Lo svolgimento di attività lavorativa, pur rappresentando un mezzo di reinserimento sociale valutabile nel più generale giudizio sulla richiesta di affidamento in prova, non costituisca da solo, qualora mancante, condizione ostativa all’applicabilità di detta misura, trattandosi di parametro apprezzabile unitamente agli altri elementi sottoposti alla valutazione del giudice di merito - inclusi i risultati del trattamento individualizzato - nell’ottica di un conclusivo giudizio prognostico favorevole al reinserimento del condannato nella società.
Compete agli Uffici locali di esecuzione penale esterna proporre all’autorità giudiziaria "il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare" e, dunque, formulare proposte di attività lavorativa o equipollente (eventualmente apprezzandosi, in senso negativo, l’ingiustificato rifiuto, da parte della richiedente, di svolgere dette attività).
Non può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato.
Corte di Cassazione
sez. I Penale, sentenza 10 dicembre 2018 – 16 aprile 2019, n. 16541
Presidente Di Tommasi – Relatore Casa
Ritenuto in fatto
1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava l’istanza presentata da O.J. per ottenere la misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale, giudicando decisiva "l’assenza di una proposta risocializzante".
Dava, peraltro, atto il Tribunale, per come emerso dalle relazioni di sintesi, delle "buone qualità umane" messe in evidenza dalla condannata, unitamente a "senso di responsabilità, comprensione e rispetto delle dinamiche detentive ed un impegno sincero e determinato a recuperare le redini del rapporto genitoriale"; veniva, inoltre, segnalato che la O. partecipava alle attività trattamentali, manifestando la capacità anche di occuparsi degli altri, seguendo una compagna di detenzione con sofferenze psichiche".
Oltre alla rilevata assenza di proposte risocializzanti, il Tribunale stigmatizzava "alcuni aspetti non lineari della attuale situazione", con particolare riferimento alla inadeguatezza del domicilio presso cui la O. sarebbe stata ospitata ad accogliere i figli e il marito, sottoposto al regime di detenzione domiciliare per gravi motivi di salute in altra abitazione sita in Perugia.
2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso O.J. , per il tramite del difensore, deducendo carenza di motivazione e violazione dell’art. 47 Ord. pen., artt. 3 e 27 Cost..
In estrema sintesi, nell’atto impugnatorio si contesta che l’effettiva assenza, nella fattispecie, di una "proposta risocializzante", possa costituire l’unico elemento posto a base della decisione, a fronte dei molteplici indicatori - sottolineati dallo stesso Tribunale in quanto illustrati nelle relazioni di sintesi - sintomatici del brillante percorso di recupero intrapreso in carcere dalla condannata.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso, condividendo la motivazione del Tribunale di sorveglianza.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
2. Appare utile premettere che, attraverso la misura alternativa al carcere dell’affidamento in prova al servizio sociale, l’ordinamento ha inteso attuare una forma dell’esecuzione della pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i quali, alla luce dell’osservazione della personalità e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, sia possibile formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all’esito della misura alternativa (Corte Cost., 5 dicembre 1997, n. 377).
In relazione alla peculiare finalità dell’affidamento, la giurisprudenza di questa Corte è uniformemente orientata nel senso che, ai fini della concessione della misura, non possono, di per sé soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna e i precedenti penali, nè può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato (Sez. 1, n. 771 del 6/2/1996, Tron, Rv. 203988 - 01; Sez. 1, 19/11/1995, Fiorentino, Rv. 203154 - 01).
In particolare, è stato chiarito che, per il giudizio prognostico favorevole, la natura e la gravità dei reati per i quali è stata irrogata la pena in espiazione deve costituire, unitamente ai precedenti (Sez. 1, n. 1812 del 4/3/1999, Danieli, Rv. 213062 - 01), alle pendenze e alle informazioni di P.S. (Sez. 1, n. 1970 dell’11/3/1997, Caputi, Rv. 207998 - 01), il punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, la cui compiuta ed esauriente valutazione non può mai prescindere, tuttavia, dalla condotta tenuta successivamente dal condannato e dai suoi comportamenti attuali, risultando questi essenziali ai fini della ponderazione dell’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva (Sez. 1, n. 6783 del 13/12/1996, Occhipinti, Rv. 206776 - 01; Sez. 1, n. 688 del 5/2/1998, Cusani, Rv. 210389 - 01; Sez. 1, n. 371 del 15/11/2001, dep. 8/1/2002, Chifari, Rv. 220473 - 01; Sez. 1, n. 31809 del 9/7/2009, Gobbo, Rv. 244322 - 01; Sez. 1, n. 31420 del 5/5/2015, Incarbone, Rv. 264602 - 01); si è di recente precisato che, fra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica, possono essere annoverati l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l’attaccamento al contesto familiare e l’eventuale buona prospettiva di risocializzazione (Sez. 1, n. 44992 del 17/9/2018, S., Rv. 273985 - 01).
In ogni caso, e da ultimo, non può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato (Sez. 1, n. 773 del 3.12.2013, dep. 10/1/2014, Naretto, Rv. 258402 - 01).
3. Dai principi poc’anzi enunciati deve inferirsi che la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta inadeguata e non rispondente alle linee della legge penitenziaria, in quanto nel giudizio sintetico finale ha avuto un ruolo assorbente e preponderante il riferimento alla rilevata "assenza di una proposta risocializzante", sia essa costituita da attività lavorativa o da attività di volontariato, ed alla conseguente impossibilità di formulare alcun programma cui agganciare il richiesto beneficio.
La ratio decidendi del provvedimento in esame risulta in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte, che ha reiteratamente stabilito come lo svolgimento di attività lavorativa, pur rappresentando un mezzo di reinserimento sociale valutabile nel più generale giudizio sulla richiesta di affidamento in prova, non costituisca da solo, qualora mancante, condizione ostativa all’applicabilità di detta misura, trattandosi di parametro apprezzabile unitamente agli altri elementi sottoposti alla valutazione del giudice di merito - inclusi i risultati del trattamento individualizzato - nell’ottica di un conclusivo giudizio prognostico favorevole al reinserimento del condannato nella società (Sez. 1, n. 26789 del 18/6/2009, Gennari, Rv. 244735 Sez. 1, n. 5076 del 21/09/1999 Jankovic Rv. 214424 - 01 Sez. 1, n. 1092 del 1/3/1991, Mazzesi, Rv. 186899).
In particolare, il Tribunale di sorveglianza, che pure ha messo in luce plurimi elementi positivi nel comportamento carcerario della O. , compresa la nobile altruistica dedizione a una detenuta con sofferenze psichiche (dunque, un’attività di volontariato vera e propria), non ha adeguatamente chiarito in motivazione se la ravvisata assenza di proposta risocializzante sia dipesa da cattiva volontà dell’interessata o da impossibile effettiva reperibilità di attività di lavoro o di volontariato, tenuto conto che, a mente dell’art. 72, comma 2, lett. c), Ord. pen., compete agli Uffici locali di esecuzione penale esterna proporre all’autorità giudiziaria "il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare" e, dunque, formulare proposte di attività lavorativa o equipollente (eventualmente apprezzandosi, in senso negativo, l’ingiustificato rifiuto, da parte della richiedente, di svolgere dette attività).
4. L’accertata carenza della motivazione giustifica l’annullamento dell’ordinanza, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma, che dovrà nuovamente deliberare sulla richiesta della misura alternativa adeguandosi ai principi sopra richiamati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.