Dalle norme concernenti la tutela del segreto giornalistico deve desumersi un orientamento di tutela della professione giornalistica che deve indurre ad esplicare la massima cautela possibile nell'utilizzazione di strumenti di perquisizione e sequestro in considerazione dell'attività delicatissima che essi svolgono e delle potenziali limitazioni della libertà di manifestazione del pensiero che potrebbero scaturire da iniziative ingiustificatamente invasive.
Una ricerca senza limiti delle fonti di certe notizie potrebbe rischiare di dare luogo ad un "sostanziale" aggiramento del principio che tutela il segreto professionale (art. 200/3 c.p.p.).
Il segreto dei giornalisti professionisti è circoscritto all'indicazione del nome della fonte, nel cui ambito rientra qualsiasi indicazione che possa portare ad individuare la stessa.
Al fine di evitare che i provvedimenti di perquisizione e sequestro si trasformino in strumenti di ricerca della "notitia criminis" è necessario che essi individuino, almeno nelle linee essenziali, gli oggetti da sequestrare con riferimento a specifiche attività illecite, onde consentire che la perquisizione e il conseguente sequestro siano eseguiti non sulla base di semplici congetture, ma trovino giustificazione in concrete ipotesi di reato rinvenibili in fatti addebitati a un determinato soggetto, e permettere, inoltre, la verifica, in caso di "cose pertinenti al reato", della sussistenza delle esigenze probatorie, ovvero, qualora tali esigenze siano "in re ipsa", della effettiva possibilità di qualificazione di "corpo del reato" delle cose apprese, attraverso l'accertamento dell'immediatezza descritta dall'art. 253 c.p.p., comma 2 tra esse e l'illecito penale
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
(ud. 16/02/2007) 04-07-2007, n. 25755
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FABBRI Gianvittore - Presidente
Dott. VANCHERI Angelo - Consigliere
Dott. SIOTTO Maria Cristina - Consigliere
Dott. URBAN Giancarlo - Consigliere
Dott. CAVALLO Aldo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
PUBBLICO MINISTERO PRESSO TRIB. LIBERTA' di BRESCIA;
nei confronti di:
1) P.F.;
2) S.A.;
3) B.G., N. IL (OMISSIS);
4) B.C., N. IL (OMISSIS);
5) M.P., N. IL (OMISSIS);
6) B.S., N. IL (OMISSIS);
7) E.C., N. IL (OMISSIS);
8) Z.M.C., N. IL (OMISSIS);
9) BO.CA., N. IL (OMISSIS);
avverso ORDINANZA del 04/10/2006 LIBERA' di BRESCIA;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CAVALLO Aldo;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. DELEHAYE E., il quale ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza impugnata;
Udito il difensore Avv. GROSSO Federico.
Svolgimento del processo
1. Il 12 luglio 2006 P.L., funzionario del SISMI, constatata l'avvenuta pubblicazione su alcuni quotidiani ( (OMISSIS)) del contenuto dell'interrogatorio da lui reso il 6 luglio 2006 ai pubblici ministeri milanesi in veste di indagato nel procedimento (n. 10838/2005 PM) relativo al rapimento del cittadino egiziano A. O., presentava denunzia con la quale richiedeva la punizione dei colpevoli della divulgazione di tale atto, coperto da segreto e concernente, oltretutto, notizie coperte dal segreto di Stato.
Nel corso del procedimento originato da tale denuncia, la Procura della Repubblica di Brescia, competente territorialmente essendo dei magistrati del distretto di Milano i possibili autori degli illeciti denunciati, accertava:
a) che il giornalista E.C., autore di uno degli articoli nei quali si divulgava il contenuto dell'interrogatorio del P.L. (e segnatamente di quello apparso il 9 luglio 2006 sul quotidiano (OMISSIS)) era in possesso di una copia integrale del summenzionato verbale;
b) che tale copia era pervenuta al predetto giornalista, tramite messaggio fax, inviatogli dalla collega Z.C., giornalista della redazione milanese del quotidiano " (OMISSIS)".
Disposta una perquisizione presso la redazione milanese del predetto quotidiano, all'esito della stessa veniva sequestrata una copia del verbale d'interrogatorio del P.L. nonchè alcuni documenti di tipo "informatico" relativi al procedimento relativo al rapimento A.O., tra cui anche il "file" contenete la requisitoria del PM con la quale si richiedeva al GIP l'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare, documento ricevuto dalla giornalista in allegato ad un messaggio di posta elettronica, inviato dall'indirizzo di posta elettronica "(OMISSIS)".
Per accertare la provenienza di tale "file", nella notte tra l'11 ed il 12 agosto 2006, veniva disposta, in via d'urgenza, la perquisizione presso la sede romana del quotidiano "(OMISSIS)", dell'ufficio del giornalista Bo.Ca., risoltasi, anche in considerazione dell'assenza dall'Italia del giornalista, nell'attività di sequestro del personal computer in uso al predetto, nonchè di diversi supporti magnetici (floppy disk, DVD, CDR).
Successivamente, il 30 agosto 2006, alla presenza del Bo., la polizia giudiziaria che aveva eseguito il sequestro, procedeva alla ricerca, all'interno del programma di posta elettronica e della memoria del disco rigido del computer in dotazione al giornalista, dei messaggi riguardanti la richiesta del provvedimento di custodia cautelare, nonchè dei file attinenti al rapimento dell'imam egiziano A.O., accertando, con riferimento al "documento" poi inoltrato alla Z., che lo stesso era stato inviato al Bo. il 18 luglio 2006 dall'indirizzo di posta elettronica "(OMISSIS)".
Con provvedimento del 13 settembre 2006 il PM di Brescia disponeva, contestualmente, (a) la "clonazione" della memoria del computer del giornalista Bo.Ca. ed il dissequestro dell'elaboratore elettronico in uso al predetto;
(b) il sequestro e la "clonazione" la creazione cioè di quella che in linguaggio informatico viene definita bitstream image, ovvero una copia identica all'originale dell'hard disk del computer in uso a C.P., giornalista del quotidiano torinese.
2. Avverso i provvedimenti di sequestro e di "clonazione" delle memorie dei personal computers e di altro materiale informatico, proponevano autonome istanze di riesame sia il Bo. che il C..
2.1 L'adito tribunale di Brescia, con l'ordinanza impugnata, emessa il 4 ottobre 2006, mentre dichiarava inammissibile per intervenuta rinuncia l'impugnazione del C., in accoglimento del ricorso proposto dal Bo., annullava i decreti di sequestro probatorio emessi dal Pubblico Ministero il 13 ed il 21 settembre 2006 e per l'effetto disponeva l'immediata restituzione all'interessato, del "clone" della memoria del personal computer e dell'altro materiale informatico oggetto del sequestro (floppy disk, DVD, CDRom).
Il tribunale del riesame, fondava la sua decisione sulle seguenti considerazioni:
- che tra gli atti trasmessi, mancava un formale provvedimento autorizzativo del sequestro, in quanto il decreto emesso dal PM l'11 agosto 2006 conteneva in realtà solo un ordine di perquisizione, finalizzato ad accertare la provenienza dell'e-mail trovata presso la giornalista Z., mancando qualsiasi cenno all'apprensione di beni;
- che le ragioni dell'adozione del provvedimento cautelare di cui trattasi, risultavano comunque esplicitate, sia pure ex post, con il provvedimento del 13 settembre 2006;
- che tali ragioni, secondo la motivazione del suddetto provvedimento, andavano ricercate nell'avvenuto ritrovamento presso la Z. del verbale segretato (interrogatorio del P. L.) e di altri atti del procedimento non segretati, circostanza questa che consentiva la formulazione della "ragionevole ipotesi investigativa" secondo cui "il canale di divulgazione degli atti non segretati" poteva coincidere con quello di divulgazione del verbale segretato;
- che nei confronti del Bo. non risultava formulata, allo stato, alcuna contestazione di concorso nei reati di rivelazione ed utilizzazione di segreto d'ufficio (art. 326 c.p.) ovvero di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (art. 684 c.p.), sicchè al ricorrente, trovato in possesso di un unico atto giudiziario, per altro non coperto da segreto, doveva riconoscersi la qualità di soggetto terzo informato sui fatti e raggiunto dagli atti di ricerca della prova del PM;
- che il sequestro di cose appartenenti ad un terzo, pur costituendo un'attività processuale sicuramente ammissibile, richiedeva tuttavia, per considerarsi legittimamente disposto, "una preventiva individuazione della cosa da acquisire" e l'esistenza di uno "stringente collegamento tra la res da apprendere (al terzo) ed il reato oggetto di indagini preliminari";
- che il controllo in merito all'effettiva esistenza degli evidenziati presupposti legittimanti il sequestro doveva essere esercitato in modo particolarmente rigoroso allorquando, come nel caso in esame, il provvedimento presentava "connotati pesantemente intrusivi ed esplorativi" e da parte del terzo Bo. era stato opposto il segreto giornalistico espressamente tutelato dall'art. 200 c.p.p., comma 3, la cui compressione può ritenersi legittima solo nel caso in cui l'acquisizione delle cose assoggettate a sequestro risulti necessaria alle indagini;
- che nel caso in esame, il sequestro doveva ritenersi illegittimo in quanto l'ipotesi investigativa all'origine dell'adozione del provvedimento, secondo cui "il canale di divulgazione dell'atto secretato" poteva essere scoperto attraverso l'individuazione "del canale di divulgazione degli atti non secretati" appariva intrinsecamente di dubbia ragionevolezza, tenuto conto: a) che il rinvenimento presso la Z. del verbale segretato risaliva alla metà del mese di agosto, successivamente quindi sia alla pubblicazione degli articoli sull'interrogatorio del P.L. (risalente ai giorni 8, 9 e 10 luglio) sia all'epoca di "ostensione interna" del verbale (12 luglio), il che già rendeva la condotta addebitata alla Z. non particolarmente "inquietante"; b) che mentre il verbale segretato era stato rinvenuto presso la indagata Z. in forma cartacea, gli altri atti del procedimento A. O. non coperti da segreto, erano stati rinvenuti in forma digitale e risultavano trasmessi alla stessa per via telematica; c) che anche volendo ritenere ragionevole l'ipotesi investigativa formulata dal PM circa una possibile coincidenza del canale divulgativo degli atti segretati e non, la stessa risultava comunque in contrasto con un dato di comune esperienza quale il ricorso dei giornalisti ad una pluralità di "fonti informative"; d) che in aggiunta a tali argomenti occorreva altresì considerare che il collegamento tra il ricorrente Bo. e le indagini, "riposava" su di un dato di scarsa efficacia e rilevanza, quale l'invio alla Z. di un documento non più coperto da segreto, dallo stesso ricevuto da altro collega giornalista (il C.), avvenuto in un contesto nel quale risultava accertato che era la Z. la giornalista che si occupava della cronaca relativa al rapimento A.O. e presso la quale erano stati ritrovati "materiali processuali (già secretati e non)" e che il giornale che aveva pubblicato per primo il verbale segretato non era quello per il quale lavoravano la Z. ed il Bo. (e cioè la (OMISSIS)) ma il (OMISSIS).
Ulteriore profilo di illegittimità del sequestro, oltre l'insussistenza del necessario collegamento tra cose sequestrate ed i fatti oggetto di investigazione ed il carattere particolarmente invasivo del provvedimento, che aveva riguardato l'intero hard-disk del computer, con conseguente compressione della libertà e segretezza della corrispondenza, veniva infine ravvisato dal tribunale nel mancato rispetto dell'iter procedimentale (ordine di esibizione - opposizione del segreto - controlli e verifiche e solo da ultimo l'eventuale sequestro) previsto dall'ordinamento a tutela del segreto professionale dei giornalisti (artt. 200 e 205 c.p.p.).
Rilevava infatti il tribunale che dopo la prima esplorazione nella casella di posta elettronica mirata a ricercare l'origine dell'e-mail contenente in allegato la richiesta di ordine di custodia del 15 giugno 2006 (esplorazione che aveva consentito agli inquirenti di individuare in C.P. il mittente del messaggio) il sequestro del personal computer e la clonazione dell'hard-disk era stato disposto direttamente, senza compiere alcuna valutazione in merito all'opposizione manifestata dal Bo. con riferimento alla tutela del segreto professionale e della privacy, facendo riferimento il provvedimento impugnato del 13 settembre 2006 esclusivamente a non meglio precisate "sopravvenute esigenze investigative".
Solo in un successivo provvedimento del 21 settembre 2006, osservava il tribunale, il PM aveva infatti valutato, per la prima volta, le difese prospettate nell'interesse del Bo., che risultavano disattese in forza di considerazioni che il collegio giudicante riteneva non condivisibili.
Nell'evidenziare, infatti, che secondo il PM le esigenze di tutela della privacy potevano ritenersi adeguatamente salvaguardate attraverso l'esame in contraddittorio del materiale informatico "donato", in grado di assicurare l'acquisizione dei soli "files" che avevano interesse investigativo e che la tutela del segreto professionale non poteva considerarsi ostativa all'utilizzo di altri mezzi di ricerca della prova il sequestro finalizzati ad individuare aliunde il canale di irrituale divulgazione degli atti processuali, il tribunale, osservava: a) che intanto un esame del materiale informatico donato, per quanto effettuato alla presenza del Bo., non poteva tutelare effettivamente le esigenze di tutela della privacy e del segreto professionale, dal momento che esso implicava comunque l'apertura e la lettura di tutti i files del giornalista da parte degli inquirenti incaricati di selezionare, a loro discrezione, quelli ritenuti pertinenti alle indagini; b) che risultava poco chiaro cosa intendesse il PM per ricerca "aliunde" di quanto oggetto di possibile interesse investigativo, implicando pacificamente l'esecuzione del provvedimento adottato "l'esplorazione di tutti i dati informatici contenuti nella memoria dell'hard-disk". 3. Avverso l'indicata ordinanza del tribunale del riesame, ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica di Brescia, deducendo, quale unico ed articolato motivo di gravame, l'illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge (artt. 220, 247, 252, 253, 256, 114 c.p.p.).
In particolare, con diffuse argomentazioni, nel ricorso si deduce:
- che la circostanza che il Bo. non rivestiva la qualità di "indagato" ma "di persona informata dei fatti", non poteva costituire un valido argomento per affermare l'illegittimità dei provvedimenti di perquisizione emessi il 13 ed il 21 settembre, nei confronti del predetto giornalista;
- che l'adozione dei provvedimenti di cui trattasi, e segnatamente della clonazione della memoria dell'hard disk, doveva ritenersi, in effetti, doverosa, in quanto funzionale all'accertamento degli autori della illecita "divulgazione di atti, di documenti e notizie coperte da segreto (non solo investigativo)";
- che il tribunale del riesame, dichiarando illegittima l'attività processuale di cui trattasi, non aveva compreso l'effettivo contenuto della "notizia di reato" all'origine della stessa, erroneamente ritenuto circoscritto alla sola pubblicazione del verbale d'interrogatorio (segretato) del P.L., con ciò affermando, in definitiva, del tutto illegittimamente, "la non perquisibilità dei soggetti terzi rispetto al reato";
- che l'omessa o comunque inesatta cognizione della notizia criminis, che secondo il PM ricorrente si risolverebbe in una "violazione di legge", non avrebbe consentito al tribunale del riesame, in particolare, (a) di valutare correttamente l'esistenza del fumus commissi delicti e di apprezzare le finalità e le esigenze investigative sottese all'adozione dei provvedimenti annullati, diretti ad accertare le modalità di trasmissione e divulgazione di informazioni ancora riservate; (b) di cogliere l'indubbio collegamento con le indagini, dei provvedimenti stessi;
- che il tribunale, inoltre, erroneamente aveva ritenuto che la materiale apprensione del materiale informatico del Bo. era avvenuta in assenza di un formale provvedimento giustificativo del sequestro, adottato solo il 13 settembre 2006, non avendo il tribunale considerato che il provvedimento del 11 agosto 2006, che nella sua stessa intestazione includeva il termine sequestro, nell'autorizzare la perquisizione dell'ufficio del Bo. presso il quotidiano "La Repubblica", indicava chiaramente quale proprio oggetto, anche la memoria del personal computer del giornalista, senza contare che l'art. 352 c.p.p. "prevede de plano che le cose rinvenute a seguito di perquisizione, siano sottoposte a sequestro";
- che la formazione di un "clone" della memoria dell'hard disk era funzionale alla prosecuzione della perquisizione;
- che il richiamo all'art. 256 c.p.p. in tema di obbligo di esibizione e tutela del segreto professionale compiuto dal tribunale, doveva ritenersi errato, sia perchè per il giornalista professionista la tutela del segreto professionale è limitata all'anonimato delle fonti, sia anche perchè la norma in questione riguarda esclusivamente la richiesta di esibizione di documenti, e non già l'attività di perquisizione;
- che la normativa in tema di divieto di pubblicazione degli atti (art. 114 c.p.p.) non poteva, infine, assumere alcuna valenza decisiva per affermare l'illegittimità dei provvedimenti di sequestro, nel senso che l'attività di ricerca e acquisizione ordinata con i decreti annullati, in quanto diretta ad accertare la fonte della illegittima divulgazione di atti e notizie riservate doveva ritenersi legittima, indipendentemente dall'eventuale venir meno del divieto di pubblicazione di determinati atti processuali.
In prossimità dell'udienza camerale, la difesa del controinteressato Bo.Ca. ha depositato una memoria difensiva, nella quale si richiede il rigetto del ricorso e la conferma dell'ordinanza impugnata.
Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria orale, ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è privo di fondamento.
Ritiene infatti il collegio che il provvedimento impugnato, adeguatamente motivato, resiste a tutte le censure prospettate in ricorso.
2. Nessuna rilevanza ai fini del decidere può attribuirsi, in primo luogo, alle considerazioni svolte al punto sub 2.3 del ricorso, con le quali si contesta, in buona sostanza, che quello operato nei confronti del Bo. possa definirsi un "sequestro di fatto".
Se è vero, infatti, che nell'ordinanza impugnata (pagina 16) si afferma che un "provvedimento giustificativo del sequestro.... non risulta formalmente adottato", dal complessivo percorso argomentativo sul punto si evince chiaramente:
a) che il tribunale del riesame, con l'asserzione contestata, intendeva rimarcare, essenzialmente, che il provvedimento del PM dell'11 agosto 2006 - che anche nel ricorso viene indicato, in effetti, come il primo atto autorizzativo del sequestro probatorio di cui trattasi - così come motivato, risultava "finalizzato ad accertare la provenienza dell'e-mail trovata alla Z.M.C." e non già all'apprensione dell'intero hard disk del computer del giornalista Bo.;
b) che sulla decisione del tribunale di annullare i decreti di sequestro del 13 e 21 settembre 2006, non ha influito in alcun modo la mancanza (o meno) di un "formale atto genetico di sequestro", trattandosi di questione che nessuna delle parti - PM e difesa - aveva in effetti sollevato nel corso del procedimento de libertate.
3. Nessuna violazione dell'art. 247 c.p.p. può fondatamente addebitarsi, altresì, al tribunale del riesame.
Se pure deve riconoscersi, infatti, che nell'ordinanza impugnata, l'esposizione delle ragioni giustificatrici dell'annullamento del sequestro, prende le mossa dalla preliminare considerazione che il " Bo. è.... (allo stato) soggetto terzo... raggiunto dagli atti di ricerca della prova del PM di cui si è detto", dalla complessiva motivazione del provvedimento impugnato si ricava comunque, agevolmente, come il tribunale, con tale rilievo, per altro incontestato, concernente lo status del destinatario del provvedimento, ha inteso semplicemente rimarcare come, nel caso in esame, fosse particolarmente stringente l'obbligo per il PM di preventiva individuazione della cosa da acquisire e di motivare adeguatamente in merito allo stretto collegamento esistente tra la res da apprendere ed il reato di indagini preliminari; affermazione questa per altro, del tutto in linea con i principi ripetutamele affermati da questa Corte, secondo cui "al fine di evitare che i provvedimenti di perquisizione e sequestro si trasformino in strumenti di ricerca della "notitia criminis" è necessario che essi individuino, almeno nelle linee essenziali, gli oggetti da sequestrare con riferimento a specifiche attività illecite, onde consentire che la perquisizione e il conseguente sequestro siano eseguiti non sulla base di semplici congetture, ma trovino giustificazione in concrete ipotesi di reato rinvenibili in fatti addebitati a un determinato soggetto, e permettere, inoltre, la verifica, in caso di "cose pertinenti al reato", della sussistenza delle esigenze probatorie, ovvero, qualora tali esigenze siano "in re ipsa", della effettiva possibilità di qualificazione di "corpo del reato" delle cose apprese, attraverso l'accertamento dell'immediatezza descritta dall'art. 253 c.p.p., comma 2 tra esse e l'illecito penale" (così ex multis, Cass., sez. 6, sentenza n. 2882 del 6 ottobre - 11 dicembre 1998, ric. Calcaterra).
Palesemente infondato, deve ritenersi, quindi, il rilievo, svolto a pag. 18 del ricorso, secondo cui il tribunale avrebbe decretato la "non perquisibilità" dei soggetti terzi rispetto al reato, specie ove si consideri che a pagina 17 dell'ordinanza si precisa, al contrario, in linea di diritto, che il sequestro ben può raggiungere il terzo, come si desume, del resto, agevolmente dalla formulazione dell'art. 257 c.p.p. che attribuisce la legittimazione a proporre istanza di riesame avverso il decreto che dispone il sequestro, oltre che all'imputato, anche alla persona alla quale le cose sono state sequestrate.
4. Privo di fondamento risulta, altresì, anche l'ulteriore argomento prospettato in ricorso secondo cui il tribunale non avrebbe valutato correttamente l'esatto contenuto della "notizia di reato" all'origine del provvedimento di sequestro; errore valutativo (travisamento della notizia di reato) che avrebbe impedito al tribunale del riesame di apprezzare la pertinenza del sequestro, da ritenersi, invece, pienamente legittimo in quanto funzionale all'accertamento non già soltanto degli autori dell'illegittima attività di divulgazione di atti secretati (il verbale dell'interrogatorio P.L.) ma anche di una "sospetta circolazione informatica di documenti del procedimento n. 10838" (sequestro A.O.) "che andavano acquisiti ed esaminati, per poter datare la loro fuoriuscita dal circuito informatico degli uffici giudiziali milanesi".
Al riguardo è sufficiente rilevare che se è vero che il tribunale di Brescia (non senza qualche fondamento, per altro) aveva individuato nella "divulgazione" del verbale secretato del P. L., il tema "principale" e quindi non esclusivo di indagine, è però incontrovertibile e di immediata rilevazione che i giudici del riesame, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, non hanno affatto ignorato il dato fattuale costituito dal rinvenimento nel computer dell'indagata Z.C. di atti del processo n. 10838 (e segnatamente, della richiesta formulata il 15 giugno 2006 da parte del PM di Milano al GIP di quel tribunale, di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di alcuni degli indagati in detto procedimento) essendosi limitati a considerare con riferimento a tale dato: (a) che le "prospettazione ultime del PM" - rese in udienza - sollevavano obiettive incertezze sull'effettivo contenuto della notizia criminis, (b) che anche in riferimento a tale nuovo tema investigativo, il provvedimento di sequestro non appariva legittimo sul piano della sua necessità ai fini probatori, senza contare, che l'acquisizione di numeroso materiale informatico (floppy, cd-rom, ecc.) e la disposta "clonazione" dell'intero hard disk, implicava "pesanti intrusioni nella sfera personalissima del giornalista".
Orbene, con riferimento alle esigenze probatorie del disposto sequestro, occorre considerare, che seppure l'accertata diffusione per via telematica di atti processuali, per quanto non più coperti da segreto, potrebbe, in via generale ed astratta e sul piano della sola logica investigativa, far ritenere "utile" e "ragionevole" una esplorazione della memoria del personal computer del giornalista Bo., onde poter verificare l'esistenza di altri messaggi di posta elettronica che riproducevano degli atti riguardanti il procedimento n. 10838 (ulteriori e diversi rispetto alla richiesta del PM del 15 giugno 2006) così da permettere di individuare, auspicabilmente, l'ancora ignoto propalatore degli atti del suddetto procedimento, non vi è chi non veda, che specie nel momento in cui risultava ormai acclarato che la richiesta del PM del 15 giugno 2006 era pervenuta al Bo. da altro giornalista (il C.) e non quindi, direttamente, da un pubblico ufficiale infedele che aveva accesso agli atti, una siffatta attività investigativa finiva con l'assumere, in effetti, i connotati di un'attività di tipo esplorativo, che comprometteva, oltretutto, gravemente il diritto del giornalista alla riservatezza della corrispondenza e delle proprie fonti informative.
5. In particolare, anche con riferimento a tale ulteriore profilo di illegittimità del sequestro probatorio, individuato dal tribunale nella circostanza che nel caso in esame "l'incedere del PM" risultava "dissonante" rispetto "alle previsioni ordinamentali" (artt. 200 e 256 c.p.p.) poste "a tutela del segreto professionale assicurato ai giornalisti", i rilievi critici prospettati in ricorso si rivelano infondati.
Ed invero, come esattamente evidenziato nella memoria presentata dalla difesa del Bo., il richiamo da parte del tribunale del riesame delle disposizioni che tutelano il segreto di ufficio dei giornalisti con specifico riferimento ai nomi delle fonti delle notizie giornalistiche, non giustifica le censure formulate dal PM ricorrente.
Al riguardo occorre infatti considerare:
a) che il tribunale, contrariamente a quanto opinato in ricorso, ha chiaramente affermato che il segreto dei giornalisti professionisti stabilito dall'art. 200 c.p.p. è in effetti circoscritto all'indicazione dei nomi delle fonti;
b) che in base ad una interpretazione estensiva di tale norma, deve farsi rientrare nell'ambito del segreto professionale "non solo il nome della fonte" ma anche qualsiasi ulteriore indicazione "che possa portare ad identificare quest'ultima" (in tal senso Cass., sez. 6, sentenza n. 222397 del 21 gennaio-11 maggio 2004, ric. Moretti);
c) che in riferimento all'art. 256 c.p.p. il tribunale si è limitato a rilevare che "tale ultimo disposto, in simmetria con quanto prevede l'art. 200 c.p.p. (e quindi relativamente alla salvaguardia del solo segreto concernente il nome delle fonti), prescrive che in caso di opposizione del segreto l'autorità che ha richiesto l'esibizione di atti e documenti coperti da segreto deve svolgere gli opportuni accertamenti e può procedere a sequestro solo se perviene a conclusioni nei sensi dell'infondatezza del rilievo e della necessarietà per l'indagine dell'acquisizione (p. 15 ordinanza).
Considerazioni queste, si badi, dirette non già a sostenere, come affermato in ricorso, che il sequestro nei confronti dei giornalisti deve essere effettuato ai sensi del solo art. 256 c.p.p., mentre non potrebbe essere effettuato ai sensi dell'art. 253 c.p.p., ma soltanto a chiarire, come a ragione sostenuto dalla difesa del Bo., che dalle norme concernenti la tutela del segreto giornalistico deve desumersi un orientamento di tutela della professione giornalistica che deve indurre ad esplicare la massima cautela possibile nell'utilizzazione di strumenti di perquisizione e sequestro in considerazione dell'attività delicatissima che essi svolgono e delle potenziali limitazioni della libertà di manifestazione del pensiero che potrebbero scaturire da iniziative ingiustificatamente invasive.
In questa prospettiva deve quindi leggersi la specificazione secondo cui una ricerca senza limiti delle fonti di certe notizie potrebbe rischiare di dare luogo ad un "sostanziale" aggiramento del principio di cui all'art. 200 c.p.p., comma 3 (p. 16 dell'ordinanza).
Nell'indicato percorso argomentativo, non è possibile rilevare, quindi, nessuna abnorme interpretazione di legge, come si deduce nel ricorso.
Il Tribunale non ha infatti sostenuto nè che ai giornalisti professionisti il segreto potrebbe estendersi oltre i limiti indicati dall'art. 200 c.p.p., comma 3, nè che il sequestro di documenti potrebbe avvenire esclusivamente ai sensi dell'art. 256 c.p.p. e non anche ai sensi dell'art. 253 c.p.p., richiamando a tal fine anche una non remota pronuncia di questa Corte in argomento (Cass., sez. 2, sentenza n. 144 del 22 gennaio - 23 aprile 1997, PG in proc. Veronese, secondo cui "In assenza di formale opposizione del segreto d'ufficio o professionale alla richiesta di esibizione di documentazione ai sensi dell'art. 256 c.p.p., comma 1, nulla impedisce all'autorità giudiziaria procedente di emanare un normale decreto di sequestro della documentazione in questione sulla base della norma generale di cui all'art. 253 c.p.p., comma 1, e non dell'art. 256, comma secondo stesso codice, la cui operatività è espressamente fondata nel presupposto che vi sia stata una formale opposizione del segreto, della cui fondatezza l'autorità giudiziaria procedente abbia motivo di dubitare") avendo rilevato, semplicemente, che nell'applicazione di questa disposizione e nella valutazione dei presupposti del provvedimento occorre considerare anche la specificità della situazione del giornalista, che è destinatario di una disciplina particolare in tema di tutela del segreto, e con riferimento al quale la valutazione della proporzione tra il contenuto del provvedimento emesso e le esigenze di accertamento dei fatti deve avvenire con particolare rigore, evitando quanto più possibile interventi inutilmente intrusivi.
Nè potrebbe essere rilevante, ai fini di un eventuale annullamento dell'ordinanza impugnata, l'interpretazione prospettata in ricorso (p. 35), secondo cui l'art. 256 c.p.p., si riferirebbe soltanto ai soggetti indicati nel comma 1 e non anche a quelli indicati nell'art. 200 c.p.p., comma 3, ove si consideri che la citata disposizione richiama tutte le persone indicate negli artt. 200 e 201 c.p.p., senza operare alcun distinguo.
Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, non è allora ravvisatale, in conclusione, nessuna delle asserite violazioni di legge denunciate nel ricorso, che va quindi senz'altro rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2007.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2007