L'ordine non eseguito di un giudice di rilasciare una persona malata di mente dalla custodia cautelare viola i diritti convenzionali dell'imputato e obbliga il governo a risarcire i danni.
È inconcepibile in uno Stato di diritto che un individuo rimanga privato della libertà nonostante l'esistenza di una decisione giudiziaria che ne ordini il rilascio.
Per quanto riguarda la privazione della libertà di persone affette da disturbi mentali, un individuo può essere considerato "pazzo" e privato della libertà solo se sono soddisfatte almeno le seguenti tre condizioni: primo, la sua infermità mentale deve essere stata definitivamente accertata; secondo, il disturbo deve essere di carattere o entità tale da legittimare l'internamento; terzo, l'internamento non può continuare validamente senza la persistenza di tale disturbo.
Lo Stato è obbligato, nonostante i problemi logistici e finanziari, a organizzare il proprio sistema carcerario in modo da garantire che i detenuti siano trattati nel rispetto della loro dignità umana.
Con particolare riferimento ai rimedi compensativi relativi alle condizioni di detenzione, la Corte ha affermato che l'onere della prova imposto al richiedente non deve essere eccessivo. Il risarcimento finanziario dovrebbe essere disponibile per chiunque sia o sia stato detenuto in condizioni inumane o degradanti e ne abbia fatto richiesta. La Corte ha ripetutamente affermato che la constatazione che le condizioni di detenzione non soddisfano i requisiti dell'articolo 3 della Convenzione dà luogo a una forte presunzione che esse abbiano causato danni morali alla persona lesa. Le norme e le prassi nazionali che regolano il funzionamento del rimedio risarcitorio devono riflettere l'esistenza di questa presunzione piuttosto che subordinare il risarcimento alla capacità del richiedente di dimostrare, con prove estrinseche, l'esistenza di un danno non patrimoniale sotto forma di stress emotivo. Pertanto, subordinare la concessione del risarcimento alla capacità del richiedente di dimostrare la colpa delle autorità e l'illegittimità delle loro azioni può rendere inefficaci i rimedi esistenti. La Corte ha ricordato, a questo proposito, che le cattive condizioni di detenzione non sono necessariamente il risultato di mancanze imputabili all'amministrazione penitenziaria, ma il più delle volte hanno origine in fattori più complessi, ad esempio problemi di politica penale.
(traduzione automatica, originale francese qui)
Corte europea per i diritti umani
STRASBURGO
24 gennaio 2022
DEFINITIVO
24/04/2022
La presente sentenza è divenuta definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetta a modifiche formali.
Nel caso Sy c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da :
Marko Bošnjak, Presidente,
Péter Paczolay,
Krzysztof Wojtyczek,
Alena Poláčková,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato,
Lorraine Schembri Orland, giudici,
e Renata Degener, cancelliere di sezione,
visto il :
il ricorso (n. 11791/20) contro la Repubblica italiana presentato alla Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione") da un cittadino di questo Stato, il signor Giacomo Seydou Sy ("il ricorrente") il 4 marzo 2020
la decisione di portare il ricorso all'attenzione del Governo italiano ("il Governo"),
la misura provvisoria indicata al Governo resistente ai sensi dell'articolo 39 del Regolamento della Corte ("il Regolamento"),
le osservazioni delle parti,
la decisione della Corte del 9 marzo 2021 di non accettare la dichiarazione unilaterale del Governo,
dopo aver deliberato in camera di consiglio l'11 gennaio 2022,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:
INTRODUZIONE
1. Il ricorso riguarda il mantenimento del ricorrente in detenzione ordinaria, nonostante, tra l'altro, le decisioni dei tribunali nazionali che hanno disposto il suo collocamento in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza; "REMS"). Il ricorrente ha lamentato il protrarsi della sua detenzione ordinaria, che considerava illegittima; le sue condizioni di detenzione, che considerava scadenti a causa della mancanza di un trattamento specifico per il suo disturbo mentale; la mancanza di rimedi interni; la mancata esecuzione della decisione del 20 maggio 2019 con cui la Corte d'appello aveva ordinato il suo rilascio; e il ritardo nell'esecuzione della misura indicata dalla Corte ai sensi dell'articolo 39 del suo regolamento di giustizia. Sono in discussione gli articoli 3, 5 § 1, 5 § 5, 6, 13 e 34 della Convenzione.
I FATTI
2. Il ricorrente è nato nel 1994 e vive a Mazzano Romano. È stato rappresentato dagli avvocati A. Saccucci, G. Borgna, V. Cafaro e G. Di Rosa, avvocati in Roma.
3. Il Governo era rappresentato dal suo agente, sig. L. D'Ascia.
4. Il ricorrente soffre di un disturbo della personalità e di un disturbo bipolare. Il suo stato mentale è aggravato dall'abuso di sostanze. Al momento della presentazione del ricorso, era detenuto nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso ("Rebibbia NC") a Roma.
Il primo procedimento penale
5. Accusato di molestie nei confronti della sua ex fidanzata, resistenza a pubblico ufficiale e aggressione e percosse, il 15 luglio 2017 il ricorrente è stato posto agli arresti domiciliari dal giudice per le indagini preliminari (GIP) del tribunale di Roma, come misura cautelare.
6. Il 4 settembre 2017, poiché il ricorrente si era ripetutamente allontanato dalla propria abitazione, il GIP ha sostituito la misura con la detenzione provvisoria e ha chiesto alla direzione sanitaria del carcere di redigere una relazione sul suo stato di salute e sulla sua compatibilità con la detenzione, al fine di valutare la capacità del sistema carcerario di garantire al ricorrente le cure necessarie.
7. Il 18 settembre 2017, il GIP ha richiesto una perizia psichiatrica sul ricorrente per determinare il suo stato psicologico al momento dei reati e la sua pericolosità per la società.
8. Il 3 ottobre 2017, in un'udienza in contraddittorio ad hoc davanti al GIP ai fini della produzione di prove (incidente probatorio), il perito G.M. ha presentato la sua relazione, che ha concluso come segue:
"Il sig. Sy, affetto da un disturbo di personalità (...) (caratteristiche miste di personalità antisociale e borderline), da un disturbo bipolare e disturbi correlati, da un disturbo correlato all'uso di cannabis, da un disturbo correlato all'uso di stimolanti (cocaina), si trovava, all'epoca dei fatti (...), a causa di una fase di grave scompenso, in una condizione di infermità tale da escludere la sua responsabilità.
Il sig. Sy deve essere considerato, nel senso psichiatrico del termine, come un soggetto socialmente pericoloso, che richiede cure e riabilitazione terapeutica anziché la detenzione.
Il signor Sy è in grado di partecipare coscientemente al suo processo.
9. Il 6 ottobre 2017 l'IPTF ha sostituito la custodia cautelare con una misura di sicurezza personale provvisoria di collocamento in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) per un anno (si veda il successivo paragrafo 49), da attuarsi il prima possibile. Nel frattempo, il ricorrente doveva essere collocato in una struttura adeguata.
10. Lo stesso giorno, su richiesta della Procura, il GIP ha deciso che l'imputato dovesse essere processato con il rito immediato ("giudizio immediato").
11. Il 22 novembre 2017, sulla base della perizia psichiatrica presentata il 3 ottobre 2017, il GIP ha assolto il ricorrente in quanto, a causa della sua infermità, non era in grado di controllare le proprie azioni e ha disposto l'applicazione della misura detentiva REMS per un periodo di sei mesi. Ha rilevato che la misura di sicurezza applicata al ricorrente il 6 ottobre 2017 non era stata eseguita per mancanza di posti nelle strutture interessate (cfr. paragrafo 9 supra).
12. Il ricorrente ha dichiarato di essere stato scarcerato il 23 dicembre 2017, a causa della mancanza di posti nelle REMS, e che il 23 gennaio 2018 era entrato volontariamente in una comunità di cura specializzata per ricevere un trattamento terapeutico personalizzato.
13. 13. Richiamato dalla Procura, il giudice dell'esecuzione di Roma ("JAP") (magistrato di sorveglianza) ha riesaminato la situazione del ricorrente e, con ordinanza del 14 maggio 2018, depositata il 13 giugno 2018, ha dichiarato che egli continuava a rappresentare un pericolo per la società, ma ha sostituito la detenzione nella REMS con l'affidamento in prova, per un periodo di un anno, da svolgersi nella comunità specializzata. Il giudice ha basato la sua decisione in particolare sulla relazione dello psichiatra del servizio pubblico per le dipendenze patologiche (Ser.D.) di Roma, che ha ritenuto che il collocamento in REMS non fosse più la soluzione adeguata per il ricorrente.
14. Il ricorrente afferma che il mese successivo, mentre era ancora sottoposto alla misura della libertà vigilata, ha ottenuto il permesso di lasciare temporaneamente la comunità. Il 29 giugno 2018 ha avuto un'altra crisi psicotica causata dall'uso di droga ed è stato portato al pronto soccorso. Sostiene di essere stato autorizzato a uscire il giorno stesso, ma che, a causa della mancanza di autorizzazione da parte del giudice, la comunità si è rifiutata di accoglierlo, per cui è rimasto in libertà.
Il secondo procedimento penale
15. Il 2 luglio 2018 il ricorrente è stato arrestato in flagranza di reato per furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale. Lo stesso giorno, il Tribunale di Tivoli ha convalidato l'arresto e ha disposto la sua custodia cautelare a Rebibbia NC.
16. 16. Al momento dell'ingresso in carcere, il ricorrente è stato visitato dallo psichiatra di Rebibbia NC, che ha raccomandato di metterlo in isolamento e sotto un alto livello di sorveglianza, e di sottoporlo a cure mediche adeguate. La cartella clinica del carcere mostrava che il richiedente continuava a soffrire di un disturbo della personalità e di un disturbo bipolare e che la sua salute mentale era instabile e caratterizzata da manie di grandezza e di persecuzione al limite del delirio. Lo psichiatra ha sottolineato che il ricorrente aveva scarsa consapevolezza di essere malato e di aver bisogno di cure e che, per quanto riguarda la terapia farmacologica prescritta, era soggetto a periodi alterni di accettazione e rifiuto. Verso la fine di luglio 2018, lo psichiatra ha autorizzato il trasferimento del ricorrente in una cella "ordinaria" con altri detenuti, in particolare perché lo stato di salute di quest'ultimo era leggermente migliorato. A fine agosto 2018 ha osservato un elevato grado di ansia nel ricorrente e un rifiuto della terapia farmacologica.
17. Il 26 settembre 2018, in udienza, il tribunale ha disposto la redazione di una perizia per valutare l'idoneità del ricorrente a partecipare al procedimento, il suo stato mentale al momento dei presunti reati e la sua eventuale pericolosità per la società.
18. Nella relazione presentata il 9 novembre 2018, il perito G.M. ha confermato la sua diagnosi del 3 ottobre 2017 in merito alla patologia del ricorrente (si veda il paragrafo 8 sopra). Ha inoltre affermato che, quando il ricorrente aveva commesso i reati, si trovava in uno stato di infermità tale da escludere parte della sua responsabilità. Ha anche confermato la sua valutazione della pericolosità sociale del ricorrente. Ha sottolineato che la necessità di cure mediche prevaleva sulla necessità di detenzione e ha ritenuto che il richiedente fosse idoneo a partecipare al processo. Poiché il richiedente era poco consapevole della sua malattia ed era a rischio di nuovi episodi di scompenso, l'esperto ha ritenuto necessario:
"(...) l'inserimento [del ricorrente] in un programma terapeutico e riabilitativo misto, che preveda un'adeguata farmacoterapia (...), e un percorso di reinserimento che comprenda attività di rieducazione e risocializzazione, in assenza del quale il rischio di nuove fasi di scompenso acuto deve essere considerato molto elevato."
19. Il 22 novembre 2018 il tribunale, sulla base della perizia, ha ritenuto che all'epoca dei fatti il ricorrente si trovasse in uno stato di infermità che escludeva parzialmente la sua responsabilità, lo ha ritenuto responsabile dei reati di cui era accusato e lo ha condannato a un anno e due mesi di reclusione. Ha ritenuto che non fosse necessario disporre una nuova misura di sicurezza definitiva della stessa natura di quella applicata dal GIP di Roma il 15 maggio 2018, in quanto la pena complessiva inflitta era sufficiente.
20. In un'ulteriore decisione emessa lo stesso giorno, il tribunale ha sostituito la custodia cautelare con gli arresti domiciliari, tenendo conto delle esigenze terapeutiche del ricorrente riscontrate dall'esperto (si veda il paragrafo 18 supra).
21. Il 27 novembre 2018, poiché il ricorrente non aveva rispettato le condizioni del suo incarico, il tribunale ha ripristinato l'ordinanza di custodia cautelare e, il 2 dicembre 2018, il ricorrente è stato nuovamente incarcerato a Rebibbia NC.
22. Il 29 e il 31 gennaio 2019, dopo aver tentato il suicidio, il ricorrente è stato visitato dallo psichiatra del carcere che ha certificato, in un rapporto del 31 gennaio 2019, che il suo stato di salute non era compatibile con la detenzione ordinaria e che era necessario un trasferimento in un reparto psichiatrico del carcere o in una struttura psichiatrica esterna al carcere.
23. Il 4 febbraio 2019, con un'ordinanza emessa sulla base dell'articolo 111, comma 5, del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (si veda il successivo paragrafo 53), il tribunale ha constatato il deterioramento dello stato di salute mentale del ricorrente e, poiché il pubblico ministero non aveva richiesto l'applicazione di misure di sicurezza provvisorie, ha disposto il collocamento senza indugio del ricorrente in un reparto carcerario per pazienti psichiatrici.
24. Con decisione del 7 febbraio 2019, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (il "DAP") ha disposto il trasferimento del ricorrente nel reparto di salute mentale del carcere di Rebibbia NC. Il 21 febbraio 2019, tale decisione è stata notificata al tribunale. Il ricorrente sostiene che tale trasferimento non ha mai avuto luogo.
25. Con sentenza n. 6998 del 20 maggio 2019, depositata il 10 giugno 2019, la Corte d'appello di Roma, a cui il ricorrente ha presentato ricorso, ha ridotto la pena a undici mesi di reclusione, ha revocato la misura della custodia cautelare e ha disposto la liberazione del ricorrente.
26. Il ricorrente è rimasto in carcere a Rebibbia NC.
Procedimento davanti al giudice dell'esecuzione di Roma e applicazione dell'articolo 39 del Regolamento della Corte
27. Nel frattempo, con un'ordinanza del 21 gennaio 2019, depositata il giorno successivo, il GIP di Roma aveva constatato che il ricorrente, pur essendo sottoposto a una misura di affidamento in prova con comunità terapeutica concessa nel primo procedimento penale (cfr. paragrafo 13 supra), era stato posto, il 2 luglio 2018, in custodia cautelare (cfr. paragrafo 15 supra) e poi non aveva rispettato le condizioni degli arresti domiciliari disposti dal Tribunale di Tivoli (cfr. paragrafi 19 e 21 supra). Di conseguenza, ha sostituito la misura della libertà vigilata con l'applicazione immediata della detenzione in REMS per un periodo di un anno, ritenendo che questa fosse l'unica misura adeguata in considerazione della pericolosità sociale del ricorrente.
28. A partire dal 5 febbraio 2019, il DAP ha chiesto a diverse REMS situate nella regione Lazio di accogliere il ricorrente. Tuttavia, le suddette strutture hanno risposto negativamente, per mancanza di spazio.
29. Il 2 settembre 2019, il GIP di Roma ha quindi chiesto al DPA di verificare la disponibilità di REMS fuori regione, sottolineando l'urgenza di eseguire la misura di sicurezza e le cure mediche del ricorrente ancora detenuto a Rebibbia NC. Nessuna delle REMS richieste dal DAP è stata in grado di ospitare il ricorrente, per mancanza di spazio, sia all'interno che all'esterno della regione.
30. Il 18 novembre 2019 il ricorrente ha chiesto al GIP di Roma una rivalutazione della sua pericolosità sociale e la possibilità di seguire un percorso terapeutico in una struttura più adeguata al suo stato di salute.
31. Al fine di pronunciarsi sulla richiesta del ricorrente, il Giudice ha chiesto al servizio medico del carcere di Rebibbia NC e al centro di salute mentale della ASL di fornirgli relazioni aggiornate sullo stato di salute del ricorrente e sulle possibili soluzioni terapeutiche. Il rapporto del servizio psichiatrico di Rebibbia NC, datato 29 dicembre 2019, attestava che il ricorrente era in buona salute fisica e che era costantemente monitorato dai medici specialisti del carcere. La relazione del centro di salute mentale, datata 26 febbraio 2020, sottolineava la necessità di un percorso terapeutico di tipo residenziale e di un'integrazione comunitaria in luogo di una REMS.
32. 32. Il 2 marzo 2020, ritenendo insufficienti e contraddittorie le prove contenute nelle due relazioni sopra citate, il GIP ha nominato un esperto psichiatra per riesaminare il ricorrente.
33. 33. Il 3 marzo 2020 il ricorrente ha chiesto alla Corte, ai sensi dell'articolo 39 del Regolamento della Corte, di indicare al Governo misure adeguate per porre fine alla sua detenzione in carcere. Il 26 marzo 2020 il Governo ha prodotto un rapporto del reparto psichiatrico del NC di Rebibbia, datato lo stesso giorno, in cui si affermava che il ricorrente era regolarmente monitorato da specialisti e che aveva raggiunto un certo grado di equilibrio mentale.
34. Il 7 aprile 2020 la Corte ha incaricato il Governo, ai sensi dell'articolo 39 del Regolamento della Corte, di assicurare il trasferimento del ricorrente in una REMS o in un'altra struttura in grado di fornire un'adeguata assistenza terapeutica per la sua patologia mentale.
35. Il 10 aprile 2020, su richiesta del DAP, il reparto psichiatrico di Rebibbia NC ha redatto un rapporto sulle cure fornite al ricorrente in carcere. Il rapporto affermava che il ricorrente, a partire dall'ottobre 2019, grazie alla sua disponibilità a sottoporsi alle cure, aveva raggiunto un certo grado di equilibrio mentale. Il rapporto affermava inoltre che il progetto terapeutico e riabilitativo elaborato per il richiedente comprendeva visite regolari dello psichiatra curante allo scopo di monitorare la terapia farmacologica, incontri con lo psicologo del servizio per le dipendenze patologiche e la partecipazione ad attività sportive. La relazione affermava che il 28 ottobre 2019 e il 26 febbraio 2020 i referenti dei servizi sanitari locali si erano incontrati per redigere un progetto terapeutico e per individuare una struttura di accoglienza esterna al carcere.
36. Il 15 aprile 2020 il rappresentante del ricorrente ha informato la Corte che il suo assistito era detenuto in carcere e che la lettera che aveva inviato alle autorità italiane per chiedere il trasferimento in una comunità terapeutica disponibile ad accoglierlo (Santa Maria del Centro Italiano di Solidarietà - CeIS) non aveva ricevuto risposta.
37. 37. Il 27 aprile 2020 il Governo ha informato la Corte di aver comunicato al GIP di Roma la misura provvisoria indicata dalla Corte, precisando che il potere di modificare il provvedimento di collocamento in REMS applicando un'altra misura di sicurezza meno onerosa rientra nella competenza esclusiva dell'autorità giudiziaria. Per quanto riguarda il trasferimento, ha detto che, nonostante le ripetute richieste, non si era ancora reso disponibile alcun posto REMS.
38. 38. Il 30 aprile 2020, in risposta alle osservazioni del Governo, il ricorrente ha dichiarato che il trasferimento poteva avvenire poiché aveva già trovato un istituto idoneo pronto ad accoglierlo. A suo avviso, lo Stato era venuto meno all'obbligo di cui all'articolo 34 della Convenzione a causa del ritardo nell'attuazione della misura.
39. Il 4 maggio 2020 il GIP di Roma ha ricevuto la perizia psichiatrica richiesta (si veda il precedente paragrafo 32). La perizia affermava che il richiedente rappresentava un pericolo per la società, anche se in misura minore perché era più consapevole della sua malattia. L'esperto ha confermato la necessità di sottoporre il richiedente a un programma terapeutico-riabilitativo residenziale e ha indicato che il collocamento in una comunità specializzata, come la comunità Santa Maria del Centro Italiano di Solidarietà - CeIS, che aveva indicato la disponibilità a partire dal 30 aprile 2020, sembrava essere la soluzione più adeguata.
Le conclusioni della perizia sono le seguenti:
" 1. Alla data della valutazione, lo stato mentale del sig. Sy, affetto da disturbo bipolare I e da disturbo borderline e antisociale di personalità, unito all'abuso di sostanze psicotrope, appariva compensato, senza deliri o allucinazioni, (...), da un comportamento adeguato e da un buon adattamento al contesto. La percezione della malattia era sufficientemente presente, compresa la necessità di un trattamento. La pericolosità del sig. Sy dal punto di vista psichiatrico è attenuata rispetto al livello rilevato durante le precedenti perizie, con la necessità di cura e riabilitazione terapeutica che prevale sulla necessità di detenzione.
2. È necessario che il richiedente prosegua le cure in un contesto residenziale psichiatrico che consenta un monitoraggio continuo del suo stato mentale, la somministrazione regolare di trattamenti farmacologici, il non utilizzo di sostanze stupefacenti e programmi di riabilitazione e reinserimento individualizzati, in assenza dei quali il rischio di nuove fasi di scompenso deve essere considerato molto elevato.
3. La struttura residenziale più idonea al trattamento specialistico del sig. Sy e alla limitazione dell'attuale grado di pericolosità sociale è una comunità a doppia diagnosi individuata in accordo con i servizi territoriali (...). Tale struttura appare la più idonea per la cura e anche per la tutela della società (...). La comunità a doppia diagnosi Santa Maria del CeIS si è detta disponibile ad accogliere il sig. Sy, che ha più volte manifestato il suo consenso e la sua intenzione di iniziare un percorso di cura presso di essa (...)".
40. L'8 maggio 2020 il Governo ha informato la Corte che era disponibile un posto presso la comunità terapeutica Santa Maria del Centro Italiano di Solidarietà - CeIS e che erano stati presi provvedimenti per trasferirvi il ricorrente. Il 4 maggio 2020, il JAP aveva autorizzato il trasferimento del ricorrente.
41. L'11 maggio 2020, il GIP di Roma ha dichiarato che la pericolosità del ricorrente era diminuita, ha revocato il provvedimento di detenzione in REMS e lo ha sostituito con la misura di sicurezza dell'affidamento in prova presso la suddetta comunità, dove il ricorrente avrebbe dovuto sottoporsi a un trattamento terapeutico individualizzato.
42. Il 12 maggio 2020, il ricorrente è stato trasferito in comunità. È fuggito il giorno successivo.
43. Il 5 giugno 2020 i Carabinieri hanno informato l'autorità giudiziaria che il ricorrente era irrintracciabile (irreperibile).
44. L'8 giugno 2020, il GIP di Roma ha dichiarato che la pericolosità del ricorrente si era aggravata e ha nuovamente disposto l'applicazione della misura di sicurezza della detenzione in REMS per almeno un anno.
45. L'11 giugno 2020, la Procura ha ordinato alla polizia di arrestare il ricorrente e di condurlo nella REMS indicata dal DAP.
46. Il 1° luglio 2020, la REMS "Castore" di Subiaco (Roma) ha informato le autorità che era disponibile un posto per il ricorrente a partire dal 6 luglio 2020. Il ricorrente è stato trasferito lì il 27 luglio 2020.
IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI NAZIONALE PERTINENTE
diritto interno pertinente
Misure di sicurezza
47. 47. Le misure di sicurezza sono disciplinate dagli articoli da 199 a 240 del Codice penale. Ai sensi dell'articolo 202, paragrafo 1, tali misure "possono essere applicate solo a persone socialmente pericolose che hanno commesso un atto reso reato dalla legge". L'autore di tale atto è considerato socialmente pericoloso "se è probabile che commetta nuovi atti penalmente rilevanti" (articolo 203, paragrafo 1).
48. 48. Le misure di sicurezza (imposte dal tribunale penale nella sentenza di merito o in una decisione successiva in caso di condanna, durante l'esecuzione della pena o quando il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione della pena - articolo 205) possono essere revocate solo se la persona interessata ha cessato di essere socialmente pericolosa (articolo 207 § 1). Trascorso il periodo minimo previsto dalla legge per ogni misura, il giudice deve riesaminare la persona sottoposta a tale misura per stabilire se è ancora socialmente pericolosa. In caso affermativo, deve fissare una data per il successivo riesame. Tuttavia, può anticipare tale data se vi è motivo di ritenere che il pericolo sia cessato (articolo 208).
49. Le misure di sicurezza possono essere personali o patrimoniali. Le prime comprendono l'internamento in una casa di cura e di custodia per le persone condannate a una pena ridotta a causa di una malattia mentale o di un'intossicazione cronica da alcol o droghe (articolo 219), nonché l'internamento in un ospedale psichiatrico giudiziario per le persone assolte per gli stessi motivi (articolo 222) e la libertà vigilata (articolo 228).
50. Per quanto riguarda l'internamento, dal 1° aprile 2015, le misure di internamento nelle strutture di cura e detenzione e negli ospedali psichiatrici giudiziari sono eseguite nelle REMS, ai sensi dei decreti legge n. 211 del 22 dicembre 2011 e n. 52 del 31 marzo 2014. Il giudice dispone l'applicazione della misura dell'internamento quando è dimostrato che nessun'altra misura è idonea a garantire un'adeguata assistenza alla persona interessata e a far fronte alla sua pericolosità. L'11 maggio 2020 il Giudice per le indagini preliminari di Tivoli ha sollevato una questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte Costituzionale, in particolare per quanto riguarda le norme istitutive delle REMS e l'incompetenza del Ministero della Giustizia in materia. Con ordinanza n. 131 del 24 giugno 2021, la Corte Costituzionale ha aperto un'indagine per acquisire informazioni sul funzionamento delle REMS.
51. Per quanto riguarda l'affidamento in prova, la persona sottoposta a questa misura viene "affidata all'autorità di pubblica sicurezza" per un periodo minimo di un anno; il giudice le impone gli obblighi che ritiene idonei a prevenire la commissione di nuovi reati. La sorveglianza deve essere esercitata in modo da promuovere, attraverso il lavoro, la riabilitazione dell'interessato alla vita sociale (articolo 228). Se, durante la libertà vigilata, l'infermo di mente si dimostra nuovamente pericoloso, questa misura è sostituita dal confinamento in un istituto di cura e detenzione (art. 231).
52. Le misure di sicurezza combinate con una pena detentiva sono applicate dopo che la pena è stata scontata o estinta (art. 211). L'ordine di ricovero in un istituto di cura e detenzione è eseguito dopo che la pena di restrizione della libertà personale è stata scontata o estinta. Tuttavia, il giudice, tenendo conto del particolare stato di infermità mentale del condannato, può ordinarne il ricovero prima che l'esecuzione della pena restrittiva della libertà personale sia iniziata o terminata (articolo 220).
53. L'articolo 111, comma 5, del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 prevede che gli imputati o i condannati che durante la permanenza in carcere sviluppano una malattia mentale che non richiede l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza o il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una struttura di cura e di detenzione siano assegnati a un istituto o a una sezione speciale per malati di mente.
Altre disposizioni di legge pertinenti
54. 54. La validità di una sentenza di condanna può essere contestata sollevando un incidente di esecuzione, come previsto dall'articolo 670 § 1 del Codice di procedura penale, che recita testualmente:
"Quando è accertato che l'atto non è valido o che non è divenuto esecutivo, [dopo aver] valutato anche nel merito [nel merito] il rispetto delle garanzie previste in caso di irreperibilità del condannato, (...) il giudice dell'esecuzione sospende l'esecuzione e ordina, se necessario, la liberazione dell'interessato e la rinnovazione della notificazione irregolare". In questo caso, il termine per l'impugnazione ricomincia a decorrere.
55. L'articolo 2043 del Codice civile recita come segue:
"Ogni atto illecito che causa un danno a un'altra persona obbliga chi lo ha commesso a ripararlo".
Rapporti nazionali sulla situazione carceraria
56. Il rapporto dell'associazione Antigone "per i diritti e le garanzie nel sistema penale", relativo alla visita al carcere di Rebibbia NC del 16 aprile 2019, descrive una situazione di sovraffollamento (con 400 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare). Altri elementi problematici che emergono dal rapporto sono le condizioni precarie dei locali e la mancanza di un servizio specializzato per i detenuti affetti da patologie psicologiche.
57. La relazione del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della regione Lazio sull'attività e i risultati degli organi regionali, relativa all'anno 2018, cita, tra l'altro, le cattive condizioni strutturali di quasi tutti gli istituti penitenziari, le difficoltà nella gestione delle patologie psichiatriche, nonché il perdurare della detenzione in regime ordinario delle persone sottoposte a misura di collocamento in REMS.
58. Il problema del sovraffollamento e delle cattive condizioni strutturali si riflette anche nella relazione al Parlamento per il 2019 del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
IN LEGGE
SULL'ESIGIBILITÀ
Non esaurimento delle vie di ricorso interne
59. Il Governo ha sostenuto che le vie di ricorso interne non erano state esaurite in quanto il ricorrente non aveva contestato, dinanzi al giudice dell'esecuzione, sulla base degli articoli 670 e 666 del codice di procedura penale, la legittimità del mantenimento della sua detenzione nonostante la decisione della Corte d'Appello del 20 maggio 2019 che ne ordinava la liberazione.
60. Il ricorrente ha sostenuto che l'incidente di esecuzione consentiva di sollevare solo questioni relative all'esistenza, alla portata o alla legittimità, sia dal punto di vista formale che sostanziale, del titolo esecutivo in base al quale il condannato era detenuto. Nel caso di specie, il Governo non aveva specificato né il titolo esecutivo da impugnare né il motivo per cui esso fosse nullo, secondo il ricorrente, perché non esisteva alcun titolo esecutivo che giustificasse la sua detenzione in carcere. Inoltre, il Governo non aveva dimostrato che il ricorso a questo rimedio avrebbe permesso di porre rimedio alle presunte violazioni.
61. La Corte ha già affermato, ai sensi di vari articoli della Convenzione, che una volta che il ricorrente ha ottenuto una decisione giudiziaria contro lo Stato, non è necessario che egli avvii successivamente un procedimento per la sua esecuzione.
62. In particolare, dal punto di vista dell'articolo 5 della Convenzione, la Corte ha osservato che è inconcepibile in uno Stato di diritto che un individuo rimanga privato della libertà nonostante l'esistenza di una decisione giudiziaria che ne ordini il rilascio (Assanidze c. Georgia [GC], n. 71503/01, § 173, CEDU 2004-II). In effetti, spetta agli Stati contraenti organizzare i loro sistemi giudiziari in modo tale che le loro forze dell'ordine possano soddisfare l'obbligo di evitare privazioni ingiustificate della libertà (Ruslan Yakovenko c. Ucraina, n. 5425/11, § 68, CEDU 2015).
63. Per quanto riguarda il diritto di accesso a un tribunale garantito dall'articolo 6 § 1 della Convenzione, la Corte ha affermato che sarebbe illusorio se l'ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente consentisse che una decisione giudiziaria definitiva e vincolante rimanga inoperante a scapito di una parte. L'esecuzione di una sentenza, da parte di qualsiasi tribunale, deve essere considerata parte integrante del "processo" ai sensi dell'articolo 6 (cfr. Metaxas c. Grecia, n. 8415/02, § 25, 27 maggio 2004, e Assanidzé, sopra citato, §§ 181 e 182). La Corte ha inoltre sottolineato che una persona che ha ottenuto una sentenza contro lo Stato non deve di norma avviare un procedimento separato per eseguirla (cfr. Metaxas, sopra citata, § 19). La responsabilità primaria di garantire l'esecuzione di una sentenza contro lo Stato spetta alle autorità statali a partire dalla data in cui la sentenza diventa vincolante ed esecutiva (Bourdov c. Russia (n. 2), n. 33509/04, § 69, in fine, CEDU 2009).
64. Nel caso di specie, la Corte osserva che il 20 maggio 2019 la Corte d'Appello di Roma ha revocato la custodia cautelare del ricorrente e ne ha ordinato il rilascio, sebbene egli sia rimasto in carcere. Le autorità non hanno inoltre provveduto al suo trasferimento in una REMS, contrariamente all'ordinanza del 21 gennaio 2019 emessa dal giudice dell'esecuzione di Roma (si vedano i paragrafi 25 e 27 supra). La Corte ritiene che il principio stabilito nella sentenza Metaxas, citata in precedenza, si applichi anche alle sentenze relative al regime di privazione della libertà. È responsabilità dello Stato eseguire le decisioni giudiziarie senza che l'interessato debba avviare un successivo procedimento per ottenerne l'esecuzione. Ne consegue che nel caso di specie, data l'esistenza di due decisioni giudiziarie che ordinavano, rispettivamente, il collocamento in REMS e la cessazione della custodia cautelare, il ricorrente non era tenuto a proporre un "incidente di esecuzione" per sostenere che la sua permanenza in carcere fosse illegittima (si veda, mutatis mutandis, Metaxas, sopra citata, § 19).
65. 65. Di conseguenza, l'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne deve essere respinta.
Mancato rispetto del termine di sei mesi
66. Il Governo ha sostenuto la tardività del ricorso in quanto è stato presentato il 3 marzo 2020, ossia ben oltre sei mesi dopo la decisione della Corte d'appello di Roma del 20 maggio 2019 che ordinava la liberazione del ricorrente (si veda il paragrafo 25 supra).
67. Per il ricorrente le violazioni da lui denunciate costituiscono una situazione perdurante, poiché alla data del ricorso era detenuto a Rebibbia NC.
68. La Corte ricorda che, quando la presunta violazione costituisce una situazione perdurante contro la quale non esiste un rimedio di diritto interno, è solo quando la situazione cessa che il termine di sei mesi inizia effettivamente a decorrere (si vedano Svinarenko e Slyadnev c. Russia [GC], nn. 32541/08 e 43441/08, § 86, CEDU 2014 (estratti), e Seleznev c. Russia, n. 15591/03, § 34, 26 giugno 2008). In particolare, quando un richiedente è detenuto, la detenzione deve essere considerata come una "situazione continuativa" per tutto il tempo in cui è ristretto nello stesso tipo di centro di detenzione in condizioni sostanzialmente simili. Brevi periodi di assenza, ad esempio se la persona interessata è stata allontanata dalla struttura per un interrogatorio o per altri atti procedurali, non incidono sul carattere continuativo del trattenimento. D'altra parte, il rilascio dell'interessato o il suo cambiamento di regime di detenzione, all'interno o all'esterno della struttura in questione, è in grado di porre fine alla "situazione continuativa". Un reclamo sulle condizioni di detenzione deve quindi essere presentato entro sei mesi dalla cessazione della situazione lamentata o, se era disponibile un rimedio interno effettivo, dalla decisione finale nel processo di esaurimento dei rimedi interni (Ananyev e altri c. Russia, n. 42525/07). Russia, nn. 42525/07 e 60800/08, §§ 75-78, 10 gennaio 2012, Shishanov c. Repubblica di Moldova, n. 11353/06, § 65, 15 settembre 2015, e Petrescu c. Portogallo, n. 23190/17, § 92, 3 dicembre 2019).
69. Esaminando la situazione del ricorrente alla luce dei principi di cui sopra, la Corte osserva che egli è stato detenuto a Rebibbia NC in due occasioni, dal 2 luglio 2018 al 22 novembre 2018 e poi dal 2 dicembre 2018 al 12 maggio 2020 (si vedano i paragrafi 15, 20, 21 e 42 supra). Dato che nel periodo intermedio il ricorrente è stato posto agli arresti domiciliari, la sua detenzione non può essere considerata "continua" nella sua interezza (si vedano Grishin c. Russia, n. 30983/02, § 83, 15 novembre 2007, e Dvoynykh c. Ucraina, n. 72277/01, § 46, 12 ottobre 2006). Tuttavia, la detenzione è stata continua durante i due periodi indicati.
70 Ne consegue che l'obiezione del Governo deve essere accolta solo per quanto riguarda il primo periodo di detenzione.
71. La Corte ritiene che, nella misura in cui si riferiscono al secondo periodo di detenzione a Rebibbia NC, i reclami non siano tardivi, dato che al momento della presentazione del ricorso il ricorrente vi era ancora detenuto (Strazimiri c. Albania, n. 34602/16, § 94, 21 gennaio 2020). Essa limiterà pertanto l'ambito del suo esame al secondo periodo di detenzione.
72. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che, per quanto riguarda quest'ultimo periodo, il ricorso non sia manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Rilevando inoltre che non sussistevano altri motivi di irricevibilità, ha dichiarato il ricorso ammissibile per quanto riguarda il periodo di detenzione dal 2 dicembre 2018 al 12 maggio 2020.
SUL MOTIVO
Sulla violazione dell'articolo 3
73. Il ricorrente ha sostenuto che il protrarsi della sua detenzione nel carcere ordinario, nonostante il parere contrario degli psichiatri curanti, gli aveva impedito di ricevere un'adeguata assistenza terapeutica per la sua salute mentale, aggravando la sua condizione e costituendo così un trattamento inumano e degradante vietato dall'articolo 3 della Convenzione, che recita:
"Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti".
Osservazioni delle parti
74. 74. Il ricorrente ha sostenuto che le cure mediche ricevute a Rebibbia NC sono state inadeguate, in assenza di una strategia terapeutica per curare la sua patologia o prevenirne l'aggravamento. Sostiene che tutti gli psichiatri che lo hanno visitato hanno testimoniato che il suo stato di salute era incompatibile con la detenzione in carcere e che era necessario un trattamento in una struttura sanitaria, ma che non è mai stato trasferito in una REMS o in un'altra struttura sanitaria adeguata a causa della cronica mancanza di posti. Ha inoltre affermato di essere stato inserito in un ambiente carcerario ordinario e, facendo riferimento ai rapporti redatti dall'Associazione Antigone e dal Garante nazionale e della Regione Lazio dei diritti dei detenuti, che le sue condizioni di detenzione erano scadenti (cfr. paragrafi 56 e 57 supra).
75. Facendo riferimento alle relazioni mediche del reparto psichiatrico di Rebibbia NC del 26 marzo e del 10 aprile 2020 (si vedano i paragrafi 33 e 35 supra), il Governo ha affermato che il ricorrente era stato sottoposto a un costante monitoraggio medico e a un progetto terapeutico individualizzato che prevedeva visite regolari di psicologi e psichiatri, la prescrizione di farmaci e attività di gruppo. A suo avviso, quindi, non vi è stata alcuna violazione dell'articolo 3.
La valutazione della Corte
(a) Principi applicabili
76. La Corte ricorda che l'articolo 3 della Convenzione incarna uno dei valori più fondamentali delle società democratiche. Esso vieta in termini assoluti la tortura e le pene o i trattamenti inumani o degradanti, indipendentemente dalle circostanze e dal comportamento della vittima. Per rientrare nel campo di applicazione di questa disposizione, il trattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa; dipende da tutte le circostanze del caso, compresa la durata del trattamento, le sue conseguenze fisiche o psicologiche e, in alcuni casi, il sesso, l'età e lo stato di salute della vittima (si veda Rooman c. Belgio [GC], n. 18052/11, § 141, 31 gennaio 2019, e i casi ivi citati).
77. 77. Questa disposizione impone allo Stato di garantire che ogni detenuto sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l'interessato a disagio o a difficoltà di intensità superiore al livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della detenzione, la salute e il benessere del detenuto siano adeguatamente garantiti, in particolare attraverso la fornitura delle cure mediche necessarie (Stanev c. Bulgaria [GC], n. 18052/11, § 141, gennaio 2019). Bulgaria [GC], n. 36760/06, § 204, CEDU 2012, e Rooman, sopra citata, § 143).
78. La Corte ha ripetutamente affermato che la detenzione di una persona malata può sollevare questioni ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione (si vedano Matencio c. Francia, no. 58749/00, § 76, 15 gennaio 2004, e Mouisel c. Francia, n. 67263/01, § 38, CEDU 2002-IX) e che tale detenzione in condizioni materiali e mediche inadeguate può costituire un trattamento contrario all'articolo 3 (Sławomir Musiał c. Polonia, n. 28300/06, § 87, 20 gennaio 2009, e Rooman, sopra citata, § 144).
79. Nel determinare se la detenzione di una persona malata sia conforme all'articolo 3 della Convenzione, la Corte prende in considerazione la salute dell'interessato e l'effetto delle modalità di detenzione sul suo progresso. Ha affermato che le condizioni di detenzione non devono in alcun modo sottoporre la persona privata della libertà a sentimenti di paura, ansia e inferiorità tali da umiliare, svilire e possibilmente spezzare la sua resistenza fisica e morale. A questo proposito, ha riconosciuto che i detenuti malati di mente sono più vulnerabili dei detenuti comuni e che alcune esigenze della vita carceraria li espongono a maggiori rischi per la salute, aumentano il rischio che si sentano inferiori e sono destinati a causare stress e ansia. Una tale situazione comporta la necessità di una maggiore vigilanza sul rispetto della Convenzione (W.D. c. Belgio, n. 73548/13, §§ 114 e 115, 6 settembre 2016, e Rooman, sopra citato, § 145). La valutazione della situazione degli individui interessati deve tenere conto della loro vulnerabilità e, in alcuni casi, della loro incapacità di lamentarsi in modo coerente, o addirittura del tutto, del loro trattamento e dei suoi effetti su di loro (Murray c. Paesi Bassi [GC], 2016, § 106, Herczegfalvy c. Austria, 24 settembre 1992, § 82, Serie A n. 244, e Aerts c. Belgio, 30 luglio 1998, § 66, Reports of Judgments and Decisions 1998-V).
80. La Corte prende in considerazione anche l'adeguatezza dell'assistenza medica e delle cure fornite durante la detenzione. Si tratta della questione più difficile da risolvere. La Corte ricorda che il semplice fatto che un detenuto sia stato visitato da un medico e gli sia stato prescritto un determinato trattamento non porta automaticamente alla conclusione che le cure fornite siano adeguate. Inoltre, le autorità devono garantire che le informazioni sullo stato di salute del detenuto e sulle cure ricevute durante la detenzione siano registrate in modo completo, che il detenuto riceva tempestivamente una diagnosi accurata e un trattamento adeguato e che sia sottoposto a un monitoraggio regolare e sistematico, laddove la malattia lo richieda, associato a una strategia di trattamento globale volta a curare o prevenire l'aggravarsi dei suoi problemi di salute piuttosto che a trattarne i sintomi. Inoltre, spetta alle autorità dimostrare di aver creato le condizioni necessarie affinché il trattamento prescritto sia effettivamente seguito (cfr. Blokhin c. Russia [GC], n. 47152/06, § 137, 23 marzo 2016, e Rooman, sopra citato, § 147). La Corte ha concluso che l'assenza di una strategia terapeutica globale per la cura di un detenuto malato di mente può equivalere ad un "abbandono terapeutico" contrario all'articolo 3 (vedi Strazimiri, sopra citata, §§ 108-112).
81. Se il trattamento non è possibile nel luogo di detenzione, il detenuto deve poter essere ricoverato o trasferito in un servizio specializzato (si veda Rooman, sopra citata, § 148).
b) Applicazione dei principi di cui sopra nel caso di specie
82. La Corte osserva che nessuno contesta l'esistenza dei problemi di salute del ricorrente, in particolare il suo disturbo della personalità e il disturbo bipolare, aggravati dall'uso di sostanze psicoattive. Il ricorrente soffre di episodi psicotici ricorrenti e ha tentato il suicidio durante la detenzione nel gennaio 2019 (si vedano i paragrafi 8 e 22 supra).
83. La Corte osserva che il ricorrente si lamenta della mancanza di cure mediche adeguate e delle condizioni della sua detenzione mentre si trovava a Rebibbia NC. Tenuto conto delle sue conclusioni sull'ammissibilità (si veda il paragrafo 69 supra), prenderà in considerazione il periodo di detenzione dal 2 dicembre 2018 al 12 maggio 2020.
84. La Corte osserva che il Governo non contesta che il ricorrente non sia stato trasferito in un reparto carcerario psichiatrico, nonostante l'ordinanza emessa dal Tribunale di Tivoli il 4 febbraio 2019 e la decisione di trasferimento emessa dal DAP il 7 febbraio 2019 (si vedano i paragrafi 23 e 24 supra).
85. La Corte deve quindi valutare se lo stato di salute del ricorrente fosse compatibile con la sua detenzione in carcere, anche in un ambiente regolare, e se l'assistenza medica che gli è stata fornita fosse sufficiente e adeguata.
86. Essa osserva, in primo luogo, che già durante la detenzione a Regina Coeli, il GIP del tribunale di Roma, sulla base delle conclusioni della perizia psichiatrica, che attestava la necessità di un trattamento terapeutico globale della grave patologia del ricorrente, aveva sostituito la custodia cautelare con il collocamento in REMS (si veda il paragrafo 9 supra).
87. Per quanto riguarda la detenzione a Rebibbia NC, la Corte osserva che nel novembre 2018 il perito nominato dal Tribunale di Tivoli ha affermato che la gestione terapeutica globale del ricorrente era necessaria e doveva prevalere sulla necessità di detenzione (si veda il paragrafo 18 supra). Successivamente, il 21 gennaio 2019, il GIP di Roma ha disposto l'immediato trasferimento del ricorrente presso la REMS (paragrafo 27 supra). Pochi giorni dopo, lo psichiatra del carcere ha certificato che il ricorrente non era idoneo alla detenzione ordinaria (paragrafo 22 supra). Il 4 febbraio 2019 il Tribunale di Tivoli ha ordinato il suo immediato collocamento in un istituto adeguato o in un reparto carcerario per pazienti psichiatrici (cfr. paragrafo 23 supra). La Corte rileva quindi - e il Governo non lo contesta - che lo stato mentale del ricorrente era incompatibile con la detenzione in carcere ordinario e che, nonostante le indicazioni chiare e inequivocabili, egli è rimasto in carcere ordinario per quasi due anni. Non può mettere in discussione le conclusioni raggiunte dagli esperti e dalle autorità giudiziarie nazionali in questo caso e ritiene che il mantenimento del ricorrente in carcere ordinario fosse incompatibile con l'articolo 3 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Contrada c. Italia (n. 2), n. 7509/08, § 85, 11 febbraio 2014).
88. Inoltre, dai documenti depositati dalle parti risulta che il ricorrente non ha beneficiato di alcuna strategia terapeutica globale per la gestione della sua patologia volta a curare i suoi problemi di salute o a prevenirne l'aggravamento (si vedano Blokhin, sopra citata, § 137, Rooman, sopra citata, § 147, e Strazimiri, sopra citata, § 108), e ciò in un contesto caratterizzato da pessime condizioni di detenzione (si veda Sławomir Musiał, sopra citata, § 95).
89. Vi è stata pertanto una violazione dell'articolo 3 della Convenzione.
Sulla presunta violazione dell'articolo 5 § 1
90. Il ricorrente ha sostenuto che la sua detenzione era illegittima e ha invocato l'articolo 5 § 1 della Convenzione, che recita:
"Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza personale. Nessuno può essere privato della libertà personale se non nei seguenti casi e in conformità alla legge
(a) se è legittimamente detenuto dopo una condanna da parte di un tribunale competente;
(...)
(c) se è stato arrestato e detenuto in vista di essere condotto davanti all'autorità giudiziaria competente, qualora vi siano ragionevoli motivi per sospettare che abbia commesso un reato o qualora vi siano ragionevoli motivi per ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo commesso;
(...)
(e) in caso di detenzione legittima di una persona suscettibile di diffondere una malattia contagiosa, di un pazzo, di un alcolizzato, di un tossicodipendente o di un vagabondo ;
(...) "
Argomentazioni delle parti
(a) Il richiedente
91. Il ricorrente ha sostenuto inizialmente che dal 20 maggio 2019, data in cui la Corte d'appello di Roma ha ordinato la sua liberazione (si veda il paragrafo 25 supra), fino al 12 maggio 2020, data del suo trasferimento in una comunità terapeutica (si veda il paragrafo 42 supra), la sua privazione della libertà mancava di base giuridica. A suo avviso, l'ordinanza del 21 gennaio 2019 con cui il GIP di Roma ha disposto il suo collocamento in una REMS non poteva giustificare la sua detenzione in carcere fino a quando non si fosse reso disponibile un posto (cfr. paragrafo 27 supra). Anche se il collocamento in REMS fosse stato alla base della sua detenzione dal 20 maggio 2020, questa sarebbe comunque terminata il 22 gennaio 2020, dopo un anno. Il ricorrente afferma poi che, fin dall'inizio, la sua detenzione a Rebibbia NC era irregolare, in quanto effettuata in un ambiente carcerario in condizioni inadeguate per una persona affetta da disturbi mentali e senza che ricevesse un trattamento medico adeguato e personalizzato. Secondo quanto riferito, il 4 febbraio 2019 il Tribunale di Tivoli ha riconosciuto che le sue condizioni di salute erano incompatibili con la detenzione ordinaria e ha ordinato il suo immediato collocamento in un reparto carcerario per pazienti psichiatrici (si veda il paragrafo 23 sopra).
(b) Il Governo
92. Il Governo ha sostenuto che le autorità avevano fatto tutto il possibile per trasferire il ricorrente in una REMS, ma che il collocamento non era stato possibile per mancanza di spazio. Ha sottolineato che i tribunali aditi avevano stabilito che il ricorrente era pericoloso e che per questo motivo non poteva essere rilasciato. A questo proposito, ha osservato che la misura di sicurezza del collocamento in REMS era in ogni caso una misura detentiva che veniva eseguita in una struttura di assistenza.
La valutazione della Corte
(a) Principi applicabili
93. La Corte ricorda che l'articolo 5 della Convenzione garantisce un diritto di grande importanza in una "società democratica" ai sensi della Convenzione, ossia il diritto fondamentale alla libertà e alla sicurezza. Insieme agli articoli 2, 3 e 4, l'articolo 5 della Convenzione è una delle principali disposizioni che garantiscono i diritti fondamentali a tutela dell'incolumità fisica degli individui e, in quanto tale, è di importanza fondamentale. Il suo scopo principale è quello di proteggere l'individuo dalla privazione arbitraria o ingiustificata della libertà (Selahattin Demirtaş v. Turkey (no. 2) [GC], no. 14305/17, § 311, 22 dicembre 2020, e Denis e Irvine v. Belgio [GC], nn. 62819/17 e 63921/17, § 123, 1° giugno 2021).
94. 94. Ogni persona ha diritto alla tutela di questo diritto, vale a dire a non essere o rimanere privata della libertà, se non in conformità con i requisiti dell'articolo 5, paragrafo 1, della Convenzione. Dalla giurisprudenza della Corte emergono in particolare tre principi fondamentali: la regola secondo cui le eccezioni, elencate in modo esaustivo, richiedono un'interpretazione restrittiva e non si prestano all'importante gamma di giustificazioni previste da altre disposizioni (in particolare gli articoli da 8 a 11 della Convenzione); la regolarità della privazione della libertà, che viene ripetutamente sottolineata sia dal punto di vista procedurale che sostanziale e che implica una scrupolosa aderenza allo Stato di diritto; e l'importanza della tempestività o della celerità dei controlli giudiziari richiesti (ibidem, § 312).
95. L'articolo 5, paragrafo 1, lettere da a) a f), contiene un elenco esaustivo di motivi per i quali una persona può essere privata della libertà; Tale misura non è legittima se non rientra in uno di questi motivi (cfr. Denis e Irvine, sopra citata, § 124), o se non è prevista da una deroga ai sensi dell'articolo 15 della Convenzione, che consente a uno Stato contraente, "in tempo di guerra o in altre emergenze pubbliche che minacciano la vita della nazione", di adottare misure in deroga agli obblighi previsti dall'articolo 5 "nella misura strettamente necessaria alle esigenze della situazione" (Nada c. Svizzera [GC], no. 312). Svizzera [GC], n. 10593/08, § 224, CEDU 2012).
96. Il fatto che un motivo sia applicabile non preclude necessariamente l'applicabilità di un altro; la detenzione può, a seconda delle circostanze, essere giustificata in base a più di un comma (Ilnseher c. Germania [GC], nn. 10211/12 e 27505/14, § 126, 4 dicembre 2018).
97. Inoltre, solo un'interpretazione restrittiva è coerente con lo scopo di questa disposizione: garantire che nessuno sia arbitrariamente privato della libertà (ibidem, § 126, e Khlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, § 88, 15 dicembre 2016).
98. Qualsiasi privazione della libertà non solo deve rientrare in una delle eccezioni di cui alle lettere da a) a f) dell'articolo 5 § 1, ma deve anche essere "legittima". Per quanto riguarda la "legalità" della detenzione, compreso il rispetto dei "canali legali", la Convenzione rinvia essenzialmente alla legislazione nazionale e sancisce l'obbligo di osservarne le norme sostanziali e procedurali (si veda Denis e Irvine, sopra citata, § 125).
99. Richiedendo che ogni privazione della libertà sia effettuata "per vie legali", l'articolo 5 § 1 richiede in primo luogo che ogni arresto o detenzione abbia una base giuridica nel diritto interno. Tuttavia, queste parole non si riferiscono solo al diritto interno. Esse riguardano anche la qualità del diritto; richiedono che esso sia compatibile con lo Stato di diritto, un concetto insito in tutti gli articoli della Convenzione. Su quest'ultimo punto, la Corte sottolinea che in materia di privazione della libertà è particolarmente importante soddisfare il principio generale della certezza del diritto. È quindi essenziale che il diritto interno definisca chiaramente le condizioni in cui una persona può essere privata della libertà e che la legge stessa sia prevedibile nella sua applicazione, in modo da soddisfare il criterio di "legalità" della Convenzione, che richiede che una legge sia sufficientemente precisa da consentire all'individuo - con l'assistenza di un consulente informato, se necessario - di prevedere, in misura ragionevole nelle circostanze del caso, le conseguenze che possono derivare da un determinato atto (cfr. Khlaifia e altri, sopra citata, §§ 91-92, Del Río Prada v. Spagna [GC], n. 42750/09, § 125, CEDU 2013, e Denis e Irvine, sopra citata, § 128).
100. Dalla giurisprudenza della Corte emerge chiaramente che per "condanna" ai sensi dell'articolo 5 § 1 (a) si deve intendere, tenuto conto del testo francese, sia una condanna a seguito dell'accertamento giuridico di un reato sia l'imposizione di una pena o di un'altra misura che comporti la privazione della libertà (si vedano Del Río Prada, sopra citata, § 123, e RuslanYakovenko, sopra citata, § 49).
101. Inoltre, la parola "dopo" nel sottoparagrafo (a) non implica un mero ordine cronologico di successione tra "condanna" e "detenzione": quest'ultima deve anche risultare dalla prima, verificandosi "come risultato e in virtù" della prima. In breve, deve esistere un sufficiente nesso causale tra i due. Tuttavia, il legame tra la condanna originaria e l'estensione della privazione della libertà si indebolisce gradualmente con il passare del tempo. Il nesso di causalità richiesto dalla lettera a) potrebbe essere spezzato se la decisione di non prorogare o reincarcerare una persona si basasse su motivi incompatibili con gli obiettivi perseguiti dalla decisione originaria del giudice del processo, o su una valutazione irragionevole rispetto a tali obiettivi. In tal caso, una detenzione originariamente legittima diventerebbe una privazione arbitraria della libertà e quindi incompatibile con l'articolo 5 (si veda Del Río Prada, sopra citato, § 124, e i casi ivi citati).
102. Un imputato è considerato detenuto "dopo la condanna da parte di un tribunale competente" ai sensi dell'articolo 5 § 1 (a) quando la sentenza di condanna è stata emessa in primo grado, anche se non è ancora esecutiva e rimane soggetta ad appello. La Corte ha affermato a questo proposito che l'espressione "dopo la condanna" non può essere interpretata come limitata al caso di una condanna definitiva, poiché ciò escluderebbe l'arresto all'udienza di persone condannate che sono apparse libere, a prescindere dai rimedi ancora disponibili (Wemhoff c. Germania, 27 giugno 1968, p. 23, § 9, Serie A n. 7). Inoltre, una persona condannata in primo grado e detenuta in attesa di appello non può essere considerata detenuta in vista di essere portata davanti all'autorità giudiziaria competente sulla base di un ragionevole sospetto di aver commesso un reato ai sensi dell'articolo 5 § 1 (c) (cfr. Solmaz c. Turchia, n. 27561/02, § 25, 16 gennaio 2007, e Ruslan Yakovenko, sopra citato, § 46).
103. Per quanto riguarda la giustificazione della detenzione ai sensi dell'articolo 5 § 1 (e), la Corte ribadisce che il termine "folle" deve essere inteso di per sé. Non si presta a una definizione precisa, il suo significato si evolve costantemente con il progresso della ricerca psichiatrica (si veda Denis e Irvine, sopra citato, § 134).
104. Per quanto riguarda la privazione della libertà delle persone con disturbi mentali, un individuo può essere considerato "folle" e privato della libertà solo se sono soddisfatte almeno le tre condizioni seguenti: in primo luogo, la sua infermità mentale deve essere stata definitivamente accertata; in secondo luogo, il disturbo deve essere di carattere o entità tale da giustificare l'internamento; in terzo luogo, l'internamento non può continuare validamente senza la persistenza di tale disturbo (si vedano, tra i tanti, Ilnseher, sopra citato, § 127, Rooman, sopra citato, § 192, e Denis e Irvine, sopra citato, § 135).
105. Alle autorità nazionali deve essere concesso un certo margine di discrezionalità nel decidere se un individuo debba essere detenuto per "infermità mentale", poiché spetta in primo luogo a loro valutare le prove addotte davanti a loro in un determinato caso; il compito della Corte è quello di controllare le loro decisioni alla luce della Convenzione (si veda Denis e Irvine, sopra citata, § 136).
106. Per quanto riguarda la prima condizione per privare una persona della libertà per "pazzia", ossia dimostrare all'autorità competente, mediante prove mediche oggettive, l'esistenza di un reale disturbo mentale, la Corte ribadisce che, sebbene le autorità nazionali dispongano di un certo margine di discrezionalità, in particolare quando decidono sulla fondatezza delle diagnosi cliniche, i motivi ammissibili di privazione della libertà elencati nell'articolo 5 § 1 devono essere interpretati in modo restrittivo. Una condizione mentale deve essere di una certa gravità per essere considerata un "vero" disturbo mentale ai fini dell'articolo 5 § 1 (e), poiché deve essere così grave da richiedere il trattamento in un istituto per malati di mente (si vedano Ilnseher, sopra citato, § 129, e Denis e Irvine, sopra citato, § 136).
107. Nessuna privazione della libertà di una persona considerata inferma di mente può essere considerata conforme all'articolo 5 § 1 (e) della Convenzione se è stata decisa senza chiedere il parere di un esperto medico. Qualsiasi altro approccio equivale a una violazione del requisito della protezione dall'arbitrio (si veda Kadusic c. Svizzera, n. 43977/13, § 43, 9 gennaio 2018, e i casi ivi citati). A questo proposito, la forma e la procedura scelte possono dipendere dalle circostanze. È accettabile, in casi urgenti o quando una persona viene arrestata per comportamento violento, che tale avviso venga ottenuto immediatamente dopo l'arresto. In tutti gli altri casi, è essenziale una consultazione preventiva. In assenza di altre possibilità, ad esempio a causa del rifiuto della persona di presentarsi a un esame, si deve almeno richiedere che un esperto medico effettui una valutazione sulla base del fascicolo, altrimenti non si può sostenere che l'infermità mentale della persona sia stata definitivamente accertata (Varbanov c. Bulgaria, n. 31365/96, § 47, CEDU 2000-X, e Constancia c. Paesi Bassi (dec.), n. 73560/12, § 26, 3 marzo 2015).
108. Per quanto riguarda la seconda condizione che deve essere soddisfatta da qualsiasi privazione della libertà per "infermità mentale", vale a dire che il disturbo mentale deve avere un carattere o una portata tali da giustificare l'internamento, la Corte ribadisce che un disturbo mentale può essere detto di tale portata se si stabilisce che l'internamento è necessario perché la persona interessata ha bisogno di terapia, di farmaci o di altri trattamenti clinici al fine di recuperare o migliorare il suo stato, ma anche se è necessario sorvegliare la persona per evitare che, ad esempio, faccia del male a se stessa o ad altri (ibidem, § 133, e Stanev, sopra citato, § 146).
109. La data rilevante in cui l'alienazione di una persona deve essere stata definitivamente stabilita alla luce dei requisiti dell'articolo 5 § 1 (e) è la data in cui è stato adottato il provvedimento che la priva della libertà a causa del suo stato. Tuttavia, come dimostra il terzo requisito minimo per la detenzione di una persona affetta da disturbo mentale, vale a dire che la detenzione non può essere validamente proseguita senza la persistenza del disturbo mentale, qualsiasi cambiamento nella salute mentale del detenuto successivo all'adozione del provvedimento di detenzione deve essere preso in considerazione (si veda Denis e Irvine, sopra citato, § 137).
110. La Corte ricorda che in alcune circostanze il benessere di una persona con disturbo mentale può essere un fattore aggiuntivo da prendere in considerazione, oltre agli elementi medici, nel valutare la necessità di cure istituzionali. Tuttavia, l'oggettiva necessità di alloggio e assistenza sociale non dovrebbe portare automaticamente all'imposizione di misure detentive. Secondo la Corte, qualsiasi misura di protezione adottata nei confronti di una persona in grado di esprimere la propria volontà deve rispecchiare il più possibile i desideri di tale persona. La mancata richiesta del parere dell'interessato può dar luogo a situazioni di abuso e ostacolare l'esercizio dei propri diritti da parte delle persone vulnerabili; pertanto, qualsiasi misura adottata senza la previa consultazione dell'interessato richiede, in linea di principio, un esame rigoroso (si vedano N. c. Romania, n. 59152/08, § 146, 28 novembre 2017, e Stanev, sopra citato, § 153).
111. Affinché la detenzione sia "legittima", deve esistere un qualche collegamento tra il motivo autorizzato di detenzione invocato e il luogo e il regime di detenzione. In linea di principio, la "detenzione" di una persona a causa del suo disturbo mentale è "legittima" ai fini del paragrafo 1 (e) solo se avviene in un ospedale, in una clinica o in un'altra struttura adeguata (si vedano Ilnseher, sopra citata, § 134, Rooman, sopra citata, § 190, e Stanev, sopra citata, § 147). Inoltre, la Corte ha avuto modo di chiarire che questa regola si applica anche quando la malattia o il disturbo non può essere curato o è improbabile che la persona interessata risponda al trattamento (cfr. Rooman, sopra citata, § 190).
112. 112. L'offerta di una terapia adeguata è diventata un requisito nell'ambito del più ampio concetto di "regolarità" della privazione della libertà. Qualsiasi detenzione di malati mentali deve avere uno scopo terapeutico e, più specificamente, mirare alla cura o al miglioramento, per quanto possibile, del loro disturbo mentale, compresa, se del caso, la riduzione o il controllo della loro pericolosità. La Corte ha sottolineato che, ovunque tali persone siano detenute, hanno diritto a un ambiente medico adeguato al loro stato di salute, accompagnato da misure terapeutiche efficaci per prepararle a un eventuale rilascio (ibidem, § 208).
113. 113. L'analisi per stabilire se un particolare istituto sia "appropriato" dovrebbe includere un esame delle condizioni specifiche di detenzione, compreso il trattamento fornito alle persone con malattie mentali (ibidem, § 210).
114. 114. La privazione della libertà di cui all'articolo 5, paragrafo 1, lettera e), ha una duplice funzione: da un lato, una funzione sociale di protezione e, dall'altro, una funzione terapeutica legata all'interesse individuale della persona malata di ricevere una terapia o una cura adeguata e personalizzata. La necessità di garantire la prima funzione non dovrebbe giustificare a priori l'assenza di misure per realizzare la seconda. Ne consegue che, alla luce dell'articolo 5 § 1 e), una decisione che rifiuta di rilasciare un internato può diventare incompatibile con lo scopo originario della detenzione preventiva contenuto nella decisione di condanna se l'interessato è privato della libertà perché rischia di recidivare, ma allo stesso tempo non beneficia delle misure - come una terapia appropriata - necessarie per dimostrare che non è più pericoloso (ibidem, § 210).
115. Per quanto riguarda la portata delle cure fornite, la Corte ritiene che il livello di cure mediche richieste per questa categoria di detenuti debba andare oltre le cure di base. Il mero accesso a professionisti del settore medico, a consultazioni o a farmaci non è sufficiente perché un determinato trattamento sia considerato adeguato e quindi soddisfacente ai sensi dell'articolo 5. Il ruolo della Corte, tuttavia, non è quello di analizzare il contenuto delle cure offerte e somministrate. È importante che possa verificare l'esistenza di un percorso di cura individualizzato che tenga conto delle caratteristiche specifiche della salute mentale della persona interessata al fine di prepararla a un eventuale reinserimento. In questo ambito, la Corte concede alle autorità un certo margine di manovra per quanto riguarda sia la forma che il contenuto del trattamento terapeutico o del percorso medico in questione (ibid., § 209).
b) Applicazione dei principi di cui sopra nel caso di specie
116. La Corte è chiamata a stabilire, alla luce dei principi summenzionati, se la detenzione del ricorrente a Rebibbia NC (si veda il paragrafo 15 e seguenti) rientrasse in uno dei motivi di privazione della libertà elencati nei sottoparagrafi da a) a f) dell'articolo 5 § 1 e se fosse "legittima" ai fini di tale disposizione e quindi conforme all'articolo 5 § 1.
117. La Corte esaminerà, in primo luogo, il periodo di detenzione del ricorrente tra il 2 dicembre 2018, data in cui è stato rinchiuso a Rebibbia NC dopo aver violato le condizioni degli arresti domiciliari, e il 20 maggio 2019, data della sentenza con cui la Corte d'Appello di Roma ha ordinato la sua liberazione, e poi, in secondo luogo, il periodo di detenzione dal 21 maggio 2019 al 12 maggio 2020, data della scarcerazione e del trasferimento del ricorrente in una comunità terapeutica.
La detenzione tra il 2 dicembre 2018 e il 20 maggio 2019
α) Motivi di privazione della libertà personale
118. La Corte osserva che i motivi della privazione della libertà del ricorrente per questo periodo di detenzione non sono controversi tra le parti. La Corte, considerate le circostanze del caso di specie, ritiene che tale periodo rientri nell'ambito di applicazione dell'articolo 5 § 1 (a).
β) Detenzione "per vie legali
119. La Corte deve ora stabilire se la detenzione del ricorrente durante il periodo in questione sia stata decisa "in conformità con la legge". La Convenzione si riferisce qui essenzialmente al diritto nazionale e stabilisce l'obbligo per le autorità nazionali di rispettare le norme sostanziali e procedurali da essa previste (si veda Ilnseher, sopra citata, § 135, e S., V. e A. c. Danimarca [GC], nn. 35553/12 e altri 2, § 74, 22 ottobre 2018).
120 A tal proposito, la Corte ritiene che tale detenzione fosse conforme al diritto interno in quanto basata sulla sentenza di condanna a un anno e due mesi di reclusione pronunciata dal tribunale distrettuale di Tivoli il 22 novembre 2018 e sulla decisione del 27 novembre 2018 con cui lo stesso tribunale ha ripristinato l'ordinanza di custodia cautelare (cfr. paragrafi 19 e 27 supra).
γ) Detenzione "regolare
121. Ai fini dell'articolo 5 della Convenzione, la conformità del trattenimento al diritto interno non è di per sé decisiva. Occorre anche stabilire che la detenzione del ricorrente durante il periodo in questione era "regolare" ai sensi dell'articolo 5 § 1 della Convenzione. La Corte osserva che il ricorrente è stato legittimamente detenuto dopo essere stato condannato da un tribunale competente, in particolare sulla base della sentenza di condanna a un anno e due mesi di reclusione.
122. Per quanto riguarda le cure mediche fornite in carcere, la Corte osserva che la questione dell'adeguatezza di un ambiente in termini di cure mediche per una persona che soffre di disturbi mentali è normalmente analizzata ai sensi degli articoli 3 e 5 § 1 (e) della Convenzione, e non ai sensi dell'articolo 5 § 1 (a). Tuttavia, in relazione alla detenzione, la Corte ha già notato che, mentre la punizione rimane uno degli scopi della detenzione, le politiche penali in Europa stanno ponendo sempre più l'accento sulla finalità riabilitativa della detenzione (Vinter e altri c. Regno Unito [GC], n. 66069/09 e altri 2, § 115, CEDU 2013 (estratti)). Analogamente, la Corte, pur sottolineando che una delle funzioni essenziali di una pena detentiva è quella di proteggere la società, ha riconosciuto l'obiettivo legittimo di una politica di graduale reinserimento sociale delle persone condannate a tale pena (Maiorano e altri c. Italia, n. 28634/06, § 108, 15 dicembre 2009, e Mastromatteo c. Italia [GC], n. 37703/97, § 72, CEDU 2002-VIII). Alla luce delle suddette constatazioni, ritiene che la mancanza di cure adeguate potrebbe quindi porre un problema ai sensi dell'articolo 5 § 1 (a) nel caso in cui un richiedente regolarmente detenuto dopo la condanna soffra di un disturbo mentale di natura così grave da impedirgli di comprendere e beneficiare dell'obiettivo di riabilitazione sociale perseguito dalla detenzione.
123. Nel caso di specie, la Corte osserva che il ricorrente ha lamentato solo la mancanza di un percorso terapeutico adeguato, senza contestare, dal punto di vista dell'articolo 5 § 1 (a), l'incompatibilità della sua detenzione con il suo stato mentale a causa della sua incapacità di cogliere la finalità di reinserimento sociale della pena detentiva (cfr. paragrafo 91 supra). Inoltre, rileva che dal fascicolo, e in particolare dalla perizia psichiatrica del 9 novembre 2018, risulta che il ricorrente era in grado di partecipare consapevolmente al processo in quel momento (cfr. paragrafo 18 supra). In assenza di altre prove, conclude che il ricorrente era in grado, al momento dell'esecuzione della pena, di comprendere e beneficiare dello scopo di reinserimento sociale della pena.
124. La Corte conclude che la detenzione in questione era conforme ai requisiti dell'articolo 5 § 1 (a) della Convenzione. Di conseguenza, non vi è stata alcuna violazione di tale disposizione per il periodo di detenzione dal 2 dicembre 2018 al 20 maggio 2019.
La detenzione tra il 21 maggio 2019 e il 12 maggio 2020
α) Motivi della privazione di libertà
125. La Corte ricorda che il ricorrente sostiene che dal 20 maggio 2019, data in cui la Corte d'Appello di Roma ha ordinato il suo rilascio, la sua privazione della libertà mancava di base giuridica.
126. Il Governo ha sostenuto che il ricorrente era rimasto in carcere a causa della sua pericolosità e della mancanza di spazio nella REMS e che l'ordine di collocamento nella REMS era in ogni caso una misura che comportava la privazione della libertà.
127. La Corte ricorda che il 21 gennaio 2019 il GIP di Roma ha disposto l'immediato collocamento del ricorrente in REMS per il periodo di un anno, in quanto questa era l'unica misura adeguata per far fronte alla sua pericolosità sociale (si veda il paragrafo 27 supra). La Corte valuterà quindi se la detenzione possa essere giustificata come detenzione di una persona folle ai sensi dell'articolo 5 § 1 (e).
β) Detenzione "per vie legali
128. La Corte osserva che il suddetto ordine REMS non è mai stato eseguito. Per quanto riguarda l'affermazione del Governo secondo cui l'ordinanza avrebbe potuto giustificare il mantenimento in carcere del ricorrente in quanto prevedeva una misura di privazione della libertà, la Corte osserva che la detenzione in carcere e il collocamento in una REMS sono misure diverse per quanto riguarda le condizioni di applicazione, le modalità di esecuzione e lo scopo che perseguono. In ogni caso, essa ritiene che non sia necessario determinare se la detenzione del ricorrente durante il periodo in questione sia stata decisa in conformità con le vie legali, poiché, per le ragioni esposte di seguito, tale periodo di detenzione non soddisfaceva i requisiti di regolarità ai sensi dell'articolo 5 § 1 (e).
γ) Detenzione "regolare
129. La Corte osserva che le tre condizioni stabilite dalla giurisprudenza Winterwerp (cfr. paragrafo 104 supra) sono soddisfatte nel caso di specie.
In primo luogo, osserva che, al momento in cui è stato disposto il collocamento nella REMS, l'infermità mentale del ricorrente era stata dimostrata davanti all'autorità competente mediante una perizia medica obiettiva (cfr. Ilnseher, sopra citata, § 127, e Rooman, sopra citata, § 192). Nel caso di specie, come descritto in dettaglio in precedenza (cfr. paragrafo 8), la perizia psichiatrica presentata il 3 ottobre 2017 al GIP del Tribunale di Roma concludeva che il ricorrente soffriva di un disturbo della personalità e di un disturbo bipolare, aggravato dall'uso di sostanze. L'esperto ha aggiunto che il ricorrente era pericoloso per la società e ha sottolineato che le sue esigenze terapeutiche avevano la precedenza sulla necessità di detenzione. La Corte osserva che le stesse conclusioni sono state successivamente confermate dalla seconda perizia, presentata il 9 novembre 2018 al Tribunale di Tivoli (si veda il precedente paragrafo 18).
131. La Corte osserva, in secondo luogo, che il GIP di Roma ha giustamente ritenuto che il disturbo mentale del ricorrente fosse di natura tale da legittimare l'internamento, dato che il ricorrente, pur essendo in libertà vigilata, aveva gravemente violato le condizioni della sua libertà vigilata, e che il collocamento in REMS era quindi l'unica soluzione in grado di soddisfare l'esigenza di protezione sociale (si vedano Ilnseher, sopra citata, § 127, e Rooman, sopra citata, § 192).
132. In terzo luogo, la validità del mantenimento in detenzione del ricorrente era subordinata alla persistenza del suo disturbo mentale. La valutazione più recente del suo stato di salute, datata 30 aprile 2020, affermava che il ricorrente rappresentava ancora un pericolo per la società, anche se in misura minore (si veda il paragrafo 39 supra). Non vi è alcuna indicazione nel fascicolo che tale rischio sia cessato durante il periodo in questione.
133. Ciò premesso, la Corte ritiene che, alla luce dei principi giurisprudenziali sopra richiamati (si veda il paragrafo 111 supra), l'esame di legittimità richieda anche di verificare se il legame tra il motivo della privazione della libertà e il luogo e le condizioni di detenzione si sia protratto per tutto il periodo di detenzione. Essa ricorda che, in linea di principio, la "detenzione" di una persona affetta da malattia mentale può essere considerata "legittima" ai fini del paragrafo 1 (e) solo se ha luogo in un ospedale, in una clinica o in un'altra struttura adeguata (si vedano Ilnseher, sopra citata, § 134, Rooman, sopra citata, § 190, e Stanev, sopra citata, § 147).
134. La Corte osserva che lo scopo della detenzione in una REMS non è solo quello di proteggere la società, ma anche quello di fornire alla persona interessata le cure necessarie per migliorare, per quanto possibile, il suo stato di salute e rendere così possibile la riduzione o il controllo della sua pericolosità (si vedano, mutatis mutandis, Klinkenbuß c. Germania, n. 53157/11, § 53, 25 febbraio 2016, e Rooman, sopra citata, § 208). Era quindi essenziale offrire al ricorrente un trattamento adeguato per ridurre il pericolo che rappresentava per la società. Tuttavia, dal fascicolo risulta che, anche dopo la sentenza della Corte d'appello di Roma che ne ordinava il rilascio, il ricorrente non è stato trasferito in una REMS. Al contrario, ha continuato a essere detenuto in carceri ordinarie in condizioni precarie e non gli è stata fornita un'assistenza terapeutica personalizzata (si vedano le conclusioni dell'articolo 3, paragrafo 88).
135. La Corte ribadisce che lo Stato è tenuto, nonostante i problemi logistici e finanziari, a organizzare il proprio sistema carcerario in modo da garantire che i detenuti siano trattati nel rispetto della loro dignità umana (si vedano Muršić c. Croazia [GC], n. 7334/13, § 99, 20 ottobre 2016, e Neshkov e altri c. Bulgaria, nn. 36925/10 e altri 5, § 229, 27 gennaio 2015). Anche se, inizialmente, un divario tra le capacità disponibili e quelle necessarie può essere considerato accettabile (mutatis mutandis, Morsink c. Paesi Bassi, n. 48865/99, § 67, 11 maggio 2004), il ritardo nell'ottenimento di un posto non può protrarsi all'infinito ed è accettabile solo se è debitamente giustificato. Le autorità devono dimostrare di non essere rimaste passive ma, al contrario, di aver cercato attivamente una soluzione e di essersi adoperate per superare gli ostacoli all'applicazione della misura. Nel caso di specie, risulta dal fascicolo che, a partire dal febbraio 2019, il DAP ha inviato numerose richieste di accoglienza alle REMS della Regione Lazio e a quelle presenti sul territorio nazionale al fine di trovare un posto per il ricorrente, ma senza successo a causa della mancanza di posti disponibili (cfr. paragrafi 28 e seguenti). La Corte osserva che, di fronte a questi rifiuti, le autorità nazionali non hanno creato nuovi posti all'interno della REMS o trovato un'altra soluzione. Spettava a loro assicurare alla ricorrente che un posto in una REMS sarebbe stato disponibile o trovare una soluzione adeguata. La Corte non può quindi considerare la mancanza di posti come una valida giustificazione per mantenere il ricorrente in carcere.
136. Di conseguenza, la privazione della libertà del ricorrente a partire dal 21 maggio 2019 non è stata effettuata in modo conforme ai requisiti dell'articolo 5 § 1 (e) (si veda Rooman, sopra citata, §§ 190 e 208-210).
137. Vi è stata pertanto una violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione.
Sulla presunta violazione dell'articolo 5 § 5
138. Ai sensi dell'articolo 5 § 5, il ricorrente ha anche lamentato di non aver avuto alcun rimedio effettivo che gli consentisse di ottenere un risarcimento per il danno che diceva di aver subito a causa della sua detenzione in violazione dell'articolo 5 § 1. Ai sensi dell'articolo 5 § 5 della Convenzione :
"Ogni persona che sia stata vittima di un arresto o di una detenzione contraria alle disposizioni del presente articolo ha diritto a un risarcimento".
139. Il Governo ha sostenuto che il ricorrente avrebbe dovuto proporre un'azione risarcitoria dinanzi al tribunale sulla base dell'articolo 2043 del codice civile italiano, che gli avrebbe consentito di chiedere il risarcimento dei danni subiti a causa della presunta violazione della sua libertà personale.
140. Il Ricorrente sostiene che l'articolo 2043 del Codice Civile non è un rimedio efficace perché, a suo avviso, l'onere della prova a carico della vittima del danno è eccessivo, in quanto la vittima dovrebbe provare il dolo o la colpa grave della pubblica amministrazione.
141. La Corte ribadisce che l'articolo 5 § 5 è rispettato se si può chiedere un risarcimento per una privazione della libertà in violazione dei paragrafi 1, 2, 3 o 4. Il diritto al risarcimento ai sensi del paragrafo 5 presuppone quindi che la violazione di uno di questi altri paragrafi sia stata accertata da un'autorità nazionale o dagli organi della Convenzione. A questo proposito, il godimento effettivo del diritto alla riparazione garantito da quest'ultima disposizione deve essere assicurato con un sufficiente grado di certezza (si vedano Stanev, sopra citata, § 182, e N.C. c. Italia [GC], n. 24952/94, § 49, CEDU 2002-X).
142. La Corte ritiene che quando si può sostenere che vi sia stata una violazione di uno o più diritti della Convenzione, la vittima deve disporre di un meccanismo per stabilire la responsabilità dei funzionari o degli organi dello Stato per tale mancanza. Inoltre, nei casi appropriati, il risarcimento dei danni - materiali e non - derivanti dalla violazione deve essere in linea di principio disponibile e far parte del sistema di riparazione messo in atto (Roth c. Germania, nn. 6780/18 e 30776/18, § 92, 22 ottobre 2020).
143. Alla luce di questi fattori, la Corte ha concluso sotto diversi aspetti che, in caso di accertamento di una violazione di un articolo della Convenzione, vi è una forte presunzione che la violazione abbia causato danni non pecuniari alla parte lesa. Pertanto, i rimedi previsti a livello nazionale devono rispettare questa presunzione e non subordinare il risarcimento finanziario all'accertamento di una colpa da parte dell'autorità convenuta.
La Corte ha affermato che l'onere della prova imposto al richiedente non deve essere eccessivo (cfr. Neshkov e altri, sopra citato, § 184, e Polgar c. Romania, n. 39412/19, § 82, 20 luglio 2021). Il risarcimento finanziario deve essere disponibile per chiunque sia o sia stato detenuto in condizioni inumane o degradanti e ne abbia fatto richiesta. La Corte ha ripetutamente affermato che la constatazione che le condizioni di detenzione non soddisfano i requisiti dell'articolo 3 della Convenzione dà luogo a una forte presunzione che esse abbiano causato danni psichici alla parte lesa (cfr. Neshkov e altri, sopra citato, § 190, e Roth, sopra citato, § 93, e Ananyev e altri, sopra citato, § 229). Le norme e le prassi nazionali che regolano il funzionamento del rimedio risarcitorio dovrebbero riflettere l'esistenza di questa presunzione piuttosto che subordinare il risarcimento alla capacità del richiedente di dimostrare, con prove estrinseche, l'esistenza di un danno non patrimoniale sotto forma di stress emotivo (cfr. Neshkov e altri, sopra citato, § 190, e Polgar, sopra citato, § 85). Di conseguenza, subordinare la concessione del risarcimento alla capacità del richiedente di dimostrare la colpa delle autorità e l'illegittimità delle loro azioni può rendere inefficaci i rimedi esistenti (cfr. Roth, sopra citato, § 93, e i riferimenti ivi citati). La Corte ha ricordato, a questo proposito, che le cattive condizioni di detenzione non sono necessariamente il risultato di mancanze imputabili all'amministrazione penitenziaria, ma il più delle volte hanno origine in fattori più complessi, ad esempio problemi di politica penitenziaria (Rezmiveș e altri c. Romania, nn. 61467/12 e altri 3, § 124, 25 aprile 2017).
145. Analogamente, la Corte ha ritenuto che l'eccessivo formalismo per quanto riguarda la prova del danno non patrimoniale causato dalla detenzione illegale abbia comportato l'inefficacia dell'azione di responsabilità dello Stato ai sensi dell'articolo 5 § 5 (Danev c. Bulgaria, n. 9411/05, § 34, 2 settembre 2010 e, mutatis mutandis, Iovchev c. Bulgaria, n. 41211/98, § 146, 2 febbraio 2006). A questo proposito, nei casi Picaro c. Italia e Zeciri c. Italia, la Corte ha ritenuto che l'azione civile di risarcimento per interferenze nella libertà personale prevista dall'ordinamento giuridico italiano non costituisse un rimedio effettivo per ottenere riparazione per le violazioni dell'articolo 5, paragrafi 1 e 4, della Convenzione, in quanto il Governo non aveva prodotto alcun esempio che dimostrasse che tale azione fosse stata intentata con successo in circostanze simili (Picaro c. Italia, no. 42644/02, § 34). Italia, n. 42644/02, § 84, 9 giugno 2005, e Zeciri c. Italia, n. 55764/00, § 50, 4 agosto 2005).
146. Infine, nel contesto dell'articolo 6, la Corte ha ricordato la presunzione molto forte, sebbene confutabile, che un ritardo eccessivo nell'esecuzione di una sentenza vincolante ed esecutiva dia luogo a un danno non patrimoniale. Il fatto che il risarcimento del danno non patrimoniale in caso di mancata esecuzione sia subordinato all'accertamento di una colpa da parte dell'autorità convenuta è difficile da conciliare con questa presunzione. I ritardi nell'esecuzione riscontrati dalla Corte non sono necessariamente dovuti a irregolarità commesse dall'amministrazione, ma possono essere attribuiti a carenze del sistema a livello nazionale e/o locale (si veda Burdov, sopra citato, § 111).
147. La Corte osserva che, nel caso in esame, l'azione civile per il risarcimento dei danni prevista dall'articolo 2043 del Codice civile - che il Governo considera un rimedio efficace - richiede che il richiedente provi l'esistenza dell'atto illecito, il dolo o la colpa dell'amministrazione e il danno subito. La Corte osserva che il Governo non ha prodotto alcun esempio che dimostri che tale azione sia stata intentata con successo in circostanze simili a quelle del caso in esame (si vedano Picaro, sopra citato, § 84, e Zeciri, sopra citato, § 50).
148. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che il ricorrente non avesse alcun mezzo per ottenere, con un sufficiente grado di certezza, un risarcimento per le violazioni dell'articolo 5 § 1 della Convenzione.
149. Vi è stata pertanto una violazione dell'articolo 5 § 5 della Convenzione.
Sulla presunta violazione dell'articolo 6 § 1
Il ricorrente ha lamentato una violazione del diritto a un equo processo a causa della mancata esecuzione della decisione della Corte d'appello di Roma del 20 maggio 2019. Egli invoca l'articolo 6 § 1 della Convenzione, che recita:
"Ogni persona ha diritto a un equo processo [...] da parte di un tribunale [...] che decida [...] sul merito di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti".
151. Il Ricorrente ricorda i principi stabiliti dalla Corte nella sentenza Assanidzé, sopra citata, e sostiene che le autorità nazionali hanno l'obbligo di eseguire d'ufficio le decisioni giudiziarie.
152. Il Governo ha sostenuto che le autorità avevano cercato di trovare un posto disponibile in una REMS per il ricorrente il più rapidamente possibile, sottolineando che il ricorrente era considerato pericoloso per la società e non poteva quindi essere rilasciato.
153. Richiamando i principi enunciati al paragrafo 63 supra, la Corte ribadisce che l'esecuzione di una sentenza o di un'ordinanza di qualsiasi tribunale deve essere considerata parte integrante del procedimento ai sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e che la mancata esecuzione di una decisione giudiziaria definitiva ed esecutiva priverebbe le garanzie sancite da tale articolo del loro pieno effetto.
154. La Corte osserva che la sentenza del 20 maggio 2019 con cui la Corte d'appello di Roma ha ordinato la liberazione del ricorrente non è stata eseguita (si veda il paragrafo 25 supra). In particolare, a seguito dell'ordinanza del GIP del 21 gennaio 2019 (si veda il paragrafo 27 supra), il ricorrente avrebbe dovuto essere collocato in REMS, eppure è rimasto in carcere. Ha quindi concluso che vi è stata una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.
Sulla presunta violazione dell'articolo 13 in combinato disposto con gli articoli 3 e 5 § 1
155. Invocando l'articolo 13 in combinato disposto con gli articoli 3 e 5 § 1, il ricorrente ha sostenuto di non aver avuto un rimedio effettivo per lamentarsi della mancanza di cure mediche adeguate durante la sua detenzione e di non aver potuto ottenere un rimedio ai suoi diritti ai sensi dell'articolo 5 § 1 della Convenzione. La prima di queste disposizioni recita come segue:
"Ogni individuo i cui diritti e libertà sanciti dalla (...) Convenzione siano stati violati deve poter disporre di un rimedio effettivo dinanzi a un'autorità nazionale, anche se la violazione è stata commessa da persone che agiscono in veste ufficiale".
156. Le parti rinviano alle loro argomentazioni sull'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
157. La Corte ritiene, alla luce della sua conclusione al paragrafo 64 supra e delle sue constatazioni in relazione agli articoli 3 e 5 § 1 (si vedano i paragrafi 88, 124 e 154 supra), che non sia necessario esaminare separatamente le doglianze ai sensi dell'articolo 13 in combinato disposto con gli articoli 3 e 5 § 1 della Convenzione.
Sulla presunta violazione dell'articolo 34 della Convenzione
158. Il ricorrente ha sostenuto che l'Italia è venuta meno agli obblighi derivanti dall'articolo 34 della Convenzione a causa del ritardo nell'esecuzione della misura indicata dalla Corte ai sensi dell'articolo 39 del Regolamento della Corte.
L'articolo 34 della Convenzione prevede:
"Un'istanza può essere presentata alla Corte da qualsiasi persona, organizzazione non governativa o gruppo di individui che si dichiari vittima di una violazione, da parte di una delle Alte Parti contraenti, dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi Protocolli. Le Alte Parti Contraenti si impegnano a non ostacolare in alcun modo l'effettivo esercizio di tale diritto.
Osservazioni delle parti
(a) Il richiedente
159. Il ricorrente ricorda il ruolo fondamentale svolto dai provvedimenti provvisori nel sistema della Convenzione e considera l'inspiegabile e prolungata inosservanza da parte della Corte del provvedimento indicato come una violazione del suo diritto a un ricorso individuale garantito dall'articolo 34 della Convenzione.
160 Il ricorrente ha criticato la giustificazione del Governo per il ritardo nell'attuazione della misura, ossia la mancanza di posti nella REMS, sostenendo che questo era esattamente il motivo per cui si era rivolto alla Corte. Ha aggiunto che lo Stato era ed è l'unico responsabile del problema strutturale della mancanza di posti in queste strutture.
(b) Il Governo
161. Il Governo ha affermato che le autorità avevano fatto tutto il possibile per rispettare la misura provvisoria e trasferire il ricorrente in una REMS. L'ostacolo era la mancanza di posti disponibili in queste strutture. Il confino tra marzo e maggio 2020 a causa della pandemia di covid-19 avrebbe avuto un impatto anche sulle attività dell'amministrazione penitenziaria.
162. 162. Il Governo ha inoltre sottolineato che le autorità non potevano nemmeno rilasciare il ricorrente, in quanto ciò avrebbe comportato un rischio serio e concreto per la sicurezza pubblica, viste le numerose decisioni dei tribunali nazionali che indicavano che il ricorrente era pericoloso per la società.
163 Infine, il Governo ha affermato di essere pienamente consapevole dell'importanza della questione dell'insufficienza dei posti nelle REMS e di stare prendendo le misure necessarie per risolvere il problema. In particolare, afferma che sono in corso discussioni sulla riforma dell'accordo tra lo Stato e le Regioni in materia di REMS e che è stato presentato un progetto specifico a questo proposito nell'ambito delle riforme del sistema sanitario finanziate dal Fondo di ripresa dell'UE.
La valutazione della Corte
a) Principi applicabili
164. La Corte ribadisce che l'obbligo previsto dall'articolo 34 in fine impone agli Stati contraenti non solo di astenersi dall'esercitare pressioni sui richiedenti, ma anche di astenersi da qualsiasi atto o omissione che, distruggendo o cancellando l'oggetto di una domanda, la renda inutile o impedisca altrimenti alla Corte di esaminarla secondo il suo metodo abituale (si veda Mamatkoulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, § 102, CEDU 2005-I). È chiaro dallo scopo di questa norma, ossia garantire l'efficacia del diritto di petizione individuale, che le intenzioni o le ragioni alla base di un'azione o di un'omissione vietata dall'articolo 34 sono di scarsa rilevanza nel valutare se tale disposizione sia stata rispettata o meno. Ciò che conta è determinare se la situazione creata dall'azione o dall'omissione delle autorità sia conforme all'articolo 34. Lo stesso vale per l'osservanza delle disposizioni provvisorie. Lo stesso vale per il rispetto delle misure provvisorie ai sensi dell'articolo 39, poiché tali misure sono indicate dalla Corte al fine di garantire l'efficacia del diritto di petizione individuale. Ne consegue che vi sarà una violazione dell'articolo 34 se le autorità di uno Stato contraente non prendono tutte le misure ragionevoli per conformarsi alla misura indicata dalla Corte (Paladi c. Moldavia [GC], n. 39806/05, §§ 87-88, 10 marzo 2009).
165 A questo proposito, la Corte osserva che applica l'articolo 39 in modo rigoroso e, in linea di principio, solo quando esiste un rischio imminente di danno irreparabile. Sebbene la Convenzione non preveda alcuna disposizione specifica in merito agli ambiti di applicazione, il più delle volte le domande riguardano il diritto alla vita (articolo 2), il diritto a non essere sottoposti a tortura e a trattamenti inumani (articolo 3), ed eccezionalmente il diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8) o altri diritti garantiti dalla Convenzione (cfr. Mamatkoulov e Askarov, sopra citati, §§ 103-104).
166. Per verificare se lo Stato convenuto si sia conformato alla misura provvisoria indicata, è necessario partire dal testo della misura stessa. La Corte deve verificare se lo Stato convenuto si è conformato alla lettera e allo spirito della misura provvisoria indicata. Nell'esaminare un reclamo ai sensi dell'articolo 34 riguardante l'asserito mancato rispetto di una misura provvisoria da parte di uno Stato contraente, la Corte non riconsidererà l'opportunità della sua decisione di applicare la misura in questione. Spetta al governo convenuto dimostrare alla Corte che la misura provvisoria è stata rispettata o, in casi eccezionali, che vi era un ostacolo oggettivo all'adempimento e che ha preso tutte le misure ragionevoli per rimuovere l'ostacolo e tenere la Corte informata della situazione (cfr. Paladi, sopra citata, §§ 91-92). Un ritardo significativo da parte delle autorità nell'attuazione della misura provvisoria, che ha comportato per il ricorrente il rischio di subire il trattamento contro il quale la misura era destinata a proteggerlo, costituisce un inadempimento da parte dello Stato degli obblighi derivanti dall'articolo 34 della Convenzione (M.K. e altri c. Polonia, n. 40503/17 e altri 2, §§ 237-238, 23 luglio 2020).
b) Applicazione dei principi di cui sopra nel caso di specie
167. La Corte deve, nel caso di specie, esaminare se le autorità abbiano rispettato la misura provvisoria indicata dalla Corte, che consisteva nel garantire il trasferimento del ricorrente in una struttura (REMS o altro) in grado di fornire un adeguato trattamento terapeutico per la sua malattia mentale.
168. A questo proposito, la Corte osserva che le autorità nazionali hanno trasferito il ricorrente in una comunità terapeutica il 12 maggio 2020. Essa ritiene pertanto che il Governo abbia rispettato la misura provvisoria indicata (si vedano i paragrafi 33 e 42 supra).
169. In secondo luogo, la Corte deve esaminare se il Governo ha rispettato la misura provvisoria entro un termine ragionevole. A questo proposito, osserva che le autorità italiane hanno trasferito la ricorrente trentacinque giorni dopo l'adozione della misura da parte della Corte. Ha osservato fin dall'inizio che tale termine appariva di per sé molto lungo e sollevava dubbi sulla sua compatibilità con l'articolo 34 della Convenzione.
170. La Corte deve quindi verificare se un tale ritardo nell'applicazione della misura provvisoria fosse giustificato da circostanze eccezionali.
171. La Corte non è convinta dall'argomentazione secondo cui non ci sono posti nella REMS. Ricorda infatti che, già il 21 gennaio 2019, il GIP di Roma aveva sostituito la misura della libertà vigilata con l'applicazione immediata della detenzione nelle REMS (si veda il paragrafo 25 supra). Il Governo era quindi consapevole della necessità di trovare un posto in un istituto adeguato per il ricorrente ben prima dell'adozione del provvedimento provvisorio della Corte. Come la Corte ha ripetutamente sottolineato, è responsabilità di ogni governo organizzare il proprio sistema carcerario in modo da garantire il rispetto della dignità dei detenuti, a prescindere da eventuali difficoltà finanziarie o logistiche (cfr. Muršić, sopra citato, § 99, e Neshkov e altri, sopra citato, § 229). Nel caso di specie, spettava quindi al governo italiano trovare un'altra soluzione adeguata per il ricorrente, invece di un posto in una REMS, come la Corte aveva espressamente indicato (cfr. paragrafo 34 supra). La Corte non può quindi considerare la mancanza di posti in REMS come una valida giustificazione per il ritardo nell'attuazione della misura provvisoria indicata dalla Corte.
172. In secondo luogo, per quanto riguarda il confino in Italia del marzo 2020, la Corte comprende che tale situazione possa aver avuto ripercussioni sul corretto funzionamento dell'amministrazione. Tuttavia, non è convinta da questa argomentazione, poiché il Governo non ha spiegato in che modo il confino avrebbe reso più difficile ottenere un posto in una REMS o in un'altra struttura o ritardato il trasferimento del ricorrente, dato anche che le autorità nazionali sapevano già dal 21 gennaio 2019, e quindi ben prima dell'inizio del confino, che il ricorrente doveva essere trasferito lì (si veda il paragrafo 27 sopra). Di conseguenza, poiché i provvedimenti provvisori vengono comunicati solo in circostanze eccezionali, in particolare quando vi è un rischio imminente di danno irreparabile per il richiedente (si veda Mamatkoulov e Askarov, sopra citati, §§ 103-104 e 120), la Corte ritiene che, sebbene un certo ritardo nell'esecuzione del provvedimento provvisorio fosse accettabile nel caso di specie in una situazione eccezionale come quella del confino, trentacinque giorni appaiono comunque eccessivi.
173. In assenza di altre giustificazioni, la Corte conclude che il ritardo nell'esecuzione del provvedimento provvisorio è eccessivamente lungo (si veda M.K. e altri, sopra citata, §§ 237-238) e che le autorità italiane sono pertanto venute meno agli obblighi derivanti dall'articolo 34.
174. Vi è stata pertanto una violazione dell'articolo 34 della Convenzione.
SULL'APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 41 e 46
175. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione:
"Se la Corte constata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente consente di riparare solo in modo imperfetto le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se necessario, un'equa soddisfazione alla parte lesa".
176. Ai sensi dell'articolo 46 della Convenzione:
" 1. Le Alte Parti Contraenti si impegnano a rispettare le sentenze definitive della Corte nelle cause in cui sono parti.
2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri, che ne controlla l'esecuzione".
Articolo 41
Danno
177. Il ricorrente ha chiesto 129.187,74 euro (EUR) per il danno non patrimoniale che ritiene di aver subito. Egli ritiene che l'equa soddisfazione che gli è dovuta debba essere calcolata sulla base dell'indennizzo previsto per ogni giorno di detenzione illegale dalla legge italiana.
178. Il Governo ha sostenuto che il ricorrente non poteva utilizzare i criteri utilizzati dalla Corte per quantificare l'ammontare del danno derivante dalla detenzione illegittima nel caso di una persona che doveva essere rilasciata, in quanto il ricorrente sarebbe stato privato della libertà in ogni caso, in particolare in una REMS.
179. La Corte ritiene che il ricorrente abbia subito un danno non patrimoniale certo a causa della detenzione senza un'adeguata cura del suo stato di salute, in violazione degli articoli 3 e 5 § 1 della Convenzione. Gli ha riconosciuto 36.400 euro per danno non patrimoniale, più l'importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.
Costi e spese
180. Il ricorrente ha chiesto 53.985,98 euro per i costi e le spese sostenute nel procedimento dinanzi alla Corte.
181. Il Governo non ha detto nulla al riguardo.
182. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà, la necessità e la ragionevolezza. Nel caso di specie, visti i documenti in suo possesso e i criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole riconoscere al ricorrente la somma di 10.000 euro per il procedimento dinanzi ad essa, più l'importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.
Interessi di mora
183. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi di mora sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.
Articolo 46
184. Facendo riferimento ai principi enunciati nella causa Strazimiri, citata in precedenza, il ricorrente ha chiesto alla Corte di ordinare al Governo di adottare tutte le misure generali necessarie per garantire che i detenuti malati di mente oggetto della misura di sicurezza del ricovero in REMS vi siano prontamente trasferiti, in particolare aumentando considerevolmente il numero di posti disponibili nel sistema REMS.
185. La Corte ricorda che le sue sentenze hanno carattere essenzialmente dichiarativo e che, in generale, spetta in primo luogo allo Stato interessato scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, i mezzi da utilizzare nel proprio ordinamento giuridico interno per adempiere all'obbligo previsto dall'articolo 46 della Convenzione, purché tali mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (si vedano, tra le altre autorità, Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDU 2000-VIII, Brumărescu c. Romania (giusta soddisfazione) [GC], n. 28342/95, § 20, CEDU 2001-I, e Grande Stevens e altri c. Italia, nn. 18640/10 e altri 4, § 233, 4 marzo 2014).
186 Allo stato attuale e alla luce delle informazioni fornite dalle parti, la Corte non ritiene necessario indicare alcuna misura generale che lo Stato dovrebbe adottare per conformarsi alla presente sentenza.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ
Dichiara il ricorso irricevibile per quanto riguarda il periodo di detenzione dal 2 luglio al 22 novembre 2018 e ammissibile per il resto;
Dichiara che vi è stata una violazione dell'articolo 3 della Convenzione;
Dichiara che non vi è stata violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione per quanto riguarda il periodo di detenzione dal 2 dicembre 2018 al 20 maggio 2019;
Dichiara che vi è stata una violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione per il periodo di detenzione dal 21 maggio 2019 al 12 maggio 2020;
Dichiara che vi è stata una violazione dell'articolo 5, paragrafo 5, della Convenzione;
Ritiene che vi sia stata una violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione;
Ritiene che non sia necessario esaminare il reclamo ai sensi dell'articolo 13 della Convenzione;
Ritiene che vi sia stata una violazione dell'articolo 34 della Convenzione;
Dichiara
(a) che lo Stato convenuto dovrà versare al ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diventerà definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme
36.400 euro (trentaseimilaquattrocento euro), più l'importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno non patrimoniale;
10.000 euro (diecimila euro), più l'importo eventualmente dovuto su tale somma dal richiedente a titolo di imposta, per costi e spese;
(b) che a partire dalla scadenza di tale termine e fino al pagamento, su tali importi saranno applicati interessi semplici a un tasso pari alle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabili durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
respinge il resto della richiesta di equa soddisfazione.
Fatto in francese e notificato per iscritto il 24 gennaio 2022, ai sensi dell'articolo 77, paragrafi 2 e 3.
Renata Degener Marko Bošnjak
Cancelliere Presidente