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Extracomunitario residente in Italia può essere consegnato in esecuzione MAE (Cass. 45190/19)

5 novembre 2019, Cassazione penale

Il rifiuto della consegna per un mandato di arresto europeo esecutivo previsto dall’art. 18, lett. r), della l. n. 69/2005 si applica esclusivamente ai cittadini italiani e ai cittadini comunitari che legittimamente ed effettivamente abbiano residenza o dimora in Italia, non anche ai cittadini aventi la nazionalità di uno Stato non-UE, anche se stabilmente radicati sul territorio italiano.

E' lo status di cittadino eurounitario il fondamento del rifiuto di consegna nel sistema del mandato di arresto europeo che si fonda, a propria volta, sul principio dell'immediato e reciproco riconoscimento del provvedimento giurisdizionale e sui rapporti diretti tra le varie autorità giurisdizionali dei Paesi membri ed è essenzialmente volto a consentire la circolazione delle decisioni giudiziarie aventi ad oggetto un mandato, in funzione di un processo penale ovvero dell'esecuzione di una pena detentiva ed in esecuzione della decisione-quadro 2002/584/GAI.

Non vi è alcuna irragionevolezza, tale da porsi in contrasto con l'art. 3 Cost., è da ravvisarsi nella disparità di trattamento riservata, ai finì dell'applicabilità della causa di rifiuto de qua, al cittadino italiano e di paese comunitario, da un lato, ed al cittadino extracomunitario, dall'altro lato poiché la riconosciuta possibilità di dare rilievo al radicamento sul territorio nazionale del cittadino comunitario si connette strettamente al fascio di diritti e libertà che sono riconosciuti ai cittadini dell'Unione Europea dalle norme del Trattato sull'Unione Europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea dagli atti normativi adottati in attuazione dei medesimi - con particolare riguardo alla libertà di stabilimento riconosciuta ai cittadini dell'Unione Europea nel territorio comunitario — e che hanno reso sproporzionata ed ingiustificata la disparità di trattamento fra cittadini italiani e cittadini comunitari. Situazione che non è - di contro - ravvisabile con riguardo al soggetto che, pur stabilmente radicato in Italia, non sia cittadino di paese facente parte dell'Unione Europea.

In caso di allegazione dello status di apolide della persona richiesta in consegna è necessario l' accertamento dello stato di cittadinanza in base alla normativa dello stato di nascita, che rileva come paese con il quale il richiedente ha intrattenuto un rapporto di collegamento effettivo, e la successiva verifica della esistenza di indici che determinino, per effetto di vicende personali da esaminare alla stregua della legislazione del paese di riferimento, la perdita dello status di cittadino. 

La condizione di apolide è individuata e descritta nella Convenzione di New York del 28 settembre 1954, ratificata dalla legge n. 306 del 1 febbraio 1962, nel senso che per apolide deve intendersi soltanto chi sia privo di cittadinanza, non potendola ottenere in alcun Stato in virtù della propria legislazione. In tale condizione non verserebbe neppure colui che, potendo ottenere la cittadinanza in base alla legislazione del Paese di origine, non si sia attivato per conseguirla.

 

Cassazione penale

Sez. 6 sentenza 45190 Anno 2019

Presidente: RICCIARELLI MASSIMO

Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA
Data Udienza: 05/11/2019

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LD, n. in Macedonia il ..  1968

avverso la sentenza del 25 settembre 2019 della Corte di appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Emilia Anna Giordano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Ciro Angelillis che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio relativamente alla verifica della condizione di radicamento.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha disposto la consegna di DL, cittadino macedone, all'autorità giudiziaria della Francia in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso il 3 luglio 2019 dal Tribunal de Grande Instance di Nimes.

2. DL è stato condannato, con la sentenza definitiva a base del mandato di arresto, alla pena di anni quattro di reclusione, con pena residua da espiare di anni due, mesi quattro e giorni ventiquattro di reclusione per i reati di istigazione, nei confronti di minorenni, a commettere reati, partecipazione ad associazione a delinquere e ricettazione di beni di provenienza delittuosa ed altro, fatti commessi dal mese di gennaio 2011 fino al 5 marzo 2013.

3. DL chiede l'annullamento della sentenza e, con i motivi di ricorso di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., denuncia l'erronea applicazione della legge, in relazione agli artt. 4, par. 6 decisione quadro CE n. 2002/584/GAI, 11 e 117 Cost., 18, comma 1, lett. r) legge n. 69/2005, 27 Cost. e 4 cod. pen., poiché sussistevano le condizioni per eseguire la pena in Italia e, dunque, rifiutare la consegna. Rileva, in particolare, l'erroneità del presupposto dal quale muove la decisione impugnata nel senso di ritenere che il ricorrente è cittadino macedone, appartenente cioè a Paese che non fa parte dell'Unione Europea, mentre, invece egli è apolide, come dallo stesso dichiarato nella richiesta depositata presso la sede della Prefettura al momento della richiesta di cittadinanza italiana.

In ogni caso, aggiunge, la decisione è erronea, anche nella parte in cui ha richiamato la decisione della Corte Costituzionale resa con la sentenza n. 267 (rectius 227) del 2010, dalmomento che tale sentenza è stata adottata in relazione ad un cittadino comunitario e non è, dunque, pertinente alla fattispecie nella quale venga in rilievo la parità di trattamento per i cittadini extracomunitari stabilmente residenti o dimoranti in Italia. Anche nelle sentenze della Corte di Giustizia, chiamata ad interpretare l'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584, non vi è alcun riferimento alla necessità che lo straniero ricercato debba essere cittadino comunitario affinché possa eseguire la pena nello Stato europeo in cui egli risiede o dimora stabilmente. Sono, dunque, la residenza o dimora stabili in Italia, a prescindere dalla cittadinanza del consegnando quale appartenente al Paese richiesto dell'esecuzione o a Stato comunitario, a radicare la possibilità di rifiuto della consegna, ai sensi dell'art. 18, lett. r) cit.. Nel caso del ricorrente rileva la decisiva circostanza che egli, essendo apolide, ha diritto ad essere equiparato al cittadino italiano, sulla scorta delle disposizioni recate dalla Convenzione sullo status degli apolidi del 1954 e dall'art. 4 cod. pen. soggetti alla legge italiana gli apolidi residenti nella Stato) poiché la disciplina del mandato di arresto europeo può considerarsi legge penale ed è applicabile al ricorrente che da oltre 29 anni ha vissuto nel territorio dello Stato italiano.

Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione alla esclusione del requisito della stabilità della dimora del ricorrente in Italia, stabilità ed effettività comprovati dalla documentazione prodotta e che la Corte milanese ha escluso riferendola ad una particolare città ma che, viceversa, va riferita allo Stato, nella sua interezza.

Con il terzo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione al radicamento, reale e non estemporaneo, in Italia. Nemmeno una parola la Corte distrettuale ha speso in merito al contenuto della documentazione prodotta e che attestava la fissazione, da parte del ricorrente, in questo territorio della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata dei suoi interessi lavorativi, familiari ed affettivi; né la Corte ha valutato la distanza temporale dalla commissione del reato e dalla condanna straniera e l'interesse legittimo del ricorrente a proseguire in Italia cure sanitarie ed avere presente la famiglia in caso di bisogno.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di DL deve essere rigettato perché proposto per motivi infondati.

2. La Corte distrettuale ha respinto la richiesta della difesa di applicare il disposto di cui all'art. 18, lett. r) della legge n. 69 del 2005 ovvero il rifiuto di consegna ed esecuzione in Italia della pena detentiva, poiché DL non è cittadino di Paese facente parte dell'Unione Europea e che il predetto non ha residenza o dimora stabili in Italia essendo domiciliato nel "campo nomadi" di Milano, secondo gli accertamenti eseguiti al momento dell'arresto mentre ai Carabinieri egli aveva dichiarato di essere residente in Roma, via Prenestina.

3. Il ricorrente, come anticipato, censura la decisione di consegna sul rilievo che essendo apolide la Corte distrettuale avrebbe dovuto equipararlo, ai fini dell'applicazione del motivo di rifiuto di cui all'art. 18, lett. r) della legge n. 69 del 2005, al cittadino italiano e, comunque, perché tale motivo di rifiuto si applica anche al cittadino extracomunitario che abbia residenza o domicilio in Italia legittimi ed effettivi, secondo la nozione di radicamento non estemporaneo precisata dalla giurisprudenza di questa Corte.

4. Appare rilevante esaminare il primo aspetto del motivo di ricorso poiché il possesso dello status di apolide, che, come noto è riconosciuto all'esito di un corrispondente procedimento amministrativo e giurisdizionale, determina il riconoscimento di diritti equiparabili a quelli del cittadino italiano. Evidente, peraltro, il riferimento del ricorrente non al possesso dello stato di apolide riconosciuto all'esito del correlativo procedimento, ma allo status di apolide di fatto, comprovato, secondo la stessa prospettazione difensiva, dalla dichiarazione del ricorrente al momento della richiesta della cittadinanza italiana avanzata nell'anno 2003.

5. Non si può prescindere, ai fini della verifica della sussistenza della condizione allegata, dal riferimento all'art. 10, comma 2, della Carta Costituzionale a termini del quale "la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali". E,infatti, la condizione di apolide è individuata e descritta nella Convenzione di New York del 28 settembre 1954, ratificata dalla legge n. 306 del 1 febbraio 1962, nel senso che per apolide deve intendersi soltanto chi sia privo di cittadinanza, non potendola ottenere in alcun Stato in virtù della propria legislazione. In tale condizione non verserebbe neppure colui che, potendo ottenere la cittadinanza in base alla legislazione del Paese di origine, non si sia attivato per conseguirla. La descritta nozione di apolide è integrata dalla previsione di un requisito negativo, di carattere sostanziale, a stregua del quale rileva il non essere l'individuo parificato, nello stato di residenza, ai cittadini di questo paese, quanto ai diritti ed ai doveri connessi al possesso dello status di cittadino. Lo status di apolide non è, poi, riconoscibile in base alla mera allegazione dell'interessato e sol perché, rispetto ad una persona nata nel Paese eletto a luogo principale dei propri interessi, si sia venuta a determinare una condizione che riconosce in capo al residente l'esercizio di diritti limitati e non l'intera gamma di diritti e doveri connessi allo status di cittadino del luogo di residenza o domicilio ma richiede il necessario e preventivo accertamento, sulla base della legislazione di riferimento, che la persona sia priva di cittadinanza nello stato con il quale il soggetto abbia avuto o abbia un legame giuridicamente rilevante.

Risulta necessario, pertanto, in caso di allegazione dello status di apolide della persona richiesta in consegna, l' accertamento dello stato di cittadinanza in base alla normativa dello stato di nascita, che rileva come paese con il quale il richiedente ha intrattenuto un rapporto di collegamento effettivo, e la successiva verifica della esistenza di indici che determinino, per effetto di vicende personali da esaminare alla stregua della legislazione del paese di riferimento, la perdita dello status di cittadino e, nel caso in esame, alla stregua della legge macedone essendo il ricorrente nato nella città di Strunnica, nella Repubblica di Macedonia del Nord.

Sono ben noti al Collegio gli eventi che hanno condotto alla dissoluzione dell'ex Stato Federale della Jugoslavia ed alla dichiarazione di indipendenza dello Stato Macedone e così la esistenza, in alcuni Paesi dell'area balcanica, di legislazioni che hanno introdotto, in relazione ai fenomeni massicci di emigrazione, come quelli storici delle comunità rom e sinti, o per gli eventi bellici, la correlativa causa di perdita del diritto di cittadinanza per effetto dell'emigrazione e della protratta permanenza in paesi esteri.

Tali cause, tuttavia, non sono rinvenibili nella legislazione macedone che disciplina la cittadinanza sulla base della legge del 13 novembre 1992 e che prevede, all'art. 3, l'acquisto della cittadinanza macedone, tra gli altri casi, per nascita sul territorio della Repubblica di Macedonia, dunque iure soli,riconoscimento che prescinde dalle vicende politiche che hanno riguardato la dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e la proclamazione della Repubblica indipendente di Macedonia.

Il ricorrente deve, pertanto, considerarsi, a tutti gli effetti cittadino macedone perché nato nel territorio della Repubblica di Macedonia del Nord non avendo bisogno di naturalizzazione e non essendo connessi alla sua permanenza all'estero, anche protratta, effetti negativi sul possesso dello status di cittadino macedone.

A questo riguardo rileva il Collegio che la Repubblica di Macedonia del Nord, nel quadro di ricomposizione dei contrasti determinatisi negli anni dei conflitti armati nella regione dei Balcani e delle vicende migratorie che avevano coinvolto le popolazioni, ha sottoscritto con il Consiglio di Europa un accordo (n. 817 del 2007) ai fini della riammissione, a richiesta degli interessati, dei propri cittadini nel territorio della Repubblica, secondo previsioni che si muovono lungo una chiara linea di facilitazione delle politiche di rimpatrio, anche ai fini della prova del possesso di stato.

Ritiene, conclusivamente, il Collegio che lo status di apolide, anche solo difatto, non può essere riconosciuto al ricorrente che, per nascita, ha acquisito la cittadinanza macedone, non essendo previste nella legislazione del Paese di origine cause di perdita del diritto di cittadinanza per effetto dell'emigrazione e della permanenza in un paese diverso ove, come nel caso in esame, la persona interessata è stata ammessa alla fruizione, in quanto stabile dimorante, di diritti civili, particolarmente in materia di assistenza sociale e sanitaria.

6.Privo di pregio è anche l'ulteriore aspetto del motivo di ricorso.

Secondo il ricorrente la disposizione recata dall'art. 18, lett. r) della legge n. 69 del 2005 prescinde dal riferimento alla cittadinanza dello stato di esecuzione ovvero di paese comunitario della persona della quale è richiesta la consegna e rilevano, ai fini del rifiuto di consegna, solo la condizione di residenza o dimora effettiva ed abituale nello Stato.

La lettura proposta dal ricorrente non può essere condivisa perché è in contrasto con l'interpretazione che della norma in esame hanno dato la giurisprudenza costituzionale e la giurisprudenza di legittimità, ancorate al solidodato testuale ed alla ratio della norma di diritto interno e della fonte europea, costituito dalla decisione quadro 2002/584/GAI che all'art. 4, punto 6 regola la specifica materia della non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo. Qui è individuata, fra i vari casi, l'ipotesi del mandato d'arresto europeorilasciato ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno.

7. L'art. 18, lett. r) della legge n. 69 del 2005, come noto, prevedeva il rifiuto di consegna, ai fini di esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano e, all'esito dell'intervento della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 227 del 2010, il rifiuto della consegna, è stato esteso al cittadino di un altro Paese membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano. E, correttamente, a tale precedente hafatto sintetico riferimento la sentenza impugnata.

8. Non consentono l' interpretazione diversa, secondo l'accezione proposta dalla difesa, le ragioni di carattere sistematico evincibili dalla richiamata decisione del Giudice delle Leggi che, ai fini della pronuncia di illegittimità, ha ravvisato la violazione degli artt. 11 e 117 Cost., in relazione alle disposizioni recate dalla decisione quadro 2002/584/GAI e all'art. 18 del TFUE (già art. 12 del TCE) incentrandole sul principio di non discriminazione dei cittadini dell'Unione Europea e ravvisando, quindi, ragioni di contrasto della leggenazionale con la carta fondamentale. Queste specifiche ragioni hanno indotto alla estensione della norma di carattere derogatorio, cioè in materia di rifiuto, oltre i suoi limiti formali, previsti nella originaria formulazione dell'art. 18, lett. r) cit., ma pur sempre nel contesto della condivisione della cittadinanza euro unitaria tra cittadini italiani e quelli di Paesi dell'Unione europea nonché della appartenenza ad uno spazio giudiziario comune di cui il sistema del mandato di arresto europeo costituisce espressione.

9. Non rilevano, dunque, ai fini della individuazione del perimetro del rifiuto di consegna, ai fini della esecuzione della pena in Italia, disciplinate dall'art. 18, lett. r) della legge n. 69 del 2005, le mere condizioni di residenza e dimora (precisate nella giurisprudenza della Corte di Giustizia e, in particolare nelle sentenze, richiamate dalla difesa, del 6 ottobre 2009, C-123/08, Wolzenburg; 17 luglio 2008, C- 66/08, Kozlowsky), ma tali condizioni correlate al possesso dello status di cittadino di paese comunitario.

E' lo status di cittadino eurounitario il fondamento del rifiuto di consegna nel sistema del mandato di arresto europeo che si fonda, a propria volta, sul principio dell'immediato e reciproco riconoscimento del provvedimento giurisdizionale e sui rapporti diretti tra le varie autorità giurisdizionali dei Paesi membri ed è essenzialmente volto a consentire la circolazione delle decisioni giudiziarie aventi ad oggetto un mandato, in funzione di un processo penale ovvero dell'esecuzione di una pena detentiva ed in esecuzione della decisione-quadro 2002/584/GAI.

Questa vincola gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali quanto alla forma e ai mezzi,rimanendo, comunque, riservataal legislatore nazionale la valutazione dell'opportunità di precisare le condizioni di applicabilità al non cittadino del rifiuto di consegna ai fini dell'esecuzione della pena in Italia, rifiuto configurato come obbligatorio nella disciplina recata dall'art. 18 della legge n. 69 del 2005.

10. Con recente sentenza (Sez. 6, n. 7214 del 14/02/2019, Balde Aliu Balamba, Rv. 275721) questa Corte ha anche scrutinato un altro aspetto delle conclusioni alle quali si perviene seguendo tale indirizzo ermeneutico affermando che alcuna irragionevolezza, tale da porsi in contrasto con l'art. 3 Cost., è da ravvisarsi nella disparità di trattamento riservata, ai finì dell'applicabilità della causa di rifiuto de qua, al cittadino italiano e di paese comunitario, da un lato, ed al cittadino extracomunitario, dall'altro lato poiché la riconosciuta possibilità di dare rilievo al radicamento sul territorio nazionale del cittadino comunitario si connette strettamente al fascio di diritti e libertà che sono riconosciuti ai cittadini dell'Unione Europea dalle norme del Trattato sull'Unione Europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea dagli atti normativi adottati in attuazione dei medesimi - con particolare riguardo alla libertà di stabilimento riconosciuta ai cittadini dell'Unione Europea nel territorio comunitario — e che hanno reso sproporzionata ed ingiustificata la disparità di trattamento fra cittadini italiani e cittadini comunitari. Situazione che non è - di contro - ravvisabile con riguardo al soggetto che, pur stabilmente radicato in Italia, non sia cittadino di paese facente parte dell'Unione Europea.

11. Così delineati i presupposti di applicazione della causa di rifiuto, strutturata come causa di rifiuto facoltativo a seguito della entrata in vigore della legge n. 117 del 2019 con una previsione che ricalca testualmente, all'art. 18bis, la disposizione già recata dall'art. 18 lett. r) integrata per effetto della pronuncia della Corte Costituzionale (se il mandato d'arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell'Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno), risulta irrilevante che la Corte distrettuale non abbia esaminato la documentazione proposta a fondamento e supporto del radicamento del ricorrente in Italia, omissione oggetto di denuncia con il secondo e terzo motivo di ricorso, radicamento che può assumere rilievo solo quando la persona chiesta in consegna sia cittadino di uno Stato membro dell'Unione Europea, status che non appartiene al ricorrente cittadino di paese extracomunitario.

12. Alla declaratoria di rigetto del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, L. n. 69 del 2005.

Così deciso il 5 novembre 2019.