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Domanda di protezione internazionale non ferma l'estradizione (TAR Lazio, 2326/22)

28 febbraio 2022, TAR Lazio

Il procedimento di estradizione è scansionato in due fasi, giurisdizionale ed amministrativa: nell'ambito della fase giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario penale, vi è una apposita valutazione sulla necessità che l'estradizione non violi i diritti umani, in virtù di quanto previsto dall'artt. 698 e 705 c.p.p., mentre, nella fase amministrativa, si colloca il vaglio circa la sussistenza di cause che possano giustificare l'esercizio del potere facoltativo di rifiuto dell'estradizione per motivi riguardanti gli "interessi essenziali" dello Stato (art. 697 c.p.p.).

Nella fase giurisdizionale campeggia l'interesse dell'estradando alla tutela dei propri diritti fondamentali (di qui, appunto, la natura giurisdizionale della fase), nella successiva fase amministrativa, che si apre solo a seguito della sentenza definitiva favorevole all'estradizione, viene in rilievo l'interesse dello Stato alla cura dei rapporti diplomatici ed internazionali con gli altri Stati: tale interesse è affidato alla valutazione del Ministro della giustizia, la cui decisione, frutto di ampia discrezionalità, è sindacabile in giudizio solo per macroscopica e grossolana illogicità o palese travisamento dei fatti, impingendo altrimenti il Giudice amministrativo in scelte istituzionalmente rimesse in via esclusiva all'autorità di governo.

Tra il procedimento di estradizione e quello di protezione internazionale non vi è alcuna pregiudizialità, tale da sospendere il primo in attesa dell'esito del secondo: la presenza, nella normativa di settore, del necessario scrutinio dell'Autorità giurisdizionale circa il rispetto dei diritti fondamentali dell'estradando determina l'indifferenza del procedimento di estradizione rispetto all'eventuale procedimento di protezione internazionale parallelamente attivato dall'interessato.

Quanto al dirito di rimanere nel territorio dello Stato durante l'esame della domanda di protezione internazionale, si tratta di disposizione che riguarda solo l'ambito interno del procedimento di protezione ma che va coordinata con la normativa cogente più generale in materia di estradizione, non dandosi, si ripete alcuna pregiudizialità tra procedimento di estradizione e procedimento di protezione internazionale; anzi quest'ultimo procedimento implica un vaglio ancora più esteso, in ragione della sua finalità generale che è tesa a migliorare la cooperazione internazionale in tema di repressione dei crimini.

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

Sent., (ud. 15/12/2021) 28-02-2022, n. 2326

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6287 del 2015, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato ADM, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via *;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

- del decreto del Ministro della Giustizia pro tempore del 18.11.2014, notificato in data 22.12.2014, nonché di tutti i provvedimenti adottati in esecuzione del succitato decreto;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2021 il dott. Filippo Maria Tropiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1.Il ricorrente ha impugnato il decreto di estradizione indicato in epigrafe, emesso dal Ministro della Giustizia in data 22 dicembre 2014, in virtù del quale è stata disposta la consegna dell'esponente in mani delle autorità ucraine.

L'istante ha lamentato l'illegittimità dell'atto, in forza di articolati motivi diritto ed ha concluso per l'annullamento del provvedimento e per il riconoscimento del risarcimento dei danni derivati.

Si è costituita l'amministrazione intimata, contestando il ricorso.

Con ordinanza n. -OMISSIS-/2015, il Collegio ha respinto la domanda cautelare.

La causa è stata trattenuta in decisione all'udienza pubblica del 1 dicembre 2021.

2. Il ricorso infondato.

3. Giova ricordare i fatti di causa. Il 20 novembre 2012, il Sig. -OMISSIS- è stato arrestato dalla Polizia Giudiziaria ai sensi degli artt. 715-716 c.p.p. sulla base di un mandato di arresto emesso dalle autorità Ucraine. Pervenuta la prescritta documentazione, la Corte d'Appello di Bologna, con sentenza n. 13141/2013 del 24 ottobre 2013, ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l'accoglimento della richiesta di estradizione. Nelle more del procedimento finalizzato all'estradizione, l'estradando ha proposto istanza di protezione internazionale dinanzi alla competente commissione territoriale. In data 31 luglio 2014, la commissione territoriale ha rigettato l'istanza di protezione. Avverso il provvedimento di diniego del riconoscimento della protezione internazionale, l'estradando ha proposto opposizione dinnanzi al Tribunale civile in data 10 ottobre 2014, con conseguente sospensione ex lege del provvedimento emesso dalla commissione territoriale. La Corte d'Appello di Bologna, nel definire il giudizio circa la sussistenza delle condizioni per la concessione dell'estradizione, ha valutato le doglianze, sollevate dalla persona sottoposta al procedimento di estradizione, circa possibili violazioni dei diritti fondamentali che egli avrebbe potuto subire nel paese di origine. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato come non risultasse agli atti che nell'ambito del procedimento estero a carico dell'estradando avrebbero influito considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali. La Corte ha altresì rilevato come le denunce provenienti dalle organizzazioni internazionali, in ordine a violazioni dei diritti fondamentali che si perpetravano in Ucraina, fossero riferibili a mere situazioni contingenti e non riguardassero de quo. Con sentenza del 22 ottobre 2014, depositata il 31 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la riferita sentenza. Nel rispetto dei termini di cui all'art. 708 c.p.p., in data 18 novembre 2014, il Ministro della Giustizia ha sottoscritto il decreto di concessione dell'estradizione, impugnato con il ricorso introduttivo. In data 22 dicembre 2014, ossia in data successiva al provvedimento della Commissione territoriale che denegava la protezione internazionale, l'estradando è stato consegnato alle autorità ucraine.

4. Tanto esposto in fatto, con i primi due motivi di ricorso, l'esponente assume che il Ministro non avrebbe dovuto decidere sulla domanda di estradizione, ovvero avrebbe dovuto revocare la decisione favorevole, per effetto della pendenza del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale.

Ed infatti, ai sensi dell'art. 7 D.Lgs. n. 25 del 2008, il richiedente asilo ha diritto a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione territoriale, decisione la cui efficacia resta sospesa in caso di impugnazione in sede giurisdizionale, per effetto dell'art. 19, co.4, D.Lgs. n. 150 del 2011.

L'assunto è infondato.

L'art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 25 del 2008 non neutralizza invero il potere/dovere del Ministro di deliberare, tempestivamente e comunque, sulla domanda di estradizione sulla base dell'art. 708 c.p.p., senza che possa profilarsi alcuna violazione del principio del non refoulement.

Premesso che il procedimento di estradizione è scansionato in due fasi (giurisdizionale ed amministrativa), vale rilevare che, nell'ambito della fase giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario penale, vi è una apposita valutazione sulla necessità che l'estradizione non violi i diritti umani, in virtù di quanto previsto dall'artt. 698 e 705 c.p.p.; mentre, nella fase amministrativa, si colloca il vaglio circa la sussistenza di cause che possano giustificare l'esercizio del potere facoltativo di rifiuto dell'estradizione per motivi riguardanti gli "interessi essenziali" dello Stato (art. 697 c.p.p.).

Pertanto, tra il procedimento di estradizione e quello di protezione internazionale non vi è alcuna pregiudizialità, tale da sospendere il primo in attesa dell'esito del secondo, come chiarito più volte dalla stessa Suprema Corte (v. Cass. N.29910/2019; n.540/2020, secondo cui l'art. 7 D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 non comporta la sospensione del procedimento di concessione della estradizione, ma nell'ambito dei propri poteri ex art. 708, c.p.p., e cioè adottato il decreto di estradizione, in sede di consegna, l'Amministrazione valuta, nell'ambito dei suoi poteri autoritativi, l'esito della domanda di protezione internazionale).

Tale assunto è coerente con il rilievo che la sussistenza di una fase giurisdizionale nel procedimento di estradizione, deputata all'accertamento del rispetto dei diritti umani, fa sì che tale procedimento possa ordinariamente concludersi nonostante la contemporanea pendenza del procedimento di protezione internazionale, senza che tra i due procedimenti possa essere configurato un vero e proprio rapporto di pregiudizialità.

Né, come condivisibilmente dedotto dalla difesa erariale, può essere invocata una sorta di "anticipazione" del principio di cui all'art. 33 della Convenzione di Ginevra a colui che non sia titolare del diritto alla protezione internazionale e per il solo fatto che la sua domanda non sia ancora definitivamente decisa, fermi restando i poteri discrezionali dell'autorità ministeriale in fase esecutiva, ex art. 708 c.p.p. ovvero può essere giustificata un richiesta di rinvio della decisione.

Per altro, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (CdS n. 5019/2021), va rimarcata la natura di atto di "alta amministrazione" del decreto di estradizione passiva, con il quale il Ministro valuta, in base a considerazioni di ampio respiro inerenti ai rapporti internazionali della Repubblica, l'an dell'estradizione.

Segnatamente, il Supremo Consesso amministrativo ha affermato che, mentre nella fase giurisdizionale campeggia l'interesse dell'estradando alla tutela dei propri diritti fondamentali (di qui, appunto, la natura giurisdizionale della fase), nella successiva fase amministrativa, che si apre solo a seguito della sentenza definitiva favorevole all'estradizione, viene in rilievo l'interesse dello Stato alla cura dei rapporti diplomatici ed internazionali con gli altri Stati: tale interesse è affidato alla valutazione del Ministro della giustizia, la cui decisione, frutto di ampia discrezionalità, è sindacabile in giudizio solo per macroscopica e grossolana illogicità o palese travisamento dei fatti, impingendo altrimenti il Giudice amministrativo in scelte istituzionalmente rimesse in via esclusiva all'autorità di governo.

Deve ribadirsi che proprio la presenza, nella normativa di settore, del necessario scrutinio dell'Autorità giurisdizionale circa il rispetto dei diritti fondamentali dell'estradando determina l'indifferenza del procedimento di estradizione rispetto all'eventuale procedimento di protezione internazionale parallelamente attivato dall'interessato.

E ciò perché, vale ribadire, già è previsto un controllo giurisdizionale idoneo a garantire i diritti dell'estradando, che vengono delibati dapprima dalla Corte d'appello, quindi, eventualmente, anche dalla Corte di cassazione, per di più competente in via eccezionale "anche per il merito" (art. 706 c.p.p.).

Quanto, poi, all'art. 7, comma 2, D.Lgs. n. 25 del 2008, recante le ipotesi eccezionali in cui non si applica il principio generale affermato dal comma 1, secondo il quale "il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione territoriale", deve rilevarsi che si tratta di disposizione che riguarda solo l'ambito interno del procedimento di protezione ma che va coordinata con la normativa cogente più generale in materia di estradizione, non dandosi, si ripete alcuna pregiudizialità tra procedimento di estradizione e procedimento di protezione internazionale; anzi quest'ultimo procedimento implica un vaglio ancora più esteso, in ragione della sua finalità generale che è tesa a migliorare la cooperazione internazionale in tema di repressione dei crimini.

Quanto alla direttiva 2013/32/UE, citata nelle memorie difensive delle parti, si rileva che la stessa prevede all'art. 9 che: - "i richiedenti sono autorizzati a rimanere nello Stato membro, ai fini esclusivi della procedura, fintantoché l'autorità accertante non abbia preso una decisione" (paragrafo 1); - "gli Stati membri possono derogare a questa disposizione solo se l'interessato presenta una domanda reiterata ai sensi dell'articolo 41, o se essi intendono consegnare o estradare, ove opportuno, una persona in altro Stato membro in virtù degli obblighi previsti da un mandato di arresto europeo o altro, o in un paese terzo, o presso un giudice o un tribunale penale internazionale" (paragrafo 2); - "gli Stati membri possono estradare un richiedente in un paese terzo ai sensi del paragrafo 2 soltanto se le autorità competenti hanno accertato che la decisione di estradizione non comporterà il "refoulement" diretto o indiretto, in violazione degli obblighi internazionali e dell'Unione di detto Stato membro" (paragrafo 3).

Pertanto, il paragrafo 1 precisa espressamente che l'autorizzazione ex lege a rimanere nel territorio dello Stato vale "ai fini esclusivi della procedura", ossia impregiudicate le esigenze connesse a distinte e concorrenti "procedure"; - il paragrafo 2 cita espressamente, quale deroga che gli Stati possono prevedere, la consegna ad uno Stato "terzo", ossia non membro dell'Unione; - il paragrafo 3 subordina la possibilità di estradare un richiedente la protezione all'accertamento che la decisione di estradizione stessa non ne violi i diritti fondamentali stabiliti in via convenzionale ed unionale, e cioè proprio ciò che accerta la fase giurisdizionale del procedimento di estradizione.

La condotta ministeriale in nulla dunque si è discostata dai suddetti precetti.

Quanto al diritto interno, osserva il Collegio che l'art. 708, commi 1 e 2, c.p.p. prevede un termine perentorio di quarantacinque giorni per l'emanazione del decreto di estradizione a seguito di una sentenza favorevole all'estradizione, decorso il quale l'interessato deve essere posto in libertà. La disposizione non prevede alcuna eccezione per il caso di pendenza di procedimento di protezione internazionale: ciò significa che la pendenza di tale procedimento non ha alcun rilievo, posto che, altrimenti, la mera formulazione di una domanda di protezione internazionale sarebbe sufficiente a paralizzare l'estradizione e a rimettere in libertà l'estradando. Lo stesso comma 5 della disposizione individua un termine di quindici giorni, decorrente dall'emanazione del decreto di estradizione, per l'esecuzione materiale dell'estradizione stessa, con una sola espressa eccezione e cioè la sospensione in via cautelare del decreto ministeriale.

Mentre l'eventuale decisione che riconoscesse la protezione internazionale, laddove intervenga prima della decisione del Ministro sulla domanda di estradizione, ovvero prima dell'esecuzione del decreto di estradizione, potrebbe al più valere quale motivo di rifiuto dell'estradizione (ex artt. 698 e 705, comma 2, c.p.p.), sopravvenuto rispetto a quanto già stabilito dalla sentenza.

Nel caso di specie, la Corte d'Appello di Bologna ha valutato e rigettato le doglianze dell'estradando afferenti all'asserito pericolo di violazione dei diritti fondamentali da parte delle autorità ucraine. Inoltre, il decreto di estradizione è stato eseguito successivamente alla decisione di rigetto della concessione della protezione internazionale da parte della Commissione territoriale.

Infine, l'estradando ha proposto istanza di protezione internazionale solo nelle more del procedimento estradizionale e pertanto, come ritenuto dal Consiglio di Stato, "sarebbe incongruo ritenere che una tale procedura causalmente "derivata" possa condizionare il previo giudizio "derivante". Conseguentemente, deve ritenersi che la procedura estradizionale resta insensibile ad ogni ulteriore valutazione attinente al procedimento di concessione della protezione internazionale.

Il Ministro ha correttamente e logicamente valutato la situazione del Sig. -OMISSIS- e, nell'ambito dei propri poteri discrezionali di alta amministrazione, ha emesso il Decreto di estradizione de quo che dunque non risulta censurabile.

5. Anche gli ulteriori motivi di gravame sono infondati.

L'esponente si duole del fatto che, prima di mettere in esecuzione il decreto di estradizione, il Ministro non abbia atteso l'eventuale impugnazione, per altro impedita dal fatto che la notifica è intervenuta in occasione della consegna alle autorità ucraine.

Sul punto vale rilevare che, come risulta dagli atti di causa, con nota in data 19 novembre 2014, il Ministero ha dato incarico alla Procura generale di Bologna di comunicare il decreto di estradizione all'interessato e al Ministero dell'Interno, nonché di prendere contatto con le autorità ucraine per fissare la data ed il luogo della consegna in applicazione dell'art. 18 della Convenzione europea di estradizione e dell'art. 708 c.p.p. La data di consegna è stata quindi fissata nel giorno 22 dicembre 2014. In data 16 dicembre 2014, nell'imminenza della consegna, il Ministero constatava la mancata impugnazione del decreto di estradizione (e la conseguente assenza di misura cautelare monocratica che ne sospendesse l'esecuzione), e anche l'insussistenza, allo stato, di sopravvenute condizioni ostative all'estradizione rispetto quanto accertato in sede giurisdizionale ed in sede di decisione ex art. 708, comma 1, c.p.p., non essendo la sola pendenza del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale idonea a modificare la situazione.

Ne deriva la correttezza della procedura seguita.

L'esecuzione del decreto di estradizione, intervenuta oltre un mese dopo la sua emissione, non ha neppure violato l'art. 21 bis della L. n. 241 del 1990, atteso che è posteriore alla comunicazione del decreto medesimo all'interessato e che si era dinanzi ad un atto ad esecuzione immediata.

6. Alla luce delle superiori considerazioni, tutti motivi di gravame sono infondati, con conseguente rigetto sia della domanda annullatoria sia della domanda risarcitoria. Di quest'ultima difettano infatti gli elementi costitutivi, in primis la denunciata illegittimità provvedimentale; mentre non possono certo farsi valere, ai fini interni, paventati danni imputabili ad asseriti errori giudiziari che sarebbero stati commessi nel procedimento penale svoltosi in Ucraina.

Il ricorso deve essere dunque integralmente rigettato.

Sussistono, tuttavia, le condizioni di legge per compensare le spese di lite tra le parti in causa.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 ed al Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le perone fisiche menzionate nel presente provvedimento.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2021 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Lucia Maria Brancatelli, Primo Referendario

Filippo Maria Tropiano, Primo Referendario, Estensore