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Traffico di esseri umani e giurisdizione italiana (Cass. 32960/10)

8 settembre 2010, Cassazione penale

Un reato è perseguibile dal giudice nazionale, purché nel territorio italiano sia avvenuto anche solo un frammento della condotta intesa in senso naturalistico e, quindi, un qualsiasi atto dell'iter criminis.

Sussiste comunque la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana anche in ordine a delitti consumati esclusivamente in acque internazionali, allorché essi siano in rapporto di connessione con reati commessi nel mare territoriale, per perseguire i quali sia stato esercitato il c.d. "diritto di inseguimento" previsto dall'art. 23 della convenzione sull'alto mare di Ginevra del 29 aprile 1958 (siffatta connessione trova riconoscimento internazionale come "principio della presenza costruttiva").

E' consentito l'inseguimento di navi straniere purché ricorrano precisi requisiti indicati dalla norma convenzionale, e cioè che esso abbia avuto inizio nel mare territoriale dello Stato rivierasco o nella zona contigua (su cui ora si tornerà) e lo stesso sia proseguito ininterrottamente fino all'intercettamento dell'imbarcazione inseguita

Ai sensi degli artt. 6 e 7 c.p., nonché del c.d. "principio della bandiera" di cui all'art. 19 della citata Convenzione di Ginevra, principio riproposto, altresì, dall'art. 97 della Convenzione di Montego Bay, entrambe ratificate dal legislatore italiano, non sussiste la giurisdizione del giudice nazionale in ipotesi di reato non contemplato tra quelli di cui al precedente art. 7 c.p., consumato oltre il limite delle acque territoriali nazionali (e quindi oltre il limite di 12 miglia marine dalla costa).

Non è applicabile da parte delle autorità italiane l'istituto di diritto internazionale della c.d. "zona contigua" nei confronti di cittadini di nazionalità turca ovvero di natanti del medesimo Paese, giacché non ratificata dalla Turchia la Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982, nonché l'accordo di applicazione della parte XI della convenzione stessa, con allegati, fatto a New York il 29 luglio 1994.

Non è legittimamente applicato il diritto di inseguimento di una nave straniera da parte delle autorità italiane se l'inseguimento non inizi all'interno delle acque territoriali (ovvero della zona contigua quando ricorra il suo legittimo riconoscimento da parte dei Paesi coinvolti nella condotta) proseguendo poi senza soluzione di continuità, salva l'ipotesi della c.d. "presenza costruttiva".

 

Cassazione - Sezione prima - sentenza 5 maggio - 8 settembre 2010, n. 32960
Presidente Silvestri - Relatore Bonito
Ricorrente Kircaoglu e altro



Motivi della decisione

1. Con sentenza pronunciata il 1° luglio 2009 la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava quella resa in prime cure dal Tribunale di Locri il 26 giugno 2008 e con essa la condanna ad anni otto di reclusione ed euro 1.134.000,00 di multa sia di Sanaga Mehemet che Kircaoglu Mehemet, imputati, in concorso tra loro e con altri nove coimputati, del reato di cui agli artt. 56 e 110 c.p., 12 co. 3, 3-bis lett. a) e c-bis) D. Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e 424 c.p. commi 1 e 2, per avere compiuto atti idonei diretti a procurare l'ingresso illegale nel territorio dello Stato di 63 cittadini extracomunitari, trasportati su una motonave turca di 65 metri di lunghezza e poi trasbordati su un gommone di circa 15 metri di lunghezza, che veniva condotto dai due imputati e che veniva intercettato da personale della Guardia di Finanza.

Appare opportuno aggiungere che i fatti di causa ebbero a verificarsi nelle acque antistanti il Comune di Roccella Jonica, nella notte tra il 23 aprile ed il 24 aprile 2007, allorché un velivolo della Guardia di Finanza segnalò la presenza al largo delle coste calabresi, in corrispondenza di punta Stilo, di una motonave dalla quale veniva effettuato il trasbordo di un numero imprecisato di persone su un gommone, che in seguito si accerterà essere stato trasportato dalla stessa motonave. Vedette del corpo si diressero verso il luogo segnalato, ove alle ore 0,30, a "ventitré miglia di distanza dalla costa italiana", veniva intercettato il gommone col suo carico umano. Successivamente, alle ore 1,45, a circa 50 miglia da punta Stilo, dopo un inseguimento a lungo contrastato, veniva altresì fermata la motonave, a bordo della quale erano identificati gli otto membri dell'equipaggio e rinvenuti i libretti di navigazione intestati ai cittadini turchi sorpresi sul gommone.

2.1 A sostegno della decisione la Corte distrettuale si occupava preliminarmente della eccezione difensiva volta a far dichiarare il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana in favore di quella turca, giacché battente bandiera di quel Paese la motonave sequestrata ed eseguite le intercettazioni dei natanti in acque internazionali, al di fuori, pertanto, delle acque territoriali del nostro Paese.

Sul punto rilevava la Corte distrettuale che alla fattispecie trovava applicazione la Convenzione di Montego Bay, in forza della quale (artt. 33 e 111) l'operatività delle forze dell'ordine nazionali può legittimamente estendersi anche oltre il limite internazionale delle acque territoriali, fissato, come è noto, in 12 miglia marine dalla costa nazionale, fino a ricomprendere la c.d. "zona contigua", estesa fino a 24 miglia marine dalla costa e nel cui ambito è riconosciuta la possibilità di esercitare validamente l'inseguimento di quanti violano le leggi dello Stato.

Argomentava altresì la Corte distrettuale che, pur non essendo stata mai indicata dal legislatore nazionale il limite della fascia marittima di "zona contigua, la medesima risultava richiamata in parte qua dall'art. 11-sexies L. 30 luglio 2002, n. 189, recante "traffico e trasporto illegale di migranti", modificativa dell'art. 12 D. Lgs. 286/1998, che espressamente prescrive la possibilità per le forze di polizia operanti con navi nel mare territoriale o "nella zona contigua", di intervenire al fine di prevenire ovvero accertare violazione della disciplina sul trasporto illecito di migranti, là dove per "zona contigua", in mancanza di una diversa indicazione del legislatore italiano, deve intendersi la fascia di 24 miglia marine indicate dalla Convenzione internazionale anzidetta.

In relazione poi alla circostanza che lo Stato turco non abbia mai ratificato la Convenzione in argomento, osservava la Corte di merito che aveva esercitato l'autorità di polizia dello Stato italiano il diritto di inseguimento di cui all'art. 111 della Convenzione stessa ed applicato nel caso di specie il c.d. principio di "presenza costruttiva", diritto di inseguimento contemplato dall'art. 23 della Convenzione sull'alto mare di Ginevra del 23 aprile 1958.

Quanto, infine, al fatto concretamente dedotto in giudizio, osservava la Corte distrettuale che nel verbale di ricognizione delle operazioni eseguite quella notte, verbale redatto il 24 aprile dal personale della Guardia di Finanza, risulta riportata una distanza dalla costa italiana di 25 miglia, ma tale indicazione è stata ritenuta erronea perché frutto di una indicazione che i verbalizzanti hanno imputato alla loro stanchezza (le operazioni furono eseguite nottetempo in condizioni difficili e durarono alcune ore) mentre il dato oggettivo fornito dalle coordinate geografiche relative alla posizione del gommone rilevate attraverso le strumentazioni elettroniche dell'ATR 42, anche radar e dal ricevitore satellitare GPS installato sull'unità navale V3003, hanno individuato la esatta posizione del gommone al momento del fermo (evidentemente entro il limite delle 24 miglia marine).

2.2 Rigettava poi la Corte distrettuale l'ulteriore eccezione processuale sollevata dalle difese degli imputati in ordine all'esame dei testimoni indicati dal P.M. in assenza del deposito da parte di esso della relativa lista testimoniale e questo con l'argomento che l'art. 507 c.p.p. riconosce al giudice un potere di supplenza probatoria che può essere esercitato secondo opportunità insindacabilmente valutate dal giudicante stesso.

2.3 Concludeva, infine, la Corte territoriale rilevando che risultava pienamente provata la colpevolezza degli imputati, che non ricorreva nella fattispecie alcuna esimente di necessità, pure invocata da taluno degli imputati e che, infine, equo e giusto si appalesava il trattamento sanzionatorio.

3. Si dolgono della condanna gli imputati, che ricorrono per cassazione, con l'assistenza dei rispettivi difensori di fiducia, illustrando, a sostegno della richiesta di annullamento, plurimi motivi di impugnazione.
3.1 Nell'interesse di Kircaoglu Mehemet risultano presentati sei motivi di ricorso.
3.1.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione e violazione di legge in relazione alla norma incriminatrice, all'art. 111 della Cost. ed agli artt. 192 e 125 c.p.p., sul rilievo che la motivazione impugnata non avrebbe correttamente corrisposto alle ragioni dell'appellante e che la stessa avrebbe fatto acritico riferimento, per relationem, a quella di prime cure.
3.1.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia ancora la difesa ricorrente violazione di legge, anche processuale e difetto di motivazione in relazione agli artt. 125 co. III e 546 co. I lett. e) c.p.p. e 111 della Convenzione di Montego Bay, deducendo, in particolare, che:
- il punto di abbordaggio della nave risulta individuato in assenza di motivazione e comunque attraverso una motivazione apparente;
- apodittica è l'affermazione che la distanza di 25 miglia indicata nel verbale di ricognizione sia stata trascritta per errore dovuto a stanchezza dei verbalizzanti;
- la circostanza che il gommone fu intercettato in acque internazionali esclude la sussistenza del reato contestato;
- la Corte territoriale ha omesso ogni considerazione in ordine alla testimonianza del m.llo Rescigno, il quale, all'udienza del 10.4.2008, ha dichiarato che il gommone venne intercettato a 25 miglia dalla costa;
- la Corte di mento ha richiamato illogicamente l'art. 111 della Convenzione di Bay ed il c.d. principio di "presenza costruttiva", dappoiché non v'è stata alcuna condotta consumata nelle acque territoriali nazionali.
3.1.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente, a mente dell'art. 606 co. 1 lett. d) c.p.p., la mancata assunzione di prove decisive ai fini del giudizio e, pertanto, l'immotivato diniego di riapertura dell'istruttoria dibattimentale con riferimento alla mancata escussione del teste m.llo Rescigno e del pilota De Biase, comandante dell'ATR-42, le cui testimonianze appaiono indispensabili ai fini della collocazione esatta del luogo ove avvenne l'abbordaggio.
3.1.4 Col quarto motivo di ricorso lamenta la difesa ricorrente difetto di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 125 co. III, 546 co. I, lett. e), artt. 493, 496 e 507 c.p.p., sul rilievo che la prova testimoniale disposta dal Tribunale al fine di sopperire alla mancata presentazione della relativa lista da parte del rappresentante della P.A., è avvenuta in assenza del consenso della difesa degli imputati, con ciò determinandosi una sorta di inversione dell'onere probatorio, dappoiché costituisce onere del P.M., fissato altresì dall'art. 496 c.p.p., provare la colpevolezza degli imputati rinviati a giudizio.
3.1.5 Col quinto motivo di impugnazione deduce la difesa ricorrente difetto di motivazione con riferimento agli artt. 125 co. III e 546 co. I lett. e) c.p.p. e 308 della Convenzione di Montego Bay, sul rilievo che i giudici di merito hanno applicato una convenzione, quella appena citata, mai ratificata dallo Stato turco e richiamato la c.d. "zona contigua" mai dallo Stato italiano definita nei suo termini quantitativi. Anche il richiamo operato dall'art. 11 sexies l. 189/2002 alla c.d. "zona contigua" si appalesa, ad avviso della difesa istante, privo di consistenza in assenza di una definizione oggettivamente precisa di essa da parte del nostro legislatore.
3.1.6 Col sesto motivo di ricorso censura la difesa del Kircaoglu l'eccessiva severità della sanzione inflitta.
3.2 Nell'interesse di Sanaga Mehemet risultano presentati sette motivi di impugnazione.
3.2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione in relazione all'art. 1 co. 2 n. 1 e 33 della Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982, resa esecutiva in Italia con L. 689/1994, sul rilievo che detta convenzione non risulta ratificata dallo Stato turco, di guisa che, a mente dell'art. 1 della stessa, la relativa disciplina, che consente l'esercizio della giurisdizione nazionale oltre le 12 miglia dalla costa e fino a 24 miglia da essa, non può trovare applicazione in danno di un equipaggio di quella nazionalità.
Né può a ciò sopperire il richiamo all'art. 111 della Convenzione, ovvero il richiamo all'istituto della c.d. "presenza costruttiva", dappoiché il diritto di inseguimento di cui alla norma innanzi richiamata ovvero l'evocato istituto di diritto internazionale, possono trovare legittima applicazione, il primo, soltanto nella ipotesi di inseguimento iniziato nelle acque territoriali nazionali (eppertanto entro il limite di 12 miglia marine dalla costa) ed il secondo allorquando vi sia una connessione tra condotte accertate nei confini statuali (e quindi anche nell'ambito delle acque territoriali nazionali) e soggetti collocati in acque internazionali.
L'una e l'altra circostanza di fatto, osserva la difesa istante, non ricorrono nella fattispecie.
3.2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione dell'art. 12 D. Lgs. 268/1998, come modificato dall'art. 11 sexies L. 189/2002, sul rilievo che la Convenzione di Montego Bay, che fissa in 24 miglia dalla costa dello Stato rivierasco il limite delle c.d. "acque contigue", il limite cioè della fascia marittima nel cui ambito possono trovare applicazione gli istituti di diritto internazionale disciplinati dalla convenzione, non risulta abbia avuto esecuzione nello Stato italiano, dappoiché per la individuazione del limite detto, valido per l'ordinamento nazionale, non necessariamente pari a quello massimo posto dalla Convenzione, era necessario un apposito intervento legislativo, in Italia mai registratosi.
Consegue da ciò che non è stata creata per l'ordinamento giuridico italiano una "zona contigua", né a ciò ha posto rimedio, come pure assunto dalla sentenza gravata, l'art. 12 D. Lgs. 268/1998, che al comma 9-bis ha previsto la possibilità per le navi italiane in servizio di polizia di intervenire per la prevenzione e per l'accertamento di illeciti trasporti di migranti, dappoiché siffatta potestà è dal successivo comma 9-quater resa esercitabile nei limiti posti dalla legge, dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali.
Nel caso di specie la mancata ratifica della Convenzione da parte dello Stato turco e la mancata indicazione legislativa della "zona contigua" da parte dello Stato italiano hanno reso illegittimo l'intervento delle forze di polizia italiane a danno delle imbarcazioni turche oltre la fascia delle 12 miglia marine.
3.2.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione in relazione all'art. 192 c.p.p., sul rilievo che la Corte territoriale ha ignorato il dato documentale fornito dal verbale di ricognizione redatto da quattro pubblici ufficiali della Guardia di Finanza, i quali hanno indicato il luogo dell'intercettamento a 25 miglia dalla costa, assumendone l'erroneità di trascrizione (di battitura) da imputare alla stanchezza dell'estensore.
Osserva al riguardo il difensore che la stanchezza di ben quattro pubblici ufficiali non appare credibile, che gli stessi, escussi come testi, hanno dato versioni contrastanti, collocando l'intercettamento tra le 23 e le 25 miglia dalla costa, che andava nello specifico, pertanto, applicato il principio in dubio pro reo.
La Corte ha superato ogni rilievo opponendo l'argomento che il luogo in questione risulta accertato oggettivamente attraverso le strumentazioni elettroniche dell'ATR 42, del radar e del rilevatore satellitare GPS, ma tali risultanze non risultano lette né interpretate, come dimostrato dagli esiti testimoniali appena riferiti.
La stessa indicazione della latitudine di cui alla sentenza di primo grado (38° 19') non riporta, dopo i gradi ed i primi, la indicazione dei secondi, con ciò rendendo imprecisa l'indicazione del luogo di almeno un chilometro.
Tutte le esposte argomentazioni, lamenta ancora la difesa, non risultano corrisposte dalla motivazione di secondo grado.
3.2.4 Col quarto motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione in relazione all'art. 125 c.p.p. con l'argomento, per nulla considerato né dal giudice di prime cure né dal giudice dell'appello, che a mente dell'art. 97 della Convenzione citata, in ipotesi di abbordo in alto mare implicante accertamenti di responsabilità penale, sussiste la giurisdizione dello Stato di bandiera ovvero dello Stato di cittadinanza.
3.2.5 Col quinto motivo di ricorso lamenta la difesa ricorrente inosservanza degli artt. 468, 496 e 507 c.p.p. sulla base di deduzioni analoghe a quelle rappresentate, altresì, dal primo ricorrente, riguardanti la escussione dei testi del P.M. disposta con provvedimento del giudice del dibattimento nonostante il mancato deposito della relativa lista testimoniale da parte del rappresentante della P.A., con la conseguente violazione del diritto difensivo a conoscere subito i capitoli di prova, al fine di predisporre la necessaria attività difensiva.
Anche su tale punto lamenta la difesa istante la preterizione dei propri argomenti da parte della Corte di secondo grado.
3.2.6 Col sesto motivo di doglianza deduce la difesa ricorrente difetto di motivazione in ordine alla sussistenza del reato contestato, tenuto conto della circostanza che gli imputati non avevano ancora fatto ingresso nelle acque territoriali italiane, di guisa che la condotta tipizzata non si è concretizzata.
3.2.7 Col settimo ed ultimo motivo di doglianza lamenta la difesa ricorrente la eccessiva severità della sanzione detentiva inflitta, considerata l'assenza di indici esterni di gravità delle condotte accertate.

4. Il secondo motivo di impugnazione del ricorso proposto nell'interesse di Kircaoglu Mehemet ed il primo e quarto motivo del ricorso proposto nell'interesse di Sanaga Mehemet, assorbenti - atteso il loro contenuto giuridico - di ogni altra doglianza e censura, sono fondati perché pronunciata la sentenza gravata in difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana.

4.1 A mente, infatti, dell'art. 6 c.p., come è noto, un reato è perseguibile dal giudice nazionale, purché nel territorio italiano sia avvenuto anche solo un frammento della condotta intesa in senso naturalistico e, quindi, un qualsiasi atto dell'iter criminis (Cass., Sez. I, 28.10.2003).

Con specifico riferimento a condotte di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina consumate, in tutto o in parte, in acque internazionali, detta regola giuridica va completata con un principio interpretativo affermato da questa Corte di legittimità e con la regolamentazione internazionale articolata sulla materia.

Quanto al principio ermeneutico, rammenta il Collegio che una qualsivoglia attività diretta a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni contenute nel t.u. approvato con d. lgs. 25 luglio 1998 n. 286, non richiede, per il suo perfezionamento (trattandosi di reato a condotta libera ed a consumazione anticipata), che l'ingresso illegale sia effettivamente avvenuto, potendosi configurare ipotesi delittuose anche nel caso in cui sia provato che l'ingresso in parola sia stato semplicemente programmato attraverso precedenti intese intervenute sul territorio nazionale, circostanza questa idonea a rendere perseguibile il fatto in Italia proprio ai sensi dell'art. 6 c.p. (Cass., Sez. I, 23/06/2000, n. 4586; Cass., Sez. VI, 7.1.2008, n. 1180; Cass., Sez. IV, 17.12.1008, n. 17026).

Quanto, invece, alla regolamentazione internazionale, ai fini del presente giudizio e della eccezione in esame vanno citate due fonti normative:
A) sussiste comunque la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana anche in ordine a delitti consumati esclusivamente in acque internazionali, allorché essi siano in rapporto di connessione con reati commessi nel mare territoriale, per perseguire i quali sia stato esercitato il c.d. "diritto di inseguimento" previsto dall'art. 23 della convenzione sull'alto mare di Ginevra del 29 aprile 1958 (siffatta connessione trova riconoscimento internazionale come "principio della presenza costruttiva"). In forza del citato "diritto" è consentito l'inseguimento di navi straniere purché ricorrano precisi requisiti indicati dalla norma convenzionale, e cioè che esso abbia avuto inizio nel mare territoriale dello Stato rivierasco o nella zona contigua (su cui ora si tornerà) e lo stesso sia proseguito ininterrottamente fino all'intercettamento dell'imbarcazione inseguita (Cass., Sez. I, 20/11/2001, n. 325; Cass., Sez. III, 27/06/1992, Vamvakas);
B) sussiste altresì la giurisdizione del giudice nazionale quando l'inseguimento, con le caratteristiche appena precisate, inizi e prosegua nella c.d. "zona contigua", riconosciuta dalla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare fatta a Montego Bay il 10.12.1982, ratificata dal nostro Paese con L. 2.12.1994, n. 689 (l'art. 33 per la definizione di "zona contigua" e l'art. 111 per il diritto di inseguimento nella "zona contigua"). Stabilisce l'art. 111 citato: "È consentito l'inseguimento di una nave straniera quando le competenti autorità dello Stato costiero abbiano fondati motivi di ritenere che essa abbia violato le leggi e quando la nave straniera o una delle sue lance si trova nelle acque interne, nelle zone arcipelagiche, nel mare territoriale, oppure nella zona contigua dello Stato che mette in atto l'inseguimento, e può continuare oltre il mare territoriale o la zona contigua solo se non è stato interrotto". Per zona contigua l'art. 33 citato stabilisce che essa può estendersi non oltre 24 miglia marine dalle acque territoriali;
C) per completare il quadro normativo di riferimento nel cui ambito pervenire alla decisione del presente giudizio occorre rilevare che la c.d. convenzione di Montego Bay non è stata ratificata dallo Stato turco e che questa Corte di legittimità ritiene operante nel nostro sistema di diritto il c.d. "principio di bandiera", in forza del quale le navi mercantili sono soggette alla sovranità dello Stato di bandiera, di cui rappresentano territoire flottant. Tale principio è stato recepito da Cass. 30.10.1969, Matrino, in forza del principio generale di diritto internazionale di cui all'art. 19 della citata convenzione di Ginevra sul mare territoriale del 1958, resa esecutiva in Italia con L. 1658/1961, e trova una sua disciplina positiva per le navi italiane all'art. 4 c.p. co. 2 ed in linea generale all'art. 97 della citata Convenzione di Montego Bay che testualmente recita: "In caso di abbordo o di qualunque altro incidente di navigazione nell'alto mare, che implichi la responsabilità penale o disciplinare del comandante della nave o di qualunque membro dell'equipaggio, non possono essere intraprese azioni penali o disciplinari contro tali persone, se non da parte delle autorità giurisdizionali o amministrative dello Stato di Bandiera o dello Stato di cui tali persone hanno la cittadinanza".
5. Date le fonti normative necessarie per la regolamentazione giuridica della fattispecie dedotta in giudizio, è ora possibile la deduzione giuridica.
5.1 La condotta contestata agli imputati, ancorché nei termini giuridici del reato tentato, è stata interamente consumata in aree sottratte alla giurisdizione italiana così come delineata e delimitata dagli artt. 6 c.p., né ad essa può trovare applicazione la disciplina di cui all'art. 7 c.p., regolatrice della punibilità secondo la legge italiana di reati commessi all'estero da cittadini del nostro Paese ovvero da cittadini stranieri, attesa la natura dei reati contestati.
Nel caso di specie, infatti, le vicende di causa si sono dipanate ben oltre lo spazio delle acque territoriali italiane, come è noto estese fino a 12 miglia marine dalla costa, né in alcun modo può correttamente invocarsi la nozione di diritto internazionale della "zona contigua" disciplinata dall'art. 33 della Convenzione di Montego Bay, innanzi ripetutamente citata, dappoiché lo Stato turco, Stato di appartenenza degli imputati e Stato di bandiera della motonave con la quale sono stati trasportati i cittadini extracomunitari destinati allo sbarco clandestino in Italia, non ha mai aderito ad essa.
Neppure ritualmente invocato da parte della sentenza impugnata appare la disciplina internazionale del diritto di inseguimento (art. 111 Convezione di Montego Bay, ma soprattutto art. 23 della Convenzione sull'alto mare di Ginevra del 23 aprile 1958) ed il collegato principio della "presenza costruttiva" in forza del quale, giova ribadirlo, anche in costanza di reati consumati in acque internazionali, allorché gli stessi siano connessi con reati consumati nel mare territoriale, è legittimo l'inseguimento che parta dalle acque nazionali e prosegua in quelle internazionali, giacché carenti, nella fattispecie concreta, i requisiti legittimanti l'esercizio dell'evocato diritto. L'inseguimento in parola, infatti, non è iniziato nelle acque territoriali nazionali, né mai queste, le acque territoriali nazionali cioè, risulta nel processo siano state impegnate dagli imputati ovvero dalla nave turca e dal natante da essa poi messo a mare per il trasporto degli extracomunitari clandestini.
Tenendo poi conto dell'insegnamento di Cass., Sez. I, 28.10.2003, non risulta neppure provato nel processo e comunque nemmeno accreditato da parte dei giudici territoriali, che un frammento di condotta preparatoria del reato contestato sia stato in qualche forma consumato sul territorio dello Stato.
5.2 In definitiva:
- ai sensi degli artt. 6 e 7 c.p., nonché del c.d. "principio della bandiera" di cui all'art. 19 della citata Convenzione di Ginevra, principio riproposto, altresì, dall'art. 97 della Convenzione di Montego Bay, anch'essa innanzi meglio citata, entrambe ratificate dal legislatore italiano, non sussiste la giurisdizione del giudice nazionale in ipotesi di reato non contemplato tra quelli di cui al precedente art. 7 c.p., consumato oltre il limite delle acque territoriali nazionali (e quindi oltre il limite di 12 miglia marine dalla costa);
- non è applicabile da parte delle autorità italiane l'istituto di diritto internazionale della c.d. "zona contigua" nei confronti di cittadini di nazionalità turca ovvero di natanti del medesimo Paese, giacché non ratificata dalla Turchia la Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982, nonché l'accordo di applicazione della parte XI della convenzione stessa, con allegati, fatto a New York il 29 luglio 1994;
- non è legittimamente applicato il diritto di inseguimento di una nave straniera da parte delle autorità italiane se l'inseguimento non inizi all'interno delle acque territoriali (ovvero della zona contigua quando ricorra il suo legittimo riconoscimento da parte dei Paesi coinvolti nella condotta) proseguendo poi senza soluzione di continuità, salva l'ipotesi della c.d. "presenza costruttiva".
"In virtù del principio della presenza costruttiva, è legittimo l'inseguimento e la cattura in alto mare di una nave straniera che abbia violato le leggi dello stato rivierasco, purché l'inseguimento della stessa inizi non appena una delle imbarcazioni minori, operanti in équipe con essa e addette al trasbordo della merce verso terra, entri nelle acque territoriali e si inizi nei suoi confronti l'inseguimento; all'uopo è sufficiente che la nave inseguitrice dell'imbarcazione minore avverta l'altra nave stazionante al largo dell'ingresso di tale imbarcazione nelle acque territoriali" (Cass., Sez. III, 27/06/1992, Vamvakas, innanzi citata).
6. In definitiva, accertato nel caso in esame il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana, accertamento, questo, assorbente di ogni altra censura, doglianza o questione di diritto comunque illustrata difensivamente, deve questa Corte annullare sia la sentenza di primo grado che quella resa dal giudice dell'appello.

P.Q.M.

la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado per difetto di giurisdizione. Ordina la liberazione degli imputati se non detenuti per altra causa.