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Correlazione tra accusa e sentenza: consentita diversa qualificazione del fatto (Cass. 422/20)

9 gennaio 2020, Nicola Canestrini

In tema di correlazione tra accusa e sentenza, la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce del principio affermato da Corte EDU 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, essendo consentito all'imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione.

Il giudice, anche in sede di legittimità, può ad una diversa e più grave qualificazione giuridica del fatto, purché prevedibile cioè non il frutto di un atto "a sorpresa" del giudice. In tale prospettiva il potere di attribuire una più grave qualificazione giuridica ai fatti accertati, qualora non esercitato dal giudice di merito, è riconosciuto anche alla Corte di cassazione semprechè le parti siano state rese edotte della possibilità della diversa qualificazione.

Nessun problema, dunque, può sorgere, in punto di prevedibilità e di attuazione del contraddittorio, nelle ipotesi in cui la diversa qualificazione giuridica del fatto venga sollecitata dalle parti, come tema espressamente enucleato nei motivi di impugnazione, ovvero prospettato, preliminarmente o nella successiva requisitoria.

Non vi è violazione del principio di correlazione fra accusa e condanna nel caso di condanna per delitto consumato a fronte della contestazione di delitto tentato, quando non vi è modifica del fatto penalmente rilevante indicato in contestazione e l'imputato è stato in condizione di difendersi su tutti gli elementi oggetto dell'addebito, trattandosi in tal caso solo di una riqualificazione giuridica dello stesso fatto.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

(ud. 19/11/2019) 09-01-2020, n. 422

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente -

Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere -

Dott. CALVANESE Ersilia - rel. Consigliere -

Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere -

Dott. ROSATI Martino - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI BRESCIA;

nel procedimento a carico di:

1. P.C., nato a (OMISSIS);

2. Z.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 18/02/2019 della Corte di appello di Brescia;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CALVANESE Ersilia;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ORSI Luigi, che ha concluso chiedendo che la sentenza sia annullata senza rinvio.

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Brescia con sentenza del 18 febbraio 2019 confermava la sentenza emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Brescia con la quale Z.A. e P.C. erano stati condannati, all'esito di giudizio abbreviato, alla pena ritenuta di giustizia per i reati agli stessi rispettivamente ascritti.

In particolare, Z. e P. erano stati ritenuti responsabili dei reati di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 56 e 73, contestati ai capi C) e E) della rubrica, relativi a due episodi di tentata importazione in Italia di consistenti quantitativi di cocaina, commessi tra il luglio e il novembre 2013; inoltre P. anche per i reati di cui ai capi B) e D), relativi ad altri due analoghi episodi di tentata importazione, commessi tra il giugno e il settembre 2013.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Violazione di legge (art. 521 c.p.p.).

La Corte di appello erroneamente non ha qualificato i fatti di cui ai capi C), D) e E) come reati consumati come richiesto con impugnazione dalla parte pubblica, ritenendo ostativa la mancanza di contraddittorio con la difesa.

Tale conclusione non è rispettosa nè della portata dell'art. 521 c.p.p., nè della regola espressa dalla Corte EDU nel caso Drassich c. Italia del 2007.

Andava considerato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, è possibile procedere anche d'ufficio alla riqualificazione del fatto in sede di appello. Quindi a maggior ragione tale possibilità doveva riconoscersi se introdotta nel giudizio di appello con l'impugnazione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

2. Va evidenziato che in primo grado il Giudice di merito aveva rilevato che tutti i delitti contestati andavano considerati nella sola forma del tentativo, ai sensi dell'art. 56 c.p., "in assenza di riqualificazione da parte del P.M.".

Con l'appello, la Procura generale aveva richiesto la diversa qualificazione dei fatti, contestati ai capi C), D) e E) agli imputati, richiamando il principio secondo cui "integra la fattispecie consumata del delitto di importazione di sostanze stupefacenti, e non quella tentata, la condotta di importatori italiani che, avendo stipulato negozi di compravendita idonei a trasferire in loro favore la proprietà della droga, abbiano acquisito la disponibilità della stessa tramite la consegna ai corrieri da loro incaricati, anche se questi ultimi siano stati fermati prima di attuare il materiale trasferimento nel territorio nazionale" (Sez. 6, n. 37478 del 16/04/2014, Pedata, Rv. 260276).

La Corte di appello, pur riconoscendo che i reati erano da ritenersi consumati nel senso indicato dal precedente di legittimità, escludeva tuttavia la possibilità di procedere alla richiesta riqualificazione per mancanza di interlocuzione in ordine ad essa con la difesa.

3. La conclusione cui è pervenuta la Corte di appello non è conforme ai principi più volte affermati in sede di diversa qualificazione giuridica ad opera del giudice dell'impugnazione.

3.1. In tema di correlazione tra accusa e sentenza, si è affermato che, immutato il fatto, la diversa qualificazione di esso effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce della regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia), consentendo all'imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018, Adinolfi, Rv. 273204).

Dall'analisi della giurisprudenza della Corte EDU e dalla stessa elaborazione giurisprudenziale della Corte Suprema di cassazione non risulta essere stata posta in discussione la possibilità che il giudice, anche in sede di legittimità, proceda ad una diversa e più grave qualificazione giuridica del fatto. L'unico limite individuato dalla Corte Europea, al fine di armonizzare tale facoltà con il diritto di difesa riconosciuto dall'art. 6, par. 1 e 3, lett. a) e lett. b), CEDU, attiene alla prevedibilità della riqualificazione, che non può essere il frutto di un atto "a sorpresa" del giudice. In tale prospettiva il potere di attribuire una più grave qualificazione giuridica ai fatti accertati, qualora non esercitato dal giudice di merito, è riconosciuto alla Corte di cassazione semprechè le parti siano state rese edotte della possibilità della diversa qualificazione (tra tante, Sez. 4, n. 18793 del 28/03/2019, Macaluso, Rv. 275762).

Nessun problema, dunque, può sorgere, in punto di prevedibilità e di attuazione del contraddittorio, nelle ipotesi in cui la diversa qualificazione giuridica del fatto venga sollecitata dalle parti, come tema espressamente enucleato nei motivi di impugnazione, ovvero prospettato, preliminarmente o nella successiva requisitoria, dal Procuratore Generale.

3.2. Pertanto, nel caso in esame, nel quale proprio l'atto di impugnazione era finalizzato ad introdurre nel giudizio la questione della riqualificazione giuridica del fatto, era stato assicurato agli imputati il pieno contraddittorio e il diritto di interloquire rispetto ad essa (come dimostrano le conclusioni rassegnate dalle rispettive difese e riportate a verbale).

Ne consegue quindi che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto di non poter procedere alla riqualificazione giuridica del fatto.

3.4. Resta peraltro non compiutamente esaminata dalla sentenza impugnata la premessa che legittima il suddetto potere del giudice ovvero che il fatto contestato resti in ogni caso immutato.

Secondo il diritto vivente, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto della contestazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U., n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U., n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205617; Sez. 4, n. 33878 del 03/05/2017, Vadacca, Rv. 271607; Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, Beretti, Rv. 269569; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio, Rv. 265946).

In particolare, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, non vi è violazione di detto principio, nel caso di condanna per delitto consumato a fronte della contestazione di delitto tentato, quando non vi è modifica del fatto penalmente rilevante indicato in contestazione e l'imputato è stato in condizione di difendersi su tutti gli elementi oggetto dell'addebito, trattandosi in tal caso solo di una riqualificazione giuridica dello stesso fatto (Sez. 3, n. 11659 del 24/02/2015, E.L., Rv. 262911; Sez. 5, n. 44862 del 06/10/2014, Moldovan, Rv. 261286; Sez. 3, n. 27686 del 13/05/2010, P., Rv. 247924).

4. Conclusivamente alla luce di quanto premesso, la sentenza impugnata va annullata affinchè sia effettuato un nuovo giudizio, relativamente all'impugnazione del P.M., che si attenga ai principi di diritto sopra illustrati.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020