Ai fini dell'accertamento delle condizioni ostative all'estradizione, consìstente in un rischio di discriminazioni per motivi razziali, il Giudice di merito deve utilizzare elementi oggettivi, attendibili, precisi ed opportunamente aggiornati in merito alle condizioni esistenti nello Stato richiedente e, verificata la sussistenza di tale rischio.
Si è, però, precisato come gravi sull'estradando, nei rapporti che si svolgono su base convenzionale, l'onere di allegare gli elementi da cui evincere la sussistenza della causa obbligatoria di rigetto intesa quale richiesta di consegna che dissimuli la finalità di persecuzione politica che preluda alla violazione di uno dei diritti fondamentali della persona.
La situazione di difficoltà e di disagio derivante dall'allontanamento dell'estradando dalla sua famiglia radicata in Italia non integra alcuna delle condizioni ostative all'estradizione previste dall'art. 705, comma 2, cod. proc. pen., in quanto la valutazione demandata alla Corte di appello concerne esclusivamente la legale possibilità dell'estradizione passiva, esulando dalle sue attribuzioni ogni valutazione di opportunità, che rientra, invece, nell'esclusiva sfera di competenza del Ministro della Giustizia.
La pendenza di un procedimento penale nel territorio dello Stato nei confronti dello straniero del quale sia chiesta la consegna, pur non essendo di ostacolo alla delibazione favorevole dell'autorità giudiziaria italiana, non consente la sospensione dell'esecuzione, di competenza del Ministro della Giustizia e non dell'autorità giudiziaria.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
sentenza (data ud. 26/06/2024) 18/07/2024, n. 29226
sul ricorso proposto da:
A.A.(CUI omissis) nato il (omissis) in S
avverso la sentenza del 08/04/2024 della Corte di appello di Trieste
udita la relazione svolta dal Consigliere Antonio Costantini;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Giordano, che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni trasmesse il 14 giugno 2024 dal difensore, Avv. GAM, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 8 aprile 2024, la Corte d'Appello di Trieste ha dichiarato sussistenti le condizioni per l'estradizione verso la Repubblica del di A.A. in ordine all'esecuzione della residua pena detentiva di tre anni, quattro mesi e sei giorni di reclusione rispetto alla complessiva pena irrogata con sentenza irrevocabile per il reato di cui all'art. 170 KPRK (traffico di migranti commesso dal marzo 2014 al 4 settembre 2014) di anni tre, mesi sei di reclusione ed Euro 4.000 di sanzione pecuniaria (convertita in giorni 200 di pena detentiva).
La Corte territoriale, dopo aver dato atto della convalida dell'arresto di A.A., dapprima sottoposto a misura custodiale in carcere, sostituita da quella degli arresti domiciliari e, in seguito, dalla misura dell'obbligo di permanenza in provincia di Trieste con l'obbligo di permanenza domiciliare notturna, ha rilevato il sopraggiungere della richiesta di estradizione dal Ministero della Giustizia della Repubblica del Kosovo.
Il Collegio di merito ha escluso che l'estradando potesse subire discriminazioni e un trattamento disumano e degradante a causa della sua cittadinanza serba con fede musulmana che lo aveva spinto a rifiutare la cittadinanza kosovara, a causa delle recenti tensione venutesi a creare in quel Paese; ha osservato che la situazione familiare, che lo vede radicato stabilmente in Italia dal 2017, ove è a capo di due società edili, con moglie e cinque figli minorenni tanto da ottenere un permesso di soggiorno ex art. 31 D.Lgs. n. 286 del 1998, fosse questione non apprezzabile in quella sede giurisdizionale essendo di competenza ministeriale; ha giudicato irrilevante, ai fini della richiesta di estradizione, la pendenza dei processi presso varie Autorità giudiziarie italiane, smentendo la possibilità che, in ragione dei reati contestati in Italia, quelli in ordine ai quali è stata richiesta l'esecuzione di pena residua in Kosovo potessero essere avvinti, in quanto meno gravi, da continuazione.
2. Propone ricorso l'estradando, per il tramite del difensore, che deduce quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione dell'art. 3, comma 1, lett. b), I. n. 147 del 2016 ("ratifica dei Trattati in materia di estradizione assistenza giudiziaria in materia penale sottoscritti dal Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica del Kosovo a Pristina, il 19 giugno 2013").
L'art. 3, comma 1, lett. b) I. n. 147 del 2016 prevede il rifiuto obbligatorio alla consegna quando la persona possa essere discriminata nel paese richiesto in ragione della propria appartenenza etnica, religiosa, sociale o sessuale. Poiché A.A. è soggetto di etnia serba e di fede musulmana, apodittica risulta la parte della decisione che ritiene infondato quanto dedotto con riferimento alle discriminazioni in ambito carcerario, vista la pertinente allegazione di notizie in merito alle note tensioni etniche che ancora caratterizzano quella Nazione.
Inconferente è il dato valorizzato in ordine all'assenza di specifiche ricadute in ambito carcerario di dette discriminazioni, ben potendo il comportamento discriminatorio sussistere nell'arco dell'intera permanenza dell'estradando sul territorio kosovaro ed a prescindere dallo stato detentivo.
La norma in esame - si assume - fa riferimento al solo rischio di un pregiudizio discriminatorio e non alla sua effettiva realizzazione, sicché, assolto l'onere di allegazione con pertinente fonti di conoscenza di detto fenomeno (articoli di giornale, risoluzione del Parlamento Europeo del 10 maggio 2023 sulla relazione della Commissione; richiami ai rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch in merito alla situazione della minoranza serba in Kosovo), sarebbe stato compito della Corte di merito confutarne gli effetti sulla persona di A.A.
La diffusa e generalizzata esistenza di discriminazioni tra le due etnie non può far venir meno i suoi negativi effetti anche sulla posizione del ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione dell'art. 3, comma 1, lett. d) I. n. 147 del 2016 nella parte in cui si prevede il rifiuto obbligatorio alla consegna quando sussista il rischio di trattamenti inumani e degradanti nel paese che richiede l'estradizione per l'estradando.
La difesa aveva rilevato la presenza di rischi in tal senso corroborati dall'allegazione della risoluzione del Parlamento Europeo che dava atto delle criticità presenti nel sistema giudiziario kosovaro, invero, sottovalutate in quanto ritenute non rilevanti in ambito penitenziario. La norma del "Trattato tra Italia e Kosovo" contempla, quale causa ostativa all'estradizione, il mancato rispetto dei diritti minimi di difesa, rischio esistente nei confronti dei cittadini di origine serba dalla risoluzione del Parlamento Europeo; tale evenienza, correttamente allegata, avrebbe imposto alla Corte territoriale di richiedere informazioni aggiuntive all'Autorità giudiziaria kosovara circa l'effettiva modalità di espiazione della pena detentiva da parte del A.A.
Poiché il Kosovo non ha mai sottoscritto l'adesione alla C.E.D.U. e non soggiace alla relativa giurisdizione della Corte di Strasburgo, nessuna rilevanza assume in ordine alle dedotte lesioni di diritti minimi di difesa e di comportamenti inumani o degradanti il fatto che l'art. 22 della Costituzione kosovara richiami anche la C.E.D.U., così come inconferente risulta che tra Danimarca ed il Kosovo sia intervenuto un accordo teso a disciplinare la detenzione di soggetti stranieri in territorio kosovaro.
Nonostante, pertanto, sia stata correttamente allegata la documentazione da cui emergono carenze sistemiche dell'amministrazione giudiziaria e penitenziaria kosovara nei confronti di soggetti di etnia serba, la Corte territoriale ha fatto non pertinente riferimento a giurisprudenza di legittimità e della G.G.U.E (rispettivamente. Sez. 6, n. 47148/2023 e alla sentenza Petruhin del 6 settembre 2016 in C-182/15 C.G.U.E.) che attengono ad ipotesi in cui la parte ricorrente omette di allegare elementi utili a dimostrare quanto dedotto in ordine ai rischi di trattamenti inumani, onere che, nel caso di specie, risulta adeguatamente assolto.
2.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione dell'art. 4 comma 1, lett. b), I. n. 147 del 20Ì6.
La difesa censura l'errore in cui è incorsa la Corte di appello nel ritenere che la valutazione in ordine alla sussistenza di ragioni di ordine umanitario sarebbero di competenza del Ministro della Giustizia ai sensi dell'art. 708 cod. proc. pen.
Nel caso in esame - si afferma -, in presenza di trattato estradizionale sottoscritto e ratificato tra Italia e Kosovo, deve trovare applicazione l'art. 4, comma 1, lett. b) che fa invece espresso riferimento alle ragioni di carattere umanitario in considerazione dell'età, delle condizioni di salute o di altre condizioni personali della persona richiesta.
La disciplina richiamata dalla Corte di appello di cui all'art. 696 comma 2, cod. proc. pen., che conferisce tale potere alla valutazione del Ministro, trova residuale applicazione solo in ipotesi di assenza di specifica disciplina contenuta nel Trattato internazionale che, invece, nel caso di specie sussiste.
Non risulta corretta la parte della decisione che, sul presupposto della eccessiva vaghezza delle espressioni contenute nell'art. 4, comma 1, lett. b), I. cit., omette di decidere su detto punto essenziale in violazione del principio di uguaglianza ex art. 2 e 3 Cost. a cui pacificamente si rifa il diritto alla vita familiare, tutelato dalle fonti sub-primarie (artt. 29 Cost., 8 C.E.D.U, 7 C.D.F.U.E.).
Diversamente opinando la difesa ritiene opportuno sollevare questione di costituzionalità per violazione degli artt. 2 , 3, 29 e 117, primo comma, cost. (quest'ultimo quale parametro interposto dell'art. 8 C.E.D.U. ), dell'art. 4, comma 1, lett. b), I. cit.
L'eventuale estradizione di A.A., padre di ben cinque figli minori e unica fonte di reddito, determinerebbe il venir meno di ogni fonte di sostentamento del nucleo familiare.
2.4. Con il quarto motivo si deducono vizi di motivazione in ordine alla ritenuta compatibilità tra l'estradizione e la pendenza di procedimenti in Italia.
Non risulta giuridicamente corretta la parte della decisione che esclude che la pendenza di procedimenti penali in Italia a carico dell'estradando siano influenti rispetto alla consegna e che sia applicabile la continuazione tra i fatti oggetto dei procedimenti italiani e quelli per cui deve essere eseguita la condanna in Kosovo.
L'argomento secondo cui il lungo lasso di tempo intercorso tra i fatti (dal 2014 ed il 2017) precluderebbe l'applicazione del citato istituto è giuridicamente errato, dovendo essere presa in esame, piuttosto, l'unicità della deliberazione antigiuridica. Non corrisponde al vero la rilevata mancata allegazione di elementi di collegamento tra le vicende, avendo la difesa prodotto quanto utile ad attestare il vincolo della continuazione (si rinvia al contenuto dei documenti da 5 a 7 allegati alla memoria depositata in data 14 febbraio 2024).
Erroneo risulta il richiamo all'art. 709 cod. proc. pen. e alla relativa giurisprudenza quanto a competenza del Ministro il luogo di quella dell'Autorità giudiziaria ordinaria che non trova applicazione in presenza del Trattato di estradizione tra Italia e Kosovo.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato.
2. Il primo motivo con cui si deduce la sussistenza dei presupposti per rifiutare obbligatoriamente l'estradizione ex art. 3, comma 1, lett. b), I. n. 147 del 2016 è infondato.
2.1. Seguendo conforme indirizzo ermeneutico espresso da questa Corte, la disposizione dell'art. 698 , comma primo, cod. proc. pen., che prevede quale causa ostativa alla estradizione la fondata ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verranno sottoposti ad atti persecutori o discriminatori per motivi, fra gli altri, di condizioni personali o sociali, amplia e ricalca la norma dì cui all'art. 3, comma secondo, della Convenzione Europea di estradizione e costituisce applicazione del più generale principio di salvaguardia del diritto fondamentale dell'individuo alla libertà ed alla sicurezza contro qualsiasi forma di discriminazione, specie se attuata con lo strumento della domanda di estradizione da parte dello Stato estero. L'atto persecutorio e discriminatorio, pertanto, è quello che, in quanto mascherato sotto forma di domanda di estradizione per perseguire un determinato reato, costituisce lo scopo dissimulato che lo stesso Stato richiedente mira a realizzare per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, laddove dallo "status" del soggetto, connesso ad una o più delle suddette posizioni, dipendano, nell'ordinamento interno del suddetto Stato richiedente, situazioni di oggettivo pregiudizio reale o potenziale (Sez. 6, n. 39709 del 15/11/2002, Toomassian Pour Salmassi, Rv. 223198 - 01).
Come si avrà modo di meglio evidenziare nella trattazione del secondo motivo, ai fini dell'accertamento delle condizioni ostative all'estradizione, nel caso in esame consìstente in un rischio di discriminazioni per motivi raziali, il Giudice di merito deve utilizzare elementi oggettivi, attendibili, precisi ed opportunamente aggiornati in merito alle condizioni esistenti nello Stato richiedente e, verificata la sussistenza di tale rischio (v. in motivazione, Sez. 6, n. 47148 del 19/10/2023, Angotti, Rv. 285497; Sez. 6, n. 28822 del 28/06/2016, Diuligher, Rv. 268109 -01). Si è, però, precisato come gravi sull'estradando, nei rapporti che si svolgono su base convenzionale, l'onere di allegare gli elementi da cui evincere la sussistenza della causa obbligatoria di rigetto intesa quale richiesta di consegna che dissimuli la finalità di persecuzione politica che preluda alla violazione di uno dei diritti fondamentali della persona (Sez. 6, n. 10656 del 01/03/2022, Sivakova, Rv. 283006 - 01).
2.2. Ciò posto, contrariamente a quanto rilevato nel ricorso, la Corte di appello ha rilevato come il ricorrente avesse prodotto in quella sede unicamente un articolo di giornale del 30 giugno 2023 in cui si evidenziavano tensioni e scontri tra le distinte etnie (serbe ed albanese) in Kosovo, ritenuto non idoneo a descrivere l'attuale situazione in quel Paese, così smentendo che, per come desumibile dall'analisi di fonti informative aperte, quali Amnesty International e Human Right Watch (organizzazioni ritenute affidabili sul piano internazionale, secondo quanto affermato anche dalla giurisprudenza della Corte EDU nella sentenza Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 e Sez. 6, n. 54467 del 15/11/2016, Resneli, Rv. 268933; Sez. 6, n. 22818 del 23/7/2020, Balcan, Rv. 279567), potessero sussistere rischi di trattamento deteriore rispetto agli altri detenuti, in ragione della razza, religione o nazionalità.
Dà il segno della rigorosa analisi degli elementi operata dalla Corte di appello, l'apprezzata condotta precedente del A.A. che era stato sottoposto a misura cautelare detentiva per quasi un anno in Kosovo, senza aver patito alcuna delle conseguenze che si assumono discriminatorie.
La Corte territoriale ha, poi, rilevato come sia stata rigettata una richiesta di protezione internazionale in favore del A.A., provvedimento in alcun modo I contestato, e che deve ritenersi aver escluso ogni presupposto per il riconoscimento dell'asilo politico che si si sostiene fosse fondato sulla discriminazione raziale.
Indicativa dell'assenza di alcun rischio per il ricorrente è stata ritenuta la circostanza che, pur avendo formulato richiesta di protezione internazionale in Italia, avesse utilizzato i documenti kosovari (passaporto, carta di identità, patente, che aveva dichiarato falsamente fossero detenuti dalla famiglia in Kosovo) per recarsi in più occasioni nel Paese d'origine in violazione della normativa che regola la procedura e che impone ai richiedenti asilo di non lasciare l'Italia; tale condotta è stata giudicata significativa dell'assenza di discriminazione alcuna ai danni del ricorrente che ha dimostrato di non nutrire alcun timore di rientrare in Kosovo ove dovrà scontare la pena residua irrogatagli con sentenza definitiva da quella Autorità giudiziaria.
3. Analoghi limiti incontra il secondo motivo con cui la difesa deduce il rischio di trattamenti inumani e degradati a cui il ricorrente andrebbe incontro ed il conseguenziale divieto di estradizione ex art. 3, comma 1, lett. b), I. n. 147 del 2016, anche in tal caso norma che pedissequamente ripropone quanto disposto dall'art. 698
, comma 1, e 705, comma 2, lett. c), cod. proc. pen.
Deve richiamarsi ormai consolidato indirizzo ermeneutico secondo cui, è onere dell'estradando allegare elementi e circostanze che la Corte di appello deve valutare, anche attraverso la richiesta di informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto, l'interessato sarà alla consegna sottoposto, o meno, ad un trattamento inumano o degradante (Sez. 6, n. 8529 del 13/01/2017, Fodorean, Rv. 269201).
In tal senso, infatti, depone la normativa processuale prevista in ordine al giudizio che si celebra davanti alla corte di appello ex art. 704
cod. proc. pen. nel corso del quale si deduce l'esistenza del rischio di trattamenti inumani e degradanti (tra tante, Sez. 6, n. 11492 del 14/02/2019, Rv. 275166; Sez. 6, n. 22827 del 26/04/2016, Rv. 267066; nonché altre dicisioni recenti, tra le quali, Sez. 6, n. 22265 del 16/07/2020).
È pur vero che in taluni casi questa Corte ha ritenuto necessario ad opera della corte di appello, anche d'ufficio, prendere atto di precedenti sentenze di legittimità che evidenziassero la sussistenza di gravi situazioni sistemiche delle carceri nello Stato richiedente (cfr. Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296, quanto a situazione delle carceri in Romania), dovendosi ordinariamente ritenere che il difensore che introduce il tema in ordine alle condizioni delle carceri "vesta" di attualità e concretezza la stessa (Corte di giustizia, nella sentenza Petruhhin, Grande Sezione, 6/9/2016, C-182/15 in tema di estradizione verso paesi terzi); ma è stato puntualizzato - come già sopra accennato - che ai fini dell'accertamento della condizione ostativa all'estradizione, il Giudice di merito deve valutare se sussista o meno un generalizzato rischio di trattamento inumano o degradante nel Paese richiedente, utilizzando, a tal fine, elementi oggettivi, attendibili, precisi ed opportunamente aggiornati in merito alle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente e, verificata la sussistenza di tale rischio, svolgere un'indagine mirata, anche attraverso la richiesta di informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto, l'interessato alla consegna sarà sottoposto, o meno, ad un trattamento inumano o degradante (v. in motivazione, Sez. 6, n. 47148 del 19/10/2023, Angotti, Rv. 285497; Sez. 6, n. 28822 del 28/06/2016, Diuligher, Rv. 268109 - 01).
In disparte quanto sopra osservato in ordine all'assenza di riconoscimento di tale rischio in capo al A.A. da parte della Commissione territoriale per il riconoscimento della Protezione internazionale, corretta risulta la risposta della Corte di appello che, oltre a evidenziare l'assenza di rischi di subire trattamenti inumani e degradanti per come potuti valutare attraverso la consultazione ed analisi delle fonti aperte (Amnesty International e Human Right Watch), ha osservato come nessuna allegazione, compresa la Risoluzione del Parlamento Europeo del 10 maggio 2023 sulla relazione del 2022 della Commissione Dell'Unione Europea sul Kosovo, deponesse per un rischio generalizzato di trattamento disumano o degradante nel Paese richiedente, escludendo che analogo rischio fosse ipotizzabile in ragione della specifica posizione di detenuto del ricorrente.
Pertinente risulta l'evidenziata circostanza che vede il ricorrente aver già subito il processo (in ordine al quale nessuna censura risulta prospettata) e la relativa condanna in Kosovo, in parte espiata, in ordine a reato afferente a favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, così come rilevante risulta l'assenza di allegazioni che attestasse la presenza di specifiche discriminazioni in ambito detentivo.
La difesa tenta di parcellizzare una complessiva valutazione operata dalla Corte territoriale, prospettando un differente significato della parte della decisione che ha valorizzato la siglata convenzione tra Danimarca e Kosovo tesa a trattenere in centri di quel Paese detenuti stranieri che sì assume essere questione estranea rispetto a quella esaminata. La sentenza, invero, prendendo spunto dall'accordo siglato tra Danimarca e Kosovo, ha ritenuto di apprezzare, unitamente ad altri aspetti, gli esiti dei lavori della Commissione dell'Unione Europea sul Kosovo che si era anche espressa in ordine alla situazione carceraria in quella Nazione, senza segnalare alcuna situazione che fosse tale da compromettere la dignità dei detenuti (pag. 5, punto 2, quinto periodo ove testualmente la decisione afferma: "Anzi, merita prendere atto che in sede di Commissione Europea (...) si è discusso sul fatto che il 20 dicembre 2021 la Danimarca e il Kosovo avessero sottoscritto un accordo che prevedeva che la Danimarca trasferisse a decorrere dal 2023 nella prigione di Gjilan, in Kosovo, i detenuti stranieri (...). Nulla in quella sede è stato sollevato dalla Commissione in relazione alla presenza di situazioni di trattamenti inumani e degradanti in Kosovo").
Analoga parcellizzata valutazione viene operata in ordine alla valorizzata presenza nella Costituzione di quel Paese della norma che sancisce la diretta applicabilità e prevalenza sulle norme interne dei diritti umani per come tutelati dalle più importanti convezioni internazionali, compresa la CEDU, aspetto non assimilabile alla sua adesione - come dedotto - ma certamente idoneo a confutare le generiche argomentazioni del ricorrente che, in quella sede di merito, ha prospettato l'esistenza di limiti interni all'ordinamento del Kosovo senza alcun concreto elemento a sostegno.
A fronte, pertanto, della logica e completa confutazione delle affermazioni del ricorrente in ordine al rischio esistente in capo al soggetto estradando di subire trattamenti inumani e degradanti, nessun potere di ulteriore accertamento - che si rivelerebbe meramente esplorativo - compete al Collegio del merito.
4. Anche il terzo ed il quarto motivo, con cui si contestano, rispettivamente, il non liquet della Corte di appello circa i motivi connessi alla salvaguardia del diritto alla vita familiare e l'assenza di preclusioni alla consegna in ragione della pendenza in Italia di procedimenti penali, risultano adeguatamente affrontati e confutati dalla Corte territoriale che ha avuto modo di evidenziare come non competa all'autorità giudiziaria esprimersi su valutazioni di tipo discrezionale (in tal senso depone il "può" contenuto anche nelle norme evocate dal ricorrente e contenute nel trattato bilaterale), essendo la stessa radicata in capo all'Autorità politica che, all'esito della decisione, potrà, se del caso, esprimersi in merito.
4.1. Ed invero, deve darsi continuità a giurisprudenza di questa Corte secondo cui, la situazione di difficoltà e di disagio derivante dall'allontanamento dell'estradando dalla sua famiglia radicata in Italia non integra alcuna delle condizioni ostative all'estradizione previste dall'art. 705
, comma 2, cod. proc. pen., in quanto la valutazione demandata alla Corte di appello concerne esclusivamente la legale possibilità dell'estradizione passiva, esulando dalle sue attribuzioni ogni valutazione di opportunità, che rientra, invece, nell'esclusiva sfera di competenza del Ministro della Giustizia (Sez. 6, n. 8073 del 09/02/2021, Olgesashvili, Rv. 280709 - 01).
Corretto risulta il riferimento alla decisione della Corte delle leggi - così evidenziando la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità posta in questa sede - che ha escluso l'incostituzionalità delle norme che assegnano al potere politico la possibilità di non dare esecuzione all'estradizione in ipotesi di radicamento territoriale.
Ed infatti, proprio in occasione di vicenda che aveva ad oggetto una estradizione esecutiva di cittadino italiano (situazione che, per ormai comune interpretazione, è sovrapponibile a quella relativa a cittadino straniero radicato sul territorio nazionale) verso un paese dell'Unione Europea (procedura estradizionale che trovava giustificazione nella datazione del titolo esecutivo), questa Corte ha avuto modo di ribadire come la richiesta di esecuzione della pena detentiva nello Stato italiano, in ragione della cittadinanza dell'estradando e dei suoi legami familiari e lavorativi con il territorio, non può essere avanzata nella fase giurisdizionale della procedura, demandata alla corte di appello, non trovando applicazione in detta sede applicazione il meccanismo di cooperazione giudiziaria disciplinato dalla decisione-quadro 2008/909/GAI, sul reciproco riconoscimento delle sentenze di condanna, e potendo la questione essere proposta dall'estradando nella fase amministrativa di competenza ministeriale (Sez. 6, n. 6635 del 03/02/2022, Salis, Rv. 282904 - 01).
4.2. Tale ultima decisione risulta rispettosa della sentenza della Corte costituzionale (n. 274 del 2011), con cui è stata affrontata la questione di costituzionalità dell'art. 705
cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede, tra i casi ostativi all'estradizione, anche quello previsto dalla disciplina del mandato di arresto Europeo. La Corte costituzionale ha valutato inammissibile la questione sottoposta in quella sede rilevando come "il procedimento estradizionale è costituito da due fasi, in cui alla prima, giurisdizionale di garanzia dei diritti, segue una fase amministrativa, di competenza del Ministro della giustizia, fase questa a sua volta assoggettabile a controllo del giudice amministrativo, trattandosi di determinazione che coinvolge in modo diretto e immediato interessi essenzialmente individuali". L'inammissibilità si è imposta in quanto l'intervento richiesto avrebbe assunto la consistenza di nuovo caso di rifiuto, mutuato dalla disciplina del mandato di arresto Europeo, determinando un singolare meccanismo "spurio" anche rispetto alla stessa norma transitoria prevista in detta disciplina.
4.3. Né risulta fondata la tesi sostenuta dal ricorrente secondo cui nel caso di specie non opererebbe l'art. 705
cod. proc. pen., quanto, piuttosto, la specifica norma pattizia ex art. 4 comma 1, lett. b), I. cit.; tale ultima norma non risulta, sotto tale aspetto, caratterizzata da particolare originalità rispetto alle i corrispondenti norme del codice di procedura penale da cui - di fatto - mutua il / contenuto, tanto che essa fa esplicito riferimento alla mera possibilità di rifiutare l'estradizione ("L'estradizione può essere rifiutata"), così evocando il carattere discrezionale della decisione che, per quanto sopra evidenziato, spetta alla competente Autorità politica esecutare.
4.4. Manifestamente infondata, sotto tale aspetto, risulta la dedotta incostituzionalità che si assume sussistente, essenzialmente, non tanto in ragione dell'ipotizzata lesione di diritti tutelati da norme costituzionali e convenzionali, quanto sul presupposto che il riferimento al radicamento trovi la sua genesi nella norma pattizia piuttosto che in quella del codice di procedura penale, differenziazione priva di rilevanza rispetto ad un richiesto sindacato sulla costituzionalità della da parte della Corte delle leggi se si tiene presente come la critica ometta di prendere in esame e adeguatamente bilanciare gli interessi pubblici sottesi alla mutua cooperazione internazionale evidenziati dall'art. 697 cod. proc,. pen. i cui impegni risultano rafforzati proprio dall'ari:. 1 del Trattato tra Italia e Kosovo che sancisce come "ciascuna Parte Contraente, in conformità alle disposizioni del presente Trattato e su domanda dello Stato Richiedente, si impegna ad estradare all'altra le persone che si trovano nel suo territorio e che sono ricercate dallo Stato Richiedente al fine di dar corso ad un procedimento penale o di eseguire una condanna definitiva a pena detentiva o altro provvedimento restrittivo della libertà personale emessi a loro carico".
4.5. Manifestamente infondata e generica risulta ogni questione tesa a censurare la parte della decisione che ha portato la Corte di appello ad affermare di non essere competente, in questa fase estradizionale, in ordine alla possibilità di sospendere la consegna in ragione di procedimenti pendenti in Italia.
Costituisce, infatti, pacifico principio di diritto quello secondo cui la pendenza di un procedimento penale nel territorio dello Stato nei confronti dello straniero del quale sia chiesta la consegna, pur non essendo di ostacolo alla delibazione favorevole dell'autorità giudiziaria italiana, non consente la sospensione dell'esecuzione, di competenza del Ministro della Giustizia e non dell'autorità giudiziaria (Sez. 6, n. 33173 del 04/07/2019, Ascioni, Rv. 276478 - 01; Sez. 6, n. 53176 del 15/11/2018, Calvio, Rv. 274582 - 01; quanto a distinzione tra potere riconosciuto al Giudice ordinario ed al Ministero, cfr. Sez. 6, n. 9119 del 25/1/2012, Topi, Rv. 252040; Sez. 6, n. 24474 del 2/4/2009, Gjoni, Rv. 244359; Sez. 6, n. 3281 del 27/9/1995, Celik, 203309).
L'assenza di potere in capo all'organo giudicante rende irrilevante l'esame delle questioni poste in ordine all'ipotizzata continuazione tra i fatti di reato per i quali procede l'Autorità Giudiziaria Italiana e quelli oggetto di accertamento all'esito della sentenza definitiva che è alla base della richiesta di estradizione.
5. Aquanto sopra consegue il rigetto del ricorso cori la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
6. La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 26 giugno 2024.
Depositato in cancelleria il 18 luglio 2024.