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DNA se non è prova è indizio (Cass. 8434/13)

21 febbraio 2013, Cassazione penale

Gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA hanno di regola natura di prova, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore: ma nulla esclude che a tale risultato possa riconoscersi, allorchè il calcolo si attesti comunque su una compatibilità elevata, pieno valore di elemento indiziario, certamente grave, che, unitamente ad altri, consente di risalire e provare il fatto ignoto.

L'esame genetico del DNA ha margini di errore infinitesimali e quindi costituisce  prova, ma può anche essere valutato come indizio, qualora non dia certezze ma solo elevati profili di compatibilità.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

(ud. 05/02/2013) 21-02-2013, n. 8434

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIANDANESE Franco - Presidente -

Dott. PRESTIPINO Antonio - Consigliere -

Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere -

Dott. DE CRESCIENZO Ugo - Consigliere -

Dott. ARIOLLI G. - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 892/2010 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 22/11/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/02/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI ARIOLLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Scardaccione Vittorio Eduardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 27/5/2009, il G.U.P. del tribunale di Bologna, all'esito di giudizio abbreviato, affermava la penale responsabilità di M.M. in ordine ai reati di cui ai capi B, B3, B4 (rapina a furgone portavalori e connessi reati di lesioni personali e detenzione e porto di armi), C, D, E, F (relativamente alle sole targhe (OMISSIS)), F2, G (furti di autovetture e targhe), D2 (ricettazione di autoveicolo), H (tentato furto presso una sportello bancomat), I (detenzione e porto di materiale esplodente) e, ritenuti i reati di cui ai capi D, D2, E, F, F2, G, H, 1 uniti dal vincolo della continuazione, nonchè i reati di cui ai capi D, d2, E, F, F2, G, H. 1. uniti dal vincolo della continuazione, applicata la diminuente per il rito abbreviato, lo condannava alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa quanto al primo gruppo di reati ed alla pena di anni quattro mesi sei di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, quanto al secondo gruppo di reati, determinando quindi la pena complessiva in anni otto, mesi sei di reclusione ed Euro 2.400,00 di multa; lo condannava inoltre alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.

2. Con sentenza in data 22/11/2010, la Corte d'appello di Bologna confermava la decisione del G.U.P. del Tribunale di Bologna, condannando l'imputato alla rifusione delle ulteriori spese di assistenza e difesa di parte civile.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell'imputato chiedendone l'annullamento. Al riguardo, deduce: 1) ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la nullità della sentenza per travisamento della prova.

Da un lato, lamenta che i giudici di appello avevano fatto assurgere a rango di prova, ai fini della rapina al furgone portavalori, una traccia biologica erroneamente attribuita all'imputato, sulla base dei risultati della consulenza svolta dai carabinieri del R.I.S. di Parma, a fronte, invece, di risultanze divergenti apprezzabili in ragione del contenuto della consulenza di parte svolta dal prof. R., che escludeva il parametro della certezza. Dall'altro, l'interpretazione fuorviante ed arbitraria del contenuto delle intercettazioni telefoniche, dalle quali la Corte territoriale ha impropriamente ricavato la partecipazione dell'imputato alla rapina;

2) ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale; violazione di legge in relazione all'art. 81 cpv. c.p. e 587 c.p.p., nella parte in cui: a) la sentenza impugnata ha escluso la continuazione riguardo tutte le diverse ipotesi delittuose contestate, ritenendo inammissibile la richiesta in quanto formulata nei motivi nuovi. Invero, con i motivi presentati a norma dell'art. 585 c.p.p., comma 4, non veniva introdotto un nuovo thema decidendum, bensì sviluppato un argomento - quale quello della continuazione - proprio del motivo principale attinente al trattamento sanzionatorio; b) non ha esteso all'imputato gli effetti favorevoli derivanti dall'impugnazione di altro concorrente nel reato ( V.F.), la cui posizione era stata stralciata ed al quale tale vincolo era stato riconosciuto per tutti i reati contestati; 3) ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nullità della sentenza per mancanza ed illogicità della motivazione a supporto del diniego in merito alla declaratoria di inammissibilità del gravame aggiunto volto al riconoscimento del vincolo continuativo tra tutte le condotte ascritte al ricorrente; 4) ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), mancanza di motivazione e violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p., nella parte in cui la decisione impugnata non ha riconosciuto in favore dell'imputato le circostanze attenuanti generiche ed ha quantificato la pena in modo eccessivo.

Motivi della decisione


4. Il ricorso è infondato.

4.1. Il primo motivo di ricorso, col quale il ricorrente deduce il travisamento della prova di responsabilità da parte del giudice di seconde cure (quanto alle imputazioni relative alla rapina al furgone portavalori della società La Ronda), vuoi in ordine alla paternità della traccia biologica rinvenuta sull'auto utilizzata per commettere la rapina, vuoi al contenuto delle intercettazioni, risulta infondato.

Quanto al primo aspetto, va evidenziato che la Corte territoriale, con esauriente motivazione, si è espressamente fatta carico dei rilievi avanzati dalla difesa circa l'univocità e la portata probatoria della traccia biologica rinvenuta sull'auto utilizzata dai rapinatori, evidenziandone comunque, anche a voler disattendere il giudizio convincente espresso dai carabinieri del RIS di Parma, la piena valenza indiziaria, atteso che il risultato restava pur sempre di significativo rilievo ai fini della prova dei reati contestati.

In ogni caso, a fugare qualsiasi dubbio in tema di correttezza del procedimento di valutazione probatoria degli elementi a carico seguito, il giudice di seconde cure ha chiaramente evidenziato come l'alternativa astrattamente ipotizzabile che la traccia non fosse stata lasciata dall'imputato - a causa di quella minima percentuale di errore che il metodo di analisi prevede - era esclusa dal raccordo del dato con le altre univoche e consistenti emergenze probatorie, tra cui la riferibilità dell'auto su cui la traccia era stata rinvenuta al coimputato V., il quale aveva anche confessato e rispetto al quale sono stati evidenziati molteplici elementi fattuali che lo legano all'imputato nella vicenda criminosa.

Pertanto, pur dovendosi, di regola, riconoscere agli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, natura di prova (Sez. 1, sentenza n. 48349 del 30/06/2004, rv. 231182), nulla esclude che a tale risultato possa riconoscersi, allorchè il calcolo si attesti comunque su una compatibilità elevata, pieno valore di elemento indiziario, certamente grave, che, unitamente ad altri, consente di risalire e provare il fatto ignoto.

E la Corte territoriale risulta avere ben evidenziato la molteplicità degli elementi che consentivano di ricondurre l'auto utilizzata nella rapina anche all'odierno ricorrente (l'imputato era stato visto entrare col coimputato all'interno del negozio ove era stato comprato lo scanner rinvenuto nel veicolo; era stata intercettata una conversazione in cui i due parlavano esplicitamente di tre scanner che ivi avevano acquistato; erano stati visti recarsi ad acquistare delle batterie; i tre scanner erano stati poi rinvenuti all'interno di altra auto in un garage di pertinenza degli stessi imputati; in altra conversazione ambientale captata nell'auto del V., questi aveva fatto esplicito riferimento a diverse delle auto rubate, affermando che da ultimo avevano l'M3, ossia una del tipo di quella utilizzata per commettere la rapina).

Quanto, poi, al contenuto delle intercettazioni, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, le conversazioni ambientali captate ed indicate dalla Corte territoriale a fondamento della prova d'accusa, risultano rivelatrici della pregressa compartecipazione dell'imputato anche alla rapina, emergendo la stretta relazione tra il furto dei veicoli e la loro successiva destinazione a tale ulteriore illecito scopo, nonchè univoci riferimenti al provento della rapina, alla collaborazione di un soggetto interno alla società, al modello e alle caratteristiche dell'auto utilizzata, alle circostanze e alle modalità del commesso reato. La valutazione del contenuto del dato captato risulta, quindi, connotata dai caratteri di chiarezza, decifrabilità, assenza di ambiguità e, in relazione agli altri elementi di prova acquisiti (non da ultimo lo stretto legame accertato de visu tra l'imputato ed il V. nell'ambito dei servizi di osservazione disposti), non lascia margini di dubbio sul significato complessivo dei colloqui intercettati nel senso prospettato dall'accusa. Tale giudizio, rimesso alla valutazione del giudice di merito, essendo stato correttamente svolto si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. 6, sentenza n. 35680 del 10/06/2005, rv. 232576).

4.2. Del pari infondato è il motivo relativo all'illegittimità della decisione impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il motivo aggiunto col quale il ricorrente chiedeva il riconoscimento del vincolo della continuazione tra tutti i reati contestati. Sul punto, correttamente la Corte territoriale ne ha evidenziato la tardività, essendo stato proposto non contestualmente alla presentazione dell'atto di appello ma avanzato ben oltre i termini di scadenza per la proposizione dell'impugnazione. Nè può ritenersi, come prospettato dal ricorrente nel motivo di ricorso, che tale questione non determinasse la proposizione di un nuovo ed autonomo thema decidendum, dovendosi ricondurre al thema più generale del trattamento sanzionatorio, del quale il ricorrente si era tempestivamente lamentato. Invero, l'appello, comportando una revisione dello statuto decisorio del primo giudice nell'ambito del devoluto, esige che tutti i capi della decisione impugnata formino oggetto di espressa censura. In tale contesto, la continuazione non solo forma oggetto di autonomo e differente punto della decisione del giudice di primo grado ma ha presupposti normativi e fattuali del tutto differenti dalla quantificazione della pena.

Nè, poi, il profilo relativo alla continuazione può "recuperarsi" censurando la decisione impugnata perchè non ha fatto corretta applicazione dell'art. 587 c.p.p., comma 1, in tema di estensione dell'impugnazione del coimputato V., la cui posizione è stata giudicata separatamente dal quella dell'odierno imputato. Anche a voler ritenere che l'inammissibilità dell'appello sul punto da parte del ricorrente, nella specie, per tardività, non precluda l'effetto estintivo dell'appello validamente proposto dal coimputato, occorre pur sempre che il procedimento stesso sia sorto e si sia svolto in modo unitario e cumulativo. Inoltre, l'identità del medesimo disegno criminoso è un giudizio che deve essere compiuto in concreto, in relazione ed alla stregua della singola posizione processuale di ciascun imputato. Corretta, dunque, è la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione sul punto, essendo la motivazione della Corte territoriale esaustiva ed adeguatamente argomentata, con la conseguenza che anche il terzo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.

4.3. Inammissibile, poichè manifestamente infondato, è l'ultimo motivo di ricorso col quale il ricorrente deduce la carenza di motivazione riguardo la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e la determinazione della pena. Difatti il giudice di appello ha ritenuto adeguata la pena determinata dal giudice di primo grado, evidenziando, peraltro, come peccasse per difetto, considerandola bene perequata rispetto al reale disvalore del fatto, rilevando di non potere concedere le attenuanti generiche alla luce dell'assenza di elementi di segno positivo valutabili in tal senso, nonchè alla luce della pericolosità sociale dell'imputato considerata sulla base dei precedenti penali, delle modalità della condotta e della molteplicità dei reati commessi.

E sul punto, conformemente all'orientamento espresso più volte da questa Corte, deve rilevarsi che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'art. 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419; sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163). Ed ancora, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv.

248244). E, nel caso di specie, la Corte territoriale, oltre alle sopra richiamate circostanze oggettive inerenti al fatto di reato, ha, con adeguata motivazione, ritenuto decisiva la personalità dell'imputato gravato anche da precedenti penali.

5. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2013