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Condanna penale sospesa e divieto di espatrio (TAR Lazio, 8015/14)

23 luglio 2014, TAR Lazio

La condanna anche a pena sospesa determina comunque la impossibilità di ottenere passaporto o documenti validi per l'espatrio, in quanto sussiste comunque la necessità per lo Stato di rendere effettiva e agevolmente eseguibile la condanna penale.

Cfr. l'approfondimento sul rilascio del passaporto.

 

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)

sentenza 23 luglio 2014, n. 8015

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3364 del 2014, proposto da:

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Medugno, Guerino Fares, Annalisa Lauteri, con domicilio eletto presso Luigi Medugno in Roma, via Panama, 58;

contro

Ministero dell'Interno, Questura di Roma, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del rigetto della richiesta di revoca delle ostative all'espatrio ai sensi dell'art. 3 lett. D.L. n. 1185 del 1967

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, commi 1 e 2;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2014 il dott. Carlo Taglienti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe il dott. -OMISSIS- ha impugnato l'atto -OMISSIS-con il quale la Questura di Roma ha respinto l'istanza da lui avanzata il 28 febbraio 2014 tendente ad ottenere la cancellazione dell'annotazione sulla carta d'identità della dicitura "documento non valido ai fini dell'espatrio"., non trovandosi egli sottoposto ad alcuna misura restrittiva della libertà personale dopo il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Milano -OMISSIS-; a seguito di tale giudicato infatti al ricorrente era stato ritirato il passaporto ed era stata apposta sulla carta d'identità la suddetta dicitura; ciò in base, secondo quanto affermato dalla Questura nel provvedimento di diniego qui impugnato, al combinato disposto dell'art. 3 lettera d) della L. 21 novembre 1967, n. 1185, relativo ai passaporti ( "Non possono ottenere il passaporto... d) coloro che debbano espiare una pena restrittiva della libertà personale o soddisfare una multa o ammenda, salvo per questi ultimi il nulla osta dell'autorità che deve curare l'esecuzione della sentenza, sempreché la multa o l'ammenda non siano già state convertite in pena restrittiva della libertà personale, o la loro conversione non importi una pena superiore a mesi 1 di reclusione o 2 di arresto"), e dell'art. 2 del D.P.R. n. 649 del 1974 che estende la suddetta disciplina ai documenti equipollenti al passaporto ai fini dell'uscita dal territorio nazionale.

In buona sostanza l'Amministrazione assume che il ricorrente dovendo espiare una pena di anni uno di reclusione, seppure sospesa ex art. 656 c.p.p., non ha titolo ad ottenere il passaporto, che quindi deve essere ritirato, ai sensi dell'art. 12 c.1 della L. n. 1185 del 1967, né può lasciare il territorio dello Stato, e quindi sul documento d'identità deve essere apposta la dicitura "documento non valido ai fini dell'espatrio".

Censura il diniego della Questura sotto i seguenti profili:

violazione dell'art. 4 e dell'art. 27 della Direttiva 2004/38/CE; violazione dell'art. 45 c. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e dell'art. 21 del Trattato per il funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) ; violazione dell'art. 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo; l'Amministrazione equipara la circolazione nell'ambito dei territori dei paesi UE con quella nei territori extracomunitari; ma la cittadinanza dell'Unione conferisce a ciascun cittadino dell'Unione il diritto primario e individuale di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso; l'art. 4 della Direttiva subordina l'uscita dal territorio di uno Stato membro verso il territorio di altro stato membro dell'Unione, unicamente al possesso di un documento "in corso di validità"; le uniche limitazioni consentite sono quelle dell'art. 27 della Direttiva, relative a "motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica"; la sola presenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di provvedimenti restrittivi all'espatrio (art. 27 c.2); i provvedimenti limitativi devono essere proporzionali e devono attenere esclusivamente al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati; la disciplina comunitaria non prevede alcun documento "valido per l'espatrio" bensì solo un documento in corso di validità; deve quindi essere disapplicata la norma contenuta nell'art. 4 c.1 del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, di recepimento della suddetta Direttiva comunitaria, che prevede il possesso di un documento d'identità valido per l'espatrio, secondo la legislazione dello Stato membro, per poter circolare liberamente nei territori UE; richiama le sentenze della Corte di Giustizia del 5 marzo 1991 : causa Panagiotis Giagounidis e del 4 ottobre 2012 : causa Bayankov; in base all'art. 27 della Direttiva 2004/38/CE non sono ammesse limitazioni generalizzate ed automatiche: deve essere valutata la situazione personale del caso concreto.

In via subordinata chiede la rimessione della questione di compatibilità della disciplina italiana con quella comunitaria, alla Corte di Giustizia dell'unione.

Costituitasi l'Amministrazione intimata, ha chiesto la reiezione del ricorso, richiamandosi a recenti arresti giurisprudenziali.

Con memorie le parti hanno ribadito tesi e difese.

Alla pubblica udienza del 12 giugno 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe viene impugnato l'atto -OMISSIS-con il quale la Questura di Roma ha respinto l'istanza avanzata il 28 febbraio 2014 tendente ad ottenere la cancellazione dell'annotazione sulla carta d'identità della dicitura "documento non valido ai fini dell'espatrio"., non trovandosi egli sottoposto ad alcuna misura restrittiva della libertà personale dopo il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Milano -OMISSIS-; a seguito di tale giudicato infatti al ricorrente era stato ritirato il passaporto ed era stata apposta sulla carta d'identità la suddetta dicitura,

Il Collegio rileva che la questione sostanzialmente da risolvere sia la seguente: se cioè gli artt. 3 lett. d) della L. n. 1185 del 1967 e 2 del D.P.R. n. 649 del 1974 che impediscono l'uscita dallo Stato italiano, anche verso altro Stato dell'Unione Europea, a coloro che debbano espiare una pena restrittiva della libertà personale, siano compatibili con l'art. 27 della Direttiva 2004/38/CE che testualmente recita:

"1-Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

2. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti. "

Al riguardo il Collegio osserva come già la Corte di Cassazione, Sez. I civile, con sentenza del 9 giugno 2011 n. 12640 abbia avuto modo di affermare che la limitazione all'espatrio prevista dal citato art. 3 lettera d) non è in contrasto con la Direttiva 2004/38/CE in quanto essa lascia impregiudicata la potestà degli Stati di imporre in presenza di adeguate ragioni restrizioni alla libertà di circolazione dei propri cittadini.

Nello stesso senso si è espresso il TAR Lombardia sede di Milano sez.III con la sentenza 27 marzo 2012 n. 913. Anche il Consiglio di Stato sez.III sent 6 giugno 2012 n.3348, ha aderito a tale impostazione, peraltro richiamando una sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo (sez. II 212 aprile 2011 n. 41199) la quale ha escluso che costituisca violazione dei diritti umani fondamentali il diniego di passaporto finalizzato a garantire l'effettività delle condanne penali.

Il Collegio non ha motivo di disattendere tale consolidato orientamento.

Ritiene al riguardo solo di dover precisare come il primo comma dell'art. 27 della direttiva contiene un principio generale che consente l'adozione di normative nazionali che limitano il diritto di circolazione nei territori comunitari; e quindi consente discipline generali ed astratte, sempre giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.

Orbene norme tese a garantire l'effettività della pena appaiono chiaramente rientranti nei motivi di ordine pubblico in senso ampio, al quale principio sono improntati gli ordinamenti degli stati comunitari; la proporzionalità della previsione è chiaramente connessa ai tempi necessari per l'espiazione della pena, la quale è evidentemente collegata al comportamento tenuto dal cittadino comunitario e ritenuto in sede giudiziaria contrario alle norme di diritto penale.

Si soggiunge che nella fattispecie non è la semplice condanna penale che automaticamente legittima la restrizione, bensì una condanna penale non ancora espiata; e la ragione della limitazione non è collegata alla gravità del reato accertato (quando la pena è stata scontata) ma alla necessità per lo Stato di rendere effettiva e agevolmente eseguibile la condanna penale.

Ed infatti pur nell'ambito comunitario, diversi ed autonomi sono i regimi di natura processual penalistica, tali da non consentire di riconoscere una piena identità nei sistemi di espiazione della pena.

Per tali ragioni il ricorso è infondato, né sussistono ragioni di dubbio per rimettere alla Corte di Giustizia Europea la questione di compatibilità delle norme nazionali con quelle comunitarie, sollevata in ricorso.

Considerata la novità della specifica questione, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi di -OMISSIS-, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1, 2 e 3 della medesima disposizione, nei termini indicati.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:

Linda Sandulli, Presidente

Carlo Taglienti, Consigliere, Estensore

Roberto Proietti, Consigliere