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Criticare il proprio difensore è reato? (Cass. 44917/17)

2 ottobre 2017, Cassazione penale e Nicola Canestrini

Il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l’utilizzo di "argumenta ad hominem".

In materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie.

 

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 aprile – 29 settembre 2017, n. 44917
Presidente Lapalorcia – Relatore Pezzullo

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza del 21/03/2016, il Tribunale di Teramo, confermava la sentenza del locale Giudice di Pace dell’1/12/2014, con la quale P.S. era stata condannata al pagamento di Euro 300,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, per il reato di cui all’art. 595/1 c.p., per aver offeso la reputazione dell’avv. L.G. , suo difensore d’ufficio, nell’ambito di un procedimento penale che la interessava, inviando al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di (…) due esposti, contenenti espressioni diffamatorie sulla sua persona e lesive della propria dignità professionale, con cui affermava riferendosi appunto alla L. ".. mentre rideva con volgarità e superficialità indifferente alla mia sofferenza... non capisco dove inizia la fantasia e dove finisce la realtà con l’Avv. L. . So solo che il limite del contatto con la realtà viene facilmente oltrepassato dall’Avv. L. e questo mi spaventa molto... ora mi ritrovo ad essere difesa da una persona che di nuovo non ha alcun riguardo nei confronti dei limiti imposti dalla realtà. E quello che è peggio è che non è minimamente interessata a conoscere la verità... vuole il diritto di difendermi per i soldi... l’Avv. L. non mi considera un essere umano".
2. Avverso tale sentenza l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del suo difensore di fiducia, affidato a due motivi di ricorso, lamentando:
-con il primo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione all’art. 595 c.p., in quanto il Giudice di appello ha omesso qualsiasi motivazione riguardo alla valenza offensiva delle frasi asseritamente diffamatorie, contenute nell’esposto del 10/12/2012, affermando apoditticamente che l’Avv. L. sia stata offesa nella sua reputazione, laddove le espressioni contestate sono, invece, carenti di offensività;
-con il secondo motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli artt. 595, 51, 54 e 598 c.p., ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e) c.p.p., in quanto, in relazione all’art. 51 c.p., l’esposto al competente Consiglio dell’Ordine forense, contenente accuse di condotte deontologicamente rilevanti tenute dal professionista nei confronti del cliente denunciante, costituisce esercizio di legittima tutela degli interessi di quest’ultimo, attraverso il diritto di critica, essendo, tra l’altro, le espressioni usate dalla deducente, indubbiamente colorite, ma non tali da eccedere i limiti della continenza; in ogni caso, doveva trovare applicazione l’esimente di cui all’art. 598 c.p., di cui ricorrevano i presupposti di legge, in quanto non era dubbio che l’esposto inviato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di (…) rientrasse nella categoria degli scritti attraverso i quali si esercita l’attività difensiva prevista dall’art. 598 c.p.; lo svolgimento, a seguito dell’esposto, di un giudizio disciplinare instaurato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati nei confronti di un iscritto deve qualificarsi come procedimento, ai sensi dell’art. 598 c.p. ed il Consiglio dell’Ordine forense esercita poteri di un’Autorità amministrativa, quale quello disciplinare, suscettibile di essere sottoposto a successivo controllo giurisdizionale, come previsto dall’art. 589 c.p..

Considerato in diritto

Il ricorso non merita accoglimento.
1. Il primo motivo di ricorso con il quale l’imputata si duole della mancata valutazione da parte dei giudici di merito dell’offensività delle frasi indirizzate alla p.o. si presenta infondato, atteso che, sebbene la Corte territoriale non si sia diffusamente soffermata sulla natura delle espressioni in questione, la valutazione di offensività di esse è stata comunque effettuata laddove a pg. 3 della sentenza impugnata la Corte territoriale ha evidenziato come le espressioni di cui alla rubrica non si "limitavano a contestare l’operato della professionista, ma trascendendo i limiti della moderazione espressiva e della continenza formale, si risolvevano in una vera e propria aggressione arbitraria all’altrui sfera giuridica, attuata mediante ricorso ad apprezzamenti deliberatamente esulanti dal perimetro tracciato dalla critica allo svolgimento dell’attività del prestatore di opera intellettuale". Da tale argomentare, dunque, senz’altro si ricava l’analisi- sebbene in maniera succinta - delle frasi in contestazione, risultando in proposito correttamente motivata sostanzialmente la loro oggettiva valenza offensiva, specie nelle espressioni "mentre rideva con volgarità e superficialità indifferente alla mia sofferenza..". ovvero "vuole il diritto di difendermi per i soldi”.
Peraltro, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie (Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014). Inoltre, neppure la ricorrente individua specifiche ragioni per le quali le frasi in questione sarebbero da ritenersi carenti di offensività.
2. Il secondo motivo di ricorso, circa l’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 598 c.p., nel caso di espressioni contenute in un esposto inviato al Consiglio dell’Ordine forense, è anch’esso infondato. In proposito è sufficiente richiamare i principi più volte affermati da questa Corte secondo cui l’esimente di non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative (art. 598 cod. pen.) non è applicabile qualora le espressioni offensive siano contenute in un esposto inviato al Consiglio dell’Ordine forense, in quanto l’autore dell’esposto non è parte nel successivo giudizio disciplinare e l’esimente "de qua" attiene agli scritti difensivi, in senso stretto, con esclusione di esposti e denunce, pur se redatti da soggetti interessati (Sez. 5, n. 31175 del 21/05/2009; Sez. 5, n 24003 del 29/04/2010). In tal caso potrebbe configurarsi, infatti, la generale causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen., "sub specie" di esercizio del diritto di critica, preordinato ad ottenere il controllo di eventuali violazioni delle regole deontologiche, che nella fattispecie per le ragioni dette non si configura. Invero il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l’utilizzo di "argumenta ad hominem" (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010), così come avvenuto nella fattispecie in esame con l’utilizzo delle espressioni sopra riportate.
3. Il ricorso va, dunque, rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di parte civile che vanno liquidate liquida in Euro 2000,00 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di parte civile che liquida in Euro 2000,00 oltre accessori di legge.