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Rassicurazioni diplomatiche su pena di morte irricevibili (Cass. 17316/24)

24 aprile 2024, Cassazione penale

In assenza di trattato con lo Stato richiedente va respinta l'estradizione processuale in favore dello Stato estero quando il fatto per il quale è domandata l'estradizione è punito con la pena di morte; le eventuali "assicurazioni" dello Stato richiedente sono - in via generale - costituzionalmente incompatibili e, comunque, esorbitanti dai limiti delle condizioni oggi richieste dell'art. 698, comma 2, cod. proc. pen. per dare accesso alla domanda di estradizione processuale, in quanto finalizzate a sollecitare non consentite valutazioni discrezionali dell'Autorità giudiziaria e del Ministro della giustizia sul grado di affidabilità e di effettività delle garanzie accordate dallo Stato richiedente.

Il divieto della pena di morte sancito dall'art. 27, comma 4, Costituzione è divieto che, nella misura in cui è rivolto a garantire il bene essenziale della vita, deve essere inteso in modo assoluto, senza la possibilità di deroghe affidate a valutazioni discrezionali, sfruttando la formula delle "sufficienti assicurazioni" nei rapporti internazionali.

Nel caso di specie, dunque, mancando una regolamentazione convenzionale in materia estradizionale tra l'Italia e il Paese richiedente, trova applicazione il regime codicistico che individua un limite assoluto alla concessione dell'estradizione per l'estero nel caso in cui il reato sia punibile con la pena di morte secondo le leggi dello Stato richiedente.

Corte di cassazione

sez. VI penale

ud. 11 aprile 2024 (dep. 24 aprile 2024), n. 17316

Presidente De Amicis – Relatore Capozzi

 

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Trieste ha dichiarato non sussistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione processuale formulata dalla Repubblica Islamica del Pakistan nei confronti di A.M., arrestato a seguito della esecuzione di un mandato di cattura emesso il 18 giugno 2020 dal Tribunale di Mandi Bahaudin (Pakistan) per il reato di omicidio volontario di cui agli artt. 302,148 e 149 del codice penale pakistano, commesso il (OMISSIS).

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Trieste denunciando un errore nella applicazione degli artt. 705 e 698, comma 2, cod. proc. pen. e l'erronea interpretazione della documentazione trasmessa dallo Stato richiedente l'estradizione.

Nella prospettazione seguita dal ricorrente, pur condividendosi il principio della necessaria certezza che all'estradando non sia comminata la pena di morte in relazione al reato ascrittogli, l'assunto che nega la sussistenza di tale certezza si basa su una non corretta interpretazione della documentazione trasmessa dall'Autorità richiedente, con riguardo al contenuto della ordinanza presidenziale n. VI del 2019 di modifica del codice penale pakistano del 1860 che, secondo quanto affermato nella domanda di estradizione, escludeva la possibilità di applicare la pena di morte nei confronti dell'estradando, qualora egli venisse consegnato alle Autorità pakistane per il relativo processo.

Secondo il ricorrente diventa essenziale accertare l'esatto significato e l'attuale vigenza della disciplina normativa indicata nella richiesta di estradizione, che esclude nel caso specifico la possibilità di una condanna a morte da parte delle Autorità giudiziarie del Paese richiedente.

Si assume, al riguardo, che la Corte di appello, contestando la stessa leggibilità e coerenza della traduzione in lingua italiana del testo della predetta ordinanza (trasmesso in lingua inglese), non si è posta il quesito della necessità o meno di dover ricorrere ad una nuova traduzione per una più chiara comprensione della norma ovvero di richiedere la trasmissione del testo normativo in lingua originale, da sottoporre poi ad autonoma traduzione.

In secondo luogo, a prescindere da ogni riferimento al testo linguistico della norma, il rilievo secondo cui il presupposto applicativo della predetta ordinanza sia rinvenibile nella vigenza del trattato bilaterale del 1980 non tiene conto della possibilità che tale generico riferimento al trattato sia frutto di un mero errore da parte del compilatore della richiesta, posto che nel paragrafo 9.3 della stessa non si fa alcun riferimento alla necessaria vigenza di un trattato bilaterale, richiamato in altre parti preliminari della richiesta, in particolare nel paragrafo 2.

In presenza di dubbi sul significato e sull'applicabilità della ordinanza al caso di specie, la Corte distrettuale, ad avviso del ricorrente, avrebbe avuto l'obbligo di richiedere informazioni aggiuntive, quali quelle sollecitate dal Procuratore generale nelle sue conclusioni.

 

In ogni caso, dovrebbe ritenersi la correttezza dell'assunto posto a fondamento della richiesta di estradizione in relazione alla predetta ordinanza presidenziale, secondo la quale, nei casi di un imputato che sia estradato ovvero condotto in Pakistan in forza di un accordo diverso dalla procedura di estradizione, lo stesso non potrà essere condannato alla pena di morte, così ispirandosi la richiamata domanda a principi di favor nei confronti di ogni forma di assistenza penale internazionale.

Per quel che attiene, poi, agli altri presupposti per l'accoglimento della domanda di estradizione, sui quali la decisione impugnata non si è pronunciata, si rileva che le motivazioni dedotte dalla difesa in ordine al pericolo che l'estradando possa essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti paiono generiche, non essendo stati allegati elementi oggettivi e potendosi, di contro, escludere che il delitto per il quale si procede sia collegato a ragioni o moventi che possano indurre a discriminazioni per ragioni politiche, religiose o etniche, peraltro neppure rappresentate dall'interessato.

Purtuttavia, dovrà essere la Corte di appello a svolgere l'eventuale approfondimento istruttorio, anche a prescindere dalle allegazioni difensive e tenuto conto del rapporto di Amnesty International del 2023/2024 in relazione al perdurare di violenze e repressioni ai danni di giornalisti, minoranze religiose e altri gruppi marginalizzati.

Quanto al pericolo di trattamenti crudeli e degradanti correlati alle condizioni carcerarie, le indicazioni provenienti dalla domanda estradizionale paiono troppo generiche e decisamente insufficienti per esprimere una valutazione fattuale sulle caratteristiche del percorso penitenziario cui verrà sottoposta la persona da estradare, così necessitando - secondo le richieste formulate in udienza dal generale ufficio requirente - l'esercizio di un'integrazione istruttoria al riguardo.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla l. 18 dicembre 2020, e successive modifiche, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.

4. Il difensore dell'estradando ha depositato memoria a sostegno della inammissibilità o comunque del rigetto del ricorso deducendo che:

- è assente la necessaria certezza che all'estradando non sia applicata la pena di morte prevista per il reato di omicidio dal codice penale pakistano, non trovando applicazione la richiamata ordinanza n. VI del 2019 in mancanza di un trattato, così sussistendo la causa ostativa di cui all'art. 698, comma 2, cod. proc. pen.;

- quanto al pericolo di trattamenti inumani, le fonti internazionali più accreditate descrivono le condizioni carcerarie dei detenuti negli istituti penitenziari del Pakistan come altamente degradanti, facendo riferimento a torture, abusi, violenze, condizioni igieniche pessime, sovraffollamento, discriminazioni, ecc.;

- quanto al rispetto dei principi del giusto processo nulla è stato garantito dalla richiesta di estradizione;

- quanto all'esistenza di istituti simili alla liberazione anticipata e/o commutazione della pena, in caso di condanna alla pena dell'ergastolo, l'estradando potrebbe essere condannato anche alla "reclusione a vita come ta'zir" (art. 302, lett. b), cod. pen. pakistano) e nulla al riguardo è garantito dalla richiesta di estradizione.

 

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

 

2. La Corte di appello di Trieste ha dichiarato non sussistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di consegna a fini processuali di A.M. alle Autorità del Pakistan ostandovi l'art. 698, comma 2, cod. proc. pen., secondo il quale, qualora il reato per cui è richiesta la consegna sia punito astrattamente con la pena di morte, non può essere disposta la consegna in assenza di una decisione giudiziaria irrevocabile che escluda l'applicazione della pena capitale nel caso concreto, essendo insufficienti generiche assicurazioni da parte dello Stato richiedente.

I Giudici di merito hanno altresì posto in rilievo che nella domanda estradizionale si riportano gli articoli del vigente codice penale pakistano e, in particolare, l'art. 302, lett. c), a mente del quale la pena prevista per il reato di "Qatl-i-amd" (omicidio) è quella della reclusione di qualsiasi tipo per un periodo che può estendersi fino a 25 anni in quanto, secondo le ingiunzioni dell'Islam, la punizione "qisas" - traducibile nella nota "legge del taglione" - non è applicabile. Sulla base di quanto evidenziato nella stessa domanda, all'estradando si applica la disposizione dell'art. 302, lett. c), cod. pen. pakistano come integrato dalla ordinanza presidenziale n. VI del 2019, secondo la quale "A condizione che laddove l'imputato sia stato estradato in Pakistan o portato in Pakistan in base a qualsiasi accordo con un paese straniero o autorità diversa dell'estradizione o laddove contro un imputato venga utilizzata in tribunale qualsiasi prova ottenuta da un paese straniero, il tribunale, dopo la condanna, può punire l'imputato con qualsiasi pena prevista per quel reato, eccetto la pena di morte".

Al riguardo, tuttavia, la Corte di appello ha rilevato l'assenza di un trattato bilaterale fra Italia e Pakistan - risultando inesistente quello del 1980 richiamato nella domanda estradizionale - così che non poteva ritenersi la sussistenza della condizione di operatività della indicata ordinanza presidenziale, rendendosi, pertanto, possibile l'applicazione della "qisas", ovvero della pena di morte.

La decisione impugnata ha richiamato, quindi, il disposto dell'art. 698, comma 2, cod. proc. pen., affermando che, nel caso di specie, non esisteva una decisione irrevocabile che infliggeva all'estradando una pena diversa dalla pena capitale, ma che, dallo stesso argomentare della Parte richiedente, nemmeno risultava certo che la pena di morte non potesse essere concretamente irrogata all'estradando.

A tal riguardo si è fatto riferimento - segnalando la differente indicazione della richiesta, limitata alla sola lettera c) - all'intera formulazione dell'art. 302 del codice penale pakistano, dal quale si desume, in relazione alle lettere a) e b) dello stesso articolo, la astratta applicabilità al delitto di omicidio ("quatl - i - mand") della pena di morte o della reclusione a vita, quando ciò sia giustificato dalla presenza di fatti o di circostanze particolari, se non ricorre alcuno dei casi di cui all'art. 304 cod. pen., che indica taluni tipi di prova che comportano l'applicazione della "qisas" per il delitto di omicidio.

Nella lettera b) della menzionata disposizione di cui all'art. 302 cod. pen. pakistano viene inoltre indicata, in presenza di circostanze particolari, la pena denominata "ta'zir", che non è un tipo di sanzione, ma una modalità di determinazione della pena: essa ricorre quando la pena viene in concreto determinata a discrezione dal giudice.

Da tale previsione la Corte distrettuale ha desunto anche il difetto - nell'ordinamento pakistano - dei principi generali di garanzia, presenti nel nostro ordinamento, della tassatività della pena e della legalità nelle sue diverse declinazioni.

3. Ciò posto, ritiene questa Suprema Corte che nel caso di specie sussiste l'assorbente ragione ostativa all'accoglimento della domanda estradizionale per l'estero, derivante dalla regola esplicitamente dettata dalla disposizione normativa di cui all'art. 698, comma 2, cod. proc. pen.

4. La relativa previsione, invero, così recita: "Se il fatto per il quale è domandata l'estradizione è punito con la pena di morte secondo la legge dello Stato estero, l'estradizione può essere concessa solo quando l'autorità giudiziaria accerti che è stata adottata una decisione irrevocabile che irroga una pena diversa dalla pena di morte o, se questa è stata inflitta, è stata commutata in una pena diversa, comunque nel rispetto di quanto stabilito dal comma 1."

L'attuale formulazione della norma consegue alla novella introdotta con l'art. 5, comma 1, l. 21 luglio 2016, n. 149, che ha sostituito la diversa regola contenuta nel previgente secondo comma, secondo cui "se per il fatto per il quale è domandata l'estradizione è prevista la pena di morte dalla legge dello Stato estero, l'estradizione può essere concessa solo se il medesimo Stato dà assicurazioni, ritenute sufficienti sia dall'autorità giudiziaria sia dal ministro di grazie e giustizia che tale pena non sarà inflitta o, se già inflitta non sarà eseguita".

La ratio della modifica introdotta dal legislatore è stata individuata nell'intento di conformare l'ordinamento giuridico alla sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 1996, che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale sia della richiamata disposizione che della legge 26 maggio 1984, n. 225 (Ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d'America, firmato a Roma il 13 ottobre 1983), nella parte in cui dava esecuzione all'art. IX del trattato di estradizione ora citato.

La novella legislativa del 2016 è dunque intervenuta proprio per colmare il vuoto normativo creatosi per effetto di tale declaratoria d'incostituzionalità, traducendo in norma positiva quel principio di garanzia assoluta del rispetto del bene essenziale della vita a suo tempo affermato dalla Corte costituzionale, che non tollera la riserva di spazi di discrezionalità applicativa o margini di flessibilità nel percorso procedimentale oggetto del duplice vaglio delibativo che l'ordinamento affida alle competenti Autorità dello Stato.

Con tale decisione il Giudice delle leggi ha affermato, sulla base di un iter argomentativo che in questa Sede è opportuno ricordare in taluni suoi passaggi, che «Il divieto della pena di morte ha un rilievo del tutto particolare - al pari di quello delle pene contrarie al senso di umanità - nella prima parte della Carta costituzionale. Introdotto dal quarto comma dell'art. 27, sottende un principio "che in molti sensi può dirsi italiano" - sono parole tratte dalla relazione della Commissione dell'Assemblea costituente al progetto di Costituzione, nella parte dedicata ai rapporti civili - principio che, "ribadito nelle fasi e nei regimi di libertà del nostro Paese, è stato rimosso nei periodi di reazione e di violenza", configurandosi nel sistema costituzionale quale proiezione della garanzia accordata al bene fondamentale della vita, che è il primo dei diritti inviolabili dell'uomo riconosciuti dall'art. 2.

L'assolutezza di tale garanzia costituzionale incide sull'esercizio delle potestà attribuite a tutti i soggetti pubblici dell'ordinamento repubblicano, e nella specie su quelle potestà attraverso cui si realizza la cooperazione internazionale ai fini della mutua assistenza giudiziaria. Sì che l'art. 27, quarto comma, letto alla luce dell'art. 2 della Costituzione, si pone quale essenziale parametro di valutazione della legittimità costituzionale della norma generale sulla concessione dell'estradizione (art. 698, comma 2, del codice di procedura penale), e delle leggi che danno esecuzione a trattati internazionali di estradizione e di assistenza giudiziaria.

(Omissis) Questa Corte ha già affermato che il concorso, da parte dello Stato italiano, all'esecuzione di pene "che in nessuna ipotesi, e per nessun tipo di reati, potrebbero essere inflitte in Italia nel tempo di pace" è di per sé lesivo della Costituzione (sentenza n. 54 del 1979). Il punto ora in esame è se rappresentino un rimedio adeguato le "garanzie" o "assicurazioni" previste dal citato art. 698, comma 2, e dalla legge 26 maggio 1984, n. 225, di ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione fra il Governo della Repubblica italiana e quello degli Stati Uniti d'America firmato a Roma il 13 ottobre 1983; e in particolare se sia conforme alla Costituzione detta legge, nella parte in cui dà esecuzione all'art. IX del trattato stesso, ove si stabilisce che l'estradizione sarà negata qualora il reato sia punibile con la pena di morte secondo le leggi della Parte richiedente. Salvo che quest'ultima "non si impegni con garanzie ritenute sufficienti dalla Parte richiesta a non fare infliggere la pena di morte oppure, se inflitta, a non farla eseguire".

 

Come già si è detto, il procedimento delineato dall'art. 698, comma 2, del codice di procedura penale, si impernia su un duplice vaglio espletato, caso per caso, dall'autorità giudiziaria e dal Ministro di grazia e giustizia circa la "sufficienza" delle predette garanzie. L'estradizione è dunque concessa (o negata) in seguito a valutazioni svolte dalle autorità italiane sulle singole richieste con accertamenti nei limiti indicati. Tale soluzione offre, in astratto, il vantaggio di una politica flessibile da parte dello Stato richiesto, e consente adattamenti, nel tempo, in base a considerazioni di politica criminale; ma nel nostro ordinamento, in cui il divieto della pena di morte è sancito dalla Costituzione, la formula delle "sufficienti assicurazioni" - ai fini della concessione dell'estradizione per fatti in ordine ai quali è stabilita la pena capitale dalla legge dello Stato estero - non è costituzionalmente ammissibile. Perché il divieto contenuto nell'art. 27, quarto comma, della Costituzione, e i valori ad esso sottostanti - primo fra tutti il bene essenziale della vita - impongono una garanzia assoluta.».

5. A seguito della pronuncia della Corte costituzionale, e anteriormente alla novella del 2016, questa Suprema Corte ha affermato - in una fattispecie in tema di estradizione processuale per un reato economico punibile con la pena di morte richiesta dalla Cina popolare - che, in tema di estradizione, qualora per il reato sia prevista la pena di morte nell'ordinamento dello Stato richiedente, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 223 del 1996, dichiarativa della illegittimità costituzionale dell'art. 698, comma secondo, cod. proc. pen., stante il precetto dell'art. 27 Cost., l'Autorità giudiziaria non può pronunciare sentenza favorevole alla estradizione sulla base di assicurazioni dello Stato richiedente che comunque non consentano di pervenire a conclusioni di certezza circa la ineseguibilità di detta pena (Sez. 6, n. 1117 del 03/03/2000, Song Zhicai, Rv. 220533).

Con tale decisione è stata esclusa la possibilità di accedere a meccanismi di assicurazione già espressamente ritenuti incompatibili con la nostra Carta costituzionale e si è censurato la sentenza della Corte di appello incorsa, dopo una insufficiente interlocuzione sul tema con l'Autorità richiedente, in una "spericolata incursione interpretativa nella Nuova Legge Criminale Cinese" volta ad individuare la norma da applicare al fatto addebitato all'estradando, "arbitrandosi impropriamente di indicare essa alla Parte richiedente", piuttosto che negare accesso alla domanda estradizionale in assenza delle condizioni richieste in ragione del vincolo di cui all'art. 27, comma 3, Cost.

Nella medesima prospettiva deve richiamarsi altra decisione di questa Corte (Sez. 6, n. 33980 del 02/10/2006, Dvorkin, Rv. 234877), che ha affermato lo stesso principio in relazione ad una fattispecie in tema di estradizione richiesta dalla Bielorussia, nella quale la Corte ha ritenuto prive di ogni carattere di certezza in ordine alla non applicazione della pena di morte le dichiarazioni di intenti provenienti dalla procura di un tribunale di detto Stato.

In adesione al quadro dei principi delineati dalla Corte costituzionale si è inoltre ritenuto che rappresenti una "garanzia assoluta" ai fini della concessione dell'estradizione la norma positiva contenuta nella legislazione dello Stato richiedente, in forza della quale la pena capitale non è prevista per il reato in ordine al quale l'estradizione è richiesta (Sez. 6, n. 35069 del 19/09/2005, Cipriani, Rv. 232085, in relazione ad una fattispecie in cui, a fronte dell'eccezione sollevata dall'estradando circa il fatto che i suoi complici, già processati negli USA, erano stati condannati alla pena di morte, la Corte ha specificato che non può ipotizzarsi, dato il rispetto dei Trattati internazionali cui gli Stati Uniti sono tenuti in forza della loro stessa Costituzione, che tale Paese richiedente proceda poi per una diversa più grave ipotesi delittuosa che preveda la pena capitale).

6. Successivamente alla novella legislativa del 2016, la giurisprudenza di legittimità ha affermato, in tema di estradizione passiva verso la Cina, che, qualora il reato per cui è richiesta la consegna sia punito astrattamente con la pena di morte, ai sensi dell'art. 698, comma 2, cod. proc. pen. non può essere disposta la consegna in assenza di una decisione giudiziaria irrevocabile che escluda l'applicazione della pena capitale nel caso concreto, essendo insufficienti generiche assicurazioni dello Stato richiedente (Sez. 6, n. 39443 del 11/06/2019, Xu, Rv. 277201).

Al riguardo, questa Corte ha escluso la possibilità di fare rinvio alle norme del trattato bilaterale fra l'Italia e la Cina - rilevante ai sensi dell'art. 696 cod. proc. pen. - non essendo applicabile la previsione contenuta nell'art. 3, lett. f), del predetto trattato, in base al quale, per dare esecuzione alla richiesta di estradizione, è sufficiente che vi siano elementi per escludere il "fondato timore" della sottoposizione ad "altro trattamento o punizione crudele, inumana o umiliante", in quanto tale norma pattizia si riferisce alle modalità esecutive di una pena necessariamente diversa da quella capitale.

7. Nella nuova formulazione della regola dettata dall'art. 698, comma 2, cod. proc. pen. la dottrina ha individuato un divieto assoluto di estradizione processuale, ponendo in evidenza il fatto che, nel corso dei lavori preparatori, la Commissione ministeriale per la riforma del Libro XI, ben consapevole dei problemi derivanti dalla impossibilità di una estradizione processuale, aveva proposto l'inserimento di un ulteriore comma che prevedeva la possibilità di concederla nell'ipotesi in cui la convenzione applicabile imponesse l'obbligo di commutazione, muovendo dal presupposto che in tal caso fosse preclusa allo Stato richiedente la possibilità di applicare la pena capitale.

Ciò nonostante, il legislatore non ha aderito alla proposta elaborata dalla Commissione ministeriale, sicché l'attuale formulazione del secondo comma dell'art. 698 cod. proc. pen. non consente l'estradizione processuale neppure in questo caso, essendo necessario un provvedimento di commutazione ovvero una sentenza irrevocabile che non applichi quella pena.

La stessa dottrina, peraltro, non ha mancato di segnalare la problematicità della scelta del legislatore di porre - con l'esclusione della proposta della Commissione ministeriale - stringenti condizioni all'accoglimento dell'estradizione processuale, dovendosi necessariamente verificare - nell'attuale sistema dei rapporti di collaborazione giudiziaria internazionale con Stati diversi da quelli membri dell'Unione europea - la prospettiva di una possibile deroga della normativa pattizia alla norma interna testé richiamata, sulla base della regola codicistica di prevalenza delle convenzioni e del diritto internazionale generale sulle norme del codice di rito in materia di estradizione, di assistenza giudiziaria e di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, in quanto applicabili solo se le prime manchino o non dispongano diversamente (ex art. 696, comma 2, cod. proc. pen., così come sostituito per effetto dell'art. 2, comma 1, d.lgs. 3 ottobre 2017, n. 149).

8. Alla luce delle su esposte considerazioni, questa Corte ritiene del tutto pertinente nel caso in esame e pienamente coerente con il quadro dei principi costituzionali il richiamo alla generale condizione ostativa contemplata per l'ipotesi dell'estradizione processuale nella novellata disposizione dell'art. 698, comma 2, cod. proc. pen., non potendosi dubitare - secondo le incontestate indicazioni della sentenza impugnata - della previsione, nell'ordinamento della Repubblica islamica del Pakistan, della pena capitale per il reato ascritto all'estradando e, al contempo, dell'assenza di una sentenza irrevocabile che abbia applicato, direttamente o per commutazione, una pena diversa da quella capitale.

Deve, pertanto, affermarsi il principio di diritto secondo il quale "in assenza di trattato con lo Stato richiedente, la regola prevista dall'art. 698, comma 2, cod. proc. pen. non consente l'estradizione processuale in favore dello Stato estero quando il fatto per il quale è domandata l'estradizione è punito con la pena di morte".

9. Ne discende l'erroneità dell'impostazione esegetica propugnata dal ricorrente, là dove tende a valorizzare - in conformità alla domanda estradizionale - il riferimento, da parte della richiedente Autorità pakistana, all'ordinanza presidenziale n. VI del 2019 al fine di escludere che all'estradando, all'esito del processo per il quale si richiede la sua consegna, venga applicata la pena capitale.

 

Nella pacifica assenza di una normativa pattizia vigente tra l'Italia e il Pakistan, lo Stato richiedente assume che la pena capitale per il reato di omicidio non potrà essere applicata, venendo in rilievo l'ipotesi di cui all'art. 302, lett. c), del codice penale pakistano con la correlativa pena massima di 25 anni, "letta con" la ordinanza presidenziale n. VI del 2019, secondo il testo sopra riportato (v. par. 6.2. della domanda di estradizione).

Ritiene la Corte che tale disposizione, con ogni evidenza - al di là della sua interpretazione testuale e della sua inclusione o meno tra le condizioni di applicabilità del rapporto estradizionale in assenza di trattato fra gli Stati - non riguarda l'integrazione della fattispecie penale ascritta all'estradando, ma solo una condizione processuale che dall'esterno verrebbe ad incidere sulla sua applicabilità, rimanendo intatta, pertanto, per il reato di omicidio volontario di cui all'art. 302 del codice penale pakistano - la previsione della pena di morte e, con essa, la opponibilità della condizione ostativa all'estradizione processuale fissata dall'art. 698, comma 2, cod. proc. pen.

A fronte dell'attuale quadro normativo, l'ordinanza presidenziale del 2019 rientra sostanzialmente fra le "assicurazioni" dello Stato richiedente già dichiarate - in via generale - costituzionalmente incompatibili dal Giudice delle leggi e, comunque, esorbitanti dai limiti delle condizioni oggi richieste dell'art. 698, comma 2, cod. proc. pen. per dare accesso alla domanda di estradizione processuale, in quanto finalizzate a sollecitare non consentite valutazioni discrezionali dell'Autorità giudiziaria e del Ministro della giustizia sul grado di affidabilità e di effettività delle garanzie accordate dallo Stato richiedente.

Il precedente meccanismo normativo, del resto, è stato ritenuto incostituzionale dal Giudice delle leggi perché in contrasto con il divieto della pena di morte sancito dall'art. 27, comma 4, Cost.: divieto che, nella misura in cui è rivolto a garantire il bene essenziale della vita, deve essere inteso in modo assoluto, senza la possibilità di deroghe affidate a valutazioni discrezionali, sfruttando la formula delle "sufficienti assicurazioni" (Sez. 6, n. 33980 del 02/10/2006, Dvorkin, cit.).

Nel caso di specie, dunque, mancando una regolamentazione convenzionale in materia estradizionale tra l'Italia e il Paese richiedente, trova applicazione, ai sensi dell'art. 696, comma 2, cit., il regime codicistico, regime che individua un limite assoluto alla concessione dell'estradizione per l'estero nel caso in cui il reato sia punibile con la pena di morte secondo le leggi dello Stato richiedente.

Deve peraltro rilevarsi che, in presenza di una convenzione internazionale in vigore per lo Stato o di un accordo internazionale con lo Stato interessato, che prevedano l'obbligo di estradizione tra le parti, la condizione ostativa fissata dal legislatore nella richiamata previsione codicistica non viene in applicazione per effetto della concorrente regola di prevalenza del diritto pattizio e delle norme di diritto internazionale generale che disciplinano i rapporti con Stati diversi da quelli membri dell'Unione europea (ex art. 696, commi 2 e 3, cit.),

In tale diversa ipotesi, dunque, occorre verificare di volta in volta la compatibilità della normativa pattizia con le esigenze di "garanzia assoluta" indicate dalla Corte costituzionale sulla base del divieto contenuto nell'art. 27, quarto comma, della Costituzione, in linea con il rispetto dei principi e delle garanzie di ordine costituzionale discendenti dalle relative procedure di autorizzazione e ratifica.

10. La sussistenza della condizione ostativa legata alla previsione, nell'ordinamento dello Stato richiedente, della pena di morte per il reato di omicidio ascritto all'estradando e la inesistenza di una decisione irrevocabile che irroghi una pena diversa dalla pena capitale o la dichiari ineseguibile, ovvero la commuti in una pena diversa, in presenza del necessario, concorrente, rispetto dei diritti fondamentali della persona stabiliti dall'art. 698 comma 1, cit., determinano l'assorbimento di ogni altra questione e l'irrilevanza dei motivi non esaminati, con la conseguente declaratoria di rigetto del ricorso.

 

La Cancelleria curerà l'espletamento degli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.