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Condanna per giornalista che fa domande pressanti (Cass. 36407/23)

31 agosto 2023, Cassazione penale

Commette il reato di violenza privata il giornalista pretende di intervistare una persona con reiterata, insistente e oppressiva pressione per il tramite dell'imposizione di domande, di riprese video e di posture fisiche, cui la persona intervistata tentava invano di sottrarsi; una condotta siffatta  può certo ricondursi a quella peculiare forma di violenza privata indicata dalla costante giurisprudenza di legittimità quale violenza "impropria", vale a dire un tipo di coartazione dell'altrui libertà «che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali».

Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione, ben potendo trattarsi di violenza fisica, propria, che si esplica direttamente nei confronti della vittima, o di violenza impropria che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui impedendone la libera determinazione

Corte di Cassazione 

Sez. V penale

 Num. 36407 Anno 2023

Presidente: PEZZULLO ROSA

Relatore: BIFULCO DANIELA

Data Udienza: 12/04/2023 - deposito 31/8/2023 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PELAZZA LUIGI ** 

avverso la sentenza del 22/02/2022 della CORTE APPELLO di MILANO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita fa relazione svolta dal Consigliere DANIELA BIFULCO;

udito il Sostituto Procuratore generale, Dott. LUIGI GIORDANO, il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.

udito l'Avv.                                           , difensore di parte civile, che chiede il rigetto del ricorso, deposita conclusioni e nota spese; udito l'Avv.     , che chiede l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso.

Ritenuto in fatto
 

1.    Con sentenza del 31 gennaio 2021, il Tribunale di Milano ha ritenuto Luigi Pelazza responsabile del reato di violenza privata, condannandolo alla pena di mesi due di reclusione, convertita, ai sensi dell'art. 53 I. n. 689/1981, in euro 15.000 di multa, e al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, GS. In parziale riforma di tale decisione, la Corte d'appello di Milano, con sentenza del 22 febbraio 2022, ha revocato la concessione della sospensione condizionale della pena, così come richiesto dall'imputato al fine di poter eventualmente beneficiare ancora di tale istituto, alla luce dell'avvenuta conversione della, pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria.

Secondo il capo d'imputazione, Luigi Pelazza, in veste d'intervistatore, V , quale cameraman, dopo essersi indebitamente introdotti n,ello stabile in cui risiedeva la persona offesa, presentandosi al custode come corrieri di '**s.p.a.', attendevano il rientro di GS e, con violenza esercitata in modo idoneo a privare quest'ultima coattivamente della libertà di det1 rminazione e di azione, le impedivano dapprima di accedere alla palazzina dove era situata la sua abitazione, costringendola a tollerare la loro presenza con una serie insistente di domande alle quali, fin da subito, la persona offesa dichiarava di non voler rispondere. Successivamente, e con analoga violenza, le impedivano di rientrare nel proprio appartamento, ostacolando la chiusura delle porte dell'ascensore, frapponendo il Pelazza la propria persona tra la soglia e la porta del vano ascensore, rivolgendo a GS ulteriori domande concernenti fatti per cui la stessa è stata sottoposta a procedimento penale insieme ad altri, e pretendendo risposte, ancorché la persona offesa si rifiutasse più volte in modo espresso di essere intervistata e ripresa con immagini che venivano successivamente trasmesse nel programma televisivo 'Le Iene' del 27 settembre 2015.

2.    Avverso la sentenza della Corte d'appello ha proposto ricorso per cassazione Luigi Pelazza, per il tramite del proprio difensore,                      , affidando le proprie censure ai cinque motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo, si deduce vizio di motivazione e travisamento della prova in relazione all'elemento materiale dell'ascritto reato. A tal proposito, la difesa articola le proprie censure riferendosi ai tre distinti momenti della condotta e afferma, in relazione al momento in cui la persona offesa rientrava all'interno dello stabile, che le riprese video non dimostrerebbero affatto che l'imputato esercitò violenza frapponendo il proprio piede tra la porta e lo stipite. Il rumore che accompagna la ripresa video in quel momento sarebbe stato generato non già dal piede posto a ostacolo tra porta e stipite, bensì dall'urto del braccio di S contro lo stipite della porta; peraltro, il video dimostra che, in quella frazione di secondi, la persona offesa si sporgeva verso l'imputato, fatto questo incompatibile con la ricostruzione dei giudici di merito. In relazione al secondo segmento della condotta, realizzatosi davanti al vano ascensore, la Corte avrebbe illogicamente ritenuto che l'imputato abbia impedito la chiusura delle porte, bloccandole con la mano, posto che le porte dell'ascensore si chiudevano manualmente, non già automaticamente. Il terzo momento della condotta preso in analisi dalla difesa attiene alla contestata costrizione della persona offesa a esser ripresa con le telecamere contro la propria volontà. La Corte territoriale avrebbe omesso di confrontarsi con le censure difensive tese a evidenziare come tale condotta non sarebbe sufficiente a integrare la fattispecie delittuosa di violenza privata, atteso che né violenza né minaccia hanno accompagnato le riprese video della persona offesa.

2.2    Col secondo motivo, si duole di vizio di motivazione e travisamento della prova in relazione alla durata dell'ascritta condotta, per avere la Corte cl'appello ritenuto che il video mandato in onda, e acquisito agli atti, non corrispondesse a quello originario, avendo subito quest'ultimo tagli notevoli ad opera del montatore. Tale affermazione si porrebbe in contraddizione con le dichiarazioni dei testi e del coimputato V (il cameraman, poi assolto), dalle quali risulta che le condotte contestate, durate una manciata di secondi, sono state integralmente riportate nel video mandato in onda.

2.3    Col terzo motivo, si lamenta violazione di legge, in relazione all'art. 51 cod. pen., nonché vizio di motivazione, per avere la Corte d'appello escluso che la scriminante del diritto di cronaca si applichi quando il fatto è commesso nel procacciarsi la notizia. Così argomentando, e omettendo qualsivoglia operazione di bilanciamento di diritti e interessi in gioco, sia in astratto sia in concreto, la Corte territoriale avrebbe disatteso la giurisprudenza di questa Corte, la quale, in linea con talune decisioni della Corte di Strasburgo, ha ritenuto che, in tema di esercizio del diritto di cronaca, la scriminante di cui all'art. 51 cod. pen. sia configurabile non soltanto rispetto ai reati commessi con la pubblicazione della stessa, ma anche in relazione a delitti commessi al fine di procacciarsi la notizia. Secondo l'orientamento giurisprudenziale citato dalla difesa (Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, Nuzzi, Rv. 276954-05), un'interpretazione convenzionalmente orientata (ex art. 10 CEDU, come interpretato dalla Grande Carnera della Corte EDU nelle decisioni del 21 gennaio 1999, Frezzos Roire c. Francia e del 10 dicembre 2007, Sto/I c. Svizzera) dell'art. 51 cod. pen. imporrebbe al giudice di valutare se la divulgazione di un articolo (o di un servizio giornalistico, nel caso di specie) apporti un contributo ad un dibattito pubblico su un tema di interesse generale e se, nelle particolari circostanze del caso concreto, l'interesse d'informare la collettività prevalga sui "doveri e responsabilità" che gravano sui giornalisti.

2.4    Col quarto motivo, si eccepisce violazione di legge, in relazione agli artt. 131- bis e 62 cod. pen., nonché vizio di motivazione. In relazione alla prima disposizione citata, la difesa riscontra un'incongruenza motivazionale, posto che la Corte d'appello avrebbe posto a base della denegata applicazione dell"art. 131 bis non già i fatti per i quali ha pronunciato condanna (vale a dire la presunta violenza privata, esercitata all'ingresso della palazzina e presso l'ascensore), bensì la condotta, secondo la Corte "ripetuta ed esasperante" e "fortemente invasiva della sua sfera personale", di riprendere con video la persona offesa e del porre a quest'ultima domande, "in maniera mordace e graffiante". Sostiene inoltre la difesa che, data l'attenzione rivolta dai Giudici di merito a tale profilo della condotta, la Corte territoriale avrebbe dovuto quanto meno valutare, in concreto, i contenuti delle singole domande rivolte dall'imputato alla persona offesa, come pure sollecitato dalla difesa, con atto d'appello.

La contraddittorietà della motivazione in punto di denegata applicazione degli artt. 131 bis e 62 bis cod. pen. apparirebbe inoltre nel passaggio in cui la Corte afferma non essere in contestazione "la veridicità dei fatti esposti nel video" né "una certa rilevanza pubblica" di quei fatti stessi (così in parte motiva, p. 8) Intrinsecamente contraddittoria sarebbe, infine, la motivazione, per avere la Corte affermato, per un verso, "la veridicità dei fatti esposti nel video" e la loro pubblica rilevanza e, per altro verso, qualificato l'atteggiamento dell'imputato come "volto a screditare e denigrare la parte lesa, quasi a voler anticipare le sorti di un procedimento penale ancora in corso, che peraltro si concludeva con una sentenza di assoluzione" (così in parte motiva, p. 9).

2.5     Col quinto motivo, si deduce violazione di legge, nonché vizio di motivazione e travisamento della prova in relazione alle circostanze attenuanti generiche, atteso che la Corte non concedeva l'applicazione di queste ultime, oltre che per i motivi già esposti sub 2.4, anche per essere l'imputato gravato da un precedente penale specifico. Il riferimento è al delitto di falsa attestazione a pubblico ufficiale, che ha portato a una sentenza di patteggiamento nel 2007. Rispetto a tale precedente, il reato deve però considerarsi estinto ai sensi dell'a:rt. 445, secondo comma, cod. pen., atteso che l'imputato non ha commesso alcun reato nei cinque anni successivi al 2007. Oltretutto, il precedente in questione non può dirsi specifico, concernendo esso un delitto di diversa indole.

3.      All'udienza del 12 aprile 2023 si è svolta trattazione orale. Il Sostituto Procuratore generale, Dott. Luigi Giordano, ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso, non senza prima soffermarsi sul terzo motivo, illustrando come talune difformità, all'interno degli orientamenti della Cassazione (segnatamente, Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019, P., Rv.276990 e Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, Nuzzi, Rv. 276954), sull'interpretazione della scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca siano superabili anche alla luce di Sez. 5, n. 26515 del 28/04/2021. In via subordinata, ove non si condividesse quanto prospettato e si prendesse atto di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, il Sostituto procuratore generale chiede che la questione sia rimessa alle Sezioni unite di questa Corte. La difesa dell'imputato ha depositato memoria di replica alla requisitoria del Sostituto Procuratore generale, nella quale, partendo da taluni orientamenti giurisprudenziali in tema di scriminante prevista dall'art. 51 cod. pen., si evidenzia la necessità di valutare, in concreto, il comportamento tenuto dall'imputato nel procacciarsi la notizia, anziché il reato astrattamente considerato. Tornando sugli argomenti sviluppati nel motivo terzo del presente ricorso, la difesa stigmatizza la decisione della Corte d'appello di escludere in radice (vale a dire, in difetto di un concreto bilanciamento di interessi) l'applicabilità della citata scriminante al reato (asseritamente) commesso dall'imputato nel procacciarsi una notizia.

Considerato in diritto
 

1.  Il primo motivo è inammissibile, in quanto reiterativo di censure già disattese - con argomenti condivisibili dal punto di vista giuridico e logicamente ben articolati­ dalla Corte territoriale, oltre che del tutto versato in fatto. Rispetto ai tre distinti momenti e luoghi in cui si è sviluppata la vicenda (la porta d'ingresso della palazzina, lo spazio antistante l'ascensore, il pianerottolo), i Giudici di merito hanno ampiamente dimostrato -basandosi sul video, poi andato in onda, in atti, oltre che sulle dichiarazioni di S e di tutti gli altri testi- come la condotta dell'imputato si sia tradotta in un'ingiustificata compressione della libera determinazione della persona offesa.

La sussistenza dell'elemento oggettivo dell'ascritto reato è stato correttamente individuato nell'esercizio, da parte del ricorrente, di una reiterata, insistente e oppressiva pressione esercitata sulla persona di GS, per il tramite dell'imposizione di domande, di riprese video e di posture fisiche, cui la persona offesa tentava invano di sottrarsi; una condotta siffatta, costringendo la vittima a un "pati" (ovverosia a tollerare od omettere una condotta determinata: v., tra le tante, Sez. 5, n. 6208 del 14/12/2020, dep. 2021, Milan, Rv. 280507 - 01), può certo ricondursi a quella peculiare forma di violenza privata indicata dalla costante giurisprudenza di legittimità quale violenza "impropria", vale a dire un tipo di coartazione dell'altrui libertà «che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali». Invero, quella forma di insistente e reiterata pressione indicata dalla Corte territoriale è senz'altro uno  degli «anomali mezzi» in cui può trovare espressione l'elemento materiale del reato di cui all'art. 610 cod. pen. (sul punto, v. già Sez. 5, n. 1195 del 27/02/1998, Piccinin, Rv. 211230 - 01, fino a Sez. 5, n. 11907 del 22/01/2010, Cavaleri, Rv. 246551, Sez. 5, n. 4284 del 29/09/2015, dep. 2016, G., Rv. 266020, ex p/urimis, secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione, ben potendo trattarsi di violenza fisica, propria, che si esplica direttamente nei confronti della vittima, o di violenza impropria che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui impedendone la libera determinazione. Anche la dottrina che ha interpretato in senso più restrittivo il concetto di violenza, di cui all'art. 610 cod. pen., è propensa ad ammettere la rilevanza del ''mezzo anomalo" -attraverso cui si pone in essere un'aggressione avvertita come socialmente riprovevole dalla collettività- con cui la costrizione può essere realizzata).

Nel merito, come anticipato, si rileva che l'esame del motivo ha portato il Collegio a constatare come le censure in questa sede proposte ripropongano, nella gran parte, le medesime doglianze dedotte nel giudizio di appello, rispetto alle quali non può che ribadirsi quanto già, più volte, chiarito da parte di questa Corte di legittimità, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Carialo, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838-01).

2.    Il secondo motivo è inammissibile, perché, eludendo il confronto con la motivazione dell'impugnata sentenza, prospetta un argomento non suscettibile, in alcun modo, di incrinare la tenuta logica della stessa. Come infatti chiarito dalla Corte d'appello, quel che è stato valorizzato ai fini della dichiarazione di penale responsabilità dell'imputato è la piena corrispondenza tra le dichiarazioni della parte offesa e le immagini del video poi mandate in onda. Il fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto che il video mandato in onda corrispondesse alla versione breve, e cioè deprivata di alcune scene, anziché alla versione originale (e integrale), come ritenuto, invece, dalla difesa, non incide in alcun modo sul percorso logico e giuridico della decisione relativa alla responsabilità dell'imputato, posto che, in ogni caso, i Giudici del merito hanno maturato il proprio convincimento basandosi sull'unica versione del video disponibile in atti. Sulla base di tale prova, la Corte territoriale ha quindi espressamente rimarcato che l'ascritta condotta non ha avuto un'infinitesimale durata di secondi.

Va quindi ribadito che, in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, il necessario onere di confronto con la motivazione della sentenza impugnata impone al ricorrente, a pena di inammissibilità, di non limitare il proprio esame alla sola parte del provvedimento specificamente riferita alla questione posta, ma di considerare anche le argomentazioni contenute in altre parti comunque rilevanti rispetto al giudizio devoluto sul tema. (Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, d· P- 2022, Belloa Telleria, Rv. 282949 - 01).

 

3.  Il terzo motivo è infondato. Va preliminarmente disattesa la censura vertente sull'omessa operazione di bilanciamento di diritti e interessi in gioco, sia in astratto sia in concreto, da parte della Corte territoriale. Quest'ultima ha infatti ritenuto che, in tema di diritto all'informazione, sub specie di diritto d'inchiesta, il bilanciamento tra diritti e interessi potenzialmente confliggenti possa condurre a scriminare la condotta dell'imputato - comunque, entro i limiti individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (v., di recente, Sez. 5, n. 7008 del 18/11/2019, dep. 2020, Frignani, Rv. 278793, in motivazione) - quando venga in gioco, per un verso, il diritto di libera manifestazione del pensiero e, per altro verso, la reputazione. In concreto, la Corte d'appello ha correttamente escluso che il diritto all'informazione possa condurre ad un esito favorevole all'imputato nel bilanciamento dei valori in gioco, quando si pretenda di invocarlo per giustificare forme illecite di compressione della libertà privata, quando non valori destinati a proteggere ancora più intensamente la persona, anche se la condotta sia commessa "per carpire informazioni alla fonte" (p. 9 parte motiva dell'impugnata sentenza).

Chiarito, dunque, che la Corte territoriale non ha affatto eluso l'operazione di bilanciamento, si rileva quanto segue.

La Corte d'appello ha fatto buon governo degli orientamenti elaborati da questa Corte, secondo cui «la scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca rileva solo in relazione ai reati commessi con la pubblicazione della notizia e non anche rispetto ad eventuali reati compiuti al fine di procacciarsi la notizia medesima» ( in tal senso, Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019, P., Rv. 276990 - 02, in un caso nel quale è stata esclusa la configurabilità della scriminante per il giornalista che, utilizzando false generalità ed una falsa qualità, si era introdotto in una struttura medico-assistenziale per acquisire notizie utili per la realizzazione di un servizio televisivo; v. anche Sez. 1, n. 27984 del 07/04/2016, Mosca Goretta, Rv. 267053

- 01, secondo la quale le scriminanti dell'esercizio del diritto di critica e del diritto

di cronaca rilevano solo in relazione ai reati commessi con la pubblicazione della


 

 

 

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notizia, e non anche rispetto ad eventuali reati compiuti al fine di procacciarsi la notizia medesima: nel caso di specie, è stato rigettato il ricorso ,::lell'imputato del reato di cui all'art.650 cod. pen., il quale, nella sua qualità di giornalista, aveva violato il divieto prefettizio di stazionare e circolare in una determinata zona nella quale lo stesso si era introdotto al fine di acquisire notizie utili peI· la realizzazione di una trasmissione radiofonica, in differita, sulle manifestazioni del movimento "NO TAV").

L'orientamento giurisprudenziale sul quale insiste la difesa (Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, Nuzzi, Rv. 276954 - 05, secondo cui in tema di es1 rcizio del diritto di cronaca, la scriminante di cui all'art. 51 cod. pen. è configurabile anche in relazione al delitto di ricettazione commesso al fine di procacciarsi la notizia e non soltanto rispetto ai reati commessi con la pubblicazione della stessa, ai sensi dell'art. 10 CEDU, come interpretato dalle due sentenze della Corte di Strasburgo sopra citate), non è convincente.

Innanzitutto, la premessa per la quale l'art. 51 cod.pen. possa ritenersi, anche solo astrattamente, applicabile a tutti i reati «compiuti al fine cli procacciarsi la notizia medesima» non persuade dal momento che il criterio finalistico non ha un reale significato selettivo, al più potendosi in astratto prospettare il parametro della «strumentalità necessaria», operante, prima ancora che sul piano soggettivo, sul piano oggettivo, tra il fatto commesso e l'accesso all'informazione.

E ciò senza dire (e si tratta del punto sul quale particolarmente insiste la citata Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019) che, già sul piano astratto, appare evidente che non sono comparabili l'interesse all'acquisizione della notizia e valori diversi da quelli della tutela della reputazione, giacché «a ritenere altrimenti [ ... ], anche il furto o la rapina [ ... ] ovvero persino reati che siano diretti alla lesione dell'integrità fisica altrui potrebbero essere scriminati».

Peraltro, anche l'esame della giurisprudenza di Strasburgo conferma che l'esito indicato da Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, Nuzzi, non è affatto obbligato. La Corte europea, nell'applicare l'art. 10 della Convenzione, cimmette che il giornalista, anche laddove abbia violato norme penali nella commissione di fatti diversi dalla pubblicazione della notizia, possa invocare la tutela della libertà di espressione. Tuttavia, essa non esige affatto, da parte del giudice nazionale chiamato a valutare la rilevanza penale di tali fatti, l'applicazione della scriminante dell'esercizio del diritto come unico strumento per evitare cc-mpressioni non giustificate della libertà di espressione.

Ad ogni modo, resta il rilievo che il cuore della questione - questione squisitamente giuridica e, come tale, sottratta alla coerenza con la motivazione del giudice del merito - risiede nel fatto che il carattere di mera eventualità dell'acquisizione di una notizia e, soprattutto, la centralità della libertà di autodeterminazione della


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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persona impongono di escludere in radice qualunque favorevole bilanciamento in favore di chi coarti la seconda, perseguendo un obiettivo informativo.

E, tenuto conto del caso concreto, la soluzione appare ancora più razionale, posto che il giornalista avrebbe ben potuto limitarsi a dare l'unica notizia possibile: ossia che l'interessata, richiesta di fornire una propria versione dei fatti, si era rifiutata. Pensare che la ricerca delle notizie possa spingersi sino al sacrificio della libertà personale di qualunque potenziale fonte significa supporre un potere inquisitorio persino superiore a quello del quale la pubblica autorità è dotata nel caso di commissione di reati. E questo rappresenta la riprova dell'infondatezza della tesi sostenuta dal ricorrente.

 

4.  Il quarto motivo è infondato.

Come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa, che ha ad oggetto le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., richiedendosi una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta che tenga conto anche del grado di colpevolezza desumibile dalle modalità della condotta e dell'entitè del danno o del pericolo arrecato alla persona offesa e non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).

La Corte territoriale, muovendosi in questa cornice, ha appunto valorizzato gli

indici tratti dalla condotta, laddove il contenuto delle domande rappresenta un dato razionalmente privo di rilievo, una volta che la valutazione sia concentrata sul modo in cui l'offesa al bene giuridico protetto si è realizzata.

 

5.  Il quinto motivo è inammissibile, dal momento che la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicità, che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il Giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 clel 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). Va, peraltro, aggiunto che, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza di applicazione della pena, in quanto equiparata a sentenza


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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di condanna, è valutabile anche nell'ipotesi in cui sia già intervenuta, ai sensi dell'art. 445, secondo comma, cod. proc. pen., l'estinzione del reato cui essa si riferisce (Sez. 3, n. 23952 del 30/04/2015, Di Pietro, Rv. 263850 - 01).

 

6.    Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cocl. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge.

 

Così deciso in Roma, il 12/04/2023.