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Rassicurazioni diplomatiche generiche non bastano per estradizione (Cass. 49331/23)

12 dicembre 2023, Cassazione penale

Sussiste l'onere di accertamento della Corte di appello in ordine alle condizioni per dare luogo all'estradizione quando vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto a pene o a trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona: si tratta di un onere che incombe sulla Corte di appello anche ai sensi dell'art. 13 della Convenzione Europea di estradizione e che deve esercitarsi anche in mancanza di allegazioni difensive al riguardo.

In presenza di un generale rischio di trattamento disumano o degradante nel Paese richiedente, la Corte di appello deve compiere un accertamento mirato a verificare le concrete condizioni di detenzione nella relativa struttura penitenziaria.

Ai fini dell'accertamento della condizione ostativa del pericolo di trattamenti inumani o degradanti di cui all'art. 698 c.p.p., comma 1, l'Autorità giudiziaria dello Stato richiesto, anche in mancanza di allegazioni difensive, in conformità all'art. 4 CDFUE, è tenuta a verificare, in base ad elementi oggettivi ed aggiornati, l'affidabilità della garanzia proveniente dallo Stato richiedente circa il rispetto degli standard convenzionali relativi al trattamento dei detenuti durante l'intero percorso rieducativo seguito negli istituti penitenziari (Sez. 6, n. 18044 del 30/03/2022, Akritidis, Rv. 283157).

In materia di condizioni della detenzione, la giurisprudenza ha segnalato la necessità di informazioni che derivino da autorevoli organi internazionali, non essendo a tal fine sufficienti - per intuibili ragioni - nè le generiche rassicurazioni contenute nei titoli estradizionali, che spesso si risolvono in mere clausole di stile, nè denunce dei singoli.

 

Corte di Cassazione

Sez. VI penale, Sent., (data ud. 16/11/2023) 12/12/2023, n. 49331
 
 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

in relazione alla sentenza del 14/07/2023 della Corte di appello di Bologna;

visti gli atti;

udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano;

sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppe Riccardi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avvocato BA, che si è riportato al ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento.

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato non luogo a provvedere sulla richiesta di estradizione, avanzata ai sensi della Convenzione di estradizione di Parigi del 13 dicembre 1957, di A.A., cittadino polacco, a seguito di mandato di cattura internazionale emesso il 24 ottobre 2022 dal Tribunale del Distretto Centrale di (Omissis) per il concorso in reato contro il patrimonio commesso mediante frode, qualificato come frode aggravata (art. 347 codice penale Repubblica Corea), e svolgimento di attività di raccolta di fondi senza autorizzazione (art. 6 della legge sulla regolamentazione dell'esercizio di attività finanziarie).

A.A., individuato quale autore, con ruolo di organizzatore, di una truffa strutturata, attraverso una piattaforma informatica, secondo il cd. metodo Ponzi, ai danni di oltre duemila cittadini coreani, veniva tratto in arresto il 28 ottobre 2022 e sottoposto, dapprima, alla misura della custodia cautelare in carcere e, in seguito, alla misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

Con decreto del 19 gennaio 2023 la Corte di appello ne aveva dichiarato la latitanza, non essendo stato reperito presso l'abitazione.

All'udienza del 21 marzo 2023, fissata per decidere sulla richiesta di estradizione, la Corte di appello di Bologna aveva richiesto all'autorità giudiziaria coreana informazioni supplementari, ai sensi dell' art. 704 c.p.p., comma 2, e art. 13 della Convenzione cit., ma il Ministero, con nota del 23 marzo 2023, aveva comunicato che, pur a fronte della richiesta di estradizione, non vi era la possibilità attuale di applicare la Convenzione Europea di estradizione, a causa dell'evasione dell'estradando e, di conseguenza, aveva ritenuto non sussistenti i presupposti per l'inoltro delle informazioni supplementari, fino al rintraccio in territorio italiano. Da qui la pronuncia di sentenza di non luogo procedere per carenza della documentazione necessaria ai fini della decisione.

2.Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, i difensori di A.A., chiedono l'annullamento della sentenza di non luogo a provvedere. In particolare, denunciano i vizi di seguito indicati.

2.1 Violazione di legge (in relazione all' art. 125, comma 3, art. 704, comma 2 e art. 705 c.p.p.) e cumulativi vizi di motivazione della sentenza impugnata e dell'ordinanza del 21 marzo 2023. Il ricorso sintetizza, in primo luogo, le ragioni che avrebbero dovuto determinare la decisione di inammissibilità o irricevibilità della richiesta di estradizione (la previsione, nell'ordinamento coreano, di pene disomogenee rispetto alla gravità del fatto e prive di funzione socializzante, fino ai lavori forzati; la previsione di sanzioni fisiche incompatibili con i principi dell'ordinamento democratico e con il rispetto della persona umana; il pericolo di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti) ovvero il rigetto (mancanza del requisito della doppia incriminabilità) o, comunque, la sua improcedibilità perchè i fatti che ne sono oggetto sono gli stessi posti a fondamento di una richiesta di consegna avanzata con mandato di arresto Europeo dalla (Omissis), nei confronti del medesimo estradando; posta tale premessa, i difensori rilevano che solo in via di estremo subordine, con la memoria prodotta il 14 marzo 2023, in vista dell'udienza del 21 marzo, era stata chiesta la emissione di sentenza di non luogo a procedere e che, avendo, invece, svolto censure di merito sulla infondatezza della richiesta, come innanzi sintetizzate, la Corte di appello avrebbe dovuto esaminarle in via prioritaria.

In ogni caso, la sentenza impugnata è incorsa, altresì, nel vizio di omessa pronuncia. Infatti, la Corte di appello, prima di emettere la sentenza di non luogo a procedere, avrebbe dovuto esaminare, a mente dell' art. 704, comma 2 e art. 705 c.p.p., l'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione contestate dalla difesa con argomentazioni esposte in maniera puramente compilativa nella sentenza impugnata, e, di conseguenza, pronunciare sentenza contraria all'estradizione, laddove aveva ritenuto indispensabile l'acquisizione di informazioni suppletive, in aperto contrasto con la logica e con il diritto, trascurando la valenza dimostrativa delle allegazioni difensive che vertevano sul pericolo di sottoposizione di A.A., a trattamenti inumani e degradanti, qualificabili in termini di tortura, e a pene e trattamenti crudeli, inumani o degradanti o, comunque, ad atti che configurano violazione dei diritti fondamentali della persona.

2.2. Violazione di legge per la mancata revoca della misura degli arresti domiciliari, con riferimento all'art. 704 c.p.p., comma 3, poichè l'applicazione e il mantenimento della misura custodiale sono giustificate solo in presenza dell'accoglimento della domanda di estradizione e di una richiesta in tal senso del Ministro della Giustizia, condizioni non sussistenti in ragione della tipologia di sentenza adottata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso deve essere rigettato ma, come di seguito precisato, va disposta la revoca della misura cautelare a carico di A.A..

2. All'udienza del 21 marzo 2023, fissata per decidere sulla domanda di estradizione, la Corte di appello di Bologna, su istanza dei difensori, aveva richiesto all'autorità giudiziaria coreana informazioni supplementari che concernevano, in caso di accoglimento della domanda di estradizione, sia la indicazione delle condizioni di detenzione riservate allo A.A., (indicazione della struttura di detenzione; spazio individuale minimo allo stesso riservato, condizioni igieniche e di salubrità dell'alloggio; meccanismi nazionali o internazionali di controllo sulle effettive condizioni di detenzione), sia la precisazione, in caso di condanna, delle pene che avrebbero potuto essere inflitte e se, tra queste, fosse prevista quella del lavoro, specificando la sua possibile durata, le sue precise modalità e finalità e se detto lavoro fosse o meno remunerato.

La Corte di appello di Bologna, dato atto che il Ministero della Giustizia non aveva inoltrato la richiesta di informazioni supplementari stante il suo allontanamento dal territorio italiano e che al Ministro compete, in sede amministrativa, la decisione se disporre o meno l'estradizione, qualora la Corte di appello abbia ritenuto sussistenti le condizioni per fare luogo all'estradizione, ha correttamente dichiarato non luogo a provvedere sulla richiesta di consegna.

3.Ritiene questa Corte, a fronte della sentenza di natura processuale emessa dalla Corte di appello di Bologna, per carenza della documentazione rilevante ai fini della decisione, che l'interesse del ricorrente alla proposizione della impugnazione in sede di legittimità posto che tale tipologia di pronuncia - piuttosto che la decisione sul merito per insussistenza delle condizioni di estradizione sulla base del solo titolo estradizionale, avanzata dalla difesa -, non è idonea a determinare l'effetto preclusivo di una successiva sentenza favorevole all'estradizione a seguito della presentazione, da parte dello stesso Stato, di una nuova domanda per i medesimi fatti e fondata sui medesimi elementi, effetto, questo, collegato, a norma dell'art. 707 c.p.p., alla diversa fattispecie di ritiro della domanda di estradizione da parte del Paese istante (Sez. 6, n. 40167 del 18/10/2006, Jazukeviciu, Rv. 235230).

4.Secondo la tesi svolta con il ricorso, in forza del disposto di cui all' art. 704, comma 2, e art. 705 c.p.p., la Corte di appello avrebbe dovuto, invece, pronunciare sentenza contraria all'estradizione, senza fare luogo all'acquisizione delle informazioni supplementari, per le gravi carenze che inficiavano il titolo estradizionale, carenze che erano già evidenziate nella memoria difensiva e nella documentazione ad essa allegata, prodotte in vista dell'udienza del 21 marzo 2023, con rilievi che non sono stati esaminati dalla Corte di appello e che concernevano la mancanza del requisito della doppia incriminazione, la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e la mancata assicurazione del rispetto dei diritti fondamentali della persona umana, per la presenza nell'ordinamento dello Stato estero di disposizioni contrarie ai principi dell'ordinamento dello Stato italiano quali il mancato rispetto delle garanzie difensive e del diritto al giusto processo, la finalità rieducativa e non meramente punitiva o afflittiva della sanzione penale e il conseguente concreto pericolo che la persona venga sottoposta a trattamenti inumani e degradanti o, comunque, ad atti che configurano violazione dei diritti fondamentali della persona, in relazione al regime detentivo e alla esecuzione della pena eventualmente inflitta.

A tal riguardo va rilevato che la memoria difensiva conteneva un affidavit, rilasciato da un Avvocato coreano (a lungo Pubblico Ministero in quel Paese), sul contenuto delle disposizioni che regolano, in astratto, il trattamento punitivo dei reati in contestazione e l'analisi di un precedente giudiziario, costituito dalla sentenza emessa dalla Corte Distrettuale di Westminster del 4 ottobre 2022, relativa alla richiesta di estradizione passiva, per presunti reati in materia finanziaria, di un cittadino britannico. Tale sentenza ricostruiva, sulla base delle dichiarazioni di un esperto, le condizioni di detenzione della Repubblica di Corea e aveva negato la estradizione del proprio cittadino. Siffatte condizioni, secondo la sentenza della Corte Distrettuale di Westminster e il parere dell'esperto, già membro del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa, riprodotto e allegato alla memoria difensiva, integravano le condizioni inumane e degradanti che, secondo i parametri della Corte EDU, violano i diritti fondamentali della persona umana per la situazione di sovraffollamento delle carceri coreane, l'accesso limitato all'assistenza medica, l'uso frequente di dispositivi di protezione a scopo punitivo e l'isolamento fino a trenta giorni.

In sintesi, secondo il ricorrente, la Corte di appello di Bologna, per ragioni deducibili dallo stesso titolo di estradizione e dalla documentazione allegata dalla difesa, avrebbe dovuto ritenere insussistenti le condizioni per accogliere la domanda di estradizione, piuttosto che fare ricorso alle informazioni supplementari con ordinanza inficiata da nullità.

5.La tesi della difesa non è condivisibile.

La Corte di appello aveva già adottato, sulla base della richiesta, la misura cautelare della custodia cautelare in carcere a carico di A.A., misura che non può essere disposta quando, in prospettiva, la domanda di estradizione non possa essere accolta: ne consegue che la Corte di merito ha effettuato una delibazione di tipo prognostico sulla sussistenza dei requisiti della doppia incriminazione e dei gravi indizi di colpevolezza, delibazione, tuttavia, non sufficiente ai fini dell'accoglimento della domanda di estradizione.

Questa Corte ha, infatti, più volte affermato che sussiste l'onere di accertamento della Corte di appello in ordine alle condizioni per dare luogo all'estradizione quando vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto a pene o a trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona. Si tratta di un onere che incombe sulla Corte di appello anche ai sensi dell'art. 13 della Convenzione Europea di estradizione e che deve esercitarsi anche in mancanza di allegazioni difensive al riguardo (Sez. 6, n. 22818 del 23/07/2020, Balcan, Rv. 279567).

Il principio di cui all'art. 698 c.p.p., comma 1, regola, nel suo multiforme contenuto, sia le condizioni di detenzione cui verrà sottoposta la persona chiesta in consegna che, più in generale, la previsione del trattamento punitivo previsto nell'ordinamento del Paese istante.

Per consolidata giurisprudenza, sul primo aspetto, in presenza di un generale rischio di trattamento disumano o degradante nel Paese richiedente, la Corte di appello deve compiere un accertamento mirato a verificare le concrete condizioni di detenzione nella relativa struttura penitenziaria.

6.Generalmente la segnalazione di tali rischi proviene da rapporti di autorevoli organi internazionali ed è ormai copiosa la giurisprudenza di questa Corte, soprattutto con riferimento a consegne in esecuzione di mandati di arresto Europei, che individua Paesi rispetto ai quali sono indicate diffuse e generalizzate violazioni delle condizioni di detenzione, tali da integrare il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti.

Più rara, invece, la giurisprudenza relativa alla materia dell'estradizione, sia o meno regolata da trattati di estradizione bilaterali.

Cionondimeno si è affermato che, in tal caso, verificata la sussistenza di tale rischio, occorre un'indagine mirata, anche attraverso la richiesta di informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto, l'interessato alla consegna sarà sottoposto, o meno, ad un trattamento inumano o degradante (Sez.6, n. 28822 del 28/6/2016, Diuligher, Rv. 268109), verificando le condizioni di detenzione quali descritte nelle notizie pervenute dallo Stato richiedente.

Una garanzia applicabile anche in caso di estradizione di un cittadino di uno Stato membro del Consiglio d'Europa.

Una recente sentenza di questa Corte ha, infatti, precisato che, in tal caso, ai fini dell'accertamento della condizione ostativa del pericolo di trattamenti inumani o degradanti di cui all'art. 698 c.p.p., comma 1, l'Autorità giudiziaria dello Stato richiesto, anche in mancanza di allegazioni difensive, in conformità all'art. 4 CDFUE, è tenuta a verificare, in base ad elementi oggettivi ed aggiornati, l'affidabilità della garanzia proveniente dallo Stato richiedente circa il rispetto degli standard convenzionali relativi al trattamento dei detenuti durante l'intero percorso rieducativo seguito negli istituti penitenziari (Sez. 6, n. 18044 del 30/03/2022, Akritidis, Rv. 283157).

7. Non appare revocabile in dubbio, sulla base di tali coordinate, che, nel caso in esame, la Corte di appello fosse tenuta a verificare le condizioni del trattamento penitenziario della persona richiesta in consegna sia in relazione alle reali condizioni di detenzione, sia in una proiezione dinamica, che comportava l'accertamento del trattamento punitivo previsto per le violazioni contestate, sotto il duplice profilo della tipologia e della durata.

Il pericolo di trattamenti inumani e degradanti o, comunque, di violazione dei diritti fondamentali della persona, va esteso, infatti, alla ricostruzione del quadro normativo della pena prevista dalla legislazione dello Stato richiedente verificando, altresì, sul piano concreto, se tale pena, al di là della sua denominazione formale, consista effettivamente in un trattamento che violi i diritti fondamentali della persona.

E' il tema che, in più occasioni, questa Corte ha affrontato proprio con riferimento ai "lavori forzati", in relazione a Paesi diversi dalla Corea del Sud, stabilendo la necessità di accertare se la pena dei "lavori forzati", prevista dallo Stato richiedente, abbia una concreta finalità rieducativa e di reintegrazione del condannato e preveda lo svolgimento del lavoro con le modalità ordinariamente richieste ai detenuti (Sez. 6, n. 8616 del 30/01/2020, Smyshlyaev, Rv. 278459).

8.Nel caso in esame, la lettura sinottica della domanda di estradizione e delle deduzioni difensive ha ragionevolmente indotto la Corte di appello a chiedere, con l'ordinanza del 21 marzo 2023, informazioni supplementari in relazione alle effettive condizioni di detenzione ed al concreto trattamento punitivo applicabile all'estradando: informazioni la cui mancata acquisizione ha determinato la impossibilità di pervenire ad una decisione argomentata sulla sussistenza (o meno) delle condizioni di accoglimento della richiesta di estradizione che devono essere paritariamente verificate.

Va, in particolare, rilevato, che nella richiesta di estradizione si faceva riferimento alla pena della detenzione con lavoro a tempo indeterminato o non inferiore a cinque anni e, con riferimento al reato di frode aggravata, alla pena della reclusione con il lavoro per non più di dieci anni nonchè al cumulo delle sanzioni per effetto del concorso di reati, mentre, secondo le deduzioni difensive, avrebbero potuto essere applicati alla persona chiesta in consegna trattamenti contrari ai diritti della persona sia con riferimento alla pena perchè "sproporzionata" rispetto alla gravità delle contestazioni, potendo essere la pena prevista quella della "reclusione con lavori a vita", cioè quella dei "lavori forzati" a vita, che riguardo alle condizioni di detenzione qualificabili in termini di trattamenti inumani e degradanti (per le condizioni di sovraffollamento delle carceri coreane; l'accesso limitato all'assistenza medica; l'impiego di dispositivi di protezione a scopo punitivo, oltre a lunghi periodi di isolamento).

Il contenuto della richiesta di informazioni suppletive oggetto dell'ordinanza del 21 marzo 2023 evidenzia come, al di là della sinteticità della richiesta, la Corte di appello abbia ben ponderato l'esigenza della verifica delle condizioni rilevanti ai fini dell'accoglimento della richiesta di consegna, sia con riferimento al concreto trattamento di detenzione dell'estradando che alla tipologia delle pene previste in astratto e, soprattutto, irrogabili in concreto, muovendosi nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità.

Rileva questa Corte che la verifica delle condizioni di consegna non può affidarsi unicamente al contenuto del titolo estradizionale - redatto sulla base delle regole che disciplinano l'esercizio dell'azione penale nello Stato istante- e concludere che, quando queste si rivelino insufficienti per permettere alla parte richiesta di prendere una decisione, sia legittimo il rigetto della richiesta - secondo la tesi propugnata dalla difesa- poichè, invece, le regole della Convenzione (art. 13) impongono al Paese richiesto di domandare il completamento delle informazioni necessarie per la decisione, anche assegnando un termine per l'ottenimento delle stesse, con una previsione che bilancia il diritto della persona chiesta in estradizione ad avere, in tempi ragionevoli, una pronuncia sulla consegna.

9.Non va taciuto, infine, che, in materia di condizioni della detenzione, la giurisprudenza ha segnalato la necessità di informazioni che derivino da autorevoli organi internazionali, non essendo a tal fine sufficienti - per intuibili ragioni - nè le generiche rassicurazioni contenute nei titoli estradizionali, che spesso si risolvono in mere clausole di stile, nè denunce dei singoli.

Nel caso in esame, la documentazione prodotta dalla difesa, non avallata da plurime ed affidabili fonti internazionali, imponeva la richiesta di informazioni suppletive attraverso l'accertamento mirato e concreto della natura della pena prevista e delle condizioni di detenzione.

Sul punto occorre rilevare la risalenza nel tempo delle notizie dell'esperto poste a base della sentenza della Corte Distrettuale di Westminster del 4 ottobre 2022.

Quanto, invece, alla natura e tipologia della pena deve rilevarsi che l'affidavit prodotto dalla difesa era necessariamente condizionato dal contenuto non chiarissimo del titolo estradizionale che, pur richiamando le pene temporanee previste per i reati per i quali si procede ("detenzione con lavoro a tempo indeterminato o non inferiore a cinque anni", per l'ipotesi di truffa e la pena della "reclusione con il lavoro per non più di dieci anni o con una multa non superiore a 20 milioni di KRW", prevista per la frode), faceva riferimento (cfr. pag. 3 della memoria) a istituti sanzionatori - la pena prevista per reati concorrenti o giudicati contemporaneamente - che avrebbero potuto comportare l'applicazione della "reclusione con lavori a vita".

In ogni caso, la possibilità che venga comminata una pena detentiva a vita non costituisce circostanza ostativa all'emissione di una sentenza favorevole alla estradizione quando l'ordinamento del Paese che richiede la consegna consenta la liberazione anticipata, sia pure sulla base di valutazioni discrezionali di varie autorità pubbliche (cfr., per la durata a vita della pena, prevista dalla legislazione degli Stati Uniti d'America, Sez. 6, n. 14941 del 26/02/2018, Yarrington, Rv. 272767).

Nel caso in esame, legittimamente la Corte di appello ha ritenuto indispensabile l'accertamento sulla durata e tipologia della pena, al fine di acquisire informazioni vieppiù necessarie in presenza di indicazioni non chiarissime del titolo di estradizione.

10.Alla stregua delle suesposte considerazioni, pertanto, deve escludersi che la sentenza impugnata e l'ordinanza del 21 marzo 2023 siano inficiate dai cumulativi vizi denunciati.

11.La pronuncia della sentenza di non luogo a procedere impone la declaratoria di perdita di efficacia della misura cautelare disposta a carico di A.A., e, quindi, la revoca della misura degli arresti domiciliari, in quanto adottata in vista della pronuncia sulla estradizione che, oramai, non potrà avere corso.

La cautela personale adottata nell'ambito della procedura di estradizione passiva è finalizzata essenzialmente a soddisfare l'esigenza di scongiurare il pericolo di fuga dell'estradando, per garantirne la consegna allo Stato richiedente (art. 704 c.p.p., comma 2), con la conseguenza che/ l'esaurimento del procedimento di estradizione, conclusosi con sentenza di non luogo a provvedere, comporta la mancanza, ex post, delle "condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione" e la dichiarazione di perdita di efficacia della misura cautelare che costituisce un atto di natura vincolata e rileva quale mera presa d'atto della perenzione del titolo cautelare.

L'art. 300 c.p.p., comma 1, secondo cui le misure disposte in relazionea un determinato fatto perdono immediatamente efficacia quando, per tale fatto e nei confronti della medesima persona, è disposta l'archiviazione, ovvero è pronunciata sentenza di non luogo a procedere, enuncia una regola di carattere generale, applicabile anche alla materia dell'estradizione in forza del rinvio alle norme di cui al Titolo I del libro IV, previsto dall'art. 714 c.p.p., comma 2. Dunque, dal sistema si ricava chiaramente l'incompatibilità tra la pronuncia di sentenza di non luogo a provvedere, come nella specie, e il mantenimento della persona in stato di custodia in relazione al medesimo procedimento di estradizione la cui pendenza aveva determinato l'applicazione della misura.

12. Al rigetto del ricorso e alla revoca della misura conseguono gli adempimenti di cui all' art. 626 c.p.p. e art. 203, disp. att. c.p.p., con mandato alla Cancelleria, come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Revoca la misura cautelare degli arresti domiciliari e manda alla Cancelleria per l'immediata comunicazione al Procuratore generale in sede per quanto di competenza ai sensi dell'art. 626 c.p.p. e per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. c.p.p..
Conclusione
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2023 - Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2023