La misura domiciliare deve svolgersi per quanto possibile, secondo modalità analoghe rispetto a quelle proprie della misura intra muraria, dovendosi pertanto dare esclusiva rilevanza allo spazio fisico delimitato dall'unità abitativa (domicilio) indicata dall'interessato ed autorizzata dal giudice, mimesi in senso giuridico e giustificata dal favore per le esigenze di vita ed affettive dell'indagato o del condannato dello spazio concluso tipico della detenzione in ambito penitenziario, suscettibile come tale di consentire eccezioni unicamente in relazione a quegli ambiti parzialmente aperti (balconi, terrazzi) o scoperti (cortili interni, chiostrine e simili) ma costituenti parte integrante dell'unità immobiliare di riferimento.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 marzo ? 19 aprile 2016, n. 16098
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Catanzaro ha parzialmente riformato quella emessa dal Tribunale di Castrovillari il 07/05/2013, ribadendo la responsabilità di G.T. in ordine al reato di evasione dagli arresti domiciliari (art. 385 cod. pen.), riducendo la pena inflittagli in primo grado alla misura finale di un anno di reclusione, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva.
2. Avverso la sentenza ha proposto impugnazione l'imputato, che deduce violazione di legge e vizio di motivazione, allegando di essere stato sorpreso dal controllo in uno spazio esterno antistante l'abitazione, a sua volta inserita in uno stabile di proprietà esclusiva della propria famiglia e come tale costituente spazio privato della medesima e parte integrante del domicilio coatto, cui doveva ritenersi pienamente autorizzato ad accedere.
Il ricorrente deduce, inoltre, lo stesso vizio con riferimento al dolo del reato di evasione, non avendo nutrito il benché minimo intento di sottrarsi ai controlli di legge, in quanto rimasto in area di pertinenza esclusiva dell'abitazione stabilita come luogo di svolgimento degli arresti domiciliari.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato e come tale deve essere rigettato.
2. Nell'articolare le proprie doglianze, il ricorrente ha evocato l'istituto della pertinenza, riferito al luogo di dimora individuato per l'esecuzione degli arresti domiciliari di cui all'art. 284 cod. proc. pen.
La tesi da lui sostenuta è che non sussiste il reato di cui all'art. 385, comma 3 cod. pen. (e lo stesso si può dire per quello di cui all'art. 47-ter, comma 8 l. n. 354 del 1975) quando lo spazio o l'ambiente accessorio costituiscano ?pertinenza esclusiva? dell'abitazione o comunque del luogo prescelto per l'esecuzione degli arresti o della detenzione domiciliari.
La tesi è infondata per un duplice ordine di ragioni.
La prima attiene alla difficoltà obiettiva di individuare in maniera precisa il rapporto di natura pertinenziale tra l'abitazione e lo spazio o il vano o l'ambiente accessorio.
La difficoltà nasce in primo luogo dalla divaricazione esistente tra la nozione civilistica di pertinenza (art. 817 cod. civ.) e quella propria della legislazione edilizio - urbanistica, definita originariamente dall'art. 7, comma 2, lett. a) del d.l. n. 9 del 1982 conv. nella l. n. 94 del 1982, norma oggi abrogata per effetto dell'art. 136 L lett. e) del testo unico d.P.R. n. 380 del 2001, che all'art. 3 lett. e.6) la disciplina in base a criteri sensibilmente diversi.
Ai sensi del codice civile si definiscono, infatti, pertinenze ?le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa, senza costituirne parte integrante e senza rappresentarne elemento indispensabile per la sua esistenza, ma in guisa da accrescerne l'utilità e il pregio?, dove il vincolo rispetto al bene principale dipende essenzialmente dalla volontà del proprietario ovvero di colui che su di esso vanta un diritto reale.
La nozione di pertinenza urbanistica ha, invece, peculiarità sue proprie, le quali postulano che il manufatto abbia ?una propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti? (ex plurimus tra le più recenti v. Sez. 3, sent. n. 2768 del 21/12/2005, dep. 2006, Nardini, Rv. 233303; Sez. 3, sent. n. 25669 del 30/05/2012, Zeno e altro, Rv. 253064)
La nozione di pertinenza ai fini della disciplina urbanistico - edilizia risulta, dunque, più ristretta di quella civilistica ma per quanto qui interessa, poiché il manufatto definibile come tale può trovarsi indifferentemente in rapporto di continuità o discontinuità spaziale rispetto a quello principale (si pensi ai garage realizzati secondo la procedura semplificata prevista dall'art. 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122 a condizione che vengano ubicati nel sottosuolo delle aree di pertinenza di immobili già esistenti o su apposite aree condominiali, caso espressamente considerato da Sez. 3, sent. n. 29080 del 26/02/2013, PM in proc. Gullo, Rv. 256669), la relativa ubicazione appare astrattamente suscettibile di ampliare, in maniera anche notevole, lo spazio legittimamente praticabile dal soggetto ristretto agli arresti domiciliari o in regime di detenzione domiciliare all'interno del manufatto principale.
La differente portata delle ricordate nozioni di pertinenza rende, perciò, chiaro che in assenza di specifiche prescrizioni al riguardo contenute nell'ordinanza cautelare (o nel provvedimento del giudice di sorveglianza), una generalizzata equiparazione di tale categoria di beni al regime del domicilio coatto comporterebbe difficoltà interpretative nell'esecuzione della misura nonché obiettive disfunzioni nell'effettuazione dei controlli, oltre tutto con ulteriore aggravio dell'intrinseca ed ineliminabile disparità di trattamento connessa alle variegate tipologie di abitazione di cui ciascun interessato può in concreto disporre e indicare come domicilio coatto o luogo di detenzione domiciliare.
Il secondo motivo è che la piena equiparazione stabilita dall'ordinamento tra arresti domiciliari e custodia cautelare in carcere (art. 284, comma 5 cod. proc. pen.) richiede che la misura domiciliare si svolga, per quanto possibile, secondo modalità analoghe rispetto a quelle proprie della misura intra muraria, dovendosi pertanto dare esclusiva rilevanza allo spazio fisico delimitato dall'unità abitativa (domicilio) indicata dall'interessato ed autorizzata dal giudice, mimesi in senso giuridico e giustificata dal favore per le esigenze di vita ed affettive dell'indagato o del condannato dello spazio concluso tipico della detenzione in ambito penitenziario, suscettibile come tale di consentire eccezioni unicamente in relazione a quegli ambiti parzialmente aperti (balconi, terrazzi) o scoperti (cortili interni, chiostrine e simili) ma costituenti parte integrante dell'unità immobiliare di riferimento.
3. Il tema dell'estensione del domicilio coatto non è, peraltro, nuovo ed è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, venendo in genere risolto in termini non dissimili da quelli sopra indicati, nel senso che ?per abitazione deve intendersi il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza, quali aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non ne costituiscano parte integrante, Sez. 6, sent. n. 3212 del 18/12/2007, dep. 2008, PM in proc. Perrone, Rv. 238413; Sez. 6, sent. n. 15741 del 07/01/2003, Favero, Rv. 22680; Sez. 6, sent. n. 9988 del 09/07/1993, Iovanovic, Rv. 196177 in fattispecie riguardante roulotte ubicata all'interno di campo nomadi e non massimate Sez. 6 sent. del 25/01/2012, Di Liberto e Di Tullio; Sez. 6 sent. dei 11/07/2012, Graziano; Sez. 6 sent. del 24/09/2012 Momodou; Sez. 6 sent. del 05/02/2013, Di Nino).
Limitate eccezioni sono state individuate nei casi in cui sussista continuità spaziale tra abitazione ed ambito accessorio, affermandosi così ?che non può essere escluso dal concetto di abitazione un'area condominiale, un giardino o un cortile che non presentino soluzioni di continuità con la medesima? (Sez. 6, sent. n. 4143 del 17/01/2007, Bompressi, Rv. 236570 e Sez. 6 del 10/07/2014, Sgura non massimata), con previsione di un'ulteriore eccezione all'eccezione per cui ?le aree in questione vanno escluse se di libero e accesso ed uso da parte di altri come i condomini o a fortiori i terzi? (Sez. 6 del 25/09/ 2014, Peritore non massimata).
Quanto alla specifica rilevanza dei concetto di pertinenza, è stata frequentemente valorizzata a contrario la nozione di ?stretta pertinenza?, nel senso che ?l'abitazione dalla quale la persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari non deve allontanarsi va intesa soltanto come il luogo in cui il soggetto conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza del tipo di aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili, che non siano di stretta pertinenza dell'abitazione stessa? (Sez. 6, sent. n. 5770 del 10/02/1995, Chimenti, Rv. 201670; Sez. 6, sent. n. 11000 del 04/10/1994, Bulgarini, Rv. 199932).
Più raramente ai fini dell'esclusione tout court della responsabilità per art. 385 cod. pen. si è fatto, invece, ricorso alla nozione di ?pertinenza esclusiva? (Sez. 1, sent. n. 17962 del 30/03/2004, Maritan, Rv. 228292), categoria (al pari in verità di quella di ?stretta pertinenza?) di dubbia origine normativa ed incerta applicazione sul piano pratico.
Dal punto di vista, invece, funzionale e in senso maggiormente restrittivo del concetto di abitazione destinata allo svolgimento degli arresti domiciliari, è stato stabilito che ?il fine primario e sostanziale della misura coercitiva [...] è quello di impedire i contatti con l'esterno ed il libero movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari, che può essere vanificato anche dal trattenersi negli spazi condominiali comuni? (Sez. 6, sent. n. 4830 del 21/10/2014, PM in proc. Capkevica, Rv. 262155).
Il quid pluris dell'interpretazione qui adottata consiste, pertanto, nel fatto che, al di là dell'innegabile rigorismo giustificato dalle citate ragioni di ordine sistematico, essa esime l'interprete da qualsiasi verifica in ordine allo statuto proprietario dei cd. spazi accessori diversi da quelli sopra indicati, in quanto irrilevante ai fini della configurabilità dei reato, ferma evidentemente restando la possibilità di apprezzare la specificità del caso ai fini della concreta determinazione del trattamento sanzionatorio.
2. Al rigetto dell'impugnazione segue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.