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Dai domiciliari va al pronto soccorso: è reato (Cass. 45004/18)

8 ottobre 2018, Cassazione penale

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Si allontana dagli arresti domiciliare, arriva dopo tempo in pronto soccorso dove in codice verde viene diagnosticata crisi d'ansia: è reato di evasione.

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. VI PENALE SENTENZA 8 ottobre 2018, n.45004

Pres. Paoloni – est. Calvanese

Ritenuto in fatto

La Corte di appello di Ancona, con la sentenza in epigrafe indicata, riformava parzialmente (quanto alle circostanze ex art. 62-bis cod. pen., che riconosceva con conseguente riduzione della pena) la sentenza del Tribunale di Fermo, che aveva condannato An. Sa. per il reato di cui all'art. 385 cod. pen.

All'imputato era stato contestato di essersi allontanato senza autorizzazione dal luogo degli arresti domiciliari: in particolare, il predetto non era stato reperito presso la sua abitazione dai carabinieri e la madre, li presente, aveva giustificato la sua assenza con l'esigenza di recarsi al pronto soccorso.

Secondo il primo giudice, l'imputato, allontanandosi dal luogo degli arresti domiciliari, non aveva effettuato la comunicazione, neppure telefonica, prescrittagli dall'ordinanza cautelare (già in passato dallo stesso attivata) e non erano provate ragioni di necessità che giustificassero la condotta.

In sede di appello, la Corte di appello aveva ritenuto dirimente, ai fini del dolo, che l'imputato ben consapevole della procedura da seguire, non si fosse dotato dell'apposita 'autorizzazione' indicata nell'ordinanza cautelare.

In ogni caso, i motivi della repentina uscita non era così gravi da giustificare uno stato di necessità e non attendere il provvedimento autorizzatorio (dal certificato stilato dal pronto soccorso si ricavava che era giunto in 'crisi di ansia', sottoposto a visita psichiatrica e dimesso in codice verde) e non era ravvisabile uno stato di necessità neppure putativo (avendo l'imputato riferito di essersi recato in ospedale solo per una crisi di ansia).

Era ritenuto anche significativo dalla Corte di appello che l'imputato fosse giunto al pronto soccorso dopo molto tempo, quando invece era stato accertato che erano sufficienti al massimo tre quarti d'ora per coprire la distanza tra la casa e l'ospedale con i mezzi pubblici.

  1. Avverso la sentenza suddetta, l'imputato, a mezzo del suo difensore, ricorre per l'annullamento, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Vizio di motivazione anche per travisamento della prova in ordine al dolo.

Risulterebbe travisato il dato della necessità della previa autorizzazione, posto che, come riferito dal teste Dimitri, la procedura già attivata in passato in simili casi, era quella di avvisare il centralino del 112 o del 118.

Di qui la Corte di appello avrebbe illogicamente motivato il dolo del reato, posto che al più poteva essere attribuita al ricorrente una condotta colposa nel non aver effettuato la solita telefonata per avvisare.

2.2. Vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine all'esimente di cui all'art. 54 cod. pen.

La Corte di appello, nell'escludere la sussistenza dello stato di necessità, non avrebbe tenuto conto di quanto affermato dal teste Dimitri sulla situazione patologica del ricorrente (i disturbi lo mandavano in 'stato confusionale'), tale da giustificare improvvisi e frequenti accessi al pronto soccorso.

2.3. Vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine alla ricostruzione del fatto.

La Corte di appello avrebbe travisato anche il dato emergente sempre dalla deposizione del teste Dimitri, secondo cui il ricorrente si sarebbe recato in ospedale alcune ore dopo l'uscita di casa.

Il teste aveva dichiarato che il ricorrente si era recato a piedi al pronto soccorso e che era molto difficile coprire il percorso predetto con i mezzi pubblici.

2.4. Vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine all'art. 89 cod. pen.

La Corte di appello non avrebbe tenuto conto dei dati fattuali emersi dalla deposizione del teste Dimitri in ordine ai problemi di natura psichiatrica del ricorrente, confermati dalla visita subita in ospedale, che in ogni caso introducevano un ragionevole dubbio sulla sua capacità di intendere e di volere.

2.5. Violazione di legge in relazione alla fattispecie di cui all'art. 385, quarto comma, cod. pen.

La Corte di appello avrebbe fornito un'errata applicazione della suddetta norma, là dove ha escluso che la circostanza che l'imputato si sia spontaneamente recato in ospedale non avrebbe rilevanza al fine di far cessare la sua latitanza o clandestinità.

considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile in quanto i motivi proposti si limitano a reiterare le medesime censure versate nell'appello e che la sentenza impugnata ha affrontato con motivazione priva di manifesti vizi logici o errori giuridici.

Quanto al primo motivo, è sufficiente rilevare che i giudici di merito hanno accertato che l'imputato, che era tenuto in base alle prescrizioni indicate nel provvedimento cautelare ad informare le autorità addette al suo controllo delle uscite, non aveva attivato alcuna forma di comunicazione, neppure telefonica.

La Corte di appello ha posto in evidenza, ai fini del dolo, che l'imputato era ben al corrente di tale proceduta, tanto da averla già attuata in occasioni precedenti.

In ordine al secondo motivo, il ricorrente non si confronta con il ragionamento seguito dalla Corte di appello, sollecitando una alternativa lettura dei dati processuali, notoriamente preclusa in questa sede.

La sentenza impugnata ha ritenuto, con accertamento in fatto non manifestamente illogico, priva di fondamento la tesi dell'imputato in ordine all'impossibilità di dare avviso alla polizia locale, in considerazione sia della giustificazione data dallo stesso imputato per la sua uscita (mera crisi di ansia) sia del referto stilato al pronto soccorso.

Quanto alla rilevanza della deposizione del teste Dimitri, va rammentato che va escluso che possa configurare il vizio di motivazione, anche nella forma del cosiddetto travisamento della prova, un presunto errore nella valutazione del 'significato' probatorio della prova medesima (ex multis, Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087), dovendo l'errore percettivo avere ad oggetto il risultato di una prova incontrovertibilmente diverso, nella sua oggettività, da quello effettivo (tra tante, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406).

La novella codicistica, introdotta con la L. del 20 febbraio 2006, n. 46, che ha riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell'ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta, comunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (tra tante, Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099).

Le stesse osservazioni vanno riferite anche al terzo motivo, in cui il ricorrente, nel richiamare la deposizione del teste Dimitri, mira a sollecitare una nuova valutazione dei fatti.

Con l'appello, il ricorrente aveva contestato che fosse eccessivo un tempo di tre ore per raggiungere l'ospedale 'a piedi o con mezzi di fortuna', rilevando che anche il teste Dimitri aveva fornito utili indicazioni (l'imputato non disponeva di mezzi propri e non vi erano mezzi pubblici nella zona dove abitava).

Orbene, il teste Dimitri non aveva affatto dichiarato con quali mezzi fosse giunto l'imputato in ospedale (' a piedi o col pullman....non si sa ... chi l'ha accompagnato, cioè non si sa come..'), mentre aveva fornito un'indicazione precisa sul tempo necessario per coprire la distanza dalla casa all'ospedale, pur dimostrando di ben conoscere come fosse servita la zona in ordine ai mezzi pubblici.

Quanto alla imputabilità dell'imputato, il motivo non si correla ancora una volta con quanto sul punto argomentato dai giudici di merito.

La Corte di appello, nel rispondere ad un analogo rilievo formulato dal ricorrente, ha escluso che il ricorrente versasse in una situazione rapportabile a quella di cui all'art. 89 cod. pen., in ragione di quanto riferito dal medesimo in sede di anamnesi e comunque accertato dai medici del pronto soccorso.

Parimenti aspecifico, oltre che privo di alcun fondamento è l'ultimo motivo.

La Corte di appello ha invero escluso, con motivazione non censurabile, che ricorressero le condizioni per il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 385, comma quarto, cod. pen.

E' infatti indispensabile per il suo riconoscimento che la persona evasa dalla detenzione domiciliare si presenti presso un istituto carcerario o si consegni ad un'autorità che abbia l'obbligo di tradurla in carcere (tra tante, Sez. 6, n. 4957 del 21/10/2014, dep. 2015, Comandatore, Rv. 262154).

All'inammissibilità dell'impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in Euro 2.000,00 (duemila).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.