini, sicché parrebbe difficile ipotizzare una sua inutilizzabilità nello stesso procedimento di riesame, avente ad oggetto la misura in precedenza richiesta. In questi casi non è possibile parlare di inefficacia della misura coercitiva ex art. 309, comma 10, cod. proc. pen., in quanto la trasmissione degli atti è stata tempestiva e la produzione tardiva riguarda un singolo atto, inoltre non vi è spazio neppure per ipotizzare un caso di inutilizzabilità dell'atto, perché una tale sanzione processuale - che peraltro è una categoria di stretta interpretazione, che riguarda le prove in dibattimento - non è prevista da alcuna disposizione. Deve allora ritenersi che la produzione direttamente all'udienza di riesame di elementi a carico dell'indagato, che non siano stati posti a base della richiesta di misura cautelare, incida sul diritto di difesa, configurando una causa di nullità ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione all'assistenza dell'indagato, in tutti i casi in cui questi non sia messo nelle condizioni di difendersi concretamente. In altri termini, in presenza di tali produzioni, il Tribunale del riesame deve assicurare il rispetto pieno del contraddittorio tra le parti, assegnando all'indagato un congruo termine a difesa.
D'altra parte, si tratta di una soluzione che, sebbene con riferimento ad una diversa situazione, è stata indicata dalle Sezioni Unite di questa Corte che, in materia di appello cautelare, hanno affermato il principio secondo cui è consentito al Pubblico Ministero produrre documentazione relativa ad elementi probatori nuovi, siano essi preesistenti o sopravvenuti, purché tali elementi riguardino lo stesso fatto contestato con l'originaria richiesta cautelare e sia assicurato nel procedimento camerale il contraddittorio delle parti, anche mediante la concessione di un congruo termine a difesa (Sez. U., n. 18339 del 31/03/2004; Rv. 2273.57).
1.1.2. Ebbene, nel caso di specie, la verifica sul pieno rispetto del principio del contraddittorio risulta adeguatamente compiuta dal Tribunale del riesame.
In primo luogo, è stato debitamente concesso dal Tribunale un termine a difesa, volto a consentire al difensore di parte ricorrente di prendere visione della documentazione afferente agli atti del diverso procedimento n. 4837/2022 R.G.N.R., da ritenersi congruo, tenuto conto che il difensore era già a conoscerne di tali atti, avendo già assistito il A.A. anche durante il menzionato, differente, procedimento. In secondo luogo, risulta dall'esame degli atti - peraltro allegati dallo stesso ricorrente alle pagg. 4-6 del ricorso - consentito a questa Corte per il fatto che trattasi di un error in procedendo, che l'ordinanza cautelare fosse stata trasmessa già in data 24 giugno 2023, di talché la difesa avrebbe certamente avuto modo di prenderne visione. Infine, quanto alla censurata tardiva produzione, in giudizio, della scheda di identificazione, occorre rilevare che trattasi, invero, di un mero documento riepilogativo dei risultati delle investigazioni, il cui contenuto era agevolmente ricavabile dagli altri atti e verbali delle iniziative degli inquirenti, messi a disposizione dell'autorità giudicante e, peraltro, conoscibili dalla difesa giacché parzialmente coincidenti con le operazioni investigative svolte nell'ambito del diverso procedimento n. 4837/2022 R.G.N.R.
Ne consegue che non vi è spazio per l'accoglimento delle censure difensive, che neanche in questa sede hanno illustrato, peraltro, in termini sufficientemente specifici, la compiuta decisività di tali atti, omettendo di spiegare - pur nell'ampiezza del motivo di impugnazione - le ragioni in virtù delle quali, in mancanza di tali acquisizioni, non si sarebbe pervenuti alla medesima conclusione in punto di gravità indiziaria (ex plurimis, su fattispecie analoghe, Sez. 5, n. 21205 del 03/03/2017, Rv. 270050; Sez. 2, n. 20191 del 04/02/2015, Rv. 263522; Sez. 6, n. 8657 del 12/12/2013, dep. 2014, Rv. 258797; Sez. 3, n. 37009 del 07/07/2011, Rv. 251392).
1.2. La seconda doglianza, con la quale si deduce l'illegittimità della motivazione per relationem, per l'omesso deposito dell'atto richiamato, è manifestamente infondata.
1.2.1. Sul punto, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare, a Sezioni Unite, il principio, valido per qualunque atto del procedimento penale, secondo cui ciò che rileva, in ipotesi di motivazione per relationem, è che l'atto, ancorché non allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia specificato attraverso dati identificativi e, se non conosciuto, sia agevolmente conoscibile dall'interessato, indipendentemente dalla sua esistenza e dalla validità della sua notificazione, posto che questa non rappresenta l'unico modo attraverso cui gli atti sono conoscibili nel processo (ex multis, Sez. U, n, 17 del 21/06/2000, Rv. 216664; Sez. 2, n. 18741 del 01/04/2016, Rv. 267116; Sez. 5, n. 11191 del 12/02/2002, Rv. 221127).
1.2.2. Nel caso in esame, anche se l'ordinanza di rigetto emessa all'esito del diverso procedimento incidentale non risulta allegata fisicamente al fascicolo, non è possibile dubitare del fatto che le argomentazioni contenute in detto provvedimento fossero note al A.A., che a tale procedimento aveva partecipato in qualità di indagato. Con la conseguenza che del tutto legittimo deve pertanto considerarsi il rinvio per relationem operato dal Tribunale.
1.3. Il terzo e il quarto motivo di gravame - che possono trattarsi congiuntamente, giacché entrambi riguardanti l'inosservanza di norme processuali, la mancata assunzione di prova decisiva, nonché il vizio di motivazione, relativamente agli artt. 266, 266-bis, 267, 268, 270, 271, 234, 234-bis, 253, 254 e 254-bis, cod. proc. pen. - sono infondati.
1.3.1. In un primo momento, la giurisprudenza di questa Corte, nell'esaminare le delicate questioni in tema di utilizzazione della messaggistica criptata sulla piattaforma (Omissis), acquisita mediante ordine europeo di indagine da autorità estera che ne aveva eseguito la decriptazione, non è pervenuta a conclusioni uniformi.
Secondo l'orientamento prevalente, infatti, le chat su sistema (Omissis), costituendo rappresentazioni comunicative incorporate in una base materiale con un metodo digitale o comunque dati informativi di natura documentale conservati all'estero e non un flusso comunicativo, erano acquisibili per mezzo di ordine europeo di indagine, ai sensi dell'art. 234-bis cod. proc. pen., sicché non poteva trovare applicazione la disciplina delle intercettazioni di cui agli artt. 266 e 266-bis cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, Rv. 283998 - 01; Sez. 3, n. 47201 del 19/10/2023, Rv. 285350 - 01; Sez. 1, n. 34059 del 01/07/2022, n.m.).
La contrapposta posizione, invece, escludeva la legittimità dell'acquisizione con lo strumento dell'art. 234-bis cod. proc. pen. sul presupposto che l'oggetto dell'acquisizione all'estero della messaggistica criptata sulla piattaforma (Omissis) non costituisse dato informatico, ritenendo dunque necessario distinguere l'ipotesi in cui l'attività acquisitiva avesse riguardato comunicazioni avvenute nella fase statica da quella avente ad oggetto comunicazioni avvenute nella fase dinamica, trovando, nel primo caso, applicazione le disposizioni in materia di perquisizione e sequestro e, - in particolare, quella ex art. 254-bis cod. proc. pen., nel secondo caso quelle di cui agli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., in materia di intercettazioni telefoniche (Sez. 6, n. 44154 del 26/10/2023, Rv. 285284 - 01; Sez. 6, n. 44155 del 26/10/2023, Rv. 285362 - 01).
Con sentenza del 29 febbraio 2024, le Sezioni Unite di questa Corte si sono pronunciate sul punto e, risolvendo il contrasto giurisprudenziale esistente, hanno statuito che, in materia di ordine europeo indagine, la trasmissione del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall'autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 234-bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nella disciplina relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. U., n. 23755 del 29/02/2024, Rv. 286573-01; Sez. U., n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 286589-01). Con riferimento all'acquisizione, effettuata mediante O.E.I., di messaggi scambiati su chat di gruppo tramite un sistema cifrato, e già a disposizione dell'autorità giudiziaria straniera, dunque, non è applicabile la disciplina di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen., perché la stessa è alternativa e incompatibile rispetto a quella dettata in tema di O.E.I. Ed invero, l'art. 234-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 2, comma 1-bis, del D.L. n. 7 del 18 febbraio 2015, convertito con modificazioni, dalla legge n. 43 del 17 aprile 2015, prevede testualmente che: "È sempre consentita l'acquisizione di documenti e dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest'ultimo caso, del legittimo titolare". Tale disposizione, dunque, disciplina non un mezzo di prova, bensì una modalità di acquisizione di particolari tipologie di elementi di prova presenti all'estero, che viene attuata in via diretta dall'autorità giudiziaria italiana e prescinde da qualunque forma di collaborazione con le autorità dello Stato in cui tali dati sono custoditi. Il sistema dell'O.E.I. regola anch'esso una modalità di acquisizione degli elementi di prova transfrontalieri, la quale, però, si realizza nell'ambito di rapporti di collaborazione tra autorità giudiziarie di Stati diversi dell'Unione. Trattasi, dunque, di discipline che si riferiscono a vicende tra loro diverse già per il presupposto di applicazione: la prima riguarda l'acquisizione di elementi conservati all'estero, che prescinde da forme di collaborazione con l'autorità giudiziaria di altro Stato; la seconda attiene, invece, all'acquisizione di elementi conservati all'estero da ottenere od ottenuti con la collaborazione dell'autorità giudiziaria di altro Stato.
Le Sezioni Unite, dunque, hanno superato il principio affermato dalla giurisprudenza maggioritaria in forza del quale la messaggistica oggetto di esame poteva essere acquisita nel procedimento ai sensi dell'art. 234-bis cod. proc. pen., alla stregua di dati informatici di natura documentale conservati all'estero, per approdare alla diversa conclusione che l'acquisizione ed utilizzazione dei messaggi in questione è sottoposta a regole, limiti e garanzie diverse, che dipendono dalle modalità con cui l'autorità estera ha, a sua volta, acquisito i dati conservati nel server. In particolare, se ciò è avvenuto mediante captazione, condotta in tempo reale, di un flusso di comunicazioni in atto, si è realizzata attività di intercettazione in procedimento separato con la conseguenza che trova applicazione l'art. 270 cod. proc. pen. Qualora, invece, fossero ottenute da autorità giudiziaria estera trascrizioni di comunicazioni già avvenute e conservate nella memoria dei supporti utilizzati dai dialoganti, allora i relativi dati sarebbero da considerare documenti, acquisibili ai sensi dell'art. 238 cod. proc. pen.
1.3.2. Dunque la disposizione di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen. è inapplicabile in materia di acquisizione ed utilizzabilità dei dati relativi alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema criptato (Omissis), perché si tratta di disciplina alternativa e, quindi, incompatibile con quella relativa al sistema dell'O.E.I.
Nel caso in esame, del resto, l'O.E.I. ha ad oggetto l'acquisizione, da parte dell'autorità giudiziaria italiana, di messaggi scambiati su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, e già a disposizione dell'autorità giudiziaria francese; circostanza peraltro incontroversa, concordando, sul punto, sia l'ordinanza impugnata che la prospettazione dello stesso ricorrente. Il Pubblico Ministero, dunque, ha agito nell'ambito dei poteri previsti nel Capo I del Titolo III del D.Lgs. n. 108 del 21 giugno 2017, recante attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all'ordine europeo d'indagine penale. Si tratta di strumento inteso ad implementare le già esistenti forme di cooperazione penale nell'ambito dell'Unione di cui all'art. 82, paragrafo 1, TFUE, che si fonda sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie. Tale principio è a sua volta fondato sulla fiducia reciproca, nonché sulla presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali. La previsione di tale strumento, dunque, si correla all'esigenza di assicurare un meccanismo efficace, di carattere generale, rispettoso del principio di proporzione (posto dall'undicesimo Considerando della direttiva), a sua volta collegato a quello del reciproco riconoscimento e della fiducia nel rispetto del diritto dell'Unione (di cui al sesto Considerando) da parte degli Stati membri e che, comunque, deve assicurare il rispetto dei diritti fondamentali (dodicesimo Considerando). In tale cornice, si inseriscono l'art. 2 della direttiva, secondo cui "Gli Stati membri eseguono un O.E.I. in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alla presente direttiva" e l'art. 9, secondo cui "L'autorità di esecuzione riconosce un O.E.I., trasmesso conformemente alle disposizioni della presente direttiva, senza imporre ulteriori formalità e ne assicura l'esecuzione nello stesso modo e secondo le stesse modalità con cui procederebbe se l'atto d'indagine in questione fosse stato disposto da un'autorità dello Stato di esecuzione, a meno che non decida di addurre uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione ovvero uno dei motivi di rinvio previsti dalla presente direttiva". Pertanto, l'ordine europeo di indagine deve aver ad oggetto una prova acquisibile nello Stato di emissione e deve essere eseguito in conformità di quanto previsto nello Stato di esecuzione per il compimento di un analogo atto di acquisizione probatoria, potendosi peraltro presumere il rispetto di tale disciplina e dei diritti fondamentali, salvo concreta verifica di segno contrario (Sez. 6, n. 48330 del 25/10/2022, Rv. 284027, in motivazione).
Il Pubblico Ministero, con l'O.E.I. in esame, non ha richiesto all'autorità giudiziaria dell'altro Stato membro UE di procedere ad un atto di indagine, ma ha agito ai sensi dell'art. 45 del decreto citato, ai limitati fini di chiedere la trasmissione di documentazione acquisita nel corso di un diverso procedimento pendente in quel Paese. Nel caso di specie, dunque, l'ordine europeo di indagine doveva solo dare conto dello specifico oggetto della prova, essendo rimessa allo Stato di esecuzione, con le modalità previste in quell'ordinamento, la concreta acquisizione della prova da trasferire (Sez. 2, n. 2173 del 22/12/2016, dep. 2017; 269000). In conclusione, quanto chiesto dall'autorità giudiziaria italiana, e consegnato dall'autorità giudiziaria francese, attiene a prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione; ciò che ha importanti conseguenze ai fini della disciplina applicabile.
1.3.3. Cionondimeno, tale assunto non rende illegittima l'acquisizione, né preclude l'utilizzabilità dei dati relativi alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema criptato (Omissis), ottenuti dall'autorità giudiziaria francese in esecuzione di O.E.I. emesso dal Pubblico Ministero italiano. Invero, l'errore di qualificazione in cui è incorsa l'ordinanza impugnata non determina l'annullamento della stessa, sulla base di quanto previsto dall'art. 619, comma 1, cod. proc. pen.: l'errore rilevato, precisamente, non ha avuto influenza decisiva sul dispositivo, in quanto, nella specie, sussistono le condizioni di ammissibilità necessarie per emettere legittimamente l'O.E.I. e non risultano violazioni dei diritti fondamentali.
In primo luogo, può ritenersi, infatti, soddisfatta la condizione di ammissibilità prevista dall'art. 6, paragrafo 1, lettera b), della Direttiva 2014/41/UE, la quale richiede che l'atto o gli atti richiesti avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo. Ebbene, nell'ordinamento processuale penale italiano, le prove già disponibili in altri procedimenti possono essere richieste ed acquisite dalle parti interessate. Con la conseguenza che, quando l'O.E.I. avanzato dal Pubblico Ministero italiano riguarda prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione, non vi sono ragioni per ritenere che il medesimo debba munirsi di preventiva autorizzazione del giudice del procedimento nel quale si vorrebbe utilizzarle, quale condizione necessaria ex art. 6 della Direttiva 2014/41/UE, siccome condizione non prevista nel nostro ordinamento, né altrimenti desumibile dal sistema dell'O.E.I. (Sez. U., n. 23755 del 29/02/2024, Rv. 286573-02; Sez. U., n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 286589-02). L'emissione, da parte del Pubblico Ministero, di O.E.I. diretto ad ottenere il contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall'autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, dunque, non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano - come avvenuto nel caso di specie - perché una tale autorizzazione non è richiesta, nell'ordinamento italiano, per l'acquisizione del contenuto di comunicazioni telefoniche già acquisite in altro procedimento, eventualmente anche se, a norma dell'art. 132 D.Lgs. n.,196 del 2003, presso i gestori di servizi telefonici o telematici. Secondo i principi enunciati, peraltro, anche a voler ritenere che detti atti siano qualificabili come risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, la loro acquisizione può essere effettuata sulla base di O.E.I. emesso dal Pubblico Ministero in assenza di preventiva autorizzazione del giudice, in quanto tale autorizzazione non è richiesta nell'ordinamento italiano per l'utilizzazione degli esiti di intercettazioni in procedimenti diversi da quelli in cui sono state disposte.
Né, peraltro, può ritenersi sussistente un potere di vaglio della legittimità del procedimento di acquisizione della documentazione in questione in capo all'autorità decidente italiana, essendo tale argomento smentito dal contesto normativo di riferimento e dalla natura dello strumento investigativo utilizzato. Contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, infatti, si è già affermato nella giurisprudenza di legittimità che l'utilizzazione degli atti trasmessi mediante rogatoria attiva, non è condizionata ad un accertamento da parte del giudice italiano concernente la regolarità delle modalità di acquisizione esperite dall'autorità straniera, in quanto vige la presunzione di legittimità dell'attività svolta e spetta al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarità lamentata nella fase delle indagini preliminari (ex multis, Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, in motivazione; Sez. 6, n. 44882 del 04/10/2023, Rv. 285386; Sez. 3, n. 1396 del 12/10/2021, dep. 2022, in cui in motivazione si rinvia anche a Sez. 5, n. 1405 del 16/11/2016, dep. 2017, Rv. 269015; Sez. 2, n. 24776 del 18/5/2010, Rv. 247750; Sez. 1, n. 21673 del 22/1/2009, Rv. 243796; Sez. 5, n. 45002 del 13/7/2016, Rv. 268457). Va quindi ribadito il principio per cui è precluso all'autorità richiedente un vaglio in ordine alla legittimità delle modalità di esecuzione dell'atto rogatoriale qualora non sia stata indicata alcuna specifica formalità nella richiesta di assistenza giudiziaria, ed a maggior ragione quando l'atto di indagine sia stato svolto in precedenza, nel corso di autonome investigazioni intraprese dallo Stato estero, fermo restando che tale atto, una volta introdotto nel procedimento italiano a seguito di relazioni rogatoriali, e quindi utilizzabile, sarà poi sottoposto a tutte le regole processuali e sostanziali proprie dell'ordinamento italiano, in particolare quanto alla valutazione da parte del giudice del compendio delle acquisizioni documentali ed investigative ed alle possibilità di esercitare le prerogative di tutela da parte dell'indagato (Sez. 3, n. 1396 del 12/10/2021, dep. 2022). Ciò che, in altri termini, equivale a dire che il giudice italiano non può e non deve conoscere della regolarità degli atti di esecuzione di attività di indagine compiuta dall'autorità giudiziaria straniera, giacché detta attività investigativa è eseguita secondo la legislazione dello Stato straniero; e, a maggior ragione, ciò vale ove l'originaria attività investigativa non sia stata compiuta su richiesta dell'autorità giudiziaria italiana, ma sia stata eseguita, nell'ambito di altro procedimento instaurato nello Stato estero, su iniziativa di quell'autorità giudiziaria i cui esiti sono stati trasmessi, come dati c.d. freddi, siccome acquisiti in epoca antecedente alla richiesta di O.E.I. (Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, dep. 2023. Rv. 283998, in motivazione). Come già precedentemente chiarito, nel caso in esame, del resto, trattasi non di una richiesta di procedere a intercettazioni, ma di una richiesta di acquisizione degli esiti documentali di attività di indagine che l'autorità straniera ha già svolto, nella sua piena autonomia, nel rispetto della sua legislazione in relazione ad altri reati; di talché la tutela giurisdizionale relativa a tali atti non può che trovare spazio in tale ordinamento.
1.3.4. Parimenti rispettata - nel caso qui in esame - è l'altra condizione di ammissibilità, posta dall'art. 6, paragrafo 1, lettera a), Direttiva 2014/41/UEE, relativa alla necessità di proporzione dell'O.E.I. L'esame di tale profilo, invero, deve essere compiuto avendo riguardo al procedimento nel cui ambito è emesso l'ordine europeo di indagine. Nella specie, nessuna precisa questione risulta posta in relazione a questo aspetto; in ogni caso, l'ordinanza impugnata evidenzia che l'O.E.I. è stato emesso dopo l'acquisizione di precisi elementi a carico di A.A., in quel momento già sottoposto ad indagini per i reati di partecipazione all'associazione dedita al traffico di droga, facente capo a C.C. e D.D.
1.3.5. Né, alla luce di quanto precede, può dirsi che, nel presente procedimento, sia stata accertata la violazione di diritti fondamentali. In primo luogo, i dati probatori trasmessi dall'autorità giudiziaria francese sono stati acquisiti in un procedimento penale pendente davanti ad essa sulla base di provvedimenti autorizzativi adottati da un giudice in relazione ad indagini per gravi reati ed ampiamenti motivati in punto di gravità indiziaria - relativamente alla quale, peraltro, costituisce concreta e specifica fonte indiziante a carico degli utenti anche lo stesso ricorso al sistema (Omissis) -; in secondo luogo deve escludersi che l'indisponibilità delle chiavi di cifratura necessarie per rendere le comunicazioni acquisite intellegibili costituisca una violazione dei diritti di difesa e della garanzia di un giusto processo (v. infra, sub 1,6.).
1.3.6. Quanto, poi, alla ritenuta illegittimità del sistema di raccolta dati eseguita attraverso l'impiego dello strumento investigativo dell'IMSI Catcher, si rimanda alle considerazioni svolte di seguito sub 1.7. Per quanto concerne il censurato difetto di motivazione in ordine al segmento argomentativo riguardante l'identificazione personale del ricorrente A.A. quale soggetto che avrebbe fatto uso dell'apparecchio telefonico per inviare i messaggi telematici, la motivazione del provvedimento risulta sufficientemente coerente, allorché (alle pagg. 21-29) evidenzia espressamente i molteplici elementi e riscontri individualizzanti: i frequenti riferimenti a tale A.A.; i richiami sovente compiuti nelle conversazioni ai rapporti di parentela con lo zio C.C.; le indicazioni di compleanni di stretti congiunti verificati dalla P.G. operante; le ulteriori precisazioni relative a rapporti di parentela e a fatti di vita privata, anch'essi accertati dagli investigatori; le localizzazioni dei codici IMEI abbinati agli account attribuiti all'odierno ricorrente, coincidenti con i controlli effettuati sul territorio nei confronti dello stesso.
1.4. Il quinto motivo di censura, con il quale si deduce la violazione dell'art. 270 cod. proc. pen. sul rilievo che il deposito dei verbali e delle registrazioni, così come normativamente previsto, non sarebbe mai stato effettuato, pur trattandosi dell'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni eseguite in altro procedimento, è manifestamente infondato.
Ai fini dell'utilizzabilità dei risultati di intercettazioni legittimamente eseguite in altro procedimento ai sensi dell'art. 270 cod. proc. pen. non è richiesto il deposito delle registrazioni di esse, come pure dei verbali e dei decreti di autorizzazione, giacché tali inosservanze non rientrano fra quelle indicate, con carattere di tassatività, dall'art. 271 cod. proc. pen. (ex multis, Sez. 5, n. 1801 del 16/07/2015, dep. 2016, Rv. 266410; Sez. 5, n. 14783 del 13/03/2009, Rv. 243609; Sez. 6, n. 27042 del 18/02/2008, Rv. 240972; Sez. 6, n. 26010 del 23/04/2004, Rv. 229973; Sez. 4, n. 44518 del 24/09/2003, Rv. 226815). Tale norma, infatti, fa conseguire l'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni alle sole ipotesi ivi disciplinate; con la conseguenza che, non contestandosi, nella specie, la sussistenza di quei presupposti normativamente indicati, non può ritenersi l'inutilizzabilità degli esiti di quelle intercettazioni.
Quanto, poi, all'individuazione della disciplina applicabile all'acquisizione, effettuata mediante O.E.I., di messaggi scambiati su chat di gruppo tramite un sistema cifrato, e già a disposizione dell'autorità giudiziaria straniera, devono ritenersi integralmente richiamate le considerazioni svolte sub 1.3.
1.5. Il sesto motivo di gravame - inerente alle modalità di acquisizione degli elementi indizianti desunti dal contenuto dei messaggi telematici - è infondato.
Valgono sul punto le considerazioni svolte sub 1.3., da intendersi qui integralmente richiamate.
1.6. Anche la settima e l'ottava censura - che possono essere trattate congiuntamente giacché riguardanti entrambi la mancata consegna dei flussi telematici e della chiave per procedere alla loro decodifica, che inibirebbe alla parte privata l'esercizio del diritto di difesa, ivi compresa la possibilità di dimostrare l'avvenuta manipolazione dei flussi e dei dati ricavabili dai medesimi - sono infondate.
1.6.1. Trattasi, invero, di richieste improprie, giacché afferenti all'accesso ad un sistema di messaggistica illecito, quale appunto il sistema (Omissis)., rappresentante una piattaforma di comunicazione criptata che consente lo scambio di comunicazioni utilizzando i criptofonini, ovverosia smartphone opportunamente modificati nel software con l'unico scopo di garantirne l'inviolabilità, poiché il relativo sistema operativo è caratterizzato da particolari requisiti di sicurezza che si possono riassumere nella cifratura dei dati trasmessi e di quelli memorizzati, nella possibilità per l'utilizzatore di cancellare, quasi in tempo reale e anche da remoto, l'intera memoria del telefono inserendo un c.d. panic code, o nella possibilità di segnalare la presenza di sistemi di individuazione o di tentativi di aggressione informatica da parte di agenti esterni.
In tema di intercettazioni di flussi comunicativi, peraltro, è principio consolidato quello secondo cui l'indisponibilità dell'algoritmo utilizzabile per la decriptazione dei dati informatici non determina alcuna lesione del diritto di difesa, visto che l'interessato può avvalersi della procedura prevista dall'art. 268, commi 6 e 7, cod. proc. pen. per verificare il contenuto delle captazioni, ma non può anche pretendere un controllo diretto mediante l'utilizzo esclusivo e non mediato del programma di decriptazione (Sez. 6, n. 14395 del 27/11/2018, dep. 2019, Rv. 275534). Principio che, da ultimo, è stato ribadito anche delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno precisato, ancora una volta, che l'impossibilità per la difesa di accedere all'algoritmo utilizzato nell'ambito di un sistema di comunicazione per criptare il testo delle stesse non determina alcuna violazione dei diritti fondamentali, dovendo negarsi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura. Ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo, anche solo parzialmente (Sez. U., n. 23755 del 29/02/2024, Rv. 286573-06; Sez. U., n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 286589-05). Né, d'altra parte - precisano le citate Sezioni Unite - la giurisprudenza sovranazionale risulta aver affermato che l'indisponibilità dell'algoritmo di decriptazione agli atti del processo costituisca, di per sé, violazione dei diritti fondamentali. In proposito, anzi, la Corte EDU, pronunciandosi in relazione ad una vicenda in cui i dati acquisiti non erano stati messi a disposizione della difesa e la pronuncia di colpevolezza era stata fondata sul mero fatto dell'uso di un sistema di messaggistica criptata denominato (Bylock), si è limitata ad affermare che dare al ricorrente l'opportunità di prendere conoscenza del materiale decriptato nei suoi confronti poteva costruire un passo importante per preservare i suoi diritti di difesa senza avere, al contempo, affermato che tale mancata messa a disposizione integrasse un vulnus dei diritti fondamentali (Corte EDU, Grande Camera, 26/09/2023, Yuksel Yalginkaya c. Turchia, par. 336).
1.6.2. Da quanto precede consegue che la censura deve ritenersi inammissibile nella parte in cui lamenta la carenza di motivazione in ordine alla relazione consulenziale depositata dalla difesa, giacché afferente alla denegata acquisizione di una prova che, allo stato degli atti, sarebbe stata comunque irrilevante ai fini della decidibilità del giudizio, tenuto conto delle valutazioni in cui la stessa consulenza si sarebbe tradotta. Per come prospettata dalla difesa, infatti, l'invocata consulenza si sarebbe limitata a fornire valutazioni meramente ripetitive di quanto comunque censurato nei motivi di appello, in ogni caso, debitamente analizzate e rigettate dai giudici di merito.
1.7. Il nono motivo di doglianza, riferito alla natura dell'atto di acquisizione dei messaggi telematici, è infondato. Valgono sul punto le considerazioni svolte sub 1.3., da intendersi qui integralmente richiamate.
1.8. Deve, infine, dichiararsi manifestamente infondato l'ultimo motivo di ricorso, con il quale si lamenta la violazione dell'art. 354 cod. proc. pen. e del principio dell'inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost.
Occorre innanzitutto precisare che il codice IMSI, che è l'acronimo di International Mobile Subscriber Identity, è un codice numerico, univoco a livello globale, memorizzato in uno speciale chip della carta Sim, che indentifica un cliente della rete telefonica. Trattasi, cioè, di un codice che identifica non già l'apparecchio, bensì l'utilizzatore; ciò che rende evidente, dunque, come l'acquisizione di tale codice non attenga a conversazioni o comunicazioni, ma solamente al soggetto utente. Esso, dunque, rappresenta uno strumento di identificazione e geolocalizzazione, mediante un'attività di individuazione dell'utenza da sottoporre a intercettazione telefonica tramite monitoraggio delle utenze presenti in una determinata area che non è, dunque, di per sé, esecutiva di un'intercettazione di conversazioni, ma è ad essa necessariamente prodromica. Si tratta, pertanto, di una attività di individuazione che si rivolge esclusivamente all'identità del singolo apparecchio telefonico, e che neppure è finalizzata ad acquisire elementi sugli eventuali contatti telefonici che tale apparecchio intrattiene in un determinato arco temporale - così che neppure potrebbe parlarsi, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa nel primo motivo di ricorso, di attività assimilabile all'acquisizione di tabulati telefonici - potendo in definitiva essere ricondotta all'interno degli atti che la Polizia Giudiziaria pone in essere di propria iniziativa ai fini di cui all'art. 55 cod. proc. pen., in vista di successive attività investigative, e in modo non dissimile ad altre specificamente previste dal codice di rito. Con la conseguenza che tale attività, che non opera alcuna intrusione nelle conversazioni in transito sull'apparecchio monitorato, non lede alcun principio costituzionale o sovrariazionale e non può essere assimilato ad un mezzo di ricerca della prova, costituendo unicamente il presupposto operativo dell'attività captativa delle conversazioni.
Ne deriva che, per l'effettuazione del monitoraggio teso a individuare le utenze da sottoporre ad intercettazione, non è necessario un decreto autorizzativo, che è invece indispensabile - e costituisce ovviamente condizione sine qua non dell'utilizzabilità delle intercettazioni - per poter captare le conversazioni che transitano sull'utenza da monitorare, dopo che quest'ultima è stata individuata (Sez. 4, n. 41385 del 12/06/2018, Rv. 273929).
2. Quanto alla questione di legittimità costituzionale, promossa con memoria del 30 agosto 2024, osserva, infine, il Collegio che essa, pur rilevante rispetto al caso di specie - avendo il ricorso ad oggetto la declaratoria di utilizzabilità o meno dei risultati acquisiti mediante O.E.I. - è manifestamente infondata.
La non necessarietà di alcun deposito ex art. 270 cod. proc. pen., invero, discende dalla circostanza che le risultanze dell'intercettazione del procedimento a quo influiscono sulle autorizzazioni del procedimento ad quem come mero presupposto di fatto, incidente sulla motivazione dei successivi, autonomi provvedimenti autorizzativi solo sotto il profilo della loro rilevanza ai fini della verifica dei gravi indizi di reato, richiesta dall'art. 267, comma 1, dello stesso codice, così costituendo una scelta legislativa non manifestamente irragionevole, pienamente conforme, non solo al diritto di difesa, ma anche ai principi di uguaglianza formale e sostanziale e del giusto processo.
Sul punto, del resto, si è già chiarito sub 1.4. che, in tema di intercettazioni disposte in altro procedimento, l'omesso deposito degli atti relativi presso l'autorità competente per il diverso procedimento, non ne determina l'inutilizzabilità, in quanto detta sanzione non è prevista dall'art. 270 cod. proc. pen. e non rientra nel novero di quelle di cui all'art. 271 cod. proc. pen. aventi carattere tassativo: principio che conserva la propria validità anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 336 del 2008 che - dichiarando l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, comma secondo, e 111 Cost., dell'art. 268 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazione intercettate, utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate - amplia i diritti della difesa, incidendo sulle forme e sulle modalità di deposito delle bobine, ma senza incidere sul regime delle sanzioni processuali in materia di inutilizzabilità delle intercettazioni di cui all'art. 271 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 14783 del 13/03/2009, Rv. 243609).
3. In considerazione di quanto precede, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-fer, disp. att. cod. proc. pen
Così deciso in Roma il 26 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2024.