Le facoltà attribuite dai trattati in ordine alla estradizione, che non trovano nel codice di rito un corrispondente divieto dell'estradizione, non possono giustificare una pronuncia di non estradabilità da parte dell'autorità giudiziaria competente, spettando solo al Ministro della giustizia ogni valutazione al riguardo: quindi, non essendo presente nell'ordinamento interno una disposizione che faccia divieto o limiti l'estradizione nei casi di reato commesso al di fuori del territorio dello Stato richiedente, la norma pattizia non può trovare applicazione nella fase giurisdizionale della procedura estradizionale.
La causa ostativa alla estradizione della fondata ragione per ritenere che l'imputato o il condannato verranno sottoposti ad atti persecutori o discriminatori per motivi, fra gli altri, di condizioni personali o sociali, amplia e ricalca la norma di cui all'art. 3, comma 2, della Convenzione Europea di estradizione e costituisce applicazione del più generale principio di salvaguardia del diritto fondamentale dell'individuo alla libertà ed alla sicurezza contro qualsiasi forma di discriminazione, che potrebbe essere attuata con lo strumento della domanda di estradizione da parte dello Stato estero.
L'atto persecutorio e discriminatorio, pertanto, è quello che, in quanto "mascherato" sotto forma di domanda di estradizione per perseguire un determinato reato, costituisce lo scopo dissimulato che lo stesso Stato richiedente mira a realizzare per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, laddove dallo "status" del soggetto, connesso ad una o più delle suddette posizioni, dipendano, nell'ordinamento interno del suddetto Stato richiedente, situazioni di oggettivo pregiudizio reale o potenziale.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
(ud. 21/05/2020) 10-06-2020, n. 17835
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente -
Dott. CALVANESE Ersilia - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
K.A.Y., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/12/2019 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Birritteri Luigi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. GDC che ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 12 dicembre 2019, la Corte di appello di Napoli dichiarava la sussistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione presentata dal Governo degli Stati Uniti d'America nei confronti del cittadino (OMISSIS) K.A.Y. al fine del suo perseguimento penale per i reati di associazione per delinquere volta alla commissione di furti di segreti industriali e di tentato furto di segreti industriali, commessi tra gli anni (OMISSIS).
1.1. Dalla sentenza si evince che l'estradando era ricercato dagli Stati Uniti d'America sulla base di un mandato di arresto, emesso, a seguito del suo rinvio a giudizio da parte del gran Giurì della Corte distrettuale dell'Ohio, al fine di sottoporlo a procedimento penale per i reati sopra indicati.
La Corte di appello dava atto che dalla documentazione allegata alla domanda estradizionale risultava che il K., dipendente di una società aeronautica statale russa ((OMISSIS)), e B.M., ex direttore della società A, consociata della società statunitense GEA, si sarebbero associati con altri tecnici del settore per sottrarre illegalmente segreti industriali riguardanti specifici progetti (segnatamente relativi alla trasmissione di comandi accessori per motori a reazione), piani di aerei e pratiche delle società GEA-A: in particolare in una prima fase (2013-2016) l'estradando avrebbe assunto tre dipendenti di GEA-A perchè fornissero miglioramenti su un progetto per la trasmissione di comandi accessori del motore a reazione PD-14, prodotto in Russia, confluiti in un rapporto tecnico, incorporante i segreti industriali di proprietà di GEA-A, consegnato dietro compenso a (OMISSIS) e al K.; nella seconda fase (2016-2018), quest'ultimo avrebbe chiesto allo stesso team di lavorare sul medesimo sistema di trasmissione ma per motori di maggiori dimensioni; tale team avrebbe contattato ex dipendenti di GEA-A per ottenere le informazioni tecniche da applicare alla produzione dei PD-35 russi; successivamente, il B., dopo aver costituito nel gennaio 2018 una nuova società (Ae), formata da un team di ingegneri (ex dipendenti di GEA), che avevano competenze ed esperienza sui progetti in questione, avrebbe comunicato all'estradando il progetto richiesto.
La sussistenza delle ipotesi delittuose e il coinvolgimento in esse dell'estradando erano stati desunti dalle autorità statunitensi da comunicazioni effettuate via mail tra i complici e da dichiarazioni acquisite dagli investigatori.
La Corte di appello riteneva che i fatti, oggetto della domanda estradizionale, fossero inquadrabili nelle fattispecie delittuose di cui agli artt. 416, 110 e 623 c.p..
2. Ricorre avverso tale sentenza il difensore di fiducia di K., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancanza dei presupposti legittimanti l'estradizione ai sensi dell'art. 4, par. 4, dell'Accordo di estradizione tra U.E. e U.S.A. del 19 luglio 2003.
La difesa aveva fatto presente che, ai sensi dell'art. 2 della Convezione Italia-Usa, ratificata con L. n. 25 del 2009, la verifica a fini estradizionali andava condotta non sul reato associativo (conspiracy), ma sul reato-fine di rivelazione di segreto industriale.
Ebbene, tale ultimo reato risulta commesso interamente nel territorio dello Stato italiano, ipotesi per la quale il citato art. 4, par. 4 dell'Accordo di estradizione U.S.A.-U.E. del 2003, anch'esso ratificato con L. n. 25 del 2009, prevede che l'estradizione sia concessa "se la legge dello Stato richiesto prevede la punibilità del reato commesso al di fuori del suo territorio in circostanze analoghe".
Tale disposizione pattizia specifica il requisito della doppia incriminabilità per il caso di reato commesso all'estero da cittadino straniero rispetto allo Stato richiedente.
Nel caso in esame la rivelazione di cui all'art. 623 c.p. non è perseguibile in Italia per difetto delle condizioni richieste dall'art. 10 c.p., in ragione della pena edittale minima, inferiore a quella prevista da tale ultima disposizione.
La Corte di appello non ha preso in considerazione tale questione, implicitamente accolta dal Procuratore generale con riferimento al reato associativo.
2.2. Errore di diritto e vizio di motivazione in ordine alla legittimazione passiva della società statunitense GEA con riferimento al delitto di rivelazione di segreti scientifici ed industriali.
La difesa aveva dedotto una specifica questione davanti alla Corte di appello relativa all'improcedibilità della domanda di estradizione avanzata dagli U.S.A. nei confronti del ricorrente, in ragione della impossibilità di considerare la società statunitense GEA parte offesa del reato punito dal nostro ordinamento ai sensi dell'art. 623 c.p..
Secondo l'ipotesi accusatoria, oggetto del tentativo di rivelazione penalmente rilevante era il patrimonio tecnico-conoscitivo, destinato a rimanere segreto, detenuto non dalla GEA ma dalla consociata italiana A (è dato pacifico che il reato sia stato commesso in Italia).
Pertanto, al fine di poter riconoscere la legittimazione alla richiesta estradizionale degli U.S.A. è assolutamente necessario che il soggetto passivo del reato sia di nazionalità statunitense.
La Corte di appello ha operato una forzatura, dando per scontato il passaggio di proprietà del know-how della A alla GEA, per il solo fatto che quest'ultima aveva acquistato delle quote della A. Era invece rilevante dimostrare la realizzazione di una vera e propria fusione per raggiungere tale effetto, mentre la Av s.r.l. (come da visura allegata) è società distinta dall'acquirente statunitense, detenuta da un unico socio di diritto italiano, la GEI Holding s.r.l..
Quanto sostenuto dalla Corte di appello viene a porsi anche in contrasto con il principio della doppia punibilità di cui agli artt. 2 e 3 del Trattato bilaterale di estradizione, tenuto conto che la verifica va condotta non sul reato associativo ma sul reato-fine dell'associazione: se il segreto di cui si assume il tentativo di rivelazione è da riferirsi alla società A non si può configurare il fatto come reato tentato nei confronti della società di diritto statunitense.
L'errore prospettico è di aver rinviato alla sola legislazione statunitense per la verifica dell'acquisizione delle quote dell'A.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla doppia incriminabilità del reato di conspiracy.
Esclusa l'estradabilità per il reato-fine andava considerata l'estradizione del reato associativo.
A seguito dell'Accordo del 2006, che ha integrato il Trattato bilaterale di estradizione, viene in considerazione ogni forma di associazione per commettere il reato e non il mero concorso di persone nel reato: nel caso in esame non si rinviene nella domanda estradizionale alcuna condotta sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 416 c.p..
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi o alla base ragionevole di colpevolezza dell'estradando.
La Corte di appello erroneamente ha limitato la verifica del presupposto della base ragionevole di colpevolezza indicata nel Trattato all'art. 10, par. 3, lett. b) alla sola constatazione che l'estradando era stato rinviato a giudizio in relazione segreti industriali illegittimamente rubati.
Non risultano mai indicati neppure sommariamente i segreti industriali oggetto di illecita apprensione da parte dell'estradando e dei suoi sodali.
La Corte di appello ha ritenuto soddisfatta tale esigenza difensiva con la documentazione consegnata, dove si affermava in modo assertivo e apodittico che il "rapporto tecnico conteneva segreti industriali della società A e della Consociata A". La indicazione è viepiù carente se solo si considera che tale affermazione proviene non da fonti dichiarative ma soltanto dal redattore dell'(OMISSIS).
La difesa aveva prodotto documentazione di rilievo per provare la innocenza dell'estradando (come il rapporto tecnico, commissionato alla società italiana Ae, in cui non vi traccia di alcun segreto industriale di proprietà della A o della GEA), ritenuta immotivatamente non dirimente dalla Corte di appello.
La verifica della base indiziaria della domanda estradizionale condotta dalla Corte di appello finisce per eludere il controllo sostanziale affidato all'autorità giudiziaria italiana, che ricade nell'operatività dell'art. 13 Cost..
2.5. In ordine alla natura della domanda estradizionale, la difesa aveva dedotto come la stessa tradisse ragioni di tipo politico e di concorrenza industriale, qualificabile come una persecuzione politica, in quanto il ricorrente è dirigente di una società della Federazione russa che gli U.S.A. considerano pericolosa per la sicurezza nazionale, come le stesse autorità statunitensi hanno dichiarato nei documenti allegati.
La società in questione è stata inserita in una black list di società sanzionate dalla legge U.S.A. del 2017 sulla "lotta contro gli avversari dell'America attraverso sanzioni".
Queste finalità di politica economica e di difesa nazionale rendono politico il perseguimento del ricorrente e vietata la sua estradizione ai sensi dell'art. 10 Cost. e dell'art. 698 c.p.p. Una siffatta richiesta viene a confliggere anche con le garanzie degli artt. 5 e 6 CEDU. Il trattamento riservato negli U.S.A. al ricorrente dal punto di vista edittale è molto severo e sproporzionato rispetto a quello nazionale, privandolo di poter beneficiare di istituti come la sospensione condizionale della pena e le misure alternative e sostitutive della pena.
Vi è poi una disparità di trattamento con la posizione del cointeressato B. non attinto in Italia da alcuna misura cautelare per gli stessi fatti.
Motivi della decisione
1. Il ricorso non può essere accolto per le ragioni di seguito indicate.
2. Il primo motivo deduce una questione infondata e in ogni caso preclusa in questa sede.
2.1. Va precisato che il 25 giugno 2003 è stato concluso tra l'Unione Europea e gli Stati Uniti d'America un Accordo per l'estradizione, al fine di uniformare e agevolare la cooperazione tra gli Stati membri e tale Paese.
Come previsto dall'art. 3, par. 1 dell'Accordo, le disposizioni in esso contenute si applicano ai trattati bilaterali vigenti in presenza di "determinate condizioni".
In particolare, l'art. 4 (Fatti che danno luogo a estradizione), richiamato dal ricorrente, si applica soltanto in presenza di un trattato che consente la estradizione per un "elenco specifico di reati" (c.d. sistema di lista) (art. 3, par. 1, lett. a).
Non prevedendo il Trattato bilaterale di estradizione del 1983, concluso tra i Governi degli Stati Uniti d'America e della Repubblica italiana, tale sistema per determinare i reati estradabili, detti Stati non hanno provveduto con lo strumento, indicato dall'art. 3, par. 2 dell'Accordo, ad integrare sul punto le previgenti disposizioni pattizie (strumento firmato il 3 maggio 2006 e ratificato con L. n. 25 del 2009).
Quindi erroneamente il ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 4 dell'Accordo del 2003 quanto alla indicazione dei fatti che danno luogo a estradizione, trattandosi di disposizione non applicabile ai rapporti bilaterali di estradizione tra Italia e Stati Uniti d'America.
2.2. In ogni caso, anche con riferimento alle disposizioni del Trattato bilaterale già vigenti e non integrate dalle modifiche del 2006, la questione non risulta accoglibile.
L'art. 3 (Giurisdizione) del Trattato bilaterale stabilisce infatti: "Quando un reato è stato commesso al di fuori del territorio della Parte Richiedente, la Parte Richiesta ha il potere di concedere l'estradizione se le sue leggi prevedono la punibilità di tale reato o se la persona richiesta è un cittadino della Parte Richiedente".
L'ipotesi che il reato sia stato commesso al di fuori del territorio della Parte Richiedente costituisce una situazione in relazione alla quale è prevista la "facoltà" di concedere la estradizione, se garantite alcune condizioni.
Va rilevato che tradizionalmente i trattati di estradizione (cfr. art. 4 del Model Traety of extradition delle Nazioni Unite) e in particolare quelli vigenti per lo Stato italiano (art. 7 della Convenzione Europea di estradizione; tra i tanti, cfr. art. 8 della Convenzione di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica argentina; Art. 2 del Trattato di estradizione fra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Canada) non prevedono un divieto dell'estradizione nel caso in cui il reato che ha dato luogo all'estradizione sia commesso al di fuori del territorio dello Stato richiedente, ma soltanto riconoscono agli Stati la facoltà di rifiutare o di concedere l'estradizione, di norma in connessione a situazioni che possano garantire il principio di reciprocità.
Come utilmente è spiegato nel Rapporto esplicativo alla Convenzione Europea di estradizione, la facoltà di rifiuto prevista nell'ipotesi di reato commesso al di fuori del territorio dello Stato richiedente è inserita dai trattati per tenere in considerazione la legislazione di alcuni Stati che non consentono l'estradizione in tali casi.
In altri termini, non viene in discussione la prerogativa dello Stato richiedente di procedere anche per fatti commessi all'estero, ma in tale evenienza lo Stato richiesto può legittimamente rifiutare l'estradizione o concederla in presenza di determinate condizioni.
Resta da stabilire quindi come la disposizione contenuta nell'art. 3 cit. rilevi nel caso in esame.
La questione trova soluzione applicando il consolidato principio, secondo cui le facoltà attribuite dai trattati in ordine alla estradizione, che non trovano nel codice di rito un corrispondente divieto dell'estradizione, non possono giustificare una pronuncia di non estradabilità da parte dell'autorità giudiziaria competente, spettando solo al Ministro della giustizia ogni valutazione al riguardo (cfr. Corte Cost. n. 58 del 1997; tra tante, Sez. 6, n. 53176 del 15/11/2018, Calvio, Rv. 274582).
Tale insegnamento è stato tra l'altro applicato anche con riferimento all'art. 3 del Trattato in esame (Sez. 6, n. 14941 del 26/02/2018, Yarrington, in motivazione).
Quindi, non essendo presente nell'ordinamento interno una disposizione che faccia divieto o limiti l'estradizione nei casi di reato commesso al di fuori del territorio dello Stato richiedente, la norma pattizia non può trovare applicazione nella fase giurisdizionale della procedura estradizionale.
2.3. Nè può assumere rilevanza nel caso in esame la circostanza, dedotta dal ricorrente, della commissione in Italia dei fatti oggetto della domanda estradizionale.
Si è infatti più volte affermato che, a fronte di un motivo facoltativo di rifiuto della estradizione, la commissione in Italia del reato non impedisce la concorrente giurisdizione di un altro Stato nè la legittimità della estradizione (tra tante, Sez. 6 n. 53176 del 15/11/2018, Calvio, Rv. 274582), fatta salva l'ipotesi ostativa prevista dall'art. 705 c.p.p., comma 1, in cui, per lo stesso fatto, nei confronti dell'estradando sia "in corso procedimento penale" o sia stata pronunciata "sentenza irrevocabile nello Stato".
Nella specie, il ricorrente nulla ha dedotto in ordine alla sussistenza dei suddetti requisiti, tenuto conto che, in ordine alla pendenza di un procedimento penale, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel richiedere in ogni caso che, per lo stesso fatto, sia stata esercitata l'azione penale ovvero sia stata emessa un'ordinanza applicativa della custodia cautelare (tra tante, Sez. 6, n. 48097 del 12/09/2018, Carbone, Rv. 274203).
3. Il secondo motivo, che denuncia il difetto di legittimazione passiva della società statunitense GEA con riferimento al delitto di rivelazione di segreti scientifici ed industriali, è precluso e comunque privo di fondamento.
3.1. Nella memoria presentata davanti alla Corte di appello la difesa aveva dedotto la suddetta questione al fine di verificare la "procedibilità" della richiesta di estradizione, sostenendo che difettava la giurisdizione statunitense sul reato, non essendovi la minima prova che un soggetto americano fosse parte offesa del reato commesso interamente in Italia.
La questione muove dall'assunto erroneo che competa alla autorità giudiziaria italiana la verifica della sussistenza della giurisdizione dello Stato richiedente sul reato oggetto della domanda estradizionale, oltre che dall'indimostrata tesi che difetti nel caso in esame la giurisdizione di detto Stato.
Il Trattato bilaterale non prevede alcun motivo di rifiuto che si basi su una siffatta verifica, nè il codice di rito affida alla Corte di appello un controllo al riguardo.
3.2. A tutto voler concedere, la questione sollevata dal ricorrente potrebbe rilevare ai fini dello scrutinio della gravità indiziaria della commissione del reato ex art. 623 c.p., sul quale si avrà modo di ritornare al p. 5.
4. Le critiche versate nel terzo motivo, in quanto subordinate all'accoglimento del primo motivo, restano assorbite dalle osservazioni avanzate al riguardo.
5. Il quarto motivo relativo alla verifica della sussistenza dei "gravi indizi" o della "base ragionevole" di colpevolezza dell'estradando non può essere accolto.
5.1. Secondo un principio pacifico, l'autorità giudiziaria italiana, ai fini del requisito della "base ragionevole" per ritenere che l'estradando abbia commesso il reato, previsto dall'art. 10, par. 3, lett. b), del trattato di estradizione con gli Stati Uniti d'America, non è tenuta a valutare autonomamente la consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma deve soltanto verificare che la relazione sommaria dei fatti, allegata alla domanda, consenta di ritenere probabile, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, che l'estradando abbia commesso il reato in questione (per tutte, Sez. 6, n. 11947 del 15/01/2019 Hernandez, Rv. 275293).
Come è noto, il Trattato bilaterale di estradizione sin dalla sua versione originaria del 1983, non oggetto di modifica con lo strumento del 2006, ha facilitato la verifica della gravità indiziaria (la c.d. "probable cause" secondo il sistema statunitense) per le estradizioni processuali, limitando il controllo da parte dello Stato richiesto ai fatti così come esposti nella relazione sommaria, che in caso di richieste da parte degli Stati Uniti, deve essere redatta da un "prosecutor" e accompagnata da una copia dell'atto di accusa ("indictment").
Quindi il parametro per la verifica della "base ragionevole" resta pur sempre la "relazione sommaria" dei fatti.
5.2. Ciò premesso, va osservato che la Corte di appello, nel procedere al richiesto controllo, si è attenuta al principio di diritto sopra indicato, utilizzando la relazione sommaria dei fatti, corredata dal provvedimento del rinvio a giudizio del ricorrente disposto dal Gran Giurì della Corte distrettuale dell'Ohio - che nel sistema statunitense implica la verifica della base ragionevole della colpevolezza dell'accusato. Ha evidenziato in modo esauriente e plausibile le fonti sulle quali nella prospettiva dello Stato richiedente - si era formato tale ragionevole convincimento, risultando preclusa una valutazione di merito autonoma delle fonti indiziarie da parte dello Stato richiesto.
La Corte territoriale ha richiamato a tal fine le e-mail inviate dai complici italiani e le dichiarazioni accusatorie di persone a conoscenza dei fatti che dimostravano ragionevolmente il coinvolgimento del ricorrente nei fatti criminosi contestati. Inoltre, ha indicato, sulla base della documentazione allegata, quali fossero i segreti industriali illegittimamente sottratti alle società GEA - A.
La documentazione allegata ed in particolare l'atto di rinvio a giudizio (Reperto A) evidenzia effettivamente un quadro indiziario grave oltre che ragionevole a carico del ricorrente in ordine non solo al suo coinvolgimento nei reati contestati ma anche alla stessa sussistenza di tali ipotesi criminose.
Oltre alle mail che hanno rivelato le comunicazioni avvenute tra gli imputati aventi ad oggetto i progetti in questione, assume particolare significato indiziario la dichiarazione resa da uno dei dipendenti della consociata A (riportata dall'(OMISSIS) di un agente del FBI, Reperto D), coinvolti nella vicenda illecita, che ha confermato la fondatezza della ipotesi accusatoria.
5.3. Quanto, in particolare, alla lamentata genericità del contenuto dei progetti oggetto dei reati, va rammentato, come sopra indicato, che il Trattato bilaterale esige soltanto una "relazione sommaria dei fatti" (art. 10, par. 3, lett. b).
In tale prospettiva, non merita censura la risposta fornita sul punto dalla Corte di appello, che ha ritenuto sufficientemente descritto, nella documentazione allegata a sostegno della domanda, l'oggetto materiale della illegittima rivelazione.
I progetti in parola riguardavano invero la "trasmissione di comandi accessori per motori a reazione", meglio specificati nell'atto di accusa.
Da pag. 5 della copia tradotta del rinvio a giudizio si descrivono ulteriormente le "pratiche di progetto" sviluppate dalla società statunitense e da quella consociata relative ad un "sistema unico di trasmissione meccanica per motori a reazione" (punto 14) e dei livelli di protezione adottati per mantenere riservati e segreti tali pratiche (punto 15), per poi evidenziare come il Rapporto tecnico elaborato dai correi per il motore in progettazione dalla società russa contenesse proprio quelle informazioni riservate relative alle suddette pratiche di progetto.
La (OMISSIS) aveva infatti iniziato dal 2013 a valutare l'efficacia del suo sistema di trasmissione per un motore di sua produzione (Progetto AGD) e la società del B., la AN, aveva stipulato un contratto con una consociata della società russa, la Av, per fornire consulenza e sostegno a detto progetto. In tale contesto il B. aveva assunto tre dipendenti della A ancora in servizio proprio perchè lavorassero come consulenti al suddetto progetto. I tre dipendenti presentarono al B. e al ricorrente un Rapporto tecnico, avente ad oggetto anche progetti, metodi, tecniche e procedure "protette" di proprietà della GEA e della A (pag. 8), così causando una perdita finanziaria per la società GEA. Dal 2016 al 2018 il B., il ricorrente e altri avevano discusso la implementazione del Progetto AGD e delle stesse informazioni tecniche per altro tipo di motore di maggiori dimensioni (PD-35), avvalendosi sempre di dipendenti di GEA- A e nel 2017 il B. aveva contattato ex dipendenti della A per verificarne la fattibilità, formando nel 2018 un nuovo team che era in contatto con gli imputati per lo sviluppo della suddetta tecnologia.
Quanto al supporto probatorio circa il contenuto del Rapporto tecnico è sempre il provvedimento di rinvio a giudizio a dare atto del compendio probatorio e del contenuto di tale Rapporto (pag. 12 e ss.) (richiamando a tal fine la corrispondenza intercorsa tra i dipendenti di A, K. e B.).
5.4. In ordine alla questione sollevata nel secondo motivo, relativa alla effettiva proprietà dei progetti oggetto di indebita rivelazione, non appare censurabile la risposta fornita dalla Corte di appello anche in punto di valutazione della gravità indiziaria.
Sgomberato il campo dal tema della giurisdizione, la questione va esaminata con riferimento essenzialmente all'atto di accusa.
Il rinvio a giudizio allegato alla domanda estradizionale ha ad oggetto segreti industriali relativi ad entrambe le società GEA e A. Pertanto, non appare rilevante ai fini della "base ragionevole" stabilire quale fosse la società effettivamente proprietaria dei segreti in questione.
Sotto altro verso, lo stesso atto di accusa, come rilevato dalla Corte di appello, spiega ragionevolmente i rapporti tra le due società e i programmi e i progetti sviluppati dalle medesime: la società americana aveva acquisito la società consociata, divenendo titolare della proprietà intellettuale di quest'ultima, dei suoi segreti industriali e delle abilità per sviluppare questi segreti industriali (punto 12); i sistemi di trasmissione meccanica per i motori a reazione erano stati sviluppati dalla società americana ed adottati dalle consociate controllate fra cui la A (punto 14), in ordini ai quali la società americana aveva implementato misure di sicurezza volte a proteggere e mantenere riservati le relative informazioni (punto 22).
Quanto alle prove contrarie prodotte dalla difesa, volte a dimostrare la mancata incorporazione della società A nella americana GEA, va rammentato che non spetta allo Stato richiesto esaminare eventuali prove a discarico, stante il circoscritto orizzonte della verifica della gravità indiziaria, fatto salvo il caso di allegazione di "chiare ed incontrovertibili della innocenza dell'incolpato" (tra tante, Sez. 6, n. 40552 del 25/09/2019, Trintade, Rv. 277560).
Ipotesi quest'ultima non riscontrabile nel caso in esame, posto che la difesa ha inteso smentire l'atto di accusa solo producendo la visura della GEA s.r.l. per dimostrare che si tratti di società di diritto italiano, il cui capitale è detenuto da un unico socio, di diritto italiano, la GE*holding. S.r.l..
Il che non esclude in modo introvertibile che la Avio sia stata acquisita da parte della GE, divisione aeronautica, e sia quindi parte della holding americana.
E' sufficiente osservare al riguardo che è stato lo stesso ricorrente in sede di spontanee dichiarazioni rese all'udienza del 6 dicembre 2019 davanti alla Corte di appello ad aver affermato che la (OMISSIS) aveva contattato la società A per un progetto di fusione, ma che la A aveva deciso di trasferire le sue strutture "per la fusione in altro Paese", chiudendo tutti i progetti intrapresi con la Russia.
Inoltre, risulta descritta da atti ufficiali, pubblicati in Gazzetta Ufficiale (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 6 giugno 2013, in G.U. n. 193 del 19 agosto 2013), la procedura che ha portato la società A s.p.a. ad essere in parte incorporata dalla GEC, attraverso la cessione di un ramo di azienda ("settore propulsione e trasmissione di potenza"), conferito nella nuova società G*A s.r.l., il cui intero capitale era stato poi acquisito da una società controllata dalla GE.
5.5. Relativamente alle critiche relative alla effettiva segretezza delle notizie contenute nel Rapporto tecnico, appare immune da censure la sentenza impugnata in ordine alla valutazione della produzione difensiva, nella misura in cui si è attenuta ai principi di diritto indicati nel paragrafo che precede.
Anche in questa sede il ricorrente ha sostenuto, con argomentazioni assertive e comunque prive di evidente certezza, la decisività della produzione in funzione della prova della sua innocenza (tanto da stigmatizzare la mancata acquisizione da parte della Corte di appello di un "parere tecnico" sul punto).
Quel che è sufficiente osservare, ai fini della configurabilità del reato di rivelazione di segreti industriali (art. 623 c.p.) - avente ad oggetto la tutela penale del patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio e la manutenzione di un apparato industriale - è che il concetto di notizia destinata al segreto va elaborato, sotto l'aspetto soggettivo, con riferimento all'avente diritto al mantenimento del segreto stesso (il titolare dell'azienda) e, sotto l'aspetto oggettivo, all'interesse a che non vengano divulgate notizie attinenti ai metodi (di progettazione, produzione e messa a punto dei beni prodotti) che caratterizzano la struttura industriale e, pertanto, il così detto know-how, vale a dire quel patrimonio cognitivo ed organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio, la manutenzione di un apparato industriale; con la conseguenza che oggetto della tutela penale del reato in questione deve ritenersi il segreto industriale in senso lato, intendendosi per tale quell'insieme di conoscenze e nozioni tecniche che costituiscono la base vitale dell'impresa sul piano della concorrenza, nel senso che la loro conoscenza può rafforzare la posizione di altre imprese che svolgono la loro attività nello stesso campo e pregiudicare la propria industria (tra tante, Sez. 5, n. 25008 del 18/05/2001, Pipino, Rv. 219471; Sez. 2, n. 6577 del 09/12/2003, dep. 2004, Sacchi, Rv. 2285539).
In tale prospettiva, la domanda estradizionale ha soddisfatto dal punto di vista della doppia incriminabilità la collocazione della condotta ascritta al ricorrente nel fuoco di una condotta penalmente rilevante per l'ordinamento italiano e segnatamente in quella presa in considerazione dall'art. 623 c.p., stante la rilevanza nell'attività industriale delle società G*A delle conoscenze oggetto di rivelazione.
Anche relativamente al quadro indiziario, la domanda ha ragionevolmente dimostrato la fondatezza della ipotesi accusatoria (in tal senso depongono ulteriormente le circostanze dell'assunzione da parte degli imputati di dipendenti ancora in servizio della A per la elaborazione di un rapporto tecnico su sistemi di trasmissione, in uso alla presso la G*A; come anche quella della necessità espressa dai predetti di tenere "coperti" i nominativi di coloro che vi aveva lavorato per non essere "esposti").
6. Non ha fondamento alcuno anche l'ultimo motivo con cui si denuncia la natura politica o discriminatoria della domanda estradizionale.
Il ricorrente sovrappone il divieto dell'estradizione per motivi politici o discriminatori in ragione della nazionalità, delle opinioni politiche o delle condizioni personali o sociali del ricorrente con il legittimo interesse dello Stato richiedente al perseguimento di determinati reati.
Secondo un principio consolidato, la disposizione dell'art. 698 c.p.p., comma 1, che prevede quale causa ostativa alla estradizione la fondata ragione per ritenere che l'imputato o il condannato verranno sottoposti ad atti persecutori o discriminatori per motivi, fra gli altri, di condizioni personali o sociali, amplia e ricalca la norma di cui all'art. 3, comma 2, della Convenzione Europea di estradizione e costituisce applicazione del più generale principio di salvaguardia del diritto fondamentale dell'individuo alla libertà ed alla sicurezza contro qualsiasi forma di discriminazione, che potrebbe essere attuata con lo strumento della domanda di estradizione da parte dello Stato estero.
L'atto persecutorio e discriminatorio, pertanto, è quello che, in quanto "mascherato" sotto forma di domanda di estradizione per perseguire un determinato reato, costituisce lo scopo dissimulato che lo stesso Stato richiedente mira a realizzare per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, laddove dallo "status" del soggetto, connesso ad una o più delle suddette posizioni, dipendano, nell'ordinamento interno del suddetto Stato richiedente, situazioni di oggettivo pregiudizio reale o potenziale (Sez. 6, n. 39709 del 15/11/2002, Toomassian Pour Salmassi, Rv. 223198).
Ebbene, la diversa e più severa (ma non irrazionale o del tutto sproporzionata) politica criminale seguita dagli Stati Uniti d'America nel perseguimento delle condotte di rivelazione di segreti industriali non fa certo divenire "politica" o "discriminatoria" la domanda estradizionale nei confronti del ricorrente.
Il fatto che il ricorrente sia cittadino russo e dirigente di una società russa concorrenziale non è di per sè indice - alla luce anche della base ragionevole della domanda - di una forma di persecuzione politica per motivi di nazionalità.
Nè può rilevare il diverso trattamento sanzionatorio riservato dallo Stato richiedente ai delitti oggetto della domanda estradizionale, che non presenti come nella specie - i connotati di assoluta irragionevolezza o di manifesta contrarietà ai principi di legalità e proporzionalità della pena (tra tante, Sez. 6, n. 2037 del 05/12/2018, dep. 2019, Huang, Rv. 275424).
4. Conclusivamente sulla base di quanto premesso, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in punto di spese processuali.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2020.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020