In tema di diffamazione; per potere ravvisare la scriminante di cui all'articolo 51 del Cp del legittimo esercizio del diritto di critica, devono ricorrere i presupposti di tale causa di giustificazione quali la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica e la c.d. continenza, ossia l'uso di modalità espressive che siano proporzionate e funzionali all'opinione dissenziente manifestata.
Il requisito della continenza, al fine di ravvisare la sussistenza dell'esimente, ha necessariamente il carattere dell'elasticità e, pertanto, al fine di ritenere o meno proporzionalmente e/o funzionalmente eccedenti i limiti del diritto di critica in relazione a tale requisito, occorre compiere non solo in astratto, ma soprattutto in concreto un ragionamento di tipo critico-logico che tenga conto di una serie di "parametri" quali, non solo il tenore letterale delle espressioni rese (che ben potrebbero essere poste con coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale), ma anche il concetto o messaggio che si vuole esprimere o trasmettere, il contesto dialettico in cui le stesse dichiarazioni vengono rese (per esempio, in occasione di una discussione o in sede di dibattito) e le modalità con cui esse sono manifestate e/o reiterate.
Tribunale di Taranto
Uffici GIP
decreto 17 ottobre 2022
Giudice Carriere
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A parere del giudicante, la richiesta di archiviazione formulata dal P.M. va sostanzialmente condivisa, con le seguenti aggiunte ed integrazioni motivazionali.
Ed invero - dato per noto, per ragioni di sintesi, il contenuto della richiesta di archiviazione e del connesso atto di opposizione, così come quello delle frasi salienti pubblicate dall'attuale indagato sul social network "(omissis)" - è sufficiente ricordare, in punto di diritto, che, come stabilito dalla S.C., "In tema di diffamazione; per potere ravvisare la scriminante di cui all'articolo 51 del Cp del legittimo esercizio del diritto di critica, devono ricorrere i presupposti di tale causa di giustificazione quali la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica e la c.d. continenza, ossia l'uso di modalità espressive che siano proporzionate e funzionali all'opinione dissenziente manifestata. A tal ultimo riguardo, il requisito della continenza, al fine di ravvisare la sussistenza dell'esimente, ha necessariamente il carattere dell'elasticità e, pertanto, al fine di ritenere o meno proporzionalmente e/o funzionalmente eccedenti i limiti del diritto di critica in relazione a tale requisito, occorre compiere non solo in astratto, ma soprattutto in concreto un ragionamento di tipo critico-logico che tenga conto di una serie di "parametri" quali, non solo il tenore letterale delle espressioni rese (che ben potrebbero essere poste con coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale), ma anche il concetto o messaggio che si vuole esprimere o trasmettere, il contesto dialettico in cui le stesse dichiarazioni vengono rese (per esempio, in occasione di una discussione o in sede di dibattito) e le modalità con cui esse sono manifestate e/o reiterate" (Cassazione penale, sez. V, 25/01/2022, n. 12186, in Guida al diritto 2022, 16).
In particolare, il requisito della continenza non può dirsi ricorrente solo allorquando la critica trascende "nello scherno e nella derisione" (Cassazione penale, sez. V, 18/01/2022, n. 12826, in Diritto & Giustizia 2022: confermata nella fattispecie la condanna per diffamazione nei confronti dell'imputato, atteso che appellare la persona offesa quale "(omissis)" nei messaggi rivolti agli oltre duemila appartenenti ad un gruppo (omissis) aveva significato additarlo come mentalmente ipodotato) "o nel dileggio o disprezzo personale" (Cassazione penale, sez. V, 14/10/2021, n. 320, in CED Cass. pen. 2022, rv 282871-01: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'esclusione dell'esimente nella condotta di un soggetto, destinatario di uno sfratto, che nel corso di una manifestazione pubblica contro le politiche abitative comunali aveva definito il sindaco della città (omissis) ispirandosi al cognome "(omissis)" del medesimo).
Orbene, nel caso specifico ritiene il giudicante che non siano stati superati i limiti che consentono di ritenere sussistente la scriminante dell'esercizio del diritto di critica.
Le espressioni adottate dall'attuale indagato si inserivano infatti nel contesto di un'accesa discussione - con opinioni divergenti espresse da vari utenti – sul social network "(omissis)", in ordine alla condotta e alla scelta professionale dell'attuale opponente Avv. (omissis) il quale, all'uscita dal carcere di Taranto (ove aveva assistito all'udienza di convalida dell'arresto, quale difensore di fiducia, un indagato accusato di tentato omicidio nei confronti della propria figlioletta, per averla gettata dal balcone), incontrando i giornalisti, oltre ad informarli che il proprio assistito si era avvalso della facoltà di non rispondere, aveva altresì annunciato di aver inteso rinunciare alla difesa [sostanzialmente per ragioni "morali" e "personali" - come si evince dal contenuto del link alla relativa intervista riportato nella memoria difensiva dell'indagato depositata all'udienza camerale - ossia per la disapprovazione intima della "efferata azione criminosa" compiuta dall'arrestato e per il fatto che il difensore, essendo padre di un figlio di sette anni, dunque di un'età vicina a quella della bambina vittima del reato, non avrebbe potuto svolgere il proprio ufficio difensivo con la dovuta serenità].
Tale scelta professionale dell'Avv. (omissis) veniva fatta oggetto di una severa critica su "(omissis)" da parte dell'Avv. (omissis), la quale però, a parere del giudicante, pur se espressa con toni forti polemici, non risulta aver trasceso nel mero e gratuito insulto personale, nel dileggio, nell'attacco immotivato alla persona dell'Avv. (omissis) in quanto tale (peraltro mal espressamente nominato), essendosi mantenuta nei limiti di un severo e netto dissenso rispetto alla legittimità e correttezza di una simile scelta di rinunciare al mandato per ragioni quali quelle sopra descritte: una critica, dunque, non alla persona, ma alla condotta tenuta dal difensore, ritenuta non conforme ai doveri deontologici della difesa.
Si tratta in effetti di un tema "aperto" e suscettibile di opinioni difformi (come in effetti verificatosi nell'ambito del relativo dibattito su "(omissis)"), sol che si pensi che il vigente codice deontologico forense (v. ad es. art. 32, concernente la rinuncia al mandato), certamente non subordina l'esercizio della rinuncia al mandato a particolari condizioni (se non quella di esercitare "le cautele necessarie per evitare pregiudizi alla parte assistita” sotto tale profilo l'indagato evidenzia in effetti che l'arrestato si era avvalso della facoltà di non rispondere all'udienza di convalida dell'arresto, e che all'uscita dal carcere, colloquiando con i giornalisti e spiegando il senso della propria scelta, l'avv. (omissis) aveva fatto espresso riferimento alla "efferata azione criminosa" compiuta dal proprio assistito, così quindi accreditando o rafforzando nell'opinione pubblica un giudizio anticipato di colpevolezza); il codice deontologico dunque certamente non vieta di rinunciare al mandato per ragioni "morali" e "personali", ma neppure lo consente espressamente, restando dunque la questione, per l'appunto, "opinabile" e suscettibile di difformi valutazioni, anche fortemente critiche.
In tale contesto, le espressioni usate dall'indagato, pur obiettivamente “forti" (nella misura in cui (omissis) pur senza mai nominarlo espressamente, invitava l'avv. (omissis) a "cambiare professione" per non aver "compreso il proprio mestiere" o "quantomeno a dedicarsi solo a branche del diritto diverse dal penale" e/o a "ricominciane da zero i suoi studi" augurandosi anche un intervento disciplinare nei suoi confronti, e ritenendo inaccettabile "che il motivo della rinuncia sia la gravità del reato", per essere simili comportamenti "contrari alla nostra etica professionale. Soprattutto quando sono in ballo i principi fondamentali del nostro sistema"), non paiono gratuitamente lesive, non trasmodano nell'insulto gratuito, nel dileggio, nello scherno puramente rivolto alla persona in quanto tale, ma rimangono pur sempre entro i confini di una censura fortemente polemica circa l'opportunità e la giustezza della condotto professionale tenuto dall'interessato, peraltro, come già anticipato, in un contesto cui lo stesso avv. (omissis) aveva conferito pubblica rilevanza (accettando di colloquiare con i giornalisti all'uscita dal carcere, e comunicando loro, nei termini già illustrati, i motivi della propria rinuncia al mandato) e in cui, di conseguenza, la questione aveva suscitato una vaste eco anche sui social network, con lo scatenarsi di un vivo ed acceso dibattito (connotato come detto da opinioni contrapposte) circa la legittimità di una simile scelta.
In tale contesto abbastanza chiaro - relativo ad una questione acclarata e di pura valutazione in diritto -, appare pertanto manifestamente superfluo lo svolgimento delle attività investigative suppletive indicate nell'atto di opposizione (e consistenti nell'ascolto di taluni dei "lettori" delle frasi incriminate e dall'intera discussione avvenuta su "(omissis)", onde accertare, come si legge nell'atto di opposizione, se costoro avessero "percezione" della "portata lesiva" delle espressioni adoperate dall'indagato), giacché evidentemente ciò costituisce, e deve costituire, oggetto della valutazione dell'autorità giudiziaria che procede, condotta secondo i canoni giuridici in precedenza illustrati, irrilevante, e comunque non decisiva, restando la "percezione" soggettiva da parte dei singoli partecipanti al dibattito.
Si impone allora l'archiviazione del procedimento, ai sensi dell'art. 125 disp. att. c.p.p., in quanto gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari sono inidonei a sostenere l'accusa in giudizio.
P.Q.M.
visto l'articolo 409 comma 5 c.p.p.
dispone
l'archiviazione del procedimento e ordina la restituzione degli atti al pubblico ministero richiedente.