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Cronaca giudiziaria e giornalismo di inchiesta: ammesso sacrificio della verità? (Cass. 2092/19)

17 gennaio 2019, Cassazione penale

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non costituisce reato la formulazione, nell’ambito di un’inchiesta giornalistica, di affermazioni e ricostruzioni che rechino valutazioni offensive della reputazione dei soggetti coinvolti, quando i dati di cronaca assumano una funzione meramente strumentale per supportare un giudizio critico di contenuto diverso e più ampio, di attuale e pubblico interesse; l’attualità della notizia deve, infatti, essere riguardata non con riferimento al fatto ma all’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e, quindi, alla attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione, di guisa che ognuno possa liberamente orientarsi, con la conseguenza che solo una notizia dotata di utilità sociale può perdere rilevanza penale, ancorché capace di ledere l’altrui reputazione, e tale utilità è necessariamente connotata dall’attualità dell’interesse alla pubblicazione.

Il giornalista deve esaminare e controllare attentamente la notizia in modo da superare ogni dubbio e la cronaca giudiziaria è lecita quando sia esercitata correttamente, limitandosi a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé ovvero a riferire o a commentare l’attività investigativa o giurisdizionale, mentre ove informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario siano utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti e autonomamente offensive, il giornalista deve assumersi direttamente l’onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza, non potendo reinterpretare i fatti nel contesto di un’autonoma e indimostrata ricostruzione giornalistica.

Di guisa che la verità della notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste qualora essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, sicché è sufficiente che l’articolo pubblicato corrisponda al contenuto degli atti e dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, non potendo richiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria (Sez. 5, n.43382 del 16/11/2010, Lillo, Rv. 248950: la Corte ha altresì precisato che il criterio della verità della notizia deve essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo e non già secondo quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale).

Il diritto di cronaca, che può comportare qualche sacrificio dell’accuratezza della verifica della verità del fatto narrato e della bontà della fonte per esigenze di velocità, presuppone la immediatezza della notizia e la tempestività dell’informazione, e, pertanto, non ricorre quando si offre il resoconto di fatti distanti nel tempo, in relazione ai quali è legittimo pretendere una attenta verifica di tutte le fonti disponibili, con la conseguenza che, laddove si dà conto di vicende giudiziarie, incombe l’obbligo di accertare e rappresentare compiutamente lo sviluppo degli esiti processuali delle stesse

 

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 novembre 2018 – 17 gennaio 2019, n. 2092
Presidente Pezzullo – Relatore Tudino

Ritenuto in fatto

1.Con la sentenza impugnata, emessa il 30 novembre 2016, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale di Cassino che aveva affermato la responsabilità di P.A. e D.M.G. per il reato di diffamazione aggravata, oltre alle statuizioni civili.
I fatti riguardano la pubblicazione, sul quotidiano (omissis) , nell’edizione del (omissis) , di un articolo, dal titolo "( omissis) ", avente ad oggetto la ricostruzione delle circostanze in cui era venuto a maturare l’omicidio di F.I.A. , attinto da 44 coltellate nel corso di una festa, e per il quale era stato tratto in arresto il coetaneo M.G. .
Pur all’esito delle censure defensionali, la corte territoriale ha ritenuto correttamente ascrivibile il fatto agli imputati, nelle rispettive qualità di direttore responsabile e di giornalista estensore, e non riconducibile all’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria il contenuto dell’articolo.
2.Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, per mezzo del Difensore, Avv. DL, articolando - con unico motivo - plurime censure inerenti violazione e falsa applicazione della legge penale in riferimento alla sussistenza della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di critica e correlato vizio della motivazione, incentrate anche sulla diversa ricostruzione dei profili di rilevanza penale del fatto apprezzati dalla corte territoriale, diversamente da quanto ritenuto in primo grado, ed al mancato riconoscimento della causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen..

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

2. Va, in via generale, premesso come in tema di esimenti del diritto di critica e di cronaca, la giurisprudenza di questa Corte si esprima ormai in termini consolidati in riferimento ai requisiti caratterizzanti il necessario bilanciamento dei valori in conflitto, individuandoli nell’interesse sociale, nella continenza del linguaggio e nella verità del fatto narrato.

2.1 Nella delineata prospettiva, è stato evocato anche il parametro dell’attualità della notizia, nel senso che una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicità della condotta lesiva della altrui reputazione deve essere ravvisata nell’interesse generale alla conoscenza del fatto nel momento storico, e dunque nell’attitudine della informazione a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che il cittadino possa liberamente orientare le proprie scelte (tra le tante, Sez. 5, n. 39503 del 11/05/2012, Clemente, Rv. 254789), anche nel campo d’indagine dei fenomeni sociologici.

2.2 Con specifico riferimento al diritto di cronaca giudiziaria, ai fini della configurabilità dell’esimente, il giornalista deve esaminare e controllare attentamente la notizia in modo da superare ogni dubbio (Sez. 5, n.35702 del 19/05/2015, P.O. in proc. Case, Rv. 265015) e la cronaca giudiziaria è lecita quando sia esercitata correttamente, limitandosi a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé ovvero a riferire o a commentare l’attività investigativa o giurisdizionale, mentre ove informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario siano utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti e autonomamente offensive, il giornalista deve assumersi direttamente l’onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza, non potendo reinterpretare i fatti nel contesto di un’autonoma e indimostrata ricostruzione giornalistica (Sez. 1, n.7333 del 28/01/2008, Mauro, Rv. 239163).
Di guisa che la verità della notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste qualora essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, sicché è sufficiente che l’articolo pubblicato corrisponda al contenuto degli atti e dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, non potendo richiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria (Sez. 5, n.43382 del 16/11/2010, Lillo, Rv. 248950: la Corte ha altresì precisato che il criterio della verità della notizia deve essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo e non già secondo quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale).

Il diritto di cronaca, che può comportare qualche sacrificio dell’accuratezza della verifica della verità del fatto narrato e della bontà della fonte per esigenze di velocità, presuppone la immediatezza della notizia e la tempestività dell’informazione, e, pertanto, non ricorre quando si offre il resoconto di fatti distanti nel tempo, in relazione ai quali è legittimo pretendere una attenta verifica di tutte le fonti disponibili, con la conseguenza che, laddove si dà conto di vicende giudiziarie, incombe l’obbligo di accertare e rappresentare compiutamente lo sviluppo degli esiti processuali delle stesse (Sez. 1, n.13941 del 08/01/2015, P.C. in proc. Ciconte, Rv. 263064).
3.3 Siffatta impostazione ermeneutica si pone in linea con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui la incriminazione della diffamazione costituisce una interferenza con la libertà di espressione e quindi contrasta, in principio, con l’art. 10 CEDU, a meno che non sia "prescritta dalla legge", non persegua uno o più degli obiettivi legittimi ex art. 10 par. 2 e non sia "necessaria in una società democratica".

In riferimento agli enunciati limiti, la Corte EDU ha, in varie pronunce, sviluppato il principio inerente la verità del fatto narrato per ritenere giustificabile la divulgazione lesiva dell’onore e della reputazione: ed ha declinato l’argomento in una duplice prospettiva, distinguendo tra dichiarazioni relative a fatti e dichiarazioni che contengano un giudizio di valore, sottolineando come anche in quest’ultimo sia comunque sempre contenuto un nucleo fattuale che deve essere sia veritiero che oggettivamente sufficiente per permettere di trarvi il giudizio, versandosi, altrimenti, in affermazione offensiva eccessiva, non giustificabile perché assolutamente priva di fondamento o di concreti riferimenti fattuali.
Nella delineata prospettiva si pone la sentenza CEDU Mengi vs. Turkey, del 27.2.2013, che costituisce la più avanzata ricognizione della posizione della Corte in materia di art. 10 della Carta nella distinzione tra diritto di critica e diritto di cronaca, distinguendo tra statement of facts (oggetto di prova) e value judgements (non suscettibili di dimostrazione).

4. Applicando gli enunciati principi al caso in esame, si appalesa evidente l’erronea applicazione dell’art. 51 cod. pen.. e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza della scriminante del legittimo esercizio del diritto di critica.

4.1. Va, al riguardo, rilevato come la stessa corte territoriale abbia diversamente dal giudice di primo grado - escluso il difetto di veridicità - o, almeno, di verosimiglianza - delle affermazioni, contenute nell’articolo in disamina, relative al coinvolgimento di F.I.A. , vittima del brutale omicidio per il quale era indagato M.G. , in attività di spaccio di stupefacenti, ravvisando una concreta lesione alla reputazione del predetto F. , non giustificata dall’esercizio del diritto di cronaca, in ragione della sostanziale equiparazione, sotto il medesimo profilo di censurabilità etico-sociale, della condotta omicida rispetto a quella riferita alla vittima.
L’apprezzamento di siffatto profilo - esplicitamente evocato nell’imputazione e che non involge, pertanto, alcuna immutazione del fatto contestato, come invece prospettato dalla difesa - non appare, tuttavia, immune da censure.
Dalla lettura del testo in contestazione emerge, all’evidenza, come l’articolista non si sia limitato ad un resoconto giudiziario, ma abbia, invece, inteso approfondire, in chiave critica, l’analisi sociologica del contesto in cui l’omicidio del F. fu consumato, tratteggiando il profilo soggettivo dei due giovani coinvolti al fine di evidenziarne comuni tratti generazionali, caratterizzati da forme di edonismo e cinismo, pur nella diversità dei ruoli (vittima il F. e indagato di omicidio il M. ) declinati nel caso di cronaca che aveva ispirato la pubblicazione.
Nella delineata prospettiva, l’espressione "vittima e omicida si somigliano terribilmente in questa storia incredibile...ragazzi apparentemente normali ma spietati" evidenzia l’elaborazione di un giudizio critico comparativo finalizzato alla sottolineatura di una comune matrice generazionale, che muove verso una - pretesa - forma di giornalismo d’inchiesta inteso a stigmatizzare un progressivo deterioramento di valori, la ricerca di facili forme di guadagno (a fini narcisistici, come emerge dal titolo "(OMISSIS) ") e di divertimento (l’omicidio sarebbe maturato nel corso di una festa in cui era previsto il consumo di stupefacenti), ma non sottende - per la stessa valenza semantica delle espressioni utilizzate ed alla luce della complessiva lettura del testo - alcuna forma di equiparazione, sotto il medesimo profilo di censurabilità etico-sociale, della condotta omicida rispetto a quella riferita alla vittima, come ritenuto dalla corte territoriale.

Non può, pertanto, ritenersi che l’imputata abbia posto in essere una gratuita lesione alla reputazione del F., mentre non può escludersi nel testo - formulato con una sintassi forse ancora immatura rispetto all’analisi che si è inteso svolgere - anche il requisito della continenza, così come declinato nella giurisprudenza di questa corte nell’accezione di "...proporzione, misura e continenti sono quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati rispetto ai fini del concetto da esprimere e alla controllata forza emotiva suscitata dalla polemica su cui si vuole instaurare un lecito rapporto dialogico e dialettico".

5. Le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’appello di Roma non sono, dunque, condivisibili, poiché il diritto di cronaca, nella sua declinazione di manifestazione del pensiero critico di più ampia valenza, è stata esercitato nel rispetto dei limiti di veridicità, attualità e continenza che delineano la scriminante dell’esercizio del diritto tutelato dall’art. 21 Cost. e art. 51 cod. pen..
Deve essere, pertanto, affermato il principio di diritto per cui in tema di diffamazione a mezzo stampa, non costituisce reato la formulazione, nell’ambito di un’inchiesta giornalistica, di affermazioni e ricostruzioni che rechino valutazioni offensive della reputazione dei soggetti coinvolti, quando i dati di cronaca assumano una funzione meramente strumentale per supportare un giudizio critico di contenuto diverso e più ampio, di attuale e pubblico interesse; l’attualità della notizia deve, infatti, essere riguardata non con riferimento al fatto ma all’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e, quindi, alla attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione, di guisa che ognuno possa liberamente orientarsi, con la conseguenza che solo una notizia dotata di utilità sociale può perdere rilevanza penale, ancorché capace di ledere l’altrui reputazione, e tale utilità è necessariamente connotata dall’attualità dell’interesse alla pubblicazione.

6. Poiché la decisione della Corte di appello di Roma, rinviando anche a quella di prima grado, ha ricostruito la vicenda in punto di fatto perché possano ritenersi sussistenti i presupposti della suindicata scriminante, questa Corte può, a norma dell’art. 620 c.p.p., lett. L), procedere ad annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con la formula perché il fatto non costituisce reato; formula da adottarsi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui siano integrati gli elementi oggettivi del reato contestato ma sussista una causa di giustificazione, che elimina l’antigiuridicità penale, ed esclude di conseguenza il reato (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, P.C. in proc. Guerra, Rv. 240815; Sez. 5, 20 marzo 2007).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.