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Illegittimi arresto e misura cautelare a fini estradizionali se rischio di pena di morte (Cass. 22945/24)

6 giugno 2024

La verifica della ricorrenza delle condizioni della legittimità all'arresto ai fini estradizionali e dei presupposti per la applicazione della misura coercitiva comprende la prognosi, allo stato degli atti, da parte della corte di appello di una sentenza favorevole alla consegna.

Non è legittimamente eseguito l'arresto da parte della polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 716, comma 1, cod. proc. pen., ai fini estradizionali per un reato per il quale l'ordinamento dello Stato estero prevede la pena di morte, né può essere applicata, ai sensi dell'art. 716, comma 3, cod. proc. pen., una misura cautelare coercitiva provvisoria per lo stesso reato.

Corte di Cassazione  

sez. VI penale

 ud. 15 maggio 2024 (dep. 6 giugno 2024), n. 22945

 

Ritenuto in fatto

1. Con l'ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Bologna, in persona del Consigliere delegato, ha convalidato l'arresto di Q.P. in relazione al reato di «tentato omicidio/rissa» e disposto la misura cautelare della custodia in carcere «in relazione al reato di cui agli artt. 575 e 576 cod. pen. come da mandato di arresto n. NIL emesso il 6 luglio 2012 dalla Corte distrettuale di Gujrat (Pakistan)».

2. Avverso la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 719 cod. proc. pen. il difensore di P.Q. deducendo i seguenti motivi:

2.1. Con il primo motivo violazione di legge e vizio della motivazione in quanto, ai sensi degli artt. 714, comma 3 e 705, comma 2, lett. c) cod. proc. pen., la disposta misura cautelare era preclusa in quanto il reato di cui al mandato di arresto è astrattamente punito con la pena capitale. Tanto risulta dalla nota del Ministero dell'Interno allegata al ricorso, secondo la quale il mandato di arresto ha ad oggetto il reato di omicidio per il quale il Pakistan commina alternativamente la pena di morte o la reclusione a vita e nel nostro ordinamento vige divieto assoluto di estradizione qualora vi sia motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona ai sensi dell'art. 705, comma 2 lett. c) cod. proc. pen. Del resto, l'unica mitigazione a tale divieto, che si rinviene nell'art. 698, comma 2, cod. proc. pen., non ricorre nel caso in esame in quanto nei confronti del ricorrente non è stata ancora pronunciata sentenza irrevocabile di condanna essendo il ricorrente ricercato ai fini processuali e dovendosi tener conto della sentenza costituzionale n. 223 del 1996 che impone una garanzia assoluta di esclusione della applicazione della pena di morte essendo costituzionalmente inammissibili le "sufficienti assicurazioni" di cui al previgente art. 698, comma 2, cod. proc. pen.

Del resto, anche la giurisprudenza europea ha affermato che anche solo la attesa dell'esecuzione della pena capitale costituisce essa stessa trattamento inumano e degradante.

La Corte di appello, nel richiamare la compatibilità della pena dell'ergastolo con quella prevista dal nostro ordinamento ex artt. 575,576 cod. pen. ha omesso di considerare la pena alternativa costituita dalla pena di morte.

2.2. Con il secondo motivo violazione dell'art. 178 lett. c) cod. proc. pen. e 143, comma 2, 292 cod. proc. pen. per mancata traduzione del provvedimento che ha disposto la misura cautelare personale nella lingua conosciuta dall'estradando alloglotta, essendo noto che l'arrestato non conosceva la lingua italiana e non potendosi dare rilievo al fatto egli abbia partecipato all'udienza di convalida dell'arresto in presenza di un interprete.

2.3. Con il terzo motivo omessa motivazione in relazione alla descrizione dei fatti, alla corrispondenza tra il reato di omicidio di cui al mandato di arresto emesso dal Pakistan, l'arresto eseguito da parte della polizia giudiziaria ex art. 716 cod. proc. pen. per il reato di tentato omicidio e la richiesta di applicazione della misura coercitiva formulata dal Procuratore generale per "i reati" di tentato omicidio.

2.4. Con il quarto motivo violazione di legge processuale e vizio della motivazione in relazione alla omessa rigorosa valutazione del pericolo di fuga, tenuto conto che il ricorrente risiede stabilmente da più di due anni presso la stessa abitazione in provincia di Ferrara, è assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato con qualifica di muratore, soggiorna regolarmente sul territorio nazionale dal 2018 e, da ultimo, si è visto accogliere l'istanza di sospensiva del diniego al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. Né, d'altra parte, detto pericolo si può desumere dalla sola gravità del reato;

2.5. Con il quinto motivo violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla omessa giustificazione a riguardo della richiesta di arresti domiciliari.

3. Il Procuratore Generale ha depositato memoria a sostegno del rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato in relazione al primo assorbente motivo che può essere esaminato unitamente al correlato terzo motivo.

2. Dal testo della ordinanza impugnata, al di là delle discrasie espressive fondatamente denunciate con il terzo motivo di ricorso, risulta che, a seguito della nota del 27/3/2024 del Ministero dell'Interno, il ricorrente è stato tratto in arresto dalla polizia giudiziaria in quanto destinatario di un mandato di arresto emesso in data 6 luglio 2012 dalla Corte distrettuale di Gurjat in relazione al reato di omicidio commesso nel villaggio di (OMISSIS), nel distretto di Gujrat, il 5/02/2012 per il quale la legge pakistana prevede quale pena massima possibile la pena di morte ovvero l'ergastolo. In tal senso sono indicati gli artt. 302/109/148/149 cod. pen. pakistano richiamati dalla comunicazione del Ministero dell'interno n. MI-123-U-B-2-1-4-2024-406/ARD-Interpol.

Nell'esaminare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura cautelare richiesta dal Procuratore generale la ordinanza rileva, oltre la manifestata intenzione dello Stato Pakistano di formulare richiesta di estradizione, che «la pena del reato in relazione al quale deve essere disposta la cautela è conforme - con riguardo a quella dell'ergastolo - a quella prevista dall'ordinamento italiano ex artt. 575 e 576 cod. pen. (uso di arma)».

2. Non può esservi dubbio, pertanto, che il ricorrente è stato tratto in arresto per il reato di omicidio volontario punito, nella Repubblica islamica del Pakistan, ove è stato commesso, con la pena di morte o, alternativamente, con l'ergastolo. L'arresto per tale reato è stato convalidato dalla Autorità Giudiziaria italiana e per lo stesso reato è stata applicata la misura cautelare provvisoria della custodia in carcere.

Deve essere, quindi, censurata l'omessa considerazione da parte della Corte di appello - che si è limitata a ritenere compatibile la alternativa pena dell'ergastolo - della rilevante previsione, nell'ordinamento della Repubblica Islamica del Pakistan, per il reato in ordine al quale si è proceduto/della pena capitale, come peraltro espressamente indicato nella citata nota ministeriale.

3. Ritiene il Collegio che la previsione in parola non può legittimare la convalida dell'arresto eseguito dalla polizia giudiziaria e la conseguente misura cautelare coercitiva applicata dalla Corte di appello con l'ordinanza impugnata.

4. Non può essere condiviso l'orientamento di legittimità, richiamato dal Procuratore generale, espresso da Sez. 6, n. 4344 del 16/01/2004, Rafik, Rv. 228377 in caso analogo di reato punito con la pena capitale secondo il quale «in tema di estradizione per l'estero, il provvedimento di convalida emesso dal Presidente della Corte d'Appello a norma dell'articolo 716, terzo comma, cod. proc. pen. si esaurisce in una verifica cartolare sull'esistenza delle condizioni legittimanti l'arresto relativamente al fatto-reato contestato, al fondamento probatorio della richiesta ed all'esistenza del titolo custodiale emesso dallo Stato richiedente, non investendo invece le condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione, e segnatamente quelle di cui agli artt. 698 e 705, comma secondo cod. proc. pen., che competono alla Corte di Appello nella fase successiva del procedimento». E' stato argomentato in tale decisione che «il controllo che deve essere effettuato ai fini della convalida è un controllo di tipo diverso da quello compiuto a norma dell'art. 391 c.p.p., sia con riferimento ai termini per la convalida, sia con riguardo alle garanzie giurisdizionali, sia infine in ordine all'adozione di una misura coercitiva, e si esaurisce in una verifica cartolare, che non influisce minimamente sull'esito del procedimento di estradizione. Esso rappresenta in definitiva una mera delibazione sull'esistenza delle condizioni legittimanti l'arresto, relativamente al fatto reato contestato, al fondamento probatorio della richiesta e all'esistenza del titolo custodiale, emesso dallo stato richiedente (Cass. Sez. 6 n. 2035 del 23/7/99 rv. 214933; n. 2416 del 12/1/00 rv. 215311). Nessuna verifica, quindi, compete al Presidente della Corte di Appello delle condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione, e segnatamente quelle di cui agli artt. 698 e 705 co. 2 c.p.p., tant'è che l'art. 716 richiama il co. 2 dell'art. 715 (esistenza di un provvedimento restrittivo della libertà personale, ovvero di una sentenza di condanna; descrizione del fatto-reato e individuazione dell'estradando; pericolo di fuga) e non pure l'art. 714 co. 3 c.p.p.».

Secondo una diversa prospettiva si è espressa Sez. 6, 16/4/2009 n. 25543, Akbari, non. mass., che ha disposto l'annullamento della convalida dell'arresto e della misura coercitiva affermando che «se il reato per il quale lo Stato richiedente intende presentare domanda di estradizione è punito, secondo quell'ordinamento, con la pena di morte, la circostanza è ostativa all'estradizione e, quindi, all'adozione di misure coercitive funzionali alla stessa (sent. C. Cost. n. 223/96 e art.714 c.p.p., comma 3)».

4. Secondo questo Collegio, deve essere condivisa la prospettiva funzionale alla base di quest'ultimo orientamento che lega la misura precautelare e quella cautelare con la finalità estradizionale, dovendosi considerare la collocazione delle disposizioni di cui all'art. 716 cod. proc. pen. all'interno delle regole generali previste dall'art. 714, commi 2 e 3, cod. proc. pen. in materia cautelare a fini estradizionali: il secondo comma fissa la preminente esigenza della misura coercitiva a garantire la consegna estradizionale; il terzo comma pone il divieto di applicazione della misura coercitiva ove si abbiano elementi per ritenere che possa essere emessa sentenza favorevole all'estradizione. In tal modo, le due previsioni così esprimono la stretta natura funzionale, valorizzata dal condiviso richiamato indirizzo, della misura coercitiva - e del prodromico arresto da parte della polizia giudiziaria - alla procedura estradizionale.

Del resto, sulla legittimità dell'arresto eseguito dalla polizia giudiziaria, la rilevanza della pena prevista dall'ordinamento dello Stato estero per il reato per il quale si procede, è designata dall'art. 716, comma 1, cod. proc. pen. che per l'arresto da parte della polizia giudiziaria indica la necessità che, oltre alla urgenza, ricorrano le condizioni previste dall'art. 715, comma 2, cod. proc. pen., tra le quali la specificazione della pena prevista per il reato per il quale si procede. Medesimo rilievo detta pena ha per la adozione della successiva misura coercitiva provvisoria, in base al successivo comma 3 dello stesso art. 716 cod. proc. pen. che, prevedendo la verifica del presidente della corte di appello della ricorrenza dei presupposti, non può che riferirsi, ancora, alle previsioni del citato art. 715 cod. proc. pen.

5. Pertanto, la verifica della ricorrenza delle condizioni della legittimità all'arresto ai fini estradizionali e dei presupposti per la applicazione della misura coercitiva comprende la prognosi, allo stato degli atti, da parte della corte di appello di una sentenza favorevole alla consegna.

Si deve considerare, quindi, per quanto nella specie rileva, il principio espresso dall'art. 698, comma 2, cod. proc. pen., introdotto con l'art. 5, comma 1, della L. 21 luglio 2016, n. 149, a seguito della nota sentenza costituzionale n. 223 del 1996, secondo il quale «se il fatto per il quale è domandata l'estradizione è punito con la pena di morte secondo la legge dello Stato estero, l'estradizione può essere concessa solo quando l'autorità giudiziaria accerti che è stata adottata una decisione irrevocabile che irroga una pena diversa dalla pena di morte e se questa è stata inflitta, è stata commutata in una pena diversa [...]».

Secondo questo Collegio il predetto principio rileva anche nella fase antecedente alla decisione sulla consegna, ovvero in quella precautelare e cautelare tra loro strettamente correlate e funzionalmente prodromiche ad essa, altrimenti non trovando giustificazione giuridica la compressione, anche solo temporanea e provvisoria, della libertà personale del soggetto attinto dalla attività di collaborazione internazionale.

6. A proposito deve essere richiamata la condivisibile recente decisione di Sez. 6, n. 17316 del 11/03/2024, Abbas, non mass., in materia estradizionale riguardante analogo reato di omicidio su richiesta della Repubblica Islamica del Pakistan, che ha affermato il principio secondo il quale «in assenza di trattato con lo Stato richiedente, la regola prevista dall'art. 698, comma 2, cod. proc. pen. non consente l'estradizione processuale in favore dello Stato estero quando il fatto per il quale è domandata l'estradizione è punito con la pena di morte», in presenza, nel caso in esame, di reato punito con la pena capitale e delle coincidenti condizioni costituite dalla assenza di trattato con lo Stato estero e dalla natura processuale della prospettata domanda estradizionale.

7. Deve essere, pertanto, affermato il seguente principio di diritto: «non è legittimamente eseguito l'arresto da parte della polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 716, comma 1, cod. proc. pen., ai fini estradizionali per un reato per il quale l'ordinamento dello Stato estero prevede la pena di morte, né può essere applicata, ai sensi dell'art. 716, comma 3, cod. proc. pen., una misura cautelare coercitiva provvisoria per lo stesso reato».

8. Gli altri motivi di ricorso sono assorbiti dall'accoglimento dei precedenti primo e terzo motivo.

9. Ne consegue l'annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata con immediata liberazione di P.Q., se non detenuto per altra causa.

Non può essere, evidentemente, considerata altra causa di detenzione quella costituita dal provvedimento volto al mantenimento della misura cautelare provvisoria ai sensi dell'art. 716, comma 4, cod. proc. pen. (v. richiesta ministeriale del 2 aprile 2024 in atti) in quanto avente ad oggetto soltanto la prosecuzione di quella annullata, discendente - a sua volta - dalla convalida, parimenti annullata, in relazione alla quale, peraltro, è stabilito il termine entro il quale il mantenimento della misura provvisoria deve essere richiesto dal Ministro della giustizia.

10. Devono essere disposti gli adempimenti di Cancelleria di cui agli artt. 626 cod. proc. pen. e 203 disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone l'immediata scarcerazione di P.Q., se non detenuto per altra causa. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui agli artt. 626 cod. proc. pen. e 203 disp. att. cod. proc. pen.

f.to Presidente Ricciarelli – Relatore Capozzi