Alle risultanze delle indagini genetiche sul DNA va riconosciuto natura di prova, allo stesso modo in cui in tempi ormai non più recenti, venne riconosciuto il valore probatorio delle "impronte digitali", valore che in entrambi i casi si fonda su ricorrenze statistiche così alte, da rendere infinitesimale la possibilità di un errore.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
(ud. 30/06/2004) 15-12-2004, n. 48349
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Renato - Presidente
Dott. FABBRI Gianvittore - Consigliere
Dott. FAZZIOLI Edoardo - Consigliere
Dott. MOCALI Piero - Consigliere
Dott. URBAN Giancarlo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) (omissis) N. IL (omissis) avverso SENTENZA del 04/04/2002 CORTE ASSISE APPELLO di VENEZIA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. FAZZIOLI EDOARDO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito, per la parte civile, gli Avv. GC, FM, TM che hanno concluso, i primi due per l'inammissibilità del ricorso, ed il terzo per il rigetto.
Uditi i difensori Avv.ti PB e AF che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con sentenza del 28 giugno 2001 la corte d'assise di Treviso affermava la responsabilità di (omissis) per il delitto di omicidio volontario di (omissis) "per averne cagionato la morte colpendolo con diciassette colpi di arma da punta al dorso ed alle spalle e successivamente sgozzandolo con uno strumento da punta e da taglio", fatto commesso in Valdobbiadene il 3 agosto 1999, nonchè per il delitto di sequestro di persona per avere privato "della libertà personale la propria moglie (omissis) tentando di legarla, percuotendola violentemente con pugni al capo ed al corpo, impedendole di telefonare e di allontanarsi dalla casa coniugale per un'intera mattinata", in (omissis) il 17 luglio 1999, e, concesse le attenuati generiche, lo condannava alla pena ritenuta di giustizia, con le statuizioni accessorie come per legge.
Condannava, inoltre, il (omissis) al risarcimento dei danni a favore delle parti civili costituite, liquidando una somma a titolo provvisionale immediatamente esecutiva e la somma di lire cinque milioni a titolo di risarcimento definitivo a favore della parte civile (omissis) Con sentenza del 4 aprile 2002 la corte d'assise d'appello di Venezia, accogliendo il ricorso del (omissis) lo assolveva dal reato di omicidio volontario per non avere commesso il fatto, mentre derubricava il contestato sequestro di persona nel reato di violenza privata.
Su ricorso del procuratore generale presso la corte territoriale e delle parti civili, questa Corte, con sentenza del 4 dicembre 2002, annullava la sentenza del 4 aprile 2002, sia in relazione all'omicidio che alla derubricazione del reato di sequestro, rinviando per nuovo giudizio ad altra sezione della stessa corte d'appello.
Con sentenza dell'8 ottobre 2003 la corte d'assise d'appello di Venezia rigettava l'appello del (omissis) confermando la sentenza di primo grado in ordine alla responsabilità dell'imputato per entrambi i reati originariamente ascritti, riducendo, tuttavia, la pena. Confermava, altresì, le statuizioni civili. Contro la sentenza sopra indicata ha proposto ricorso per Cassazione, per mezzo dei suoi difensori, il (omissis) spiegando articolati motivi, e chiedendo, in via principale, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata in ordine ad entrambi i capi di imputazione, con il conseguente annullamento anche delle statuizioni civili, ed in subordine il riconoscimento dell'attenuante della provocazione in ordine all'omicidio. In data 9 giugno 2004 la difesa del (omissis) ha depositato "istanza per l'acquisizione di documenti contenuti nel fascicolo processuale", nonchè, con atto separato, ha dedotto "motivi nuovi".
Hanno depositato in data 14 giugno 2004 unica memoria difensiva le parti civili, chiedendo che venga dichiarata la inammissibilità del ricorso.
2. Osserva, preliminarmente la Corte che la richiesta di acquisizione di documenti contenuti nel fascicolo processuale", è inammissibile nel giudizio di legittimità, in quanto i vizi della motivazione debbono risultare dallo stesso testo del provvedimento impugnato, non essendo consentita una rilettura degli atti processuali che porterebbe ad attribuire ai giudici di legittimità, il cui compito è quello di verificare la corretta applicazioni delle regole del diritto e della logica, poteri spettanti esclusivamente ai giudici di merito.
Per le stesse ragioni non può essere esaminata "la relazione medico legale" del prof. (omissis) allegata ai "motivi nuovi" depositati in data 9 giugno 2004, in quanto, ancorchè controfirmata dal difensore, consiste, pur tuttavia in un tentativo di dimostrare "ex extrinseco" la non corrispondenza ai principi della scienza delle conclusioni del perito di ufficio, peraltro fuori della sede dibattimentale di merito in cui tale indagine avrebbe dovuto eventualmente essere svolta nel rispetto del contraddittorio.
3. Tanto precisato, va rilevato che dalla sentenza impugnata, risulta che la responsabilità del (omissis) è stata affermata, quanto all'omicidio, in considerazione che dalle acquisizioni dibattimentali (ivi compresa la rinnovazione parziale del dibattimento in appello con l'audizione a chiarimenti del perito di ufficio prof. (omissis)) era risultato; a) che sulla porta di ingresso della abitazione della vittima, (omissis) era stato rinvenuto uno strofinaccio (reperto L), utilizzato come zerbino, sul quale erano state evidenziate due tracce T) e D) di sostanza organica che costituivano il prodotto di contributi genetici di soggetti di sesso maschile, mix di sangue, "il cui profilo complessivo era risultato compatibile con quello del (omissis) e del (omissis)", il quale sicuramente aveva una ferita ad un dito. La traccia "T", inoltre, mostrava un chiaro aspetto a spruzzo che escludeva che la stessa potesse essersi formata mediante "meccanismi di produzione da trasferimento" (la traccia "D" costituiva un residuo minimale di traccia già prelevata dalla polizia giudiziaria); b) che l'epoca della morte poteva stabilirsi tra le ore tre e le ore quattro del mattino (in base ai ricostruiti movimenti della vittima nella sera precedente il ritrovamento del cadavere, dell'analisi dei residui di cibo nello stomaco, degli indumenti indossati dal (omissis) e dello stato dei luoghi all'atto del rinvenimento del suo cadavere - calzoni corti, luce accesa, giornale del 2 dicembre 1999, imposte chiuse ecc.), e, quindi, in orario compatibile con quello dell'uscita notturna del (omissis) dalla propria abitazione, distante da quella della vittima circa quindici chilometri, percorribili con autovettura in circa dieci minuti; c) che il (omissis) da una parte aveva un valido movente per uccidere il (omissis) (relazione sentimentale di costui con la moglie (omissis) disgregazione della famiglia, disaffezione delle figlie), dall'altra non aveva fornito una valida giustificazione in ordine alle ragioni per le quali aveva fatto ritorno alla propria abitazione non indossando i pantaloni e le scarpe con le quali era uscito, indumenti, peraltro, che non erano stati più trovati, del perchè al suo ritorno avesse pulito delle macchie di sangue nel bagno e sulle scale, del perchè avesse lavato l'autovettura con la quale nella stessa occasione si era allontanato da casa.
Con riferimento al sequestro di persona, la sentenza osserva che la Corte di Cassazione ha vincolato il giudice di rinvio alla ricostruzione dei fatti, come accertati nelle sentenze di merito (quella di primo grado e quella di secondo grado annullata), per cui, ferma restando la qualificazione giuridica attribuita al fatto dalla corte di legittimità, sussistevano, tuttavia, i presupposti per la concessione anche per tale reato delle attenuanti generiche.
4. I motivi di ricorso sono volti a dimostrare la manifesta illogicità in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata. Non contengono, tuttavia, alcuna articolata censura al quadro probatorio complessivo della sentenza, ma si limitano ad esaminare punto per punto le singole proposizioni sulle quali la medesima si fonda, ed anzi alcune volte ricorrono all'artificio dialettico di estrapolare alcune frasi dal contesto in cui si inseriscono, sostenendo che quel fatto avrebbe potuto essere interpretato diversamente, qualora si fossero considerate determinate circostanze, anzichè altre, con richiami anche ad atti processuali la cui "corretta" lettura dimostrerebbe il travisamento del fatto che vizia la motivazione della sentenza.
Si tratta evidentemente di motivi che seppure proposti con innegabile abilità si risolvono, di volta in volta, o in motivi manifestamente infondati, o in motivi non specifici o in motivi che propongono una rivisitazione delle risultanze dibattimentali da parte di questa corte, che come è noto, invece, non può mai sovrapporre il proprio giudizio a quelle dei giudici di merito, ma soltanto censurarne la manifesta illogicità (ove questa sussista). Il ricorrente, peraltro, non sembra tenere nel debito conto i principi di diritto di cui alla sentenza 4 dicembre 2002 ed in particolare dell'enunciato "secondo cui il giudizio sinergico, basato sulla gravità, precisione e concordanza degli indizi, è frutto di una valutazione unitaria e sintetica e non parcellizzata degli elementi fattuali considerati, in modo da colmare le lacune che ciascun elemento fatalmente porta con sè e che rappresentano, sul piano deduttivo, il limite della capacità del singolo fatto noto di dimostrare l'esistenza del fatto ignoto". Il che sta a significare che il singolo indizio, isolatamente considerato può prestarsi anche ad una molteplicità di significati, proprio perchè, essendo "indizio" e non "prova" non è dotato di univoca capacità rappresentativa. Di conseguenza l'affermazione, più volte ripetuta dal ricorrente, che l'indizio avrebbe potuto essere considerato diversamente non è di per sè risolutiva, in quanto occorrerebbero, invece, dimostrare che la "concordanza" stabilita dai giudici tra i diversi indizi è manifestamente illogica, non potendo trovare giustificazione alcuna nella valenze dichiarative (anche molteplici) attribuibili ad ogni indizio se "atomisticamente" considerato. Soltanto, in tale caso, infatti, venendo meno la catena logica che unisce tra loro i vari indizi, potrebbero ritenersi sussistenti i vizi denunciati.
In particolare, passando all'esame dei motivi di ricorso deve osservarsi che la inattendibilità della (omissis) (motivo 1^) è messa in dubbio, richiamando la "annotazione di servizio" del 4 agosto 1999 dei CC. della Stazione di (omissis) documento di cui non è traccia nelle sentenze, del tutto omettendo qualsiasi critica alla logica ricostruzione dello stato d'animo della teste fornita dalla sentenza impugnata ed ai numerosi riscontri alle sue dichiarazioni posti in evidenza nella sentenza, anche da parte di testimoni indicati dalla difesa come la (omissis) che la doglianza relativa alla omessa assunzione come teste della (omissis) (motivo 2^), gemella della (omissis) non è specifica. Di fronte, infatti, alla precisazione contenuta nella sentenza secondo la quale la (omissis)non è stata sentita perchè i movimenti del padre nella notte del 3 agosto li aveva appresi "de relato" dalla gemella (omissis) il ricorrente da una parte deduce genericamente che avrebbe dovuto essere escussa perchè a conoscenza di "numerose altre circostanze", peraltro, non indicate, dall'altra non chiarisce perchè l'unica circostanza indicata nei motivi (l'avere la ragazza riferito al prof. (omissis) - che aveva eseguito una consulenza psichiatrica sul (omissis) - di avere sentito che il padre era uscito precipitosamente "verso le ore tre") sarebbe decisiva atteso che l'uccisione del (omissis) secondo la ricostruzione in atti, sarebbe avvenuta tra le ore tre e le ore quattro del mattino: E' evidente poi che il fatto che la sentenza usi talvolta il plurale, riferendosi ad entrambe le sorelle, mentre ne è stata sentita una sola, si risolve in una mera improprietà linguistica, priva di valenza processuale.
Analoghe conclusioni di non specificità della censura valgono per i testi (omissis) (omissis) e (omissis) (motivo 3^) che, secondo il (omissis) avrebbero dovuto deporre non più "sulle circostanze riguardanti il rinvenimento del falcetto" (f. 41 sentenza), ma per dimostrare che l'(omissis) non era credibile senza, peraltro, anche in questo caso indicare le circostanze di fatto su cui avrebbero dovuto deporre. Manifestamente infondato è il motivo relativo alla illegittimità della perquisizione in casa (omissis) (motivo 4^). Premesso al riguardo che, contrariamente a quanto dedotto, la perquisizione non sarebbe inutilizzabile (non trattandosi, peraltro, di prova, ma di un mezzo di ricerca della prova), ma sarebbe affetta da nullità per omesso avviso al difensore, e, quindi, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata tale vizio non avrebbe più potuto essere dedotto ai sensi dell'art. 627, comma 4, c.p.p., va rilevato c nessuna critica muove il ricorrente in relazione a quanto precisato nella sentenza corte territoriale (pag. 25) sulla inesistenza di qualsiasi vizio dell'atto.
Infondati sono anche i motivi esposti ai numeri da 5^ a 14^, con cui il ricorrente denunzia sotto diversi profili le conclusioni della sentenza in ordine alla validità probatoria della perizia sul "mix" di sangue rinvenuto sullo strofinaccio sequestrato davanti alla porta di ingresso della abitazione del (omissis) ed utilizzato da costui come tappeto per pulirsi le scarpe.
Scopo che il ricorrente si propone di raggiungere attraverso una serie di passaggi, che vanno dalla denunzia della conduzione a senso unico delle indagini, al mancato esame di altra macchia di sangue notata su una tenda esterna alla casa di abitazione del (omissis) agli errori di verbalizzazione compiuti dai carabinieri nella indicazione del luogo di ritrovamento del reperto "L" (davanti alla casa di abitazione del ricorrente anzichè davanti a quella della vittima, motivo rinnovato anche con i "motivi nuovi" di cui già si è detto), alla ribadita denunzia della inaffidabilità dell'(omissis) In proposito deve precisarsi che questa corte, nell'annullare la prima sentenza della corte veneziana per la violazione delle regole di cui all'art. 192, comma 2, c.p.p. e per la manifesta illogicità della motivazione, ha affermato il principio che il mix di sangue, peritalmente accertato, ha "valore probatorio" e non di mero indizio, come sostenuto dal ricorrente, per cui non è censurabile la sentenza impugnata che ha ritenuto provato che vi è stato un "contatto tra la vittima e l'imputato".
Va aggiunto, peraltro, che l'affermazione di questa Corte sul valore probatorio dell'accertamento genetico non può considerarsi una mera affermazione in punto di fatto che in quanto tale non vincolerebbe il giudice di rinvio, come sostenuto dalla difesa, ma come il riconoscimento della natura di prova delle risultanze delle indagini genetiche sul DNA, allo stesso modo in cui in tempi ormai non più recenti, venne riconosciuto il valore probatorio delle "impronte digitali", valore che in entrambi i casi si fonda su ricorrenze statistiche così alte, da rendere infinitesimale la possibilità di un errore.
I motivi, pertanto, con i quali si contesta la validità del "mix" come prova dell'incontro del patrimonio genetico della vittima con quello del ricorrente sono inammissibili ai sensi dell'art. 627, comma 3, c.p.p., mentre quelli con i quali si contestano le modalità e la metodologia (motivo 7^) seguita dal perito per l'interpretazione dei risultati, si risolvono in questioni non denunziabili per la prima volta in questa sede di legittimità, in quanto avrebbero dovuto formato oggetto di specifici motivi d'appello (va rilevato, peraltro, che non è denunziato il vizio di omessa motivazione) e di contestazioni che avrebbero dovuto essere mosse al perito in occasione della riapertura del dibattimento.
Frutto evidentemente di una errata lettura sembra essere, poi, la censura con la quale si lamenta che la sentenza sarebbe caduta in contraddizione nell'escludere la tesi proposta dalla difesa sulla formazione del "mix" (motivo 8^).
Il ricorrente, infatti, costruisce la censura sul presupposto che la corte di merito avrebbe testualmente affermato che "non era escludibile, anche se il suo verificarsi era scarsamente probabile" che il "mix" di sangue potesse essersi verificato nel modo prospettato dalla difesa, di qui la necessità di procedere anche di ufficio ad esperimento giudiziale (motivo 8.1), la cui omissione darebbe luogo al vizio di omessa assunzione di una prova decisiva.
Orbene, deve premettersi che, a quanto risulta dalla sentenza impugnata, il ricorrente, al fine di fornire una giustificazione alternativa sulla formazione della macchia "T" che, essendo a punto esclamativo escludeva il trascinamento, modificando l'originaria impostazione difensiva a seguito delle precisazioni fornite dal perito in dibattimento, sosteneva che la formazione a punto esclamativo si era potuta produrre per effetto di sangue fluido trasportato da una scarpa (di uno degli investigatori) e schizzato per il movimento di un piede in accelerazione. La corte veneziana, nell'escludere la possibilità di procedere ad esperimento giudiziale, al cui espletamento si era peraltro opposta la stessa difesa (pagina 12 della sentenza) e nell'indicare le numerose ragioni per cui era impossibile che la macchia si fosse formata nel modo proposto dal (omissis) (a tacere d'altro perchè al momento del sopralluogo il sangue non era più fluido), precisava che "se un'apposizione per trascinamento del sangue della vittima sulla precedente macchia ematica lasciata dall'imputato, non era escludibile, anche se il suo verificarsi era scarsamente probabile, la nuova ipotesi appariva del tutto inverosimile".
E' chiaro, pertanto, che il motivo, basato, si ripete, su una non completa lettura di una frase della motivazione della sentenza, è manifestamente infondato.
Con i motivi sub 9^ "tempistica nella formazione del mix", 10^ "mancanza di macchie ematiche del solo (omissis)", 11^ "mancanza di ogni traccia di sangue del sangue del (omissis) o di sangue commisto sia sulla autovettura del (omissis) sia sull'abitazione di quest'ultimo", 12^ "mancato rinvenimento di tracce di sangue sulla maglietta del (omissis)", 18^ "lavaggio della autovettura", il ricorrente propone un "sillogismo negativo" in quanto partendo dal presupposto che non essendosi prodotti alcuni fenomeni che, invece, a suo avviso, si sarebbero dovuti produrre, assume che anche i fenomeni accertati non avrebbero consistenza probatoria (mix di sangue). Il sillogismo, tuttavia, è manifestamente infondato in quanto la esistenza del mix di sangue con quelle caratteristiche è stata oggettivamente accertata, mentre i "fenomeni non verificatisi" addotti dalla difesa, estranei al processo di formazione del dato accertato e, quindi, non idonei ad incidere sulla oggettività di tale accertamento, si basano su considerazioni del tutto ipotetiche perchè si ignora quale fu la condotta dell'agente immediatamente dopo l'omicidio (salvo per i dati accertati relativi al lavaggio degli indumenti e della autovettura) e, peraltro, non si considera come tutta l'attività del (omissis) (non fece più trovare i calzoni e le scarpe) era indirizzata a rimuovere ogni collegamento tra il delitto e la sua persona.
Infine con i motivi sub 13^ "macchia di sangue sulla tenda esterna all'ingresso della casa del (omissis)", 14^ "ubicazione dello strofinaccio zerbino" non costituiscono altro che la riproposizione davanti a questa corte sotto il profilo della manifesta illogicità di ricostruzioni di fatto fondate su ipotesi non dimostrate ed, in ogni caso, inidonee ad escludere, come precisato nella sentenza impugnata, la responsabilità del ricorrente ai sensi dell'art. 110 c.p., in quanto resterebbe in ogni caso ferma sia la consistenza probatoria del "mix" che quella di tutti gli altri elementi che unitariamente considerati convergono nell'indicarlo come l'autore dell'omicidio, ovvero di ricostruzioni (luogo di rinvenimento dello strofinaccio) fondate su illazioni relative al comportamento degli investigatori (i carabinieri, il medico legale ed il p.m.), disattese con motivazione non manifestamente illogica dalla sentenza impugnata.
Nè è possibile un loro recupero con il richiamo al "dictum" della prima sentenza della corte veneziana, in quanto la stessa è stata annullata da questa corte per manifesta illogicità ("esalta il margine di ambiguità (o di "reversibilità) insito nella lettura del dato fattuale per giungere all'esclusione di ogni valore probatorio degli indizi, atomisticamente considerati)" e per violazione del canone interpretativo di cui all'art. 192, comma 2, c.p.p. ("la parcellizzazione operata nel caso di specie pare mirata unicamente a vulnerare lo spessore e la valenza degli indizi, considerati di volta in volta ed avulsi dalla sintesi e dal collegamento in un unico contesto").
Propongono ricostruzioni alternative esclusivamente fattuali, peraltro ripetizione pressochè identica di motivi già logicamente disattesi dalla corte veneziana, le censure relative all'ora della morte (motivo 15^), ricostruita in base alla perizia autoptica ed alle dichiarazioni di testi del tutto indifferenti come la padrona del ristorante o su circostanze oggettivamente accertate (situazione dei luoghi ed abiti indossati dalla vittima) che "sinergicamente" e non "atomisticamente" accertati forniscono una logica ricostruzione del dato; la "sparizione dei calzoni e delle scarpe" (motivo 19^), fondate anche su presupposti del tutto indimostrati (il possesso di un altro paio di jeans dello stesso tipo da parte del ricorrente); la "illogicità del movente" (motivo 20^) che non tiene conto della ragioni ultime indicate dalla corte (l'abbandono del domicilio domestico da parte della moglie e il timore di perdere l'affetto delle figliole) o reinterpreta le dichiarazioni della (omissis) ovvero (motivo 16^) pongono l'accento su elementi di nessuna rilevanza probatoria e ricostruttiva (la circostanza, infatti, che non sia stata ritrovata l'arma del delitto è irrilevante, trattandosi di un'arma bianca o di un utensile da punta o da taglio di non difficile reperibilità e facilmente occultabile); ovvero ripropongono elementi la cui rilevanza è stata recisamente esclusa in punto di fatto dai giudici di merito, come quello della sussistenza di si poste alternative, per la cui dimostrazione dal (omissis) era stato assunto persino un investigatore privato (vedi sentenza di primo grado) o tesi smentite dallo stesso consulente della difesa (motivo 17^ sulla amnesia, pagina 34 sentenza).
Ne deriva che, in considerazione della ricostruzione effettuata dai giudici di merito, non manifestamente illogica ed ispirata a corretti principi di diritto (art. 192, comma 2, c.p.p.), risultano del tutto infondati i motivi relativi alla denunziata violazione dell'art. 530, comma 2, c.p.p., mentre nessuna violazione del canone dell'"in dubio pro reo" è dato riscontrare nella sentenza impugnata che ha affermato la responsabilità del ricorrente, non perchè la sua deposizione non sarebbe "appagante", o per una inversione del canone della prova, ma per le numerose prove, dirette ed indiziarie, acquisite nei suoi confronti.
Con riferimento alle richieste subordinate concernenti il riconoscimento della provocazione e la misura della pena, va, infine, rilevato che sulla base della ricostruzione del movente effettuato dai giudici di merito (rancore sempre più indomabile), nessuna violazione di legge è data rilevare nel diniego della circostanza, mentre la pena risulta essere stata calcolata nel minimo e ridotta nel massimo per l'unica attenuante concessa. Infine, in relazione al sequestro di persona va rilevato che non essendo stata contestata nel primo giudizio di Cassazione la materialità del fatto, così come accertata dalle due sentenze di merito (quella della corte d'assise di Treviso e quella, poi, annullata della corte veneziana) correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto preclusa ogni ulteriore indagine sul punto, per cui, operando nell'unica area non coperta dal giudicato parziale, si è limitata a comminare la pena prevista per il sequestro ed a concedere le attenuanti generiche.
Quanto, poi, alla denunziata mancanza di motivazione sull'elemento intenzionale del reato, va rilevato che lo stesso risultava chiaramente dalle modalità del fatto, per cui ogni ulteriore motivazione era superflua (secondo la ricostruzione dei giudici di merito il ricorrente per evitare che la (omissis) abbandonasse il domicilio domestico le "intimò di restare in casa", cercò di legarla e quando lei tentò di divincolarsi la colpì duramente con pugni e schiaffi - pagina 78, sentenza di primo grado).
5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, tenuto conto della sentenza C.C. 186/2000, anche al versamento di una somma a favore della cassa delle ammende che si ritiene di determinare in euro mille.
Il ricorrente deve, altresì, essere condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civile che si liquidano nella misura indicata nel dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese ed al versamento della somma di euro mille favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili che liquida in complessivi euro seimila di cui cinquecento per spese quanto a (omissis) (omissis) e (omissis) ed in complessivi euro tremila di cui quattrocentocinquanta per spese quanto a (omissis) Così deciso in Roma, il 30 giugno 2004.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2004