Il delitto di evasione dagli arresti domiciliari è integrato da qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, anche se di breve durata ed implicante uno spostamento di modesta distanza, e persino se lo spostamento sia limitato a spazi rientranti nell'area condominiale, cortili, giardini, o altri spazi che non siano di stretta pertinenza dell'abitazione.
CORTE DI APPELLO DI ROMA
SEZIONE III PENALE
Sent., 01/04/2019
così composta
Dott. CLAUDIO TORTORA - Presidente
Dott. FRANCESCA GIORDANO - Consigliere
Dott. MARIA CRISTINA MUCCARI - Consigliere
Ha pronunciato in Dibattimentale la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale di 2 grado nei confronti di :
1) G.S. - LIBERO
nato a M. A. - G. il (...) - I.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 21 ottobre 2014, pronunciata all'esito di giudizio ordinario il Tribunale di Tivoli in composizione monocratica condannava G.S. alla pena di mesi 8 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, per il reato di cui all'articolo 385 c.p., commesso in data 11.9.2011. A tale determinazione perveniva previa concessione delle circostanze attenuanti generiche (pb anni uno di reclusione, ridotta ex art. 62-bis c.p. come in dispositivo).
La sentenza ricostruiva i fatti, rappresentando che alle 8,30 dell' 11 settembre 2011 l'imputata, che in quel periodo doveva trovarsi ristretto in detenzione domiciliare, in virtù di ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma del 24 maggio 2011, che la autorizzava ad uscire dalle 10,00 alle 12,00 e dalle 17,00 alle 19,00, era stata sorpresa dagli operanti all'interno dell'abitazione della vicina di casa intenta a prendere un caffè.
Esaminata la vicina, F.A.M., riferiva che la donna era uscita di corsa per riprendere il proprio cane, di grossa taglia che non tornava a casa, e si era sentita poco bene. Quindi lei l'aveva fatta entrare e le aveva offerto dell'acqua utilizzando la tazzina del caffè, lavata e posizionata sul lavello.
Il Tribunale riteneva tale giustificazione inidonea scriminare la condotta dell'imputata e pronunciava condanna.
Avverso tale sentenza proponeva appello il difensore dell'imputato.
Deduceva la sussistenza dell'esimente dello stato di necessità, affermando che l'imputata era uscita per recuperare il suo cane aggressivo e potenzialmente pericoloso per chi si fosse a lui avvicinato che poi colta da un improvviso malore, dopo la corsa era stata soccorsa dalla vicina . Chiedeva quindi l'assoluzione con la formula "perché il fatto non costituisce reato" e in subordine la riduzione della pena.
Quindi, le parti formulavano le loro conclusioni e il collegio pronunciava sentenza.
Motivi della decisione
La Corte preliminarmente rileva che pur essendo il reato contestato stato consumato in data 11.9.2011, non risulta ancora decorso il termine massimo di prescrizione.
Invero, all'udienza del 19 dicembre 2018 il processo è stato rinviato per legittimo impedimento dell'imputata al 31 gennaio 2019 con sospensione dei termini di prescrizione pari a giorni 42.
L'originario termine di prescrizione, che doveva scadere l'11.3.2019, risulta, quindi, prorogato al 23 aprile 2019.
Nel merito l'appello è infondato e non merita accoglimento.
Non è contestato che l'imputata fu sorpresa al di fuori della propria abitazione in orario in cui non era autorizzata ad uscire, mentre si trovava a casa della vicina, intenta a prendere un caffè.
E' dunque pacifica la sussistenza dell'elemento materiale del delitto di evasione dagli arresti domiciliari, che è integrato da qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, anche se di breve durata ed implicante uno spostamento di modesta distanza, e persino se lo spostamento sia limitato a spazi rientranti nell'area condominiale, cortili, giardini, o altri spazi che non siano di stretta pertinenza dell'abitazione (per tutte, Cass.,27/4/98, Bemi, cass. pen., 1999, 2144; Cass., sez. VI, 26/11/2015, n.50014).
Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, si tratta di un reato a dolo generico, consistente nella consapevole violazione di lasciare il luogo di esecuzione della misura senza la prescritta autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiale (cfr. Cass., sez. VI; 6/11/2008, n.44969).
Anche tale elemento deve ritenersi pienamente integrato nel caso di specie, in cui la condotta dell'imputata, così come emersa dal processo, consiste in una consapevole violazione dei limiti posti alla sua libertà di movimento.
Non è fondato il richiamo alla scriminante dello stato di necessità.
L'operatività della scriminante dello stato di necessità è subordinata alla severa verifica dell'esistenza dei presupposti individuati dall'art. 54 c.p.. La giurisprudenza ha infatti sancito la necessità di procedere ad un'indagine rigorosa sull'effettiva sussistenza dei requisiti dell'esimente ogni volta che questa venga eccepita nel corso di un giudizio.
Il primo elemento che configura la nozione penalistica dello stato di necessità è rappresentato dalla presenza di un pericolo attuale, che si concreta nell'imminenza di un danno grave alla persona. L'attualità del pericolo può essere intesa come una minaccia di lesione incombente al momento del fatto, ossia come una situazione che, potendo in breve tempo evolversi in lesione, imponga di agire nell'immediatezza o, comunque, anticipatamente, ma presuppone comunque l'ineluttabilità dell'azione, requisito che ricorre quando sia accertata l'impossibilità di evitare il pericolo se non ponendo in essere una condotta integrante reato.
Nel caso di specie la versione fornita dall'imputata e dalla teste escussa, non appare credibile in quanto non trova conforto nell'accertamento degli operanti che hanno escluso che la G. lamentasse un qualunque malore, avendola invece sorpresa a prendere un caffè con la propria vicina (v. dich. P.). In ogni caso, la stessa non configura una situazione rientrante nell'ipotesi scriminata nei termini precisati, mancando il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non altrimenti evitabile,avendo avuto al più la G. un malore, passato con acqua o caffè, che potevano essere assunti dall'imputata, sia pure accompagnata dalla vicina, all'interno della propria abitazione.
Per quanto riguarda, infine, il trattamento sanzionatorio, la pena inflitta, sulla base degli atti acquisiti, appare equa e correttamente determinata, conformemente ai criteri di cui all'articolo 133 c.p.
La pena è stata già applicata nel minimo edittale, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e non è suscettibile di ulteriori riduzioni.
Per le ragioni qui addotte, l'appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza di primo grado comportano, ai sensi dell'art. 592 c.p.p., la condanna dell'appellante al pagamento delle spese di giustizia attinenti al giudizio di impugnazione.
P.Q.M.
Visti gli artt. 605, 592 c.p.p.
CONFERMA
la sentenza del Tribunale di Roma in data 21 ottobre 2014, appellata da G.S. che condanna al pagamento delle spese del grado;
fissa in giorni trenta il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019.
Depositata in Cancelleria il 1 aprile 2019.