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Assolto, va accertata la illegittimità della custodia cautelare (Cass. 5312/22)

15 febbraio 2022, Cassazione penale

L’imputato che abbia subito una custodia cautelare mantiene interesse ad ottenere una «pronuncia irrevocabile» (nozione che comprende anche la decisione del Tribunale del riesame non più soggetta ad impugnazione) che accerti l'illegittimità della custodia cautelare per assenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico, anche dopo la sua assoluzione, in quanto tale accertamento gli permetterebbe di poter agire per la riparazione ex art. 314 cod. proc. pen. anche ove il procedimento di appello dovesse concludersi con sentenza di condanna, come previsto dal comma 2 della norma citata, che attribuisce il diritto alla riparazione anche al soggetto condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando, con decisione irrevocabile, risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen.

 

Corte di Cassazione

Penale Sent. Sez. 3 Num. 5312 Anno 2022

Presidente: RAMACCI LUCA

Relatore: BERNAZZANI PAOLO

Data Udienza: 24/09/2021

 

SENTENZA

 sul ricorso proposto da:

 A T nato a ROVERETO il 31/08/1961

avverso l'ordinanza del 19/05/2021 del TRIB. LIBERTA' di TRENTO

udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLO BERNAZZANI;

lette/sentite le conclusioni del PG ASSUNTA COCOMELLO

Il Proc. Gen. conclude per l'annullamento con rinvio.

 RITENUTO IN FATTO

 1. Con ordinanza del 19.5.2021, il Tribunale di Trento, giudicando in sede di rinvio disposto dalla Corte di cassazione, dichiarava l'inammissibilità sopravvenuta della richiesta di riesame proposta da A T avverso l'ordinanza del G.i.p. presso il Tribunale di Rovereto in data 14.10.2020 con la quale era stata applicata al predetto la misura della custodia cautelare in carcere.  Rilevava il Tribunale, a sostegno della propria pronuncia, che l'A era stato, in data 23.2.2021, assolto in primo grado - con sentenza non definitiva - dai reati a lui ascritti ex artt. 81, 110 cod. pen., 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, per non aver commesso il fatto con riferimento al delitto di cui all'art. 73, comma 1, e perché il fatto non sussiste rispetto al delitto di cui al comma 4 della citata disposizione incriminatrice, con revoca della misura cautelare.

 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'A, tramite il difensore di fiducia [Avv. Nicola Canestrini], deducendo inosservanza ed erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 568, 591, 623, lett. a) cod. proc. pen..

 Il ricorrente, premesse le fasi essenziali della vicenda processuale e rilevato, in particolare, che questa Suprema Corte, con sentenza in data 22.4.2021, aveva annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale trentino in data 4.11.2020 che, in sede di riesame, aveva sostituito con quella domiciliare la misura della custodia cautelare in carcere originariamente applicata dal G.i.p. del Tribunale di Rovereto nei confronti dell'A, indagato per concorso in detenzione illecita di cocaina (gr. 600) e hashish (gr. 1,73 e gr. 0,3), deduce che l'ordinanza in data 19.5.2021 qui impugnata, con la quale il Tribunale del riesame, nuovamente investito dell'impugnazione cautelare a seguito del predetto annullamento in sede di legittimità, ha rigettato il gravame della difesa considerandolo inammissibile, è viziata da un'erronea interpretazione della nozione di interesse all'impugnazione, di cui è stata esclusa la sussistenza alla luce dell'intervenuta sentenza di assoluzione di primo grado in favore dell'A, così mancando di uniformarsi alla sentenza di annullamento di questa Corte, che, già consapevole dell'intervenuta assoluzione, aveva annullato il provvedimento del riesame.

Si sottolinea, in tale prospettiva, che l'imputato assolto conserva l'interesse ad ottenere una pronuncia in relazione all'illegittimità dell'applicazione della misura cautelare, al fine di ricevere un'equa riparazione ex art. 314 cod. proc. pen.; in tal senso il ricorrente, pur consapevole dell'orientamento di legittimità che individua nella sentenza di assoluzione una condizione sufficiente ad integrare i presupposti per richiedere la liquidazione ai sensi dell'art. 314 cod. proc. pen., precisa che, essendo nella specie la sentenza assolutoria non definitiva in quanto impugnata dal p.m. in appello, essa non potrebbe essere considerata quale elemento in sé sufficiente ad escludere l'interesse ad agire in capo all'imputato.

 Il P.G. ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza.

 CONSIDERATO IN DIRITTO

 1. Il ricorso è fondato.

 1.1. Come già osservato da questa Corte con la sentenza rescindente sopra citata, in tema di ricorso avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale, nelle more revocata, permane l'interesse a coltivare l'impugnazione solo se la parte intende servirsi dell'eventuale pronuncia favorevole ai fini della richiesta di riparazione per l'ingiusta detenzione, purché tale interesse sia manifestato dall'interessato e debitamente motivato. Tale enunciazione si ricollega, in particolare, ai principi dettati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 7931 del 16/12/2010, Testini, Rv.249002, secondo cui «l'interesse a coltivare il ricorso in materia de libertate in riferimento a una futura utilizzazione della pronuncia in sede di riparazione per ingiusta detenzione dovrà essere oggetto di una specifica e motivata deduzione, idonea ad evidenziare in termini concreti il pregiudizio che deriverebbe dalla omissione della pronuncia medesima. Considerato poi che la domanda di riparazione - come si evince dal coordinato disposto dell'art. 315, comma 3, cod. proc. pen. e dell'art. 645, comma 1, cod. proc. pen. - è atto riservato personalmente alla parte, occorre che l'intenzione della sua futura presentazione sia con certezza riconducibile alla sua volontà».

 Conseguentemente, questa Corte ha ritenuto che «il ricorso per cassazione, avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale nelle more revocata, è ammissibile a condizione che il ricorrente coltivi l'impugnazione ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione e che egli abbia manifestato tale volontà nello stesso ricorso personalmente o a mezzo di difensore munito di procura speciale, in quanto la domanda di riparazione è atto riservato personalmente alla parte, come si evince dal combinato disposto degli artt. 315, comma 3, e 645, comma 1, cod. proc. pen.».

 1.2. Va ulteriormente precisato (cfr. Sez. 5, n. 19334 del 18/1/2013, Rubino, Rv. 256497-01) che l'interesse a impugnare una misura cautelare personale dopo la sua cessazione è ravvisabile, ai fini dell'equa riparazione per ingiusta detenzione, esclusivamente in relazione all'accertamento della sussistenza delle condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., e non anche di quelle riferite alle esigenze cautelari o alla scelta tra le  diverse misure, in quanto tali ultime ipotesi non rientrano tra le ragioni idonee a fondare il diritto di cui all'art. 314 cod. proc. pen.

 2. In tale prospettiva, deve rilevarsi che le ragioni di doglianza formulate dalla difesa dell'A avanti al Riesame concernevano anche e proprio la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, altresì, che l'interessato ha formalmente dedotto il proprio interesse a coltivare l'impugnazione, sebbene non nello stesso ricorso di legittimità per ragioni di carattere obiettivo, in quanto lo stesso era stato proposto anteriormente alla pronuncia della sentenza assolutoria, ma nella prima occasione utile successiva, ossia con memoria tempestivamente presentata avanti a questa Corte ai fini dell'udienza del 22.4.2021, memoria sottoscritta personalmente dall'A, unitamente al proprio difensore, all'espresso fine «di dare contezza alla sua volontà» riguardo alla «intenzione della futura presentazione del ricorso per ingiusta detenzione».

 3. La validità di tale univoca manifestazione di volontà è stata, del resto, già riconosciuta dalla decisione rescindente, la quale ha ritenuto il ricorso «ammissibile, sussistendo un interesse alla decisione, nonostante l'intervenuta scarcerazione dell'A, assolto in primo grado dal delitto di cui all'art. 73, c.1, d.P.R. 309/90 (cfr., sul punto, Sez. un. n. 26795 del 28/3/2006, Prisco, Rv. 234268, in cui si è riconosciuto il permanente interesse dell'indagato all'impugnazione anche nel caso in cui, nelle more del procedimento incidentale de libertate, la misura della custodia cautelare in carcere sia sostituita con quella del divieto di dimora, sempre che l'applicazione dell'originaria misura possa costituire per l'interessato presupposto del diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita ingiustamente, essendo stato il provvedimento coercitivo emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen.; sez. 2, n. 31556 del 18/5/2012, Fortunato, RV. 253522; sez. 3, n. 42443 del 6/2/2018, Rita Giuseppina, Rv. 274214)».

 4. Tale dichiarazione, pertanto, dovendo considerarsi immanente al processo, oltre che richiamata nel suo contenuto dalla stessa sentenza di annullamento con rinvio e, quindi, necessariamente nota al Tribunale, non doveva necessariamente essere reiterata avanti ai giudici del riesame.

 5. Quanto al principio secondo cui «è inammissibile per carenza di interesse l'impugnazione dell'indagato avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari che, nelle more del procedimento cautelare, abbia perso efficacia a seguito di sentenza di assoluzione, poiché, anche avendo riguardo all'interesse relativo alla domanda di equa riparazione, già la decisione assolutoria integra di per sé il presupposto positivo, previsto dall'art. 314, comma 1, cod. proc. pen., per il diritto alla ufficiale  riparazione, che si affianca a quello della subita custodia cautelare e del non avere concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. Sez. 3, n. 48033 del 25/10/2019, Rv. 277350-01; Sez. 5, n. 25462 del 16/04/2014, Rv. 260570- 01), va osservato che, nella specie, la sentenza di assoluzione è stata appellata dal P.M., sicché non è irrevocabile, onde, allo stato, non ricorre il presupposto di cui al comma 1 dell'art. 314 citato (cfr. anche Sez. 4, n. 22924 del 30/03/2004, Min. Ec. Fin, in proc. Zitello, Rv. 228791-01).

 Pertanto, deve riconoscersi che l'A mantiene interesse ad ottenere una «pronuncia irrevocabile» (nozione che comprende anche la decisione del Tribunale del riesame non più soggetta ad impugnazione, oltre alle pronunce della Corte di cassazione emesse a seguito di ricorso contro tale provvedimento: cfr. Sez. U, n. 11 del 08/07/1994, Buffa, Rv. 198214-01; Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, Durante, Rv. 195355-01; Sez. 4, n. 18237 del 07/02/2003, Tedesco, Rv. 224506-01) che accerti l'illegittimità della custodia cautelare per assenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico, in quanto tale accertamento gli permetterebbe di poter agire per la riparazione ex art. 314 cod. proc. pen. anche ove il procedimento di appello dovesse concludersi con sentenza di condanna, come previsto dal comma 2 della norma citata, che attribuisce il diritto alla riparazione anche al soggetto condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando, con decisione irrevocabile, risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen.

 6. L'ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale di Trento quale giudice del riesame.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Trento. Così deciso in Roma, il 24.9.2021 - deposito 15.2.2022