L’esimente concernente la non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative (nella specie un procedimento disciplinare) non è applicabile qualora le espressioni offensive siano contenute in una memoria difensiva inviata ad autorità diverse dal legittimo contraddittore del procedimento.
L’operatività dell’esimente è funzionale al libero esercizio del diritto di difesa e deve restare circoscritta all’ambito del giudizio ordinario od amministrativo nel corso del quale le offese siano proferite, a condizione che siano pertinenti all’oggetto della causa o del ricorso amministrativo.
CORTE DI CASSAZIONE
SEZ. V PENALE SENTENZA 18 giugno 2018, n.27936
Pres. Sabeone – est. Morelli
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Castrovillari ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Rossano, appellata dalla parte civile P.P. , che aveva assolto R.G. dall’addebito di diffamazione in danno del P. .
1.1. È fatto carico all’imputato di avere offeso la reputazione della parte offesa in una missiva, trasmessa al Comune di Rossano- Ufficio del personale e Ufficio Economato- in cui si accusava il P. di insistere nel 'trattenere illegittimamente le somme liquidate in favore dei figli, peraltro lasciati in gravissime ristrettezze economiche'.
1.2. Il Tribunale, così come il giudice di primo grado, ha rilevato che:
- nella causa di separazione personale fra P. e la moglie, R.L. , il Presidente del Tribunale di Rossano aveva posto a carico del marito, quale contributo per il mantenimento dei figli, un assegno mensile di 200 Euro oltre agli assegni familiari percepiti;
- l’imputato, difensore della R. , aveva inviato la missiva indicata nell’imputazione al Comune di Rossano, datore di lavoro del P. , per informarlo della cosa e rappresentare che la propria assistita si era vista liquidare solo una minima parte degli assegni erogati all’ex coniuge.
Si è quindi ritenuta l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 598 c.p., atteso che l’imputato si era reso tramite, quale legale, delle doglianze rappresentategli dalla propria cliente e che l’evento lesivo era stato una conseguenza di una azione lecita volta ad esercitare un diritto, stante la verità del fatto riferito.
2. Propone ricorso il difensore e procuratore speciale della parte civile chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni sulla base di due motivi.
2.1. Con la prima censura deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale a causa della mancata integrazione della causa di non punibilità ex art. 598 c.p. nonché vizi motivazionali in ordine alla sussistenza della stessa. L’esimente in oggetto, a dire della parte civile, non troverebbe applicazione nel caso in esame in quanto i fatti ad essa attribuiti ed integranti la diffamazione risulterebbero falsi e non connotati da alcun nesso di pertinenzialità rispetto all’oggetto della richiesta avanzata al Comune di Rossano. Sempre a parere del ricorrente la condotta dell’imputato esorbiterebbe inoltre dall’ambito fissato dalla legge per la sussistenza della causa di non punibilità, la quale deve rimanere circoscritta all’ambito del giudizio ordinario od amministrativo nel corso del quale le offese sono proferite. In merito a tali censure il giudice di appello non avrebbe reso giustificazione nella parte motiva della sentenza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso la parte civile lamenta inosservanza della legge penale in riferimento alla corretta applicazione dell’art. 598 c.p. per omessa pronuncia. Il giudice di appello non avrebbe tratto le dovute conseguente dall’applicazione della causa di non punibilità in esame, conseguenti all’accertamento dell’infondatezza dei fatti attribuiti alla parte civile, così come da espresso motivo di gravame.
3. Il difensore dell’imputato ha presentato una memoria in cui chiede sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso, in presenza di una decisione conforme nei due gradi di giudizio di merito e ritenuta, comunque, la veridicità dei fatti esposti.
Si chiede, altresì, la condanna le ricorrente alla rifusione delle spese di difesa dell’imputato.
4. Premesso che l’art. 598 c.p. regola una causa di non punibilità e non una causa di giustificazione, quale potrebbe essere quella di cui all’art. 51 c.p. (sulle differenze fra i due istituti in tema di diffamazione si veda Sez. 5, n. 14542 del 07/03/2017 Rv. 269734); entrambe le decisioni di merito - pur se il giudice di appello ha dato una motivazione che, nella sua estrema sintesi, avrebbe potuto adattarsi anche alla causa di giustificazione dell’esercizio di un diritto, ma non ne ha indicato i presupposti - hanno escluso la punibilità del fatto in applicazione dell’art. 598 c.p., che riguarda le offese contenute negli atti delle parti o dei loro patrocinatori nei procedimenti dinnanzi all’Autorità giudiziaria o amministrativa.
La norma è stata interpretata in senso restrittivo dalla costante giurisprudenza di legittimità (fra le tante Sez. 5, n. 20058 del 06/11/2014, dep. 14/05/2015, Rv. 264070 e Sez. 5, n. 7633 del 18/11/2011, dep. 27/02/2012, Rv. 252161.
'L’esimente di cui all’art. 598 cod. pen. - concernente la non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative (nella specie un procedimento disciplinare) - non è applicabile qualora le espressioni offensive siano contenute in una memoria difensiva inviata ad autorità diverse dal legittimo contraddittore del procedimento, in quanto l’operatività dell’esimente - funzionale al libero esercizio del diritto di difesa - deve restare circoscritta all’ambito del giudizio ordinario od amministrativo nel corso del quale le offese siano proferite, a condizione che siano pertinenti all’oggetto della causa o del ricorso amministrativo').
Erroneamente, quindi, i giudici di merito hanno ritenuto applicabile la norma nel caso in esame, che riguarda uno scritto inviato ad una Autorità amministrativa, in quanto datore di lavoro della persona offesa.
4.1. Esclusa, quindi, la possibilità di applicare la causa di non punibilità, la decisione va annullata ai soli effetti civili con rinvio, per una nuova valutazione dei fatti, al giudice civile competente per valore in grado di appello ai sensi dell’art. 622 c.p.p..
5. Quanto alla richiesta del difensore della parte civile, oggi presente, di procedere alla condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di difesa della parte civile per questo grado di giudizio, va evidenziato che 'La parte civile non può ottenere la rifusione delle spese processuali all’esito del giudizio di legittimità che si è concluso con l’annullamento con rinvio, ma può far valere le proprie pretese nel corso ulteriore del processo, in cui il giudice di merito dovrà accertare la sussistenza, a carico dell’imputato, dell’obbligo della rifusione delle spese giudiziali in base al principio della soccombenza, con riferimento all’esito del gravame.' Sez. 5, n. 25469 del 23/04/2014 Rv. 262561.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.