In tema di estradizione per l'estero, quando l'eventuale convenzione prevede un termine diverso da quello codicistico per la eventuale revoca della custodia ceutelare estradizionale senza che sia stta ricevuta la domanda di estradizione e la relativa documentazione, deve ritenersi applicabile il termine di quaranta giorni previsto dalla disciplina ordinaria di cui all'art. 715, comma sesto, cod. proc. pen., stante il carattere meramente opzionale del diverso limite temporale contenuto nella norma pattizia, rimasta priva di una specifica norma di adattamento nell'ordinamento interno.
Le norme di diritto internazionale pattizio sono rivolte principalmente agli Stati contraenti: il carattere progressivamente assorbente che ha assunto negli anni la connotazione giuridica del rapporto estradizionale, rispetto alla dimensione squisitamente politica, ha fatto sì che venissero ad assumere sempre maggior rilievo i diritti dell'estradando, così da trasformare talune prerogative statuali in presidi e garanzie dell'individuo. Ed in tale ottica, devono ora leggersi le disposizioni pattizie, di cui si è detto, che prevedono termini perentori per la liberazione dell'estradando, così da evitare la protrazione oltre un termine ragionevole dello status detentionis della persona ricercata a causa dell'inerzia dello Stato richiedente nel trasmettere la formale domanda ed il dossier estradizionale. Esse pertanto assumono la funzione di garanzia per l'estradando della durata massima della misura provvisoria, suscettibile di protrarsi indefinitamente.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Sez. VI, Sent., (ud. 19/11/2010) 25-11-2010, n. 41728
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGINIO Adolfo - Presidente
Dott. GRAMENDOLA Francesco P. - Consigliere
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere
Dott. CITTERIO Carlo - Consigliere
Dott. CALVANESE Ersilia - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
K.M., nato in (OMISSIS);
avverso la ordinanza del 16/09/2010 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. CALVANESE Ersilia;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRATICELLI Mario che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 16 settembre 2010, la Corte di appello di Milano rigettava l'istanza di scarcerazione presentata da K.M., detenuto al fine della sua estradizione in Marocco.
In particolare, l'istante aveva dedotto che non era stata trasmessa la domanda estradizionale nel termine di trenta giorni dal suo arresto e pertanto doveva essere disposta la sua liberazione, come previsto dalla normativa pattizia.
La Corte di appello riteneva invece non verificata la dedotta perenzione, perchè erano stati trasmessi dallo Stato richiedente tutti gli atti necessari nel termine di quaranta giorni, previsto dall'art. 715 c.p.p., assegnando natura non perentoria al più breve termine previsto dalla normativa convenzionale.
2. Avverso la suddetta ordinanza ricorre il M., deducendo:
- la violazione dell'art. 38 del trattato bilaterale di estradizione tra Italia e Marocco del 12 febbraio 1971, sostenendo che la suddetta disposizione, lungi dall'attribuire all'autorità giudiziaria una mera facoltà di scarcerazione, prevede che si faccia luogo ad istanza parte di parte alla liberazione dell'estradando, scaduto il termine ivi previsto:
- il vizio di motivazione, per carenza di motivazione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso non è fondato.
Risulta dagli atti che: K.M. è stato arrestato, ai sensi dell'art. 715 c.p.p., in data 14 luglio 2010; il giorno successivo veniva comunicato al Governo del Regno del Marocco l'avvenuto arresto; il successivo 16 luglio l'arresto veniva convalidato dal Presidente della Corte di appello di Milano e veniva emessa la misura cautelare custodiale; il 21 luglio veniva poi notiziato il governo richiedente dell'adozione della misura cautelare; ed infine il Ministero degli Esteri italiano riceveva in data 24 agosto la formale domanda di estradizione.
Ciò premesso, si osserva che l'art. 38 della Convenzione di reciproca assistenza giudiziaria, di esecuzione delle sentenze e di estradizione, firmato a Roma il 12 febbraio 1971 e ratificato con la L. 12 dicembre 1973, n. 1043, stabilisce che "Si potrà porre fine all'arresto provvisorio se nel termine di 30 giorni dall'arresto, il governo richiesto non avrà ricevuto la domanda di estradizione e i documenti menzionati allo art. 36. La liberazione non esclude l'arresto e la estradizione se la domanda di estradizione perviene ulteriormente" (nella versione francese "Il pourra etre mis fin à l'arrestation provisoire si, dans le delai de 30 jours apres l'arrestation, le gouvernement requis n'a pas ete saisi de la demande d'extradition et des documents mentionnes à l'article 36. La mise en libertè ne s'oppose pas à l'arrestation et à l'extradition si la demande d'extradition parvient ulterieurement").
Questa disposizione disciplina un istituto tradizionalmente previsto dalle norme pattizie in materia estradizionale, quello della ed "perenzione dell'arresto provvisorio", volto a stabilire un limite temporale alla collaborazione prestata dallo Stato di rifugio con la cattura della persona ricercata sulla base della sola richiesta dello Stato richiedente, contenente il formale impegno della presentazione della domanda estradizionale.
La norma in esame tuttavia si discosta dalle previsioni contenute nei principali trattati firmati dall'Italia, attribuendo allo Stato richiesto soltanto la "facoltà" di porre fine all'arresto provvisorio allo scadere del termine ivi previsto, mentre di regola le norme pattizie stabiliscono termini perentori per la cessazione dell'arresto allo scadere di un determinato termine (che può variare da trattato a trattato) oppure prevedono un termine minino, opzionale, ed uno massimo, perentorio (come ad es. la Convenzione Europea di estradizione, in tal senso v. Sez. 6, n. 19636 del 31/03/2004, dep. 28/04/2004, Ouattara, Rv. 228870).
Sulla portata di questa disposizione deve osservarsi che, trattandosi di norma di diritto internazionale pattizio, essa è rivolta principalmente agli Stati contraenti. Con i trattati di estradizione infatti i governi si obbligano reciprocamente ad assistersi nella consegna di persone ricercate a fini di giustizia, dando vita ad un rapporto nel quale tradizionalmente non è riconosciuta all'individuo una soggettività di diritto internazionale.
Vero è che il carattere progressivamente assorbente che ha assunto negli anni la connotazione giuridica del rapporto estradizionale, rispetto alla dimensione squisitamente politica, ha fatto sì che venissero ad assumere sempre maggior rilievo i diritti dell'estradando, così da trasformare talune prerogative statuali in presidi e garanzie dell'individuo. Ed in tale ottica, devono ora leggersi le disposizioni pattizie, di cui si è detto, che prevedono termini perentori per la liberazione dell'estradando, così da evitare la protrazione oltre un termine ragionevole dello status detentionis della persona ricercata a causa dell'inerzia dello Stato richiedente nel trasmettere la formale domanda ed il dossier estradizionale. Esse pertanto assumono la funzione di garanzia per l'estradando della durata massima della misura provvisoria, suscettibile di protrarsi indefinitamente.
Diversa appare invece la portata della disposizione dell'art. 38 cit., che conferendo allo Stato di rifugio una mera facoltà di dar luogo alla liberazione dell'estradando, appare rivolta preminentemente agli Stati Parte del rapporto estradizionale, non regolando poteri e competenze degli organi interni degli Stati contraenti, che possono quindi disciplinare liberamente sul piano interno l'esercizio di tale facoltà.
Un esempio in tal senso è la previsione contenuta in molti trattati della facoltà dell'estradizione del cittadino, alla quale non corrisponde sul piano interno una norma che attribuisca la relativa decisione all'autorità giudiziaria italiana, che si ritiene pertanto demandata alla scelta discrezionale dell'organo di governo (tra le tante, Sez. 6, n. 26587 del 12/06/2008, dep. 02/07/2008, Ballili, Rv. 240570).
L'attribuzione al ministro deriva, infatti, dalle norme del codice di procedura penale ed in particolare dagli artt. 697 e 708 che riservano a tale autorità il potere di concedere l'estradizione e quindi anche quello di esercitare le opzioni eventualmente concesse dall'accordo applicabile, mentre all'autorità giudiziaria spetta di esaminare la sussistenza delle condizioni - previste in sede convenzionale ed eventualmente dal diritto interno - cui l'estradizione è subordinata.
In altri casi, invece il legislatore ha disciplinato positivamente sul piano interno l'attuazione della norma pattizia, con disposizioni emanate in sede di ratifica del trattato o in via generale, che, in virtù del principio, ribadito anche dall'art. 696 c.p.p., della prevalenza delle convenzioni internazionali sulla disciplina interna, non devono in ogni caso risultare incompatibili con gli impegni assunti. Basti qui ricordare, ad esempio, la disposizione contenuta nell'art. 8 della Convenzione Europea di estradizione del 1957, che disciplina la facoltà il diniego dello Stato richiesto di concedere l'estradizione in caso di "litispendenza internazionale", alla quale corrisponde nell'ordinamento interno il divieto di estradare, previsto dall'art. 705 c.p.p., comma 1, ultima parte, allorquando penda un procedimento penale nello Stato per il medesimo fatto (in tal senso, v. Corte cost, sent. n. 58 del 1997).
2. Fatte queste necessarie premesse, nella fattispecie sottoposta dal presente ricorso va rilevato che in sede di ratifica del Trattato del 1971 non sono state emanate specifiche disposizioni di adattamento in relazione all'art. 38, con la conseguenza che deve venire in applicazione, nei limiti suddetti, la disciplina contenuta nel codice di rito.
L'art. 715 c.p.p., comma 6, invero, stabilisce che le misure cautelari sono revocate se entro quaranta giorni dalla comunicazione allo Stato estero dell'applicazione in via provvisoria della misura coercitiva e dell'eventuale sequestro non sono pervenuti al ministero degli affari esteri o a quello della giustizia la domanda di estradizione e i documenti previsti dall'art. 700.
Si tratta di una disposizione che impone alla autorità giudiziaria la liberazione dell'estradando, se pur a condizioni sensibilmente diverse dalla norma pattizia in esame, ma con essa non incompatibili, a norma dell'art. 696 c.p.p., comma 2. L'incompatibilità a cui fa riferimento la norma da ultimo citata va infatti stabilita alla luce dell'oggetto e dello scopo del Trattato in esame (in tal senso cfr. art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969), costituiti dalla reciproca obbligazione assunta dagli Stati Parte di consegnarsi gli individui ricercati a fini di giustizia, che si trovano nei rispettivi territori.
Può pertanto concludersi che correttamente l'ordinanza impugnata ha applicato il termine massimo di durata della misura cautelare dei 40 giorni previsto dalla norma di rito, dovendosi ritenere quello inferiore contenuto nella norma pattizia, meramente opzionale (v mutatis mutandis Sez. 6, n. 19636 del 31/03/2004, dep. 28/04/2004, Ouattara, cit.)- Alla stregua della norma codicistica, nel caso in esame la documentazione estradizionale è pervenuta prima della perenzione dell'arresto.
3. Vi è infine da aggiungere per completezza che, in ogni caso, anche accedendo alla tesi del ricorrente, non andava disposta la liberazione dell'estradando, in quanto il Trattato prevede, in caso di superamento del termine ivi previsto, che si faccia luogo ad un nuovo arresto se la domanda di estradizione perviene ulteriormente.
Tale disposizione, contenuta di regola nei trattati in materia, è stata interpretata da questa Corte, con riferimento alla Convenzione Europea di estradizione, nel senso di escludere che la perenzione dell'arresto provvisorio imponga l'effettiva scarcerazione dell'estradando qualora, nelle more, la detenzione si sia protratta sino alla data in cui lo Stato richiesto abbia ricevuto la formale domanda di estradizione (Sez. 6, n. 35895 del 12/07/2004, dep. 03/09/2004, Orkisz, Rv. 230014). Nel caso di specie, la domanda di scarcerazione è stata presentata il 24 agosto 2010, ovvero lo stesso giorno in cui è pervenuta la domanda estradizionale.
4. Quanto alla carenza di motivazione, la doglianza del ricorrente non può essere accolta, posto che la Corte di appello ha motivato, se pur sinteticamente, sulle ragioni per le quale l'istanza non poteva essere accolta.
5. Conclusivamente, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2010