L'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. è immediatamente applicabile a tutti i giudizi pendenti a seguito di impugnazione per i soli interessi civili e quindi anche a quelli introdotti prima o relativi a sentenze emesse prima del 30 dicembre 2022.
Ciò perchè la parte civile di regola redigerà il proprio atto d'impugnazione non sapendo se la sentenza sarà impugnata ai soli effetti civili o anche agli effetti penali, evenienza quest'ultima che precluderebbe l'applicazione della nuova disposizione; in secondo luogo, non pare dubbio che l'ammissibilità del ricorso della parte civile, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, dovrà essere comunque valutata "secondo le regole proprie del codice di rito penale (anche perchè non si capirebbe quali altri parametri valutativi potrebbe essere chiamato a seguire)" (così, ancora una volta, la citata sentenza della Quinta Sezione); in terzo luogo, la prosecuzione del giudizio avanti al giudice civile non comporterà, rispetto al passato, alcuna modificazione nella regola di giudizio ai fini dell'affermazione di responsabilità ai soli effetti civili.
Già oggi, infatti, il giudice penale che si trovi a decidere sulla responsabilità civile, ai sensi dell'art. 578, comma 1, c.p.p., e quindi a verificare la sussistenza dell'illecito civile, dovrà seguire "il criterio del "più probabile che non" o della "probabilità prevalente" che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria".
Fra la vecchia e la nuova disciplina, quanto alla natura del giudizio civile (prima a seguito di annullamento con rinvio, ora a seguito di rinvio per la prosecuzione) e alla regola di giudizio, vi è una sostanziale continuità, confermata dalla previsione che il giudice civile competente ai sensi del nuovo art. 573, comma 1-bis, c.p.p. "decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile".
Nel giudizio civile non è comunque consentita una mutatio della domanda.
La precisazione è assai rilevante perchè non va dimenticato che la legittimazione all'azione civile nel processo penale concerne le "restituzioni e il risarcimento del danno di cui all'art. 185 del codice penale", conseguenti alla commissione di un reato.
La citata sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale ha affermato che, ormai definito il profilo penale della vicenda, "il giudice dell'impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all'imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un "danno ingiusto" secondo l'art. 2043 c.c., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno".
Nondimeno, il giudice delle leggi ha precisato che questa valutazione va effettuata "riguardo al "fatto" - come storicamente considerato nell'imputazione penale", tant'è che, nei casi previsti dall'art. 578, comma 1, c.p.p., "N'esigenza di rispetto della presunzione di innocenza dell'imputato non preclude al giudice penale dell'impugnazione di effettuare tale accertamento onde liquidare anche il danno non patrimoniale di cui all'art. 185 c.p. ", anche se, in questa ipotesi, "l'illecito civile, pur fondandosi sull'elemento materiale e psicologico del reato, tuttavia risponde a diverse finalità e richiama un distinto regime probatorio".
Ciò significa che, venuto meno il profilo penale e quindi accertato che l'imputato è stato prosciolto per prescrizione, non può più essere dichiarato colpevole di avere commesso un reato (e in questo senso va letta la sentenza della Corte costituzionale più volte citata, secondo la quale l'art. 578, comma 1, c.p.p. "non viola il diritto dell'imputato alla presunzione di innocenza come declinato nell'ordinamento convenzionale dalla giurisprudenza della Corte EDU e come riconosciuto nell'ordinamento dell'Unione Europea"), l'accertamento del giudice civile, ferme restando le diverse regole probatorie , dovrà comunque rimanere nei binari tracciati dalla stessa parte civile, costituitasi nel processo penale per ottenere il risarcimento del danno in relazione a quel fatto contestato nell'imputazione.
La ipotetica deduzione della parte civile in ordine ad una ricezione e messa in circolazione dell'opera avvenuta non con dolo ma con colpa configurerebbe una inammissibile mutatio della domanda, che evidentemente pregiudicherebbe le ragioni del presunto danneggiante, per la prima volta messo di fronte alla contestazione di un fatto diverso, che in astratto ben potrebbe costituire un illecito aquiliano ai sensi dell'art. 2043 c.c. ma che evidentemente non costituiva reato neppure ab origine: in ordine a tale diverso fatto, perchè connotato da un diverso elemento psicologico, la parte civile avrebbe potuto (o potrebbe) proporre autonoma azione civile, ma non potrebbe agire nel giudizio civile di rinvio per la decisione delle questioni civili, in prosecuzione di un processo penale nel quale la stessa si è costituita chiedendo il risarcimento del danno sul presupposto della sussistenza del fatto-reato contestato all'originario imputato.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
(data ud. 02/02/2023) 16/02/2023, n. 6690
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAGO Geppino - Presidente -
Dott. MESSINI D. A. Piero - rel. Consigliere -
Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere -
Dott. TUTINELLI Vincenzo - Consigliere -
Dott. SARACO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato negli (Omissis);
quale legale rappresentante della (Omissis). parte civile nel procedimento c:
B.B., nato a MILANO il 17/06/1968;
avverso la sentenza del 03/11/2021 della CORTE DI APPELLO DI MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Piero MESSINI D'AGOSTINI;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro MOLINO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore della parte civile ricorrente avv. DJ, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
lette le conclusioni degli avv. DM e AlS, difensori di B.B., che hanno chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 8 settembre 2020 il Tribunale di Milano, ad esito del giudizio abbreviato condizionato, condannava B.B. alla pena ritenuta di giustizia per il reato di ricettazione, avendolo ritenuto colpevole di avere ricevuto e posto in commercio un'opera pittorica apparentemente proveniente dall'artista Josef Albers, in realtà contraffatta.
In riforma della decisione di primo grado, la Corte di appello di Milano, con sentenza del 3 novembre 2021, assolveva l'imputato con la formula "il fatto non costituisce reato", ritenendo insussistente il dolo del delitto contestato, poichè molteplici circostanze consentivano di escludere che B.B. fosse consapevole della non autenticità dell'opera.
2. Ha proposto ricorso la parte civile (Omissis)., in persona del suo direttore e legale rappresentante, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l'annullamento della sentenza, ai soli effetti della responsabilità civile, ai sensi dell'art. 576 del codice di rito.
Con il primo dei sette motivi di ricorso la ricorrente ha lamentato la inosservanza dell'art. 23-bis, comma 1, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 228: la Corte territoriale ha proceduto alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ai sensi dell'art. 603 c.p.p., assumendo elementi determinanti ai fini della decisione, desunti dalla consulenza tecnica dell'imputato allegata all'atto di appello, celebrando l'unica udienza in forma "cartolare" senza l'intervento delle parti.
3. Disposta la trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall'art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, nella quale è stato convertito il D.L. 31 ottobre 2022, n. 162), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti, il Procuratore generale, la difesa della parte civile ricorrente e quella dell'originario imputato hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va riconosciuto l'interesse della parte civile all'impugnazione, nonostante B.B. sia stato assolto per la ritenuta assenza di dolo con la formula "il fatto non costituisce reato", ad esito di un accertamento che non avrebbe efficacia di giudicato nell'eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno.
La più recente giurisprudenza di legittimità ritiene sussistente l'interesse della parte civile a impugnare la decisione assolutoria pronunciata con detta formula, in quanto le limitazioni alla efficacia del giudicato previste dall'art. 652 c.p.p. non incidono sulla estensione del diritto all'impugnazione ad essa riconosciuto in termini generali nel processo penale dall'art. 576 c.p.p., imponendosi altrimenti alla stessa di rinunciare agli esiti dell'accertamento compiuto nel processo penale e di riavviare ab initio l'accertamento in sede civile, con conseguente allungamento dei tempi processuali (Sez. 4, n. 14194 del 18/03/2021, Sisti, Rv. 281016-01; Sez. 6, n. 36526 del 28/10/2020, Pilato, Rv. 280182-02; Sez. 2, n. 10638 del 30/01/2020 Enderlin, Rv. 278519-01; Sez. 4, n. 10114 del 21/11/2019, dep. 2020, Zanini, Rv. 278643-01; Sez. 5, n. 27318 del 07/03/2019, Marzuoli, Rv. 276640-01).
Il Collegio condivide questo orientamento, aderente anche ai principi di recente espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza Papaleo (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Rv. 275953-01), con la quale si è statuito che, nei confronti della sentenza di primo grado che dichiari l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come contro la sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, è ammessa l'impugnazione della parte civile che lamenti l'erronea applicazione della prescrizione. La sentenza ha ribadito il principio già affermato in altra precedente pronunzia delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815, non mass. sul punto), secondo il quale il danneggiato, avendo con la costituzione di parte civile inteso trasferire in sede penale l'azione civile di danno, ha "interesse ad ottenere nel giudizio penale il massimo di quanto può essergli riconosciuto", cosicchè non gli si può negare l'interesse a impugnare la decisione di proscioglimento anche quando questa manchi di efficacia preclusiva.
2. La sentenza qui impugnata ha dato atto che la difesa di B.B., con il primo motivo di gravame, aveva preliminarmente chiesto "la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ex art. 603 c.p.p. per l'escussione del consulente tecnico e per l'acquisizione della consulenza tecnica redatta al fine di stabilire non tanto l'autenticità dell'opera, bensì la sua storicità e, dunque, l'impossibilità per l'imputato di riconoscerne con certezza la falsità".
La Corte territoriale non ha proceduto formalmente alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ma ha comunque valutato la consulenza tecnica allegata all'atto di appello, ritenendola decisiva in relazione a "tre aspetti di primario rilievo" al fine di escludere "che l'imputato avesse avuto consapevolezza della presunta illecita provenienza del bene".
Nella sostanza la Corte di merito ha valutato l'elaborato del consulente dell'imputato alla stregua di un documento, acquisibile - questo ultimo - nel giudizio di appello senza la necessità di una ordinanza che disponga la rinnovazione parziale del dibattimento, essendo sufficiente, in questo caso, che sia assicurato il contraddittorio fra le parti (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231676-01; Sez. 3, n. 34949 del 3/11/2020, S., Rv. 280504-01; Sez. 5, n. 32427 del 11/05/2015, Scarano, Rv. 268848-01; in relazione al giudizio cartolare di appello celebrato secondo la disciplina emergenziale pandemica, da ultimo si è espressa nel medesimo senso Sez. 2, n. 37051 del 15/09/2022, Berisa, Rv. 283790).
Tuttavia, la consulenza di parte, nel caso di specie svolta al di fuori dei casi di perizia (e quindi soggetta alla disciplina prevista dall'art. 233 c.p.p., secondo la quale i consulenti tecnici nominati dalle parti "possono esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie a norma dell'art. 121"), costituisce un mezzo di prova, al pari della perizia, che il codice di rito ben distingue dalla prova documentale.
Detta consulenza, dunque, non avrebbe potuto trovare ingresso in assenza della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ex art. 603 c.p.p. (richiesta, peraltro, dalla difesa dell'imputato), tanto più che il processo è stato celebrato con rito abbreviato.
L'acquisizione e l'utilizzo, addirittura in termini di decisività, della consulenza allegata all'atto di appello ha comportato, di fatto, che a detta rinnovazione, pur in assenza di un provvedimento formale, la Corte territoriale abbia proceduto, peraltro obliterando del tutto le deduzioni e richieste tempestivamente proposte nelle conclusioni della parte civile, delle quali neppure si è dato atto in sentenza, a differenza di quelle delle altre parti (circostanza anch'essa con fondamento censurata con il terzo motivo di ricorso).
Così operando, però, la Corte di appello, anche a prescindere dagli altri profili di nullità lamentati dalla ricorrente, logicamente successivi, ha violato il disposto dell'art. 23-bis, comma 1, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, secondo il quale a decorrere "dal 9 novembre 2020 e fino al 31 luglio 2021 (termine prorogato - per quanto qui rileva - al 31 dicembre 2021 dal D.L. 23 luglio 2021, n. 105, convertito nella L. 16 settembre 2021, n. 126), fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l'imputato manifesti la volontà di comparire".
Pur essendosi di fatto disposta la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, il giudizio di appello è stato celebrato con trattazione cartolare.
Il primo motivo di ricorso, dunque, è fondato.
Non essendo l'impugnazione inammissibile, ritiene il Collegio che debba trovare applicazione il disposto del comma 1-bis dell'art. 573 c.p.p. (introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai sensi dell'art. 6 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni nella L. 30 dicembre 2022, n. 199), secondo il quale, "(q)uando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile".
3. In ordine alla immediata applicabilità o meno di detta norma, in mancanza di una specifica disposizione transitoria, si è già registrato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità; una prima pronunzia della Quarta Sezione ha risolto in termini affermativi la questione (n. 2854 del 11/01/2023), mentre risposta negativa è stata data in una sentenza della Quinta Sezione (n. 3990 del 20/01/2023).
Premesso che - come è noto - il fenomeno della successione delle leggi, nel diritto processuale penale, è regolato dal principio tempus regit actum, le divergenti soluzioni trovano spiegazione nella individuazione dell'actus rilevante nel caso di specie.
Entrambe le decisioni hanno richiamato la pronunzia emessa sul tema dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 27614 del 29/3/2007, Lista, Rv. 236537-01), che operò la distinzione tra modifiche legislative attinenti alla categoria del regime delle impugnazioni (nelle quali rientrano le modifiche legislative relative alla facoltà di impugnazione, alla sua estensione, ai modi ed ai termini per esercitarla) e modifiche legislative riguardanti il procedimento di impugnazione.
Le Sezioni Unite statuirono che, ai fini dell'individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorchè si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall'una all'altra, l'applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di pronuncia del provvedimento da impugnare e non a quello in cui si propone l'impugnazione.
Tuttavia - come ricordato nell'ordinanza della Quarta Sezione - la questione esaminata dalle Sezioni Unite concerneva l'an del diritto a impugnare, trattandosi della verifica circa la perdurante facoltà di proporre appello, agli effetti penali, in capo alla persona offesa costituita parte civile contro la sentenza emessa nei processi relativi ai reati di ingiuria e diffamazione, nonostante l'abrogazione per legge di tale rimedio.
In quel caso il riferimento alla data della sentenza fu imposto dalla necessità di tutelare il diritto all'impugnazione e il correlato affidamento che aveva il soggetto legittimato sulle norme che regolavano tale diritto, situazione affatto diversa da quella di cui qui si tratta.
La sentenza Lista precisò anche che nel caso di successione di leggi nel tempo, alla stregua della regola tempus regit actum, occorre tenere conto della variegata tipologia degli atti processuali e modulare la declinazione della regola in relazione alla differente situazione sulla quale questi incidono e che occorre di volta in volta governare.
Sulla scorta di tale principio, pur non espressamente richiamato, le stesse Sezioni Unite, alla luce del novellato art. 613 c.p.p., hanno ritenuto inammissibile un ricorso presentato personalmente dalla persona sottoposta a indagini avverso un provvedimento cautelare emesso anteriormente alla entrata in vigore della norma come modificata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103: "sebbene il provvedimento impugnato sia stato adottato il 25 luglio 2017, e depositato nella Cancelleria del Tribunale il 27 luglio 2017, ossia in epoca anteriore alla data di entrata in vigore della L. n. 103 del 2017, esso risulta essere stato notificato all'imputato in data 21 agosto 2017, nel pieno vigore della nuova normativa processuale, con la conseguenza che l'esercizio del suo diritto di impugnazione ai sensi dell''art. 311, comma 1, c.p.p., avrebbe dovuto necessariamente essere conformato ad essa" (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, Aiello, Rv. 272010-01).
Nella sentenza Aiello, dunque, si è ritenuta irrilevante la data di deposito del provvedimento impugnato (che si trattasse di una ordinanza in materia cautelare e non di una sentenza è del tutto indifferente, ai fini che qui rilevano), essendosi valorizzato il momento in cui era sorto il diritto all'impugnazione.
Anche successivamente si è ribadito che "alle questioni di diritto intertemporale che si pongano in relazione, non ad un singolo atto che abbia già esaurito i propri effetti - quale quello d'impugnazione, che appunto si perfeziona con la rituale instaurazione del giudizio impugnatorio -, ma ad un procedimento (quale il giudizio di impugnazione) che sia ancora in fieri, il principio tempus regit actum deve essere riferito al momento in cui l'atto del procedimento venga ad essere compiuto" (Sez. 6, n. 10260 del 14/2/2019, Cesi, Rv. 275201-01, nella quale la sentenza di appello è stata annullata, poichè aveva disapplicato la nuova disposizione di cui all'art. 603, comma 3-bis, c.p.p., vigente al momento della celebrazione del giudizio di appello, pure introdotto con una impugnazione proposta precedentemente alla novella: "la disciplina dell'attività processuale e, segnatamente, quella probatoria da espletare nel giudizio di gravame non poteva non tenere conto della norma de qua").
4. Sulla base di queste premesse, ritiene il Collegio che non vi siano ragioni per ancorare l'applicabilità del nuovo comma 1-bis dell'art. 573 c.p.p. alla data di pronuncia della sentenza impugnata.
Si consideri che la stessa sentenza della Quinta Sezione, che peraltro ha sottolineato alcune criticità della nuova disposizione, è giunta alla opposta conclusione rimarcando che "l'impugnante ai soli effetti civili ha l'interesse, nell'incertezza sull'attribuzione di un termine per adeguare il contenuto degli atti a diverse regole decisorie, a costruire il proprio atto di impugnazione in modo da poter affrontare un giudizio di legittimità retto da regole diverse da quelle alla stregua delle quali doveva essere superato il vaglio di ammissibilità".
L'attenzione, dunque, è stata focalizzata sul momento in cui la parte presenta l'impugnazione, essendosi ritenuto che l'immediata applicazione della nuova norma, nei casi in cui essa sia stata proposta anteriormente al 30 dicembre 2022, potrebbe incidere negativamente sulla valutazione in ordine alla fondatezza e alla stessa ammissibilità - per quel che in questa sede rileva - del ricorso per cassazione.
Da questa sola osservazione consegue che la data della pronunzia della sentenza impugnata non dovrebbe avere alcun rilievo: l'impugnante che eserciti il proprio diritto, a partire dal 30 dicembre 2022, è a conoscenza della nuova disposizione e quindi del possibile rinvio al giudice civile, indipendentemente dal fatto che la sentenza impugnata sia stata emessa prima o dopo tale data.
Occorre invece confrontarsi con il diverso tema che scaturisce dai principi in precedenza richiamati: posto che l'actus nella sequenza procedimentale qui rilevante (impugnazione per i soli interessi civili) è quello della decisione del giudice di appello o della Corte di cassazione, va comunque "tutelato il legittimo affidamento delle parti nello svolgimento del processo secondo le regole vigenti al tempo del compimento degli atti, nonchè l'esigenza che esse conoscano il momento in cui sorgono diritti o oneri con effetti per loro pregiudizievoli; e tale affidamento non può che parametrarsi con la disciplina processuale dell'insieme delle regole sistematicamente organizzate in vista della statuizione giudiziale ovvero con l'inizio dell'attività che caratterizza il rapporto processuale" (Sez. 5, n. 380 del 15/11/2021, dep. 2022, Saban, Rv. 282528, in tema di rescissione del giudicato, secondo la quale, ai fini dell'individuazione della norma applicabile, in assenza di disposizioni transitorie che regolino espressamente il passaggio tra le diverse discipline succedutesi nel tempo, si deve fare riferimento non al momento della pronuncia della sentenza passata in giudicato bensì a quello nel quale il condannato in assenza è venuto a conoscenza del provvedimento e può esercitare il diritto di impugnazione straordinaria; in precedenza, nello stesso senso, Sez. 5, n. 15666 del 16/04/2021, Duric, Rv. 280891-01).
La nuova disposizione prevede che, in presenza di una impugnazione ai soli effetti civili non inammissibile, il processo prosegua dinanzi al giudice civile o alla sezione civile competente (nello stesso grado: l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. non lo dice espressamente, ma sarebbe irrazionale ipotizzare una regressione del giudizio al grado precedente; del resto l'art. 578, comma 1-bis, c.p.p., norma che regola specularmente il caso di improcedibilità dell'azione penale, prevede il rinvio al giudice civile o alla sezione civile competente "nello stesso grado").
Prima della riforma, una impugnazione ammissibile ma proposta con motivi infondati avrebbe comportato la conferma della sentenza di primo grado (nel giudizio di appello) o il rigetto del ricorso (nel giudizio di legittimità); a una impugnazione anche solo in parte fondata sarebbe conseguita, invece, la riforma, anche solo parziale, della sentenza di primo grado ovvero l'annullamento con rinvio ai sensi dell'art. 622 del codice di rito.
Ci si deve chiedere, dunque, se la prosecuzione del giudizio davanti al giudice civile dello stesso grado, prevista dalla nuova norma, arrechi un pregiudizio alla parte che abbia impugnato prima della entrata in vigore della nuova disposizione (30 dicembre 2022).
5. Ritiene il Collegio che vi siano valide ragioni per dare risposta negativa a questo interrogativo.
Limitando l'esame della questione, per semplificazione, ai casi di impugnazione della parte civile, va innanzitutto evidenziato che - come osservato anche nella sentenza della Quinta Sezione - la stessa parte ben potrebbe ignorare se il pubblico ministero a propria volta ha impugnato o impugnerà la sentenza, evidentemente agli effetti penali, il che significa che tuttora, come prima della novella, la parte civile di regola redigerà il proprio atto d'impugnazione non sapendo se la sentenza sarà impugnata ai soli effetti civili o anche agli effetti penali, evenienza quest'ultima che precluderebbe l'applicazione della nuova disposizione.
In secondo luogo, non pare dubbio che l'ammissibilità del ricorso della parte civile, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, dovrà essere comunque valutata "secondo le regole proprie del codice di rito penale (anche perchè non si capirebbe quali altri parametri valutativi potrebbe essere chiamato a seguire)" (così, ancora una volta, la citata sentenza della Quinta Sezione).
Concentrando l'esame - per quanto qui rileva - sul ricorso per cassazione, i motivi dell'impugnazione della parte civile, dunque, non potranno che essere quelli previsti dall'art. 606 c.p.p. e l'ammissibilità o meno dell'impugnazione sarà valutata avuto riguardo a detti motivi.
In terzo luogo, la prosecuzione del giudizio avanti al giudice civile non comporterà, rispetto al passato, alcuna modificazione nella regola di giudizio ai fini dell'affermazione di responsabilità ai soli effetti civili.
Già oggi, infatti, il giudice penale che si trovi a decidere sulla responsabilità civile, ai sensi dell'art. 578, comma 1, c.p.p., e quindi a verificare la sussistenza dell'illecito civile, dovrà seguire "il criterio del "più probabile che non" o della "probabilità prevalente" che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria" (Corte Cost., n. 182 del 30 luglio 2021), principio recepito nella successiva giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, Rv. 283377-01 e Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739-01).
Ancor prima, le Sezioni Unite di questa Corte, trattando del giudizio civile conseguente alla pronunzia di annullamento da parte della Corte di cassazione della sentenza ai soli effetti civili, non solo affermarono tale principio, ma rimarcarono anche che "il giudizio avanti al giudice civile designato ex art. 622 c.p.p. è da considerarsi come un giudizio civile disciplinato dagli artt. 392 e ss. c.p.c. a seguito di riassunzione dopo l'annullamento della Corte di Cassazione ai soli effetti civili (...). Verificatosi un giudicato agli effetti penali, appare ragionevole che all'illecito civile tornino ad applicarsi le regole sue proprie, funzionali all'individuazione del soggetto su cui, secondo il sistema del diritto civile, far gravare il costo di un danno e non la sanzione penale (...) La natura autonoma del giudizio civile comporta conseguenze anche con riferimento all'individuazione delle regole processuali applicabili in tema di nesso causale e di prove, in ragione della diversa funzione della responsabilità civile e della responsabilità penale e dei diversi valori in gioco nei due sistemi di responsabilità. Il giudizio penale mette al centro dell'osservazione la figura dell'imputato e il suo status libertatis, quello civile il danneggiato e le sue posizioni soggettive giuridicamente protette" (Sez. U, n. 22065 del 04/06/2021, Cremonini, Rv. 281228-01).
Questo a significare che fra la vecchia e la nuova disciplina, quanto alla natura del giudizio civile (prima a seguito di annullamento con rinvio, ora a seguito di rinvio per la prosecuzione) e alla regola di giudizio, vi è una sostanziale continuità, confermata dalla previsione che il giudice civile competente ai sensi del nuovo art. 573, comma 1-bis, c.p.p. "decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile".
Infine, proprio la sentenza Cremonini - ritiene il Collegio - offre un argomento rilevantissimo a sostegno della tesi qui proposta.
Hanno osservato le Sezioni Unite che "(I)a configurazione del giudizio conseguente all'annullamento in sede penale ai soli effetti civili (art. 622) come giudizio autonomo rispetto a quello svoltosi in sede penale consente alle parti di introdurlo nelle forme civilistiche previste dall'art. 392 c.p.c. nonchè di allegare fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno diversi da quelli che integravano la fattispecie di reato in ordine alla quale si è svolto il processo penale. Ciò giustifica anche l'emendatio della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell'illecito civile, sempre che la domanda così integrata risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio. L'emendatio, ma non la mutatio della domanda, garantisce al danneggiato di "e Spa ndere" la domanda risarcitoria allegando elementi rientranti nella fattispecie di responsabilità prevista dall'art. 2043 c.c. Al contempo, l'emendatio consente al danneggiante di evitare di subire la perdita di un grado di giudizio in conseguenza della scelta della controparte".
Analogo meccanismo opererà in base alla nuova norma, dovendosi ritenere che, pur in assenza di un annullamento della sentenza impugnata, ma di una sola valutazione circa l'ammissibilità (la non inammissibilità) dell'impugnazione, la parte interessata o le parti interessate abbiano anche in questo caso l'onere di riassumere il processo dinanzi al giudice civile al quale esso è stato rinviato per la prosecuzione.
In questo senso l'uso del verbo "rinviare" (e non già del verbo "trasmettere") appare significativo, come già evidenziato nella sentenza Cremonini per sostenere la necessità della riassunzione avanti il giudice civile competente per valore in grado di appello a seguito dell'annullamento della sentenza ai soli effetti civili.
Proprio con l'atto di riassunzione, anche in base alla nuova disposizione, la parte impugnante avrà modo, se necessario, di emendare l'atto di appello o il ricorso per cassazione, mentre la controparte avrà la possibilità di contraddire e replicare mediante nuove memorie difensive.
Non pare sussistere, dunque, quel pregiudizio paventato nella sentenza della Quinta Sezione che giustificherebbe l'applicazione differita della nuova norma ai ricorsi proposti dopo la entrata in vigore della novella (non risultando comunque giustificabile, invece, la esclusione di detta applicazione per le impugnazioni presentate dopo il 30 dicembre 2022 contro sentenze emesse prima di tale data).
Analoghe considerazioni possono essere svolte per l'impugnazione dell'imputato per gli interessi civili, che "è proposta col mezzo previsto per le disposizioni penali della sentenza" (art. 574, comma 3, c.p.p.).
6. Resta da evidenziare un ultimo aspetto che pure trae spunto dalla sentenza Cremonini, là dove si è evidenziato - come già visto - che nel giudizio civile non è comunque consentita una mutatio della domanda.
La precisazione è assai rilevante perchè non va dimenticato che la legittimazione all'azione civile nel processo penale concerne le "restituzioni e il risarcimento del danno di cui all'art. 185 del codice penale", conseguenti alla commissione di un reato.
La citata sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale ha affermato che, ormai definito il profilo penale della vicenda, "il giudice dell'impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all'imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un "danno ingiusto" secondo l'art. 2043 c.c., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno".
Nondimeno, il giudice delle leggi ha precisato che questa valutazione va effettuata "riguardo al "fatto" - come storicamente considerato nell'imputazione penale", tant'è che, nei casi previsti dall'art. 578, comma 1, c.p.p., "N'esigenza di rispetto della presunzione di innocenza dell'imputato non preclude al giudice penale dell'impugnazione di effettuare tale accertamento onde liquidare anche il danno non patrimoniale di cui all'art. 185 c.p. ", anche se, in questa ipotesi, "l'illecito civile, pur fondandosi sull'elemento materiale e psicologico del reato, tuttavia risponde a diverse finalità e richiama un distinto regime probatorio".
Un'applicazione concreta di tale principio la si ritrova nel caso qui in esame. Si è detto che è contestato a B.B. di avere ricevuto e messo in commercio un'opera pittorica contraffatta: egli non riveste più la qualifica di imputato in quanto è stato definitivamente prosciolto dal reato di ricettazione, in assenza dell'impugnazione da parte del pubblico ministero della sentenza assolutoria di appello.
L'azione civile della (Omissis)., volta ad ottenere il risarcimento del danno, anche non patrimoniale, subito a seguito della condotta di B.B. presupponeva evidentemente l'accertamento del fatto-reato a questi ascritto.
Venuto meno il profilo penale e quindi accertato che B.B. non può più essere dichiarato colpevole di avere commesso un reato (e in questo senso va letta la sentenza della Corte costituzionale più volte citata, secondo la quale l'art. 578, comma 1, c.p.p. "non viola il diritto dell'imputato alla presunzione di innocenza come declinato nell'ordinamento convenzionale dalla giurisprudenza della Corte EDU e come riconosciuto nell'ordinamento dell'Unione Europea"), l'accertamento del giudice civile, ferme restando le diverse regole probatorie di cui si è detto, dovrà comunque rimanere nei binari tracciati dalla stessa parte civile, costituitasi nel processo penale per ottenere il risarcimento del danno in relazione a quel fatto contestato nell'imputazione.
La parte civile, con il ricorso qui in esame, ha proposto uno specifico motivo con il quale la sentenza di appello è stata censurata per "contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, emergenti dal testo stesso del provvedimento impugnato, in ordine alla esclusione del coefficiente soggettivo doloso in capo all'imputato. Con profili, altresì, di inosservanza e di erronea applicazione dell'art. 43 c.p. in relazione all'art. 648 c.p. (anche alla luce dell'art. 64 D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42)".
Con tale ultimo motivo, pure logicamente subordinato agli altri sei, inerenti tutti a violazioni di legge di carattere processuale, la parte civile ricorrente ha inteso contestare "la ritenuta assenza del necessario coefficiente soggettivo doloso" in capo a B.B..
E' in relazione a questo fatto, connotato anche dall'elemento psicologico del dolo, che il giudizio, se riassunto, potrà proseguire in sede civile.
La ipotetica deduzione della parte civile in ordine ad una ricezione e messa in circolazione dell'opera avvenuta non con dolo ma con colpa configurerebbe una inammissibile mutatio della domanda, che evidentemente pregiudicherebbe le ragioni del presunto danneggiante, per la prima volta messo di fronte alla contestazione di un fatto diverso, che in astratto ben potrebbe costituire un illecito aquiliano ai sensi dell'art. 2043 c.c. ma che evidentemente non costituiva reato neppure ab origine: in ordine a tale diverso fatto, perchè connotato da un diverso elemento psicologico, la parte civile avrebbe potuto (o potrebbe) proporre autonoma azione civile, ma non potrebbe agire nel giudizio civile di rinvio per la decisione delle questioni civili, in prosecuzione di un processo penale nel quale la stessa si è costituita chiedendo il risarcimento del danno sul presupposto della sussistenza del fatto-reato contestato all'originario imputato.
7. Ritiene il Collegio, pertanto, che l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. sia immediatamente applicabile a tutti i giudizi pendenti a seguito di impugnazione per i soli interessi civili e quindi anche a quelli introdotti prima o relativi a sentenze emesse prima del 30 dicembre 2022, come avvenuto nel caso di specie.
Conseguentemente gli atti vanno rimessi al Primo Presidente della Corte di cassazione per la prosecuzione del giudizio avanti la sezione civile competente.
P.Q.M.
Ritenuta la non inammissibilità del ricorso, rimette gli atti al Primo Presidente ai sensi dell'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2023.
Conclusione
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2023