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Divieto di pubblicazione di atti di indagine tutale giusto processo (Corte Cost, 59/95)

20 febbraio 1995, Cassazione penale

Protrarre il divieto di pubblicazione del fascicolo del pubblico ministero anche oltre il termine delle indagini, durante il dibattimento nei principi fondamentali dettati dalla legge di delega è funzionale ad evitare una distorsione delle regole dibattimentali, ove il giudice formasse il suo convincimento sulla base di atti che dovrebbero essergli ignoti, ma che, in mancanza del divieto, potrebbe conoscere completamente per via extraprocessuale attraverso i mezzi d'informazione.

Nell'intento del legislatore delegante, i limiti alla divulgabilità degli atti di indagine preliminare durante le indagini si collegano inequivocabilmente alle esigenze investigative, operando al fine di scongiurare ogni possibile pregiudizio alle indagini a causa di una anticipata conoscenza delle stesse da parte della persona indagata.

 

 

 

CORTE COSTITUZIONALE

SENTENZA N. 59

ANNO 1995

composta dai signori Giudici:

-        Avv. Ugo SPAGNOLI, Presidente

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 114, terzo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Siracusa nel procedimento penale a carico di MC ed altri, iscritta al n. 575 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, dell'anno 1993;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1. Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Siracusa ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 114, terzo comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 21 e 76 della Costituzione.

2. Il giudice remittente riferisce che, nel caso sottoposto al suo esame, il pubblico ministero, a chiusura delle indagini preliminari, ha chiesto l'archiviazione del procedimento penale instaurato nei confronti di alcuni indiziati del reato previsto dall'art. 684 del codice penale (pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale) in quanto ritiene che gli stessi abbiano legittimamente esercitato il diritto-dovere di cronaca.

Ma, ad avviso del G.I.P., poiché l'avvenuta pubblicazione a mezzo stampa di alcuni passi di registrazioni telefoniche integra un'ipotesi di "pubblicazione parziale" (vietata dall'art. 114, terzo comma, del codice di procedura penale, quando avvenga, come nel caso di specie, prima della sentenza di primo grado), è preliminare ad ogni statuizione di merito - ed assume per ci stesso rilevanza - la verifica della legittimità costituzionale della norma, essendo evidente l'inconfigurabilit a carico degli indiziati del reato previsto dall'art. 684 del codice penale qualora il fatto loro ascritto non possa essere vietato dalla legge ordinaria.

3. Ora, prosegue il remittente, a fronte del divieto di pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento (anteriormente alla sentenza di primo grado), l'ultimo comma dello stesso art. 114 dispone che "è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti da segreto".

Se quindi, espone il giudice a quo, la pubblicazione del contenuto degli atti del processo penale costituisce (con il solo limite di quelli coperti da segreto) un fatto non soltanto privo di offensività ma, anzi, espressione di una funzione costituzionalmente garantita dall'art. 21 della Costituzione, allora, sussistendo fondamentali connotati di parità, eguale dovrebbe essere il trattamento da riservare a quella pubblicazione "parziale" di atti del fascicolo per il dibattimento, la cui divulgazione a mezzo della stampa null'altro può aggiungere alla conoscenza derivabile da una esauriente notizia del loro contenuto.

4. La norma in esame, inoltre, risulterebbe anche non rispettosa della legge di delega, la cui direttiva n. 71, mentre impone il divieto di pubblicazione per gli atti coperti dal segreto e per altri atti specificamente indicati (diversi da quelli destinati al fascicolo per il dibattimento), non lo prevede per gli atti del fascicolo per il dibattimentale.

5. Lo stesso criterio discretivo, infine, tra l'illecito e il consentito, in quanto fondato sulla enunciazione di una distinzione concettuale ontologicamente incerta tra "pubblicazione parziale" e "pubblicazione del contenuto" di atti, non sembra al remittente un parametro ragionevole di distinzione; gli effetti della pubblicazione di una notizia, pi che dal dato formale della divulgazione di una parte dell'atto del processo che la documenta, possono scaturire - a suo avviso - dal suo intrinseco valore informativo e da circostanze specifiche.

6. E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa del Governo osserva che la direttiva n. 71 della legge di delega non esclude specificamente gli atti del fascicolo per il dibattimento ma semplicemente non li menziona; per cui, in base alla costante giurisprudenza della Corte, non può che concludersi che il legislatore delegato, pur tenuto conto del necessario rispetto dei criteri e dei principi della delega, non è sfornito di discrezionalità nel modo di esercizio della delegazione e che, quindi, costituisce legittimo esercizio di tale potere anche l'estensione ad altri casi della disciplina prevista nella legge delega quando sussista l'eadem ratio. Non vi sarebbe, poi, dubbio sulla esistenza della stessa ragione di legge che assiste i divieti temporanei previsti dalla direttiva n. 71, anche per gli atti del dibattimento prima della pronuncia del giudice di primo grado: le ragioni, infatti, non sarebbero solo quelle che, esemplificativamente, enuncia nella sua ordinanza il remittente, ma anche altre rivolte ad evitare turbative alla fase decisoria del processo di primo grado.

Ancor meno convincenti, ad avviso dell'Avvocatura, sarebbero le ulteriori censure avanzate, in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione, sotto il profilo della disparità di trattamento e della lesione della libertà di stampa.

Ben nota essendo la scelta legislativa del codice di procedura penale del 1988 in ordine alla distinzione tra contenuto dell'atto e atto stesso, e la sensibile novità apportata rispetto alla soluzione che era alla base dell'art. 164 del codice di procedura penale del 1930, ad avviso dell'Avvocatura il G.I.P. di Siracusa censura una soluzione legislativa in termini che non appaiono ammissibili alla luce degli insegnamenti della Corte. Si dedurrebbe, infatti, l'esistenza di una situazione di illegittimità non dal confronto tra due realtà normativamente delineate, ma dalla comparazione tra una fattispecie che il legislatore ha considerato (pubblicazione di un atto, riprodotto in tutto o in parte o richiamato testualmente) e una condotta (pubblicazione del contenuto dell'atto, lecita se effettuata nei termini evidenziati nell'ordinanza di rimessione) facendo leva su distorsioni che derivano da aspetti patologici, che scaturiscono dal talento professionale di certo giornalismo giudiziario il quale, attraverso l'uso sapiente di tecniche narrative e di idonei espedienti espositivi perviene talora a risultati al limite della liceità, per quanto attiene il divieto in esame.

Il constatato rischio di una diffusa elusione del divieto di pubblicazione dell'atto attraverso una riproduzione attenta del suo contenuto non sarebbe, in conclusione, ragione tale da rovesciare la validità delle considerazioni espresse nella relazione illustrativa al progetto preliminare del codice di procedura penale, quanto alla formazione del convincimento del giudice.

Infine, l'Avvocatura sottolinea che la norma impugnata non tutela solo la genuinità dell'opinione del giudicante ma, andando oltre le stesse iniziali intenzioni del legislatore, consente di prevenire che nel corso del giudizio la notizia processuale pubblicata acquisti un anticipato ed inopportuno crisma di ufficialità.

Considerato in diritto

1. Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Siracusa solleva, in riferimento agli artt. 3, 21 e 76 della Costituzione, una questione di legittimità costituzionale dell'art. 114, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui vieta la pubblicazione - anche parziale - degli atti del fascicolo per il dibattimento fino alla pronuncia della sentenza di primo grado.

2. Il remittente, dopo aver premesso che a fronte del detto divieto l'ultimo comma del medesimo art. 114 dispone che "sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti da segreto", ritiene che il citato terzo comma, oltre a porre una irragionevole ed ontologicamente incerta distinzione tra "pubblicazione di atti" (vietata) e "pubblicazione del contenuto di atti" (lecita), realizzi una ingiustificata disparità di trattamento tra due situazioni sostanzialmente assimilabili, violi il principio della libertà di stampa sancito dall'art. 21 della Costituzione, e, infine, si ponga in contrasto con la direttiva n. 71 dell'art. 2 della legge di delega 16 febbraio 1987 n. 81, la quale non prevede alcun divieto di pubblicazione degli atti del fascicolo per il dibattimento.

3. Sotto quest'ultimo ed assorbente profilo la questione è fondata.

Nel dare riconoscimento alle esigenze di trasparenza e di controllo sociale sullo svolgimento della vicenda processuale, e quindi nel contemperare interessi di giustizia ed interessi dell'informazione - entrambi costituzionalmente rilevanti - il legislatore delegante ha operato una scelta ben precisa.

I primi due periodi della direttiva n. 71 delineano un sistema in cui "su tutti gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero" è posto sia l'obbligo del segreto che il divieto di pubblicazione fino a quando i medesimi "non possono essere conosciuti dall'imputato" (recte: indagato).

Da questa chiara enunciazione può evincersi che, nell'intento del legislatore delegante, i limiti alla divulgabilità degli atti di indagine preliminare si collegano inequivocabilmente alle esigenze investigative, operando al fine di scongiurare ogni possibile pregiudizio alle indagini a causa di una anticipata conoscenza delle stesse da parte della persona indagata.

Dal terzo periodo della citata direttiva può trarsi la conferma di tale obiettivo nelle intenzioni del legislatore delegante; viene, infatti, riconosciuto al pubblico ministero l'ulteriore potere di vietare "la pubblicazione di atti non pi coperti dal segreto ...", ma detto potere è vincolato al "tempo strettamente necessario ad evitare pregiudizio per lo svolgimento delle stesse [indagini]".

4. Ci posto, è evidente che tali divieti di divulgazione, in quanto funzionalmente riferiti alle indagini preliminari, non possono che essere rivolti agli atti nella disponibilità del pubblico ministero per l'ovvio motivo che non esiste un fascicolo per il dibattimento fintantoché non si sarà deciso se il dibattimento dovrà o meno essere celebrato. Non solo: in nessun punto della direttiva n. 71 è contemplato un divieto di pubblicazione di quanto contenuto nel fascicolo per il dibattimento; anzi, proprio ove la direttiva considera esplicitamente il meccanismo del doppio fascicolo (parte quarta), è previsto un divieto di pubblicazione per i soli "atti depositati a norma del numero 58", cioè per quelli contenuti nel fascicolo del pubblico ministero.

5. Gli stessi compilatori del codice riconoscono il riferimento esclusivo della delega al fascicolo del pubblico ministero (v. Relazione al progetto preliminare), ma osservano che soltanto alla fine delle indagini preliminari si ha la formazione del fascicolo del pubblico ministero, e che pertanto "non è facile, n opportuno operare distinzioni rispetto al divieto di pubblicazione nell'ambito degli atti delle indagini preliminari".

L'argomento ha scarso rilievo non solo perché - come si è visto - la delega distingue, imponendo il divieto di pubblicazione soltanto sugli atti del fascicolo del pubblico ministero, ma, perché, in ogni caso, può valere solamente riguardo alla fase delle indagini preliminari, non certo per il dibattimento, fase durante la quale sono ormai esaurite quelle esigenze di tutela delle indagini che giustificavano il divieto stesso.

E infatti il protrarre il divieto di pubblicazione del fascicolo del pubblico ministero anche oltre il termine delle indagini, durante il dibattimento, ha, nei principi fondamentali dettati dalla legge di delega, ben altro fondamento, in quanto è funzionale ad evitare una distorsione delle regole dibattimentali, ove il giudice formasse il suo convincimento sulla base di atti che dovrebbero essergli ignoti, ma che, in mancanza del suddetto divieto, potrebbe conoscere completamente per via extraprocessuale attraverso i mezzi d'informazione.

6. Ma se questa è la ratio del divieto relativo alla divulgabilità degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, pur dopo che ne è cessato l'obbligo del segreto, ne consegue la sua totale inapplicabilità a quanto contenuto nel fascicolo per il dibattimento, per definizione concernente gli atti che il giudice deve - invece - conoscere.

Non si può, evidentemente, sostenere che la pubblicabilità di un atto viene esclusa per evitare che, attraverso mezzi di informazione, giunga a conoscenza del giudice nel cui fascicolo processuale l'atto è inserito.

Come in dottrina è stato osservato, se si considera che nel fascicolo per il dibattimento sono inseriti anche gli atti di prova non rinviabili, ed assunti nella fase predibattimentale ex art. 467 del codice di procedura penale, si arriva all'assurdo di un divieto di pubblicazione diretto ad evitare che il giudice conosca atti da lui stesso compiuti.

7. In conclusione: in raffronto a quanto contemplato nella direttiva n. 71 della legge di delega, il legislatore delegato ha certamente introdotto al terzo comma dell'art. 114 un ulteriore divieto (riferito al fascicolo per il dibattimento), rispetto a quello relativo al fascicolo del pubblico ministero. L'analiticità con cui il delegante ha inteso precisare i casi di divieto di pubblicazione degli atti - evidentemente indicativa del rifiuto di introdurne ulteriori, in rispetto del principio sancito dall'art. 21 della Costituzione - impedisce che in sede di attuazione il legislatore delegato possa pervenire a tale risultato, tanto pi ove si consideri che le motivazioni addotte per giustificarlo (corretta formazione del convincimento del giudice) non possono ragionevolmente riferirsi alla pubblicazione di quanto contenuto nel fascicolo per il dibattimento, concernente, per definizione, gli atti che il giudice deve conoscere.

Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 114, terzo comma, del codice di procedura penale nella parte in cui non consente la pubblicazione degli atti del fascicolo per il dibattimento anteriormente alla pronuncia della sentenza di primo grado.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 114, terzo comma, del codice di procedura penale, limitatamente alle parole: "del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 20 febbraio 1995.

Ugo SPAGNOLI, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24 febbraio 1995.