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Video sessualmente espliciti divulgati senza consenso (Cass. 24379/24)

20 giugno 2024, Cassazione penale

Il cd. revenge porn presuppone  consapevolezza ed consenso alla produzione di materiale sessualmente esplicito da parte della persona offesa, tuttavia destinato a rimanere privato: punibile è la fuoriuscita del materiale dall'originario perimetro relazionale privato in assenza di consenso.

L'autore di una delle condotte di diffusione del materiale a contenuto sessualmente esplicito non può che essere il soggetto che ha realizzato il materiale stesso, oppure colui che lo ha sottratto.

In altri termini: sebbene non risulti necessario che le immagini a contenuto sessualmente esplicito siano state realizzate in un contesto relazionale sentimentale stabile, successivamente interrotto, con correlata volontà di rivalsa da parte del soggetto agente, ciò nondimeno l'autore della condotta deve essere colui che aveva in precedenza realizzato il detto materiale, o se ne era impossessato sottraendolo.

Corte di Cassazione

sez. V penale

 1 marzo 2024 (udienza) - 20 giugno 2024 (deposito), n. 24379

Ritenuto in fatto

1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale del Riesame di Roma rigettava la richiesta, formulata ai sensi dell'art. 324 cod. proc. pen., avverso il decreto di sequestro probatorio emesso dal pubblico ministero presso il Tribunale di Civitavecchia in relazione al delitto di cui all'art. 612-ter cod. pen., avente ad oggetto gli apparati informatici e/o telefonici di proprietà dell'indagato, tramite i quali era stato realizzato il reato.

2. R.A. ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avv.to Giacomo Satta, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:

2.1 violazione di legge, in riferimento agli artt. 247,252,324 cod. proc. pen., ai sensi dell'art. 606, lett. b) cod. proc. pen., in quanto il decreto emesso dal pubblico ministero ha contestato il reato di cui all'art. 612-ter, commi primo e terzo cod. pen., mentre la difesa depositava, in sede di riesame, motivi a sostegno della inconfigurabilità della detta fattispecie di reato, sia sotto l'aspetto della mancanza di consenso delle persone rappresentate, sia in relazione alla diffusione dei materiali sessualmente espliciti destinati a rimanere privati; con tale deduzione il provvedimento impugnato ha del tutto omesso di confrontarsi, ritenendo sussistente il fumus relativamente alla diversa fattispecie di cui al comma secondo dell'articolo citato, ritenendo la contestazione formulata una mera imprecisione; al contrario, la descrizione del fatto ed il mancato riferimento al dolo specifico richiesto dal comma secondo dell'art. 612-ter cod. pen., rendono evidente come il provvedimento impugnato abbia confermato il decreto procedendo ad una illegittima immutazione dell'incolpazione provvisoria, avendo posto a fondamento della decisione un fatto diverso, mai contestato;

2.2 violazione di legge, in riferimento all'art. 612-ter cod. pen., ai sensi dell'art. 606, lett. b) cod. proc. pen., in quanto la norma incriminatrice è inserita nei delitti contro la libertà morale, il che significa che la diffusione deve intervenire senza il consenso delle persone rappresentate e deve riguardare materiali sessualmente espliciti destinati a rimanere privati, ma, come più volte osservato, realizzati consensualmente, tant'è che la condotta può essere realizzata solo da chi ha operato la ripresa o da chi se ne è indebitamente impossessato, sottraendola a chi l'aveva realizzata; nel caso in esame, invece, la ripresa era stata frutto di intercettazione ambientale eseguita dall'A.G. a totale insaputa dei soggetti ripresi, per cui, salva la violazione del principio di legalità e tassatività, essa non può essere considerata alla stregua del materiale indicato dai commi primo e terzo dell'art. 612-ter cod. pen.; ciò senza contare che la persona indagata aveva legittimamente acquisito la registrazione in quanto persona sottoposta ad indagini nell'ambito del procedimento in cui l'intercettazione era stata disposta; il Tribunale del riesame, pur avendo colto le doglianze, ha omesso di confrontarsi con le stesse, e non ha considerato come non fosse neanche configurabile la fattispecie di cui all'art. 612-ter, comma secondo, cod. pen., che incrimina l'ulteriore diffusione del materiale da parte dell'agente, presupponendo la già avvenuta consumazione del reato di cui al comma primo, come già evidenziato dalla Relazione dell'Ufficio del Massimario della Cassazione, il che, all'evidenza, rende inconfigurabile il reato contestato nella vicenda in esame.

Considerato in diritto

Il ricorso di R.A. è fondato per le ragioni di seguito illustrate e va, pertanto, accolto.

1. Per quanto è dato comprendere dalla lettura del provvedimenti impugnato, la vicenda in esame è incentrata sulla condotta del ricorrente che, avendo estratto copia delle registrazioni video, captate in seguito ad intercettazioni eseguite nell'ambito di un procedimento penale iscritto a carico del ricorrente stesso, aveva individuato una registrazione, penalmente irrilevante, che ritraeva P.T., sindaco del comune di (omissis), intento a consumare un rapporto sessuale all'interno dell'aula consiliare; detto ambiente, infatti, era stato sottoposto ad intercettazione ambientale nell'ambito del procedimento penale nei confronti dell'A.R..

Quest'ultimo, quindi, essendo entrato in possesso delle registrazioni suddette - verosimilmente in seguito a rilascio di copia da parte dell'A.G. procedente, benché nel provvedimento impugnato nulla si dica al riguardo - aveva riversato la detta registrazione sul proprio cellulare e su di una pen-drive, su cui era versato anche altro materiale, relativo alla sua tesi difensiva, come dallo stesso A.R. affermato.

Sia il cellulare che la pen-drive erano stati sottoposti a sequestro probatorio, sulla base delle indicazioni fornite dalla stessa persona sottoposta ad indagini preliminari, quali mezzi utilizzati per commettere il reato di cui all'art. 612-ter, comma secondo, cod. pen.

Sul punto va ricordato, infatti, che la persona offesa, P.T., in sede di querela, aveva riferito di aver appreso da tale S.M. che il video che lo riguardava era stato diffuso o stava per essere diffuso da soggetti che ne avevano avuto la disponibilità; dagli accertamenti svolti sul cellulare dell'A.R. era risultato, infatti, che questi aveva diffuso, tramite whatsapp, a terzi il video di cui era venuto in possesso.

Sulla base di tale ricostruzione il Tribunale del riesame ha osservato che la condotta, come descritta, dovesse essere ricondotta al delitto di cui all'art. 612-ter, comma secondo, cod. pen., anziché alla fattispecie di cui ai commi primo e terzo della stessa norma, la cui individuazione nella formulazione del capo di imputazione - sempre secondo il Tribunale del riesame - costituisce una mera imprecisione, atteso che “… Il video in questione risulta certamente essere stato realizzato nell'ambito delle operazioni di intercettazione disposte nel procedimento originario a carico dell'A.R., al quale non è imputabile la realizzazione."

Tanto premesso, l'esame della vicenda rende necessario ricordare come la fattispecie di reato contestata - ossia la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, di cui all'art. 612-ter cod. pen. - sia stata introdotta nel nostro ordinamento in seguito a fenomeni sempre più diffusi e culminati in noti fatti di cronaca, comunemente indicati utilizzando l'espressione di lingua anglosassone revenge porn.

Ancor prima che tali condotte assumessero rilievo nella dimensione penalistica - come sottolineato dalla dottrina - il neologismo revenge porn era già entrato a far parte del linguaggio di uso corrente, sulla scia di quanto già avvenuto nel mondo anglosassone, in cui l'espressione, dapprima colloquiale ed appartenente al linguaggio slang, si è diffusa a tal punto da penetrare nel Dizionario di Cambridge, che la definisce come "private sexual images or films showing a particular person that are put on the internet by a former partner of that person, as an attempt to punish or harm them”.

L'autore di revenge porn, secondo tale terminologia, è, quindi, in via esclusiva l'ex partner, che, con la finalità di ottenere vendetta, pubblica immagini intime o dal contenuto sessuale, destinate a rimanere private, ritraenti colui/colei che ha posto fine alla relazione sentimentale.

I primi studiosi, in ambito anglosassone, hanno evidenziato come, maturando nell'ambito di una relazione sentimentale, questa forma di pornografia non può che essere "casalinga" ed amatoriale, con l'esclusione, quindi, di tutte le forme di pornografia "ufficiali" o commerciali.

In definitiva, dunque, gli ingredienti essenziali per la configurazione di un'ipotesi di revenge porn, come risulta dall'elaborazione semantica della definizione, sono costituiti dalla creazione consensuale di immagini intime o sessuali all'interno di un contesto di coppia, dalla non consensuale pubblicazione delle stesse da parte di uno dei membri della coppia, e dalla finalità perseguita dall'ex partner, che pubblica le immagini, solitamente su internet, per vendicarsi a seguito della rottura della relazione sentimentale.

Nel linguaggio comune, tuttavia, i confini della definizione si sono dimostrati estremamente fluidi, nel senso che l'espressione revenge porn è stata ben presto utilizzata per indicare tutte le varie, possibili forme di diffusione non consensuale di immagini sessualmente connotate. In questa prospettiva, quindi, come si è osservato da parte della dottrina, "revenge porn" è al tempo stesso un po' metonimia e un po' sineddoche: da un lato, infatti, si pone l'accento sulla causa, ossia la vendetta, anziché sull'effetto, cioè il danno subito dalla vittima, e, dall'altro, si utilizza una terminologia che indica uno specifico fenomeno per richiamare situazioni diversificate tra loro, anche se accomunate dalla divulgazione non consensuale di immagini sessuali.

Come messo in risalto da alcuni esegeti, il Parlamento italiano ha tentato di fronteggiare il fenomeno, ormai dilagante anche in Italia, attraverso un iter parlamentare che, sempre sulla scia di fatti di cronaca, ha spinto il legislatore ad introdurre nel codice penale l'art. 612-ter, approvato con un emendamento alla legge 19 luglio 2019, n. 69, così detto "Codice Rosso", inserendo, quindi, la nuova norma all'interno di un più ampio pacchetto legislativo, dedicato alla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, anziché, come auspicato da taluni, nell'ambito di un più meditato inserimento del nuovo reato in un nuovo ed apposito titolo del codice sui delitti contro la riservatezza sessuale.

A fronte della portata semantica originaria dell'espressione tratta dallo slang inglese - consistente, come detto, nella pubblicazione, da parte di uno dei due membri di una coppia, di immagini o video dell'ex partner, già consensualmente acquisiti e caratterizzati da un contenuto intimo e sessualmente esplicito, per vendicarsi a seguito della rottura della relazione sentimentale -, la dottrina penalistica angloamericana, spostando l'accento dalle finalità vendicative del soggetto agente, ha puntualizzato il baricentro del fenomeno lesivo nella totale assenza del consenso alla divulgazione dei contenuti espliciti, la cui creazione e la cui permanenza si è - erroneamente, dal lato della vittima - supposta nell'ambito di una sfera privata, di carattere profondamente intimo.

In ogni caso, come evidenziato dalle prime analisi della dottrina, la portata comunicativa dell'espressione revenge porn ha trovato fortuna nel linguaggio mediatico e comune, divenendo, anche nel nostro paese, una sorta di catch all phrase utilizzata per indicare tutte le diverse forme di diffusione non consensuale di immagini aventi un contenuto sessuale.

Come noto, l'art. 612-ter cod. pen. sanziona, al primo comma, il responsabile della divulgazione, che può essere posta in essere mediante plurime condotte, e, al secondo comma, con la stessa pena, i "secondi distributori" delle immagini sessualmente esplicite; come emerge dal testo normativo, la norma non solo richiede l'assenza di consenso, ma anche che le immagini o i video siano "destinati a rimanere privati", come se, si è osservato in dottrina, ancor prima dell'assenza di consenso alla divulgazione, vi sia la rottura di un pactum fiduciae tra due individui, presumibilmente legati da una relazione, tale da aver impresso una precisa destinazione ai contenuti, poi disattesa da uno dei due.

Si è anche osservato che negli atti parlamentari non figura alcuna relazione o commento a tale inciso, per cui può ritenersi, verosimilmente, che lo stesso costituisca una sorta di traslitterazione, da parte del legislatore italiano, di altre esperienze legislative, senza considerare come, invece, il fenomeno, dal punto di vista casistico, in moltissimi casi esorbita del tutto da un contesto di coppia, potendosi, invece, inquadrare anche in rapporti del tutto occasionali.

2. Tanto premesso in termini generali di inquadramento ricostruttivo della fattispecie, sicuramente non fondato appare il primo motivo di ricorso, posto che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, il giudice, sia in sede di applicazione della misura cautelare, che in sede di riesame o di appello, può modificare la qualificazione giuridica attribuita dal pubblico ministero al fatto, fermo restando che l'eventuale modifica non produce effetti oltre il procedimento incidentale (tra le altre: Sez. 6, n. 16202 del 11/03/2021, Voza Angelo, Rv. 280900; Sez. 2, n. 9948 del 23/01/2020, P., Rv. 279211; Sez. 5, n. 7468 del 28/11/2013, dep. 17/02/2014, Pisano, Rv. 258983; Sez. 6, n. 12828 del 14/02/2013, P., Rv. 254902).

3. Fondato, invece, risulta il secondo motivo di ricorso.

Anzitutto, va chiarito che nell'ottica dell'interprete non è possibile prescindere dalla valenza e dal rango elevato dei beni protetti dalla norma in esame, ossia i valori dell'intimità e della privacy, quale diritto a controllare l'esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, a prescindere dal contesto e dalle finalità con le quali avviene la divulgazione.

Ciò che rileva, quindi, è il diritto ad autodeterminarsi in ordine alla propria sfera sessuale, mediante un consenso libero ed effettivo, la cui mancanza assume un rilievo decisivo nell'individuazione della fattispecie.

Il che induce a ritenere, anche alla luce delle considerazioni svolte in precedenza, in riferimento all'evoluzione ermeneutica delle condotte ed alla latitudine del sintagma revenge porn, che la condotta incriminata sia più ampia di quella realizzata unicamente nell'ambito di un pregresso rapporto sentimentale, nel cui contesto si sia verificato un utilizzo diverso del materiale originariamente destinato a rimanere circoscritto e riservato.

In tal senso, infatti, la rubrica della norma delinea la rilevanza penale della diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti, senza alcun riferimento ad uno specifico contesto di pregressa relazione sentimentale; tale contesto, non a caso, fonda la circostanza aggravante delineata al comma terzo della norma richiamata, il che rende evidente come il fulcro della incriminazione sia costituito dalla totale assenza di consenso della persona offesa alla divulgazione dei materiali a contenuto sessuale esplicito, a prescindere da qualsiasi intento di rivalsa dell'autore del reato e dall'inquadramento della condotta in un precedente legame sentimentale, connotazioni del tutto assenti dall'impianto normativo, anche se utili alla ricostruzione della genesi della emersione delle condotte penalmente rilevanti.

Ciò nondimeno, dalla formulazione normativa emerge chiaramente come il profilo del consenso - la cui assenza alla diffusione del materiale a contenuto esplicitamente sessuale costituisce elemento costitutivo della fattispecie - sia logicamente presupposto al momento della formazione del materiale stesso; la norma, cioè, presuppone la consapevolezza ed il consenso alla produzione di tale materiale, da parte della persona offesa, essendo il materiale, nella fase "genetica" destinato a rimenare confinato nell'ambito di una sfera privata, sia essa di coppia stabile o meno.

La rilevanza penale delle condotte descritte nelle fattispecie incriminatrici, quindi, risiede nella fuoriuscita del materiale, connotato da contenuto sessuale esplicito, dall'originario perimetro relazionale privato, per cui all'assenza di consenso come requisito di tipicità si accompagna anche la caratterizzazione "privata" della destinazione dell'oggetto materiale del reato, ossia il materiale sessualmente esplicito; i due requisiti - la destinazione privata e la mancanza di consenso - devono sussistere entrambi contemporaneamente e non possono operare in alternativa tra loro.

La divulgazione di cui al primo comma dell'art. 612-ter cod. pen., quindi, ha come retroterra, espresso dall'inciso "destinati a rimanere privati" e, quindi, come presupposto, la formazione intra-relazionale del materiale a contenuto sessualmente esplicito, ossia la formazione del materiale ad opera degli stessi soggetti che vi sono rappresentati.

Conseguentemente, ed altrettanto inequivocabilmente, emerge dalla formulazione testuale del comma primo dell'art. 612-ter cod. pen., che l'autore di una delle condotte di diffusione del materiale a contenuto sessualmente esplicito non possa che essere il soggetto che ha realizzato il materiale stesso, oppure colui che lo ha sottratto: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate...”.

In altri termini: sebbene non risulti necessario che le immagini a contenuto sessualmente esplicito siano state realizzate in un contesto relazionale sentimentale stabile, successivamente interrotto, con correlata volontà di rivalsa da parte del soggetto agente, ciò nondimeno l'autore della condotta deve essere colui che aveva in precedenza realizzato il detto materiale, o se ne era impossessato sottraendolo.

Tali requisiti non risultano in alcun modo ricorrere nel caso in esame, in cui, pur dovendosi convenire con l'evidente assenza di consenso alla divulgazione, da parte della persona offesa, alla luce delle descritte modalità della concreta vicenda, nondimeno, ed altrettanto evidentemente, non può che constatarsi come l'autore del fatto sia un soggetto del tutto diverso da colui che aveva realizzato il materiale, né risulti che egli se ne sia appropriato sottraendolo, come evidenziato dalla stessa motivazione del provvedimento impugnato.

Seppure, inoltre, si volesse ritenere - come indicato dal Tribunale del riesame - che la condotta dell'A.R. sia inquadrabile nella disposizione di cui al comma secondo dell'art. 612-ter cod. pen. - secondo cui la pena di cui al primo comma si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento -, deve evidenziarsi come la disposizione esaminata delinei una fattispecie punita a tiolo di dolo specifico (Sez. 5, n. 14927 del 22/02/2023, T., Rv. 284576), elemento soggettivo su cui il Tribunale del riesame ha omesso qualsivoglia motivazione, seppure circoscritta al fumus del reato.

A ciò deve aggiungersi che la formulazione della norma – … “chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma ..." - rende evidente come il legislatore abbia individuato il "diffusore secondario" del materiale in colui che riceva il materiale dall'autore dello stesso, ossia da chi, ai sensi del primo comma, aveva realizzato il materiale stesso in un contesto relazionale con la persona offesa, che aveva consentito alla produzione delle immagini o dei video in funzione esclusivamente privata.

Ciò rende evidente come la vicenda in esame ricada al di fuori delle disposizioni normative richiamate, posto che l'intento di sottoporre a sanzione condotte che appaiono manifestamente riprovevoli non può tradursi in una forzatura del dettato normativo che esondi dallo stesso.

Peraltro, appare incomprensibile, almeno alla luce degli atti trasmessi a questa Corte, come, nell'ambito della vicenda in esame - relativa, si ripete, ad indagini preliminari nei confronti dell'A.R. - né il pubblico ministero procedente, né il giudice delle indagini preliminari che aveva autorizzato le intercettazioni abbiano valutato se le immagini, captate nel corso delle intercettazioni ambientali ed oggetto della querela da parte del T., fossero o meno rilevanti nel contesto investigativo nei confronti dell'A.R.. in ossequi a quanto previsto dagli artt. 268, commi 2-bis e 6 cod. proc. pen.; né il Tribunale del riesame sembra aver affrontato tale aspetto nella motivazione del provvedimento impugnato che, a parere del Collegio, appare altrettanto rilevante nell'ottica dello svolgimento dell'attività di captazione secondo modalità esecutive conformi alle disposizioni normative che la disciplinano.

Ne consegue, pertanto, l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Roma che, facendo applicazione dei principi di diritto sin qui illustrati, valuterà la possibilità di inquadrare la vicenda in altra fattispecie penalmente rilevante. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla natura della vicenda.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.