Il saluto romano, se fatto con intento commemorativo e non violento, non è penalmente rilevante, in quanto la legge non punisce «tutte le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, ma solo quelle che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste» e, di conseguenza, solo «i gesti idonei a provocare adesioni e consensi».
Quello di cui si discute – precisa la Corte – è infatti un reato di pericolo concreto, «che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell’ideologia fascista in sé, ma soltanto quelle che possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all’ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell’ordine democratico e dei valori ad esso sottesi».
Applicando tali principi, la Corte ha escluso che, nel caso concreto, la manifestazione cui i manifestanti avevano preso parte potesse avere connotati tali da suggestionare e indurre «sentimenti nostalgici in cui ravvisare un serio pericolo di riorganizzazione del partito fascista».
Diverso è il caso – si legge nella sentenza – di chi intona espressioni quali «all’armi siamo fascisti» – considerato, invece, una professione di fede e un incitamento alla violenza – o di chi compie il saluto romano «armato di manganello durante un comizio elettorale»; in questi casi la giurisprudenza, applicando i principi sopra richiamati, ha infatti ritenuto sussistente il reato.
Cassazione Penale, Sez. I, 20 febbraio 2018 (ud. 14 dicembre 2017), n. 8108
Presidente Novik, Relatore Barone
La sentenza integrale su Giuriprudenza penale, dal quale abbiamo anche tratto il commento.
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