Videoriprese in ambito condominiale non effettuate dalla polizia giudiziaria non possono essere assimilate ad intercettazioni di conversazioni o comunicazioni: nel caso di immagini da videoregistrazioni provenienti da privati, installate a fronte anche di esigenze di sicurezza delle parti comuni, poi acquisite come documenti ex art. 234 c.p.p. (e non quale prova atipica), i fotogrammi estrapolati da detti filmati non possono essere considerati prove illegittimamente acquisite e non ricadono nella sanzione processuale di inutilizzabilità.
Non sussiste il delitto di cui all’art. 615-bis c.p., con riferimento a riprese relative ad aree condominiali ed anche a spazi che, pur di pertinenza di una privata abitazione, siano, però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei.
Corte di Cassazione
sez. V Penale
sentenza 19 ottobre – 19 novembre 2020, n. 32544
Presidente Sabeone – Relatore Caputo
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 29/06/2020, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Viterbo ha applicato a P.E. la misura cautelare del divieto di avvicinamento in relazione all’imputazione provvisoria di atti persecutori in danno di M.M. .
Avverso l’indicata ordinanza ha proposto per saltum ricorso per cassazione P.E. , attraverso il difensore Avv. MR, denunciando - nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, - inosservanza di norme processuali in riferimento alle captazioni ambientali aventi ad oggetto comportamenti non comunicativi (immagini) e comunicativi (audio) effettuate all’interno dello studio professionale (nelle parti comuni dello stesso e nel locale bagno) e nelle parti condominiali, denunciate come inutilizzabili ed anche con riferimento alla disciplina della prova atipica e alla necessità del procedimento autorizzativo ex art. 266 c.p.p..
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
In premessa, mette conto ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416).
Il ricorso non si è attenuto al principio di diritto richiamato. Le censure muovono dal presupposto della contitolarità dello studio in capo ad indagato e persona offesa, sostenendo detta situazione giuridica in termini sostanzialmente assertivi e, comunque, implicanti apprezzamenti di merito estranei alla cognizione di questa Corte di legittimità.
Al di là di ciò, le censure - come la stessa enunciazione delle doglianze conferma - si concentrano sulle videoregistrazioni effettuate di nascosto dalla persona offesa nello studio professionale e, in particolare, in determinati locali indicati dal ricorrente come oggetto della tutela domiciliare.
Lo stesso ricorso, così come l’ordinanza impugnata, però, richiama l’esistenza, nel compendio indiziario valorizzato dall’ordinanza applicativa, di videoregistrazioni ottenute attraverso l’installazione di telecamere all’ingresso del fabbricato, "in zona condominiale e di uso comune".
Ora, in ordine a queste ultime registrazioni, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, proprio con specifico riferimento a videoriprese registrate in luogo di pertinenza condominiale, che "si tratta di videoriprese non effettuate dalla polizia giudiziaria e che non possono essere assimilate, quanto ai presupposti di ammissibilità, ad intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui all’art. 266 c.p.p." (il che priva di qualsiasi fondamento la denunciata inosservanza di tale disposizione), sicché nel caso di "immagini registrate (derivanti), come nel caso al vaglio, da videoregistrazioni provenienti da privati, installate a fronte anche di esigenze di sicurezza delle parti comuni, poi acquisite come documenti ex art. 234 c.p.p." (e non quale prova atipica), "i fotogrammi estrapolati da detti filmati non possono essere considerati prove illegittimamente acquisite e non ricadono nella sanzione processuale di inutilizzabilità" (Sez. 5, n. 21027 del 21/02/2020, Nardi, Rv. 279345; Sez. 2, n. 6515 del 04/02/2015, Hida, Rv. 263432).
Conclusione, questa, in linea con gli approdi della giurisprudenza di legittimità che escludono la configurabilità del delitto di cui all’art. 615-bis c.p., con riferimento a riprese relative ad aree condominiali (Sez. 5, n. 34151 del 30/05/2017, Tinervia, Rv. 270679; Sez. 5, n. 44701 del 29/10/2008, Caruso, Rv. 242588) ed anche a spazi che, pur di pertinenza di una privata abitazione, siano, però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei (Sez. 5, n. 44156 del 21/10/2008, Gottardi, Rv. 241745; Sez. 6, n. 40577 del 01/10/2008, Apparuti, Rv. 241213).
Ora, poiché i gravi indizi ex art. 273 c.p.p. tratti dalle registrazioni effettuate in aree comuni dello stabile sono senz’altro al riparo dalla censura di inutilizzabilità proposta dal ricorso, l’incidenza delle ulteriori videoregistrazioni e, dunque, la loro decisività ai fini del presupposto indiziario - non è oggetto di specifica - e non meramente assertiva - deduzione, il che, al lume del principio di diritto richiamato in apertura, rende ragione dell’inammissibilità del ricorso.
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.