In tema di esecuzione della pena detentiva di un estradato, non è possibile prescindere dagli accordi estradizionali, tenuto conto del principio di buona fede internazionale, che impone di rispettare gli impegni estradizionali assunti con gli altri Stati, ed in conseguenza del quale il giudice dell'esecuzione può correggere la pena irrogata all'estradato laddove superiore a quella concertata in sede di estradizione, avvalendosi dei poteri riconosciutigli dagli artt. 666 e 670 cod. proc. pen.
Corte di Cassazione
Sez. 1, sent. 17460/2018
Data Udienza: 27/02/2018
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
P. D., nato il 04/05/1961; Avverso l'ordinanza emessa il 03/03/2017 dal G.I.P. del Tribunale di Bologna; Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze; Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Simone Petrelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RILEVATO IN FATTO
Con l'ordinanza in epigrafe il G.I.P. del Tribunale di Bologna, in funzione di Giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza con cui D. P. aveva chiesto la sostituzione della pena dell'ergastolo - alla quale era stato sottoposto per effetto del provvedimento di cumulo di pene concorrenti emesso dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria il 12/07/2012 - con la pena di 30 anni di reclusione.
Il Giudice dell'esecuzione, in particolare, evidenziava che P. era stato estradato in Italia dalla Spagna e che, seppure l'autorità giudiziaria spagnola, con i provvedimenti di concessione dell'estradizione intervenuti, aveva posto la condizione che, in caso di condanna all'ergastolo, tale pena non avrebbe comportato la detenzione perpetua dell'estradato, lo Stato italiano non aveva violato gli impegni estradizionali, conseguendo il trattamento sanzionatorio patito dal ricorrente al cumulo di pene concorrenti sopra citato, nell'ambito del quale non era compresa alcuna condanna all'ergastolo.
Avverso tale ordinanza D. P. ricorreva per cassazione, deducendone la violazione di legge, in riferimento all'art. 7 CEDU, conseguente al fatto che l'autorità giudiziaria italiana, ponendo in esecuzione il provvedimento di cumulo di pene concorrenti emesso dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria il 12/07/2012, aveva violato il principio di buona fede internazionale, posto a fondamento dei rapporti tra Stati in materia di estradizione.
Si evidenziava, al contempo, che, per effetto dell'esecuzione della pena dell'ergastolo, P. era stato sottoposto al regime detentivo di cui all'art. 41-bis Ord. Pen., in conseguenza del quale non aveva potuto usufruire dei benefici previsti dall'Ordinamento penitenziario, che gli erano stati negati in violazione degli impegni che lo Stato italiano aveva assunto con lo Stato spagnolo in sede di estradizione. Tale violazione, tra l'altro, era stata sancita da una pronuncia di questa Sezione, intervenuta in relazione allo stesso ricorrente e alla medesima vicenda estradizionale, ancorché valutata sotto un profilo parzialmente differente (Sez. 1, n. 9660 del 20/10/2016, dep. 2017, P., non mass.).
Il G.I.P. del Tribunale di Bologna, pertanto, non poteva esimersi dal pronunciarsi sulla dedotta violazione del principio di buona fede internazionale, così come canonizzato dall'art. 7 CEDU, rispetto alla quale la mancata concessione dei benefici penitenziari invocati da P. costituiva un effetto del trattamento sanzionatorio illegittimamente eseguito nei suoi confronti. Sotto quest'ultimo profilo, il riferimento alla competenza della magistratura di sorveglianza, effettuato nel provvedimento impugnato, allo scopo di evidenziare l'eccentricità dell'incidente di esecuzione del ricorrente, ometteva di considerare che lo stesso era finalizzato a ottenere la rideterminazione della pena eseguita illegalmente nei suoi confronti, sulla base del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti, sopra citato, dal quale discendeva l'applicazione - anch'essa illegittima - del regime detentivo speciale di cui all'art. 41-bis Ord. Pen. Queste ragioni imponevano l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da D. P. è fondato nei termini di seguito indicati.
Osserva il Collegio che costituisce un dato processuale incontroverso quello secondo cui D. P. veniva interessato da numerosi procedimenti estradizionali, attivati presso lo Stato spagnolo tra il 1998 e il 2006, che si concludevano con l'accoglimento delle varie richieste presentate dall'autorità giudiziaria italiana. Tale accoglimento si fondava sul presupposto pattizio, non contestato, che il soggetto estradato, in caso di condanna, non venisse sottoposto alla pena dell'ergastolo.
Tenuto conto di tali condizioni processuali, il Giudice dell'esecuzione bolognese rigettava l'incidente di esecuzione sul differente presupposto che il provvedimento di cumulo di pene concorrenti emesso dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria il 12/07/2012 - in conseguenza del quale il ricorrente veniva sottoposto al trattamento sanzionatorio censurato - non comportava l'esecuzione di alcuna pena detentiva perpetua, pacificamente preclusa dagli accordi estradizionali concernenti la posizione di P., intervenuti tra la Spagna e l'Italia. Tale preclusione discende dal fatto che la pena dell'ergastolo - denominata cadena perpetua - è ripudiata dall'ordinamento spagnolo, perché ritenuta in contrasto con l'art. 25 della Costituzione di quel Paese e con i principi affermati dalla Corte EDU, direttamente applicabili per effetto dell'art. 15 della stessa Costituzione (Sez. 1, n. 24066 del 10/03/2009, Noschese, Rv. 244009).
Tuttavia, il G.I.P. del Tribunale di Bologna giungeva a tali conclusioni senza dare analiticamente conto dei titoli esecutivi presupposti, in relazione ai quali occorreva verificare l'osservanza degli accordi estradizionali intervenuti tra l'Italia e la Spagna, sulla base dei quali P. era stato estradato, a condizione che non venisse condannato alla pena dell'ergastolo.
Si consideri che il provvedimento di cumulo delle pene concorrenti, attivato nell'ambito del procedimento n. 342/2010 SIEP dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria, si componeva di 9 titoli esecutivi, che riguardavano una pluralità di fatti di reato contemplati dalle procedure estradizionali attivate presso lo Stato spagnolo, rispetto alle quali il Giudice dell'esecuzione non compiva alcun vaglio giurisdizionale, pur impostogli dalla disposizione dell'art. 666, comma 5, cod. proc. pen., alla luce degli impegni assunti dallo Stato italiano in sede di estradizione.
Questa verifica si imponeva anche alla luce della nota del 14/03/2006, peraltro richiamata dallo stesso Giudice dell'esecuzione bolognese, indirizzata alla Corte Nazionale di Madrid, riguardante le richieste di estradizione di P., con cui il Ministero della Giustizia italiano, oltre ad assicurare che «le condanne alla pena dell'ergastolo sono eseguite in Italia nel rispetto delle regole e dei principi stabiliti dall'ordinamento italiano [...]», chiariva che la pena perpetua non comporta che i condannati debbano «restare detenuti in carcere indefettibilmente per tutta la vita [...]».
Né è possibile prescindere dagli accordi estradizionali relativi alla posizione di P., tenuto conto del principio di buona fede internazionale, che impone di rispettare gli impegni estradizionali assunti con gli altri Stati, in conseguenza del quale il giudice dell'esecuzione può correggere la pena irrogata all'estradato laddove superiore a quella concertata in sede di estradizione, avvalendosi dei poteri riconosciutigli dagli artt. 666 e 670 cod. proc. pen.
Sul punto, è sufficiente richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: «La concessione dell'estradizione sul presupposto dell'irrogabilità di una pena detentiva temporanea per reati astrattamente punibili con l'ergastolo da uno Stato che non ammette la detenzione perpetua, comporta che la pena detentiva eseguibile non può superare la durata indicata nella richiesta di estradizione; ne consegue che la successiva irrogazione dell'ergastolo da parte del giudice della cognizione costituisce applicazione di pena illegale la quale deve essere corretta attraverso il rimedio dell'incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 670 cod. proc. pen.» (Sez. 1, n. 6278 del 16/07/2014, dep. 2015, Esposito, Rv. 262646).
Su tali elementi valutativi, pertanto, si impone un nuovo esame da parte del G.I.P. del Tribunale di Bologna, finalizzato a eliminare le discrasie argomentative che si sono evidenziate. 3. In questa cornice, deve rilevarsi ulteriormente che, a fronte delle specifiche deduzioni difensive, il G.I.P. del Tribunale di Bologna avrebbe dovuto verificare se ed eventualmente in quale misura il regime detentivo di cui all'art. 41-bis Ord. Pen., al quale risultava sottoposto D. P., discendeva dai 9 titoli di reato posti in esecuzione con il provvedimento di cumulo di pene concorrenti emesso dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria, tenuto conto degli accordi estradizionali intercorsi tra l'Italia e la Spagna.
Ne discende che, anche in questo caso, il G.I.P. del Tribunale di Bologna avrebbe dovuto compiere un vaglio giurisdizionale preliminare, finalizzato a verificare, avvalendosi dei poteri riconosciutigli dall'art. 666, comma 5, cod. proc. pen., se l'esecuzione del trattamento sanzionatorio patito da P. era conforme agli impegni assunti dallo Stato italiano con lo Stato spagnolo in sede di estradizione e se il regime detentivo speciale di cui all'art. 41-bis Ord. Pen., al quale era sottoposto il ricorrente gli fosse stato applicato in violazione degli accordi estradizionali.
Sul punto, ci si deve limitare a richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: «In tema di esecuzione non sussiste un onere probatorio a carico del soggetto che invochi un provvedimento giurisdizionale favorevole, ma solo un onere di allegazione, il dovere, cioè, di prospettare e indicare al giudice i fatti sui quali la sua richiesta si basa, incombendo poi all'autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti» (Sez. 1, n. 34987 del 22/09/2010, Di Sabatino, Rv. 248276; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 46649 dell'11/11/2009, Nazar, Rv. 245511).
Da questo punto di vista, non può non rilevarsi che, ancorché non costituente un precedente in termini, appare pertinente il richiamo effettuato da P. alla sentenza emessa da questa stessa Sezione il 20/10/2016 nei confronti del ricorrente (Sez. 1, n. 9660 del 20/10/2016, dep. 2017, P., cit.), concernente la rilevanza dell'ergastolo ostativo ai fini dell'esecuzione della pena nei confronti del ricorrente, riguardando tale profilo le modalità di esecuzione del trattamento sanzionatorio e la compatibilità del regime detentivo di cui all'art. 41-bis Ord. Pen. con gli accordi estradizionali intervenuti tra l'Italia e la Spagna.
Basti, in proposito, richiamare il passaggio della motivazione in questione, nel quale si affermava che, nel caso di specie, non si era «affrontato il tema posto dalla necessità di verificare la portata che poteva assumere l'omissione [...] di riferimenti al c.d. ergastolo ostativo [...]» (Sez. 1, n. 9660 del 20/10/2016, dep. 2017, P., cit.).
L'ordinanza in questione, del resto, veniva censurata anche sotto un altro profilo, certamente rilevante nel caso di specie, conseguente al fatto che l'applicazione del regime detentivo di cui all'art. 41-bis Ord. Pen. non poteva essere disposta nei confronti di P. «senza i necessari approfondimenti valutativi, per affermare sic et simpliciter che egli non possa fruire dei permessi premio [...]» (Sez. 1, n. 9660 del 20/10/2016, dep. 2017, P., cit.). Anche su tali ulteriori profili valutativi, dunque, si impone un nuovo esame da parte del G.I.P. del Tribunale di Bologna.
4. Per queste ragioni, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al G.I.P. del Tribunale di Bologna, affinché provveda a un nuovo esame, conformandosi ai principi di diritto che si sono enunciati.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo esame, al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna. Così deciso il 27/02/2018.