Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Intervista sgradita, è reato prendere la telecamera (Cass 32373/18)

13 luglio 2018, Cassazione penale

Sussiste il reato di furto appropriarsi della telecamera con il fine di renderla inservibile per impedire le riprese, dato che il il profitto può consistere in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 marzo – 13 luglio 2018, n. 32373
Presidente Vessichelli – Relatore Morosini

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di M.M., in concorso con ignoti, per il furto con strappo di una telecamera dalle mani di un operatore televisivo intento ad effettuare alcune riprese (capo 2), nonché per aver minacciato di morte altro soggetto, impegnato nel medesimo servizio televisivo (capo 5), mentre ha assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 340 cod. pen. (capo 4)
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, per il tramite del difensore, articolando sei motivi, con i quali deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
2.1 Con il primo censura la validità e legittimità del provvedimento di separazione adottato dal giudice di primo grado in relazione al reato di lesioni, poi riunito ad altro procedimento concernente il medesimo fatto solo diversamente circostanziato.
Secondo il ricorrente si tratterebbe di provvedimento affetto da nullità o abnormità, che avrebbe frustrato il diritto dell’imputato a vedersi riconosciuto il ne bis in idem.
2.2 Con il secondo motivo lamenta l’erronea qualificazione giuridica della condotta di cui al capo 2.
Il fatto sarebbe consistito nello smontaggio della telecamera, composta di due parti (corpo camera e corpo ottico), e successiva asportazione del solo corpo ottico, azione che rendeva il bene inutilizzabile.
In tale situazione si sarebbe dovuto escludere il delitto di furto, essendo ravvisabili, piuttosto, gli estremi di un danneggiamento, in quanto il fine perseguito non sarebbe stato quello di profitto, ma quello di distruggere o deteriorare la telecamera.
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente si duole del difetto di motivazione in ordine al concorso dell’imputato nel furto.
Sostiene il ricorrente che altri sarebbero stati gli autori materiali del reato e che l’elaborazione di un piano combinato, in accordo con il M., sarebbe frutto di una mera congettura, rimasta indimostrata.
2.4 Con il quarto e il quinto motivo il ricorrente contesta la sussistenza dell’aggravante del numero di persone ex art. 112 cod. proc. pen., nonché il mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione, che riposerebbe nel grave stato di ansia dell’imputato provocato dalla condotta dei tre operatori Rai che lo avrebbero pedinato e braccato, senza mai rivelargli il loro ruolo e le loro intenzioni.
2.5 Con il sesto motivo evidenzia che dopo aver assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 340 cod. pen., la Corte di appello avrebbe dovuto escludere dal processo la parte civile Rai, radiotelevisione Italiana.
3. Il ricorrente ha depositato una memoria con la quale eccepisce il mancato rispetto dei termini minimi a comparire per l’udienza odierna, rispetto alla citazione notificata soltanto in data 8 marzo 2018.
All’udienza odierna il difensore dell’imputato ha rinunciato all’eccezione, prendendo atto del provvedimento di riduzione dei termini assunto dal Presidente di sezione titolare in data 8 marzo 2018, stante l’urgenza del processo dovuta all’imminente prescrizione. Provvedimento che, peraltro, risulta menzionato anche nell’avviso di fissazione udienza.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato solo nei limiti del motivo concernente la parte civile Rai, per il resto va rigettato.
1. La questione sulla validità del provvedimento di separazione è manifestamente destituita di fondamento.
Le cause di nullità sono tipiche.
Non è prevista alcuna nullità in relazione alla adozione dei provvedimenti di riunione e separazione dei procedimenti.
Né ricorrono i presupposti dell’atto abnorme, poiché si tratta di provvedimento che, lungi dall’essere avulso dal sistema, costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall’ordinamento e che non determina una stasi del procedimento (cfr. Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590).
2. Del pari infondato è il motivo concernente la qualificazione giuridica della condotta di cui al capo 2 che, proposto in appello, ha già ricevuto congrua risposta.
Al riguardo la sentenza impugnata osserva che è stato sottratto il corpo ottico della telecamera, bene avente rilevante valore economico - pari a circa 7.0008.000 Euro - che non è stato mai più ritrovato (punto 3 della motivazione della sentenza, pagine 6 e 7).
In ogni caso, anche se il fine perseguito fosse stato quello di rendere inservibile la telecamere per impedire le riprese, ricorrerebbero, pacificamente, gli estremi del delitto di furto, posto che: "in tema di furto, il profitto può consistere in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha confermato la responsabilità dell’imputato il quale si era impossessato di un apparato di videoregistrazione installato dalla polizia giudiziaria, sostenendo di volerlo danneggiare ed impedire così le attività di p.g.)." (Sez. 4, n. 30 del 18/09/2012, dep. 2013, Caleca, Rv. 254372).
3. Al tema del concorso dell’imputato nel reato di furto, materialmente perpetrato da soggetti rimasti ignoti, la Corte di appello dedica ampia e completa disamina (cfr. punto 5, pagine 10 e 11 della sentenza impugnata).
Il ricorrente non si confronta con la motivazione offerta dai giudici di merito, non svolge alcuna critica argomentata, limitandosi ad asserire, in maniera apodittica, che l’ipotesi del concorso sarebbe basata su mere congetture.
Va ricordato che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte Sez. U., 30/4/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; tra le alte Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369).
4. La doglianza concernente l’aggravante di cui all’art. 112 cod. pen. è inammissibile, perché inconferente rispetto alle decisioni di primo e secondo grado che hanno affermato la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 comma 1 n. 5 cod. pen..
5. La censura relativa al mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione si appalesa infondata, per gli stessi termini con cui è prospettata, posto che il ricorrente lamenta di essere stato vittima di un "agguato televisivo" senza riuscire, però, ad enucleare alcun comportamento, da parte degli operatori televisivi, che rivesta carattere di ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non valutate con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale, non corrispondenti a canoni di civile convivenza (cfr. Sez. 5, n. 55741 del 25/09/2017, R., Rv. 272044).
6. È fondato il motivo proposto con riferimento alla conferma delle statuizioni civili in favore di Rai spa, pur se si invoca, in maniera impropria, l’istituto processuale della "esclusione della parte civile".
La sentenza di primo grado aveva condannato l’imputato anche in ordine al reato di cui all’art. 340 cod. pen. (capo 4). Solo a tale condotta illecita aveva circoscritto il danno risarcibile in favore della Rai, collegandolo alla "limitazione nell’esercizio degli scopi cui la stessa è deputata". Nessun ulteriore danno era stato riconosciuto a detta parte civile per il furto (perché la telecamera sottratta a I.A. era di proprietà della Videoservice s.r.l., di cui l’I. era amministratore) o per la minaccia ricevuta da R.A. (cfr. pagina 25 sentenza primo grado).
La Corte di appello ha assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 340 cod. pen., per insussistenza del fatto, di conseguenza avrebbe dovuto revocare le statuizioni civili in favore di Rai spa.
Ha, dunque, errato nell’omettere tale pronuncia e nel condannare l’imputato, vincitore su quel capo, alla rifusione delle spese del grado sostenute da Rai spa.
7. Gli argomenti svolti nel paragrafo che precede conducono all’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alle statuizioni civili concernenti la parte civile RAI in relazione alla imputazione ex art. 340 c.p. (capo 4) e per l’effetto a revocare la condanna alle spese riconosciute in favore di detta parte in primo grado, nonché quelle riconosciute in appello che, tenuto conto della liquidazione in Euro 1.800,00, cumulativa con il R., possono essere quantificate in Euro 300,00, sulla scorta dei parametri che disciplinano le spese spettanti al difensore di più parti.
Il ricorso va rigettato nel resto. Segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile vincitrice, R.A., che, avuto riguardo all’opera prestata dal difensore, si liquidano in Euro 2.000,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alle statuizioni civili concernenti la parte civile RAI in relazione alla imputazione ex art. 340 c.p. (capo 4) e per l’effetto revoca la condanna alle spese riconosciute in favore di detta parte in primo grado, nonché quelle riconosciute in appello, quantificate, queste ultime, in Euro 300.
Rigetta nel resto il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile R.A. liquidate in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge.