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Estradizione verso paese con sistema carcerario problematico (Cass. 8078/21)

9 febbraio 2021, Cassazione penale

In tema di estradizione per l'estero, in presenza di una situazione di rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti attestata da fonti internazionali affidabili, è onere della Corte di appello, ai fini dell'accertamento della condizione ostativa per l'estradizione, richiedere, con una indagine mirata, informazioni integrative tese a conoscere il trattamento penitenziario cui sarà in concreto sottoposto l'estradando.

In presenza di una accertata situazione di problematicità del sistema carcerario nello Stato richiedente, la verifica della esistenza di un pericolo concreto di sottoposizione di un detenuto a trattamento inumano o degradante va pure correlata alle peculiari condizioni dell'estradando, quali pure quelle connesse al suo stato di salute.

In tema di estradizione per l'estero, la situazione di difficoltà e disagio derivante dall'allontanamento dell'estradando dalla sua famiglia radicata in Italia non integra alcuna delle condizioni ostative all'estradizione in quanto la valutazione compiuta dalla Corte di appello concerne esclusivamente la legale possibilità della estradizione passiva, esulando dalle sue attribuzioni ogni valutazione di opportunità, che rientra, invece, nell'esclusiva sfera di competenza del Ministro della Giustizia.

 

Cassazione penale

Sez. 6 Num. 8078 Anno 2021

Presidente: BRICCHETTI RENATO GIUSEPPE

Relatore: APRILE ERCOLE
Data Udienza: 09/02/2021
SENTENZA

sul ricorso proposto da
OT a Gori (Georgia) il ***

avverso la sentenza del 01/12/2020 della Corte di appello di Bari;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ciro Angelillis, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l'estradanda l'avv. TDA, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bari dichiarava l'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione presentata 1'11 giugno 2020 dalla Repubblica della Georgia nei confronti della cittadina georgiana TO - attualmente sottoposta alla misura cautelare dell'obbligo di dimora nel comune di Bari - in relazione al mandato di arresto emesso dal Tribunale di Tbilisi (Georgia) per dare esecuzione alla sentenza definitiva del 19 febbraio 2015 con la quale la Corte di appello di Tbilisi aveva condannato la prevenuta alla pena di anni quattro di reclusione in relazione al reato di frode aggravata.

Rilevava la Corte territoriale come sussistessero tutte le condizioni previste dalla disciplina codicistica e da quella della Convenzione europea di estradizione del 1957 per accogliere quella richiesta di estradizione passiva, non essendovi i presupposti per ritenere fondate le eccezioni in rito e le questioni di merito che la difesa aveva posto anche in ordine alle condizioni personali di salute della estradanda ed ai rischi connessi al trattamento penitenziario che potrebbe essere riservato alla O.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso la O, con atto sottoscritto dal suo difensore, la quale ha dedotto i seguenti cinque motivi.

2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 703, comma 5, cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello disatteso l'eccezione di nullità del decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio perché non preceduta dalla notifica alla interessata della requisitoria depositata dal Procuratore generale presso quella Corte e per non avere riconosciuto alla prevenuta un termine a difesa per consentire di controdedurre al contenuto di quella requisitoria.

2.2. Violazione di legge, in relazione agli arti:. 2, 29 e 30 Cost., 8 CEDU, e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto, sulla base di una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme, che il riconoscimento delle condizioni per raccoglimento della richiesta di estradizione avrebbero leso il diritto della O all'unità familiare, tenuto conto che ella è coniugata con un cittadino italiano e vive stabilmente in Italia con due figli; in subordine, la ricorrente ha chiesto sollevarsi questione di legittimità costituzionale della normativa in materia di estradizione nella parte in cui non prevede la possibilità di rigettare la richiesta di estradizione in una situazione quale quella appena descritta.

2.3. Violazione di legge, in relazione agli articoloi 698 e 705, comma 2, lett. c- bis) cod. proc. pen., e 32 Cost., e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito disatteso la richiesta difensiva di non dar luogo alla estradizione in ragione delle particolari condizioni di salute e di età della O, avendo valutato le segnalate patologie, di cui la stessa è affetta, in maniera parziale e non nel loro complesso, senza neppure considerare la relazione tra le esigenze di cura di cui la predetta ha bisogno e le condizioni delle carceri in Georgia.

2.4 Violazione di legge, in relazione agli artt. 698, 704 e 705, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per avere la Corte sottovalutato la documentazione prodotta dalla difesa, idonea invece a dimostrare la precarietà delle condizioni carcerarie in Georgia.

2.5. Violazione di legge, in relazione agli artt. 698 e 705, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello omesso di rispondere alla specifica deduzione difensiva relativa ai rapporti tra la estradanda e una della persone offese del reato per il quale la prima è stata condannata, alla relazione di parentela esistente tra la vittima e un influente uomo politico georgiano, capace anche di condizionare le determinazioni dell'autorità giudiziaria, e, dunque, al rischio che la O, se estradata in quel Paese, possa essere sottoposta a forme di persecuzione politica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato, sia pur nei limiti e con gli effetti di seguito precisati.

2. Il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato.

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, in materia di estradizione per l'estero, la violazione delle modalità di formulazione o di notificazione della requisitoria del procuratore generale, previste dall'art. 703, comma 5, cod. proc. pen., non produce alcuna nullità (in questo senso, tra le tante, Sez. 6, n. 12520 del 17/03/2008, Cavaliere, Rv. 239677; Sez. 6, n. 18975 del 10/03/2006, Lo Porto, Rv. 234617).

Di tale regula iuris la Corte di appello di Bari ha fatto buon governo disattendendo l'eccezione di nullità formulata dalla difesa e riproposta con il ricorso per cassazione in maniera, peraltro, molto generica, non essendo stato precisato in che termini sarebbero state violare le ragioni difensive dell'estradanda.

3. Il secondo motivo del ricorso è privo di pregio.

Come noto, l'art. 705 cod. proc. pen., nel disciplinare le condizioni per l'accoglimento della richiesta di consegna proveniente da uno Stato estero, non fa in alcun modo riferimento alle condizioni familiari del cittadino straniero di cui è stata domandata l'estradizione: elemento, questo, che pacificamente può essere valutato dal Ministro al momento dell'esercizio del potere amministrativo discrezionale che si sostanzia nell'adozione del decreto finale di consegna.

E' pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimità che, in tema di estradizione per l'estero, la situazione di difficoltà e disagio derivante dall'allontanamento dell'estradando dalla sua famiglia radicata in Italia non integra alcuna delle condizioni ostative all'estradizione previste dall'art. 705, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 38137 del 24/09/2008, Vasile, Rv. 241264), in quanto la valutazione compiuta dalla Corte di appello concerne esclusivamente la legale possibilità della estradizione passiva, esulando dalle sue attribuzioni ogni valutazione di opportunità, che rientra, invece, nell'esclusiva sfera di competenza del Ministro della Giustizia (Sez. 6, n. 11941 del 04/03/2014, S., Rv. 259339).

In tale ottica è significativo che, con la recente novella contenuta nel d.lgs. 3 ottobre 2017, n. 149, il legislatore abbia ampliato i margini di valutazione spettanti all'autorità giudiziaria con il riferimento alla necessità di considerare anche le condizioni di età e di salute dell'estradando, senza alcun richiamo alle condizioni familiari: scelta, questa, espressione dell'esercizio di un potere discrezionale del Parlamento nella quale non è ravvisabile alcun profilo di irragionevolezza.

D'altro canto, questa Corte di cassazione ha già avuto modo di dichiarare manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, riproposte con il ricorso oggi in esame, della disciplina codicistica che, sotto l'indicato aspetto, differenzia la posizione dell'estradardo cittadino straniero da quella del destinatario di un mandato di arresto europeo, così come disciplinata dall'art. 18, comma 1, lett. r), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Sez. 6, n. 8823 del 08/01/2020, Merkaziaj, Rv. 278616). Al riguardo va rammentato, infatti, come la Corte costituzionale ha già chiarito come la norma contenuta nell'art. 705, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede una disciplina differente da quella contenuta nel predetto art. 18 della legge n. 69 del 2005, non contrasta con alcun parametro costituzionale o di norme sovranazionali, in quanto il meccanismo semplificato di consegna introdotto con la legge sul mandato di arresto europeo risponde ad una specifica logica appartenente ai soli Stati aderenti all'Unione europea, basata su un regime di cooperazione che, a differenza di quello previsto per l'estradizione, non postula alcun rapporto intergovernativo, ma si fonda sui rapporti diretti tra le varie autorità giurisdizionali dei Paesi membri. Meccanismo, dunque, ben diverso da quello dedicato alla materia dell'estradizione che si basa su un rapporto intergovernativo tra Stati; che non contempla la possibilità per l'autorità giudiziaria di rifiutare l'estradizione per consentire che la pena inflitta al consegnando sia eseguita in Italia; e che si fonda sulla complementare esistenza di due distinte fasi, in cui alla prima, giurisdizionale di garanzia dei diritti, segue una fase amministrativa, di competenza del Ministro della giustizia, fase questa a sua volta assoggettabile a controllo del giudice amministrativo, trattandosi di determinazione che coinvolge in modo diretto e immediato interessi essenzialmente individuali (così C. cost., sent. n. 274 del 2011; conf. C. cost., ord. n. 10 del 2012).

4. Il quinto motivo del ricorso è inammissibile, in quanto la difesa ha fatto riferimento, in maniera molto indeterminata, all'esistenza del pericolo che la O, se estradata, possa essere sottoposta in Georgia ad atti persecutori, facendo riferimento in termini generici ad una asserita relazione parentale tra una delle persone offese del reato ordinario per il quale vi è stata condanna e un uomo politico di quel Paese; dunque, senza che la ricorrente abbia adempiuto a quell'onere di allegazione, basato sulla dimostrazione di elementi specifici, necessaria quando si sostiene di essere stata vittima di un processo persecutorio (Sez. 6, n. 34567 del 26/06/2013, Spahiu, Rv. 257084).

Non vi sono, dunque, le condizioni per ritenere applicabile nella fattispecie la disposizione dell'art. 698, comma 1, cod. proc. pen., che prevede quale causa ostativa alla estradizione la fondata ragione per ritenere che il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi, fra gli altri, di condizioni personali o sociali: in quanto sono assenti dati concreto da cui poter desumere che l'odierna ricorrente sia destinataria di una domanda di estradizione che miri a realizzare una forma di discriminazione vietata dall'art. 3, comma secondo, CEDU.

5. Il terzo e il quarto motivo del ricorso - strettamente connessi tra loro e, dunque, esaminabili congiuntamente - sono, invece, fondati.

E' espressione di un pacifico orientamento esegetico il principio secondo il quale, in tema di estradizione per l'estero, ai fini dell'accertamento della condizione ostativa prevista dall'art. 698, comma 1, cod. proc. pen., è onere dell'estradando allegare elementi e circostanze che la Corte di appello deve valutare, anche attraverso la richiesta di informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto, l'interessato sarà alla consegna sottoposto, o meno, ad un trattamento inumano o degradante (Sez. 6, Sentenza n. 8529 del 13/01/2017, Fodorean, Rv. 269201). Sotto questo punto di vista, per accertare l'effettiva sussistenza di un pericolo di trattamento inumano e degradante, ostativo alla consegna del detenuto all'autorità dello Stato richiedente occorre l'acquisizione, da parte dell'autorità giudiziaria remittente, di informazioni "individualizzate" sul regime di detenzione che sarà riservato all'estradato: e ciò tanto in relazione alla condizioni generali di detenzione esistenti nelle carceri dello Stato richiedente la consegna, quanto con riferimento alle condizioni di salute e di età dell'estradando, che non possono essere valutate isolatamente senza conoscere quelle condizioni di detenzione e, in specie, avere garanzia della possibilità che l'interessato possa continuare ad essere curato nelle strutture penitenziarie dello Stato richiedente l'estradizione.

Di tali regulae iuris la Corte di appello di Bari non ha fatto corretta applicazione.

In primo luogo perché, nel caso di specie, i giudici di merito hanno sottovalutato la documentazione prodotta dalla difesa riguardante la problematicità delle carceri in Georgia così come recentemente denunciate dal Difensore Pubblico di quel Paese; e non si è tenuto conto di quanto risultante da dati notori, avendo una affidabile organizzazione internazionale non governativa, qual è Amnesty International, denunciato, con il Rapporto 2019-2020 sulla situazione dei paesi dell'Europa e dell'Asia centrale, l'esistenza in Georgia di un clima di violazioni dei diritti umani, pure confermato dalle immagini diffuse da una televisione locale circa le torture praticate in una prigione della capitale Tbilisi. Né va trascurato che la Corte di Strasburgo ha emesso sentenze di condanna della Georgia per trattamenti disumani e degradanti cui sono stati sottoposti in carcere alcuni detenuti, anche in relazione alle patologie di cui erano affetti (v. Corte EDU, 08/01/2013, Jhasi c. Georgia, ric. n. 10799/06; Corte EDU, 24/02/2009, Poghosyan c. Georgia, ric. n. 9870/07; riguardo alla problematicità delle condizioni generali di detenzione nelle carceri in Georgia v. anche Sez. 6, n. 50419 del 19/11/2019, B., non massimata).

In tale situazione risulta violato il criterio ermeneutico in base al quale, in tema di estradizione per l'estero, in presenza di una situazione di rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti attestata da fonti internazionali affidabili, è onere della Corte ch appello, ai fini dell'accertamento della condizione ostativa prevista dall'art. 698, comma 1, cod. proc. pen., richiedere, con una indagine mirata, informazioni integrative tese a conoscere il trattamento penitenziario cui sarà in concreto sottoposto l'estradando (in questo senso Sez. 6, Sentenza n. 22818 del 23/07/20.20, Balcan, Rv. 279567; Sez. 6, n. 28822 del 28/06/2016, Diuligher, Rv. 268109).

In secondo luogo perché in presenza di una accertata situazione di problematicità del sistema carcerario nello Stato richiedente, la verifica della esistenza di un pericolo concreto di sottoposizione di un detenuto a trattamento inumano o degradante va pure correlata alle peculiari condizioni dell'estradando, quali pure quelle connesse al suo stato di salute (in questo senso Sez. 6, n. 47237 del 18/11/2015, Savic, Rv. 265520; conf., Sez. 6, n. 39110 del 06/06/2019, Tosi, non massimata).

Occorre, dunque, che alla luce degli elementi acquisiti siano richieste all'autorità governativa georgiana specifiche informazioni sull'istituto e sulle caratteristiche del regime detentivo al quale .sarà sottoposta la O, sui verosimili sviluppi dell'esecuzione della pena che la riguarderà e sul trattamento carcerario che le sarà riservata, anche in relazione all'età e alle condizioni di salute della prevenuta e alla possibilità che la stessa possa beneficiare in carcere delle cure mediche di cui abbisogna.

La sentenza impugnata va, dunque, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari che, nel nuovo giudizio, si atterrà ai principi di diritto innanzi esposti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il 09/02/2021