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Testimonianza in videocollegamento a distanza: consenso imputato non serve se .. (Cass. 5827/25)

13 febbraio 2025, Cassazione penale

La prova testimoniale assunta “a distanza”, senza l'osservanza della disciplina ordinaria prevista dagli artt. 497 e seg. cod. proc. pen., in assenza del presupposto legittimante la deroga, ovvero il consenso delle parti, non è utilizzabile per la decisione ai sensi dell'art. 191, comma 1, cod. proc. pen. perché acquisita in violazione del divieto previsto dall'art. 496, comma 2 bis, cod. proc. pen., sistematicamente interpretato alla luce delle norme codicistiche in tema di esame testimoniale sia in sede di incidente probatorio che in dibattimento.

Dal complesso di tali norme si evince che il legislatore ha considerato l'assunzione “in presenza” della testimonianza il sistema ordinario sostituibile da quello “da remoto” soltanto in presenza di specifici presupposti o condizioni, tra cui il consenso delle parti, anche nell'ipotesi estrema in cui ad essere esaminata è una persona offesa “vulnerabile” (il comma 4-ter dell'art. 498 cod. proc. pen. prevede che qualora occorra procedere all'esame in dibattimento di una persona offesa che versi in condizione di “particolare vulnerabilità”, il giudice, su richiesta dell'offeso, può disporre l'adozione di “modalità protette” secondo le forme previste dall'art. 398 comma 5-bis, cod. proc. pen.)

La Convenzione di assistenza giudiziaria in materia penale fra gli Stati membri UE del 29.5.2000 (attuata nel nostro ordinamento con il d.lgs. 5.4.2017, n. 52) consente di superare il dissenso dell'imputato. 

NOTA: Pare incredibile che in tre gradi di giudizio l'autorità giudiziaria non abbia rilevato che il d.lgs. 21.6.2017, n. 108 che recepisce la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 41/2014/UE del 3.4.2014 in tema di OIE - Ordine europeo di indagine penale (European Investigation Order – EIO) ha superato l'applicazione della Convenzione (salvo richieste di assistenza relative ai settori non specificamente regolati dall’EIO, ad es., l’assistenza per l’applicazione di sanzioni amministrative e per le notificazioni degli atti di un procedimento penale o amministrativo, o i rapporti di cooperazione fra l’Italia e gli Stati UE che non hanno aderito alla direttiva, o quelli fra il nostro Paese e quegli Stati che non appartengono all’Unione, come l’Islanda e la Norvegia). 

 

Corte di Cassazione

sez. I penale, ud. 10 dicembre 2024 (dep. 13 febbraio 2025), n. 5827

Ritenuto in fatto

1. La Corte di assise di appello di Brescia, con sentenza in data 24 maggio 2024, ha parzialmente riformato la decisione con cui la Corte di assise aveva riconosciuto O.B., detto “O.”, e I.C.E.S., detta “C.”, colpevoli: il primo del reato, previsto dagli artt. 110, 601 e 602-ter, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., di tratta di persone finalizzato allo sfruttamento della prostituzione, commesso ai danni di F.O. (capo A) e A.O. (capo B); la seconda del reato di cui all'art. 3 n. 8 della legge 20.2.1958 n. 75 di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di A.O. e F.O. (capo C).

Secondo le conformi valutazioni dei Giudici del merito, B.O., pur rimanendo nel territorio italiano, aveva contributo, in concorso con altri, al reclutamento in Nigeria di A.O. e F.O. mediante inganno, violenza ed approfittando della condizione di vulnerabilità, al loro successivo trasferimento dapprima in Libia e poi in Italia, dove erano state affidate alla C.E.S.I. e, sotto minaccia di morte qualora non avessero pagato il debito contratto per il viaggio, costrette a prostituirsi, consegnando i guadagni dell'attività di meretricio alla C.E.S.I.  e a B.O..

Depongono per la penale responsabilità degli imputati le dichiarazioni accusatorie rese dalle persone offese nel corso degli esami dibattimentali nonché nelle conversazioni intercettate e l'attività investigativa di riscontro, che aveva permesso di ricostruire dettagliatamente, attraverso l'acquisizione di documentazione e l'esame del traffico telefonico, non solo i movimenti di A.O. e F.O., quindi la permanenza in Libia ed i successivi spostamenti dopo lo sbarco in territorio italiano fino a raggiungere Brescia, ma anche gli intensi rapporti di frequentazione con gli odierni imputati da giugno 2015 a novembre 2016, quando avevano svolto l'attività di prostitute.

Nello stesso periodo e nei mesi successivi, peraltro, erano stati accertati ripetuti contatti tra le utenze in uso a B.O. ed i connazionali che si erano occupati del reclutamento in Nigeria e del soggiorno in Libia di A.O. e F.O.. In più conversazioni intercettate B.O., parlando con la madre, il fratello ed altre persone coinvolte nella medesima e redditizia attività illecita, aveva fatto ripetuti ed inequivoci riferimenti al suo diretto coinvolgimento nel reclutamento in Nigeria, talvolta anche nell'acquisto all'interno dei campi libici di detenzione, di giovani ragazze nigeriane in condizioni di vulnerabilità e desiderose di emigrare, che, una volta sottoposte al rito juju, venivano trasportate in Italia dove erano costrette a prostituirsi per ripagare l'esorbitante debito contratto per viaggio verso l'Europa.

La Corte di assise di appello ha ritenuta infondata l'eccezione di nullità ed inutilizzabilità della deposizione resa da F.O. con le forme del video collegamento.

Secondo i Giudici bresciani, l'ordinamento processuale non sanziona la violazione delle regole di assunzione della deposizione testimoniale: non è previsto un espresso divieto rilevante ai sensi dell'art. 191 cod. proc. pen. né ricorre una delle ipotesi di nullità previste dall'art. 178 cod. proc. pen. L'audizione da “remoto” non è una prova vietata ma, anzi, è espressamente prevista sia pure in presenza di specifici presupposti. In ogni caso, la difesa non ha indicato le ragioni in forma delle quali non ha prestato il consenso né ha indicato in che termini sarebbe stata compromesso il diritto di difesa.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorso B.O. e C.E.S.I. con due distinti atti di impugnazione a firma del comune difensore di fiducia, avv. AP. 2. B.O. ha articolato due motivi.

2.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge, in relazione agli artt. 180,182,191 e 496, comma 2-bis, cod. proc. pen., con riferimento all'audizione da remoto della testimone F.O., persona offesa del reato di cui al capo A).

Lamenta che le dichiarazioni accusatorie di F.O. sono state poste a fondamento dell'impianto motivazionale della sentenza, in via diretta per il reato di cui al capo A) e quale riscontro alle dichiarazioni di A.O. per il reato di cui capo B), nonostante siano state acquisite con un atto istruttorio, la deposizione in video collegamento con il Tribunale tedesco di Magonza, nullo e siano, pertanto, affette da inutilizzabilità.

Al riguardo evidenziano che la Corte di assise ha disposto l'audizione da remoto senza adottare il decreto motivato previsto dall'art. 133-ter cod. proc. pen. ed in palese violazione dell'art. 496, comma 2-bis, cod. proc. pen., che subordina tale modalità di assunzione della testimonianza al consenso dell'imputato. Interpellata sul punto, la difesa dell'imputato B.O. non solo aveva espresso il suo formale dissenso, ma aveva tempestivamente eccepito la nullità dell'atto e l'inutilizzabilità del risultato probatorio, reiterando l'eccezione con l'atto di appello.

Gli argomenti spesi dalla sentenza impugnata per superare i rilievi difensivi sono infondati.

Depongono in favore della eccepita nullità ed inutilizzabilità le disposizioni del codice di rito che prevedono, in termini perentori, quale unica modalità di assunzione della testimonianza quella “in presenza”, ammettendo in via eccezionale la sua derogabilità solo nel caso di cui all'art. 496, comma 2-bis, cod. proc. pen. ovvero con il consenso della difesa, non sostituibile, come per altri istituti processuali, da atti equipollenti.

Non sono rinvenibili nemmeno specifiche disposizioni di legge che prevedano l'espletamento dell'atto probatorio “da remoto”. Tali non possono essere considerati né l'art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 52 del 2017 né la legge n. 88 del 2019 né l'art. 147-bis disp. att. cod. proc. pen.

L'art. 14, comma 2, d.lgs. n. 52 del 2017 ammette l'audizione “a distanza” del testimone solo quando ricorrono “giustificati motivi” che rendono non opportuna la sua presenza nel territorio nazionale oppure quando lo stesso è qualsiasi titolo detenuto in un altro Stato.

Nel caso di specie, l'unico motivo indicato dal pubblico ministero richiedente sono le difficoltà economiche della testimone, ma esse non rilevano perché adeguatamente fronteggiabili con altro strumento normativo ovvero il rimborso e le indennità previste dagli artt. da 45 a 48 d.P.R. n.115 del 2002 in favore dei testimoni.

La legge n. 88 del 2019 si limita a disciplinare le modalità della cooperazione tra le autorità giudiziarie europee.

L'art. 147-bis disp. att cod. proc. pen. disciplina l'audizione di categorie specifiche di persone e non di tutti i testimoni.

L'atto probatorio compiuto in assenza del consenso espressamente previsto dall'art. 496, comma 2-bis, cod. proc. pen. dà luogo a nullità generale a regime intermedio ai sensi dell'art. 178, comma 1 lett. c), cod. proc. pen. per inosservanza delle norme concernenti l'assistenza dell'imputato.

La difesa ha formulato tempestivamente l'eccezione nel corso dell'udienza dibattimentale, come si evince dai verbali di udienza allegati al ricorso ai fini della sua autosufficienza, e l'ha nuovamente dedotta nel giudizio di appello.

Non può essere messo in discussione l'interesse della difesa all'espletamento dell'atto istruttorio nella forma ordinaria, che è l'unica che garantisce il contatto fisico diretto tra imputato, difensore e dichiarante nella piena osservanza dei principi cardine del processo penale dell'immediatezza e dell'oralità nella formazione e valutazione della prova dichiarativa; tali principi sono ingiustificatamente affievoliti allorquando le dichiarazioni della persona esaminata in contraddittorio sono veicolate dallo schermo.

2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alle norme incriminatrici contestate.

La Corte distrettuale, senza esaustivamente confrontarsi coi motivi di appello, ha preso in esame tra gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 601 e 602-ter, comma 1 lett. b), cod. proc. pen. solo la posizione di vulnerabilità delle persone offese, ritenendo decisiva, in contrasto con le risultanze istruttorie, ai fini della sua integrazione la peculiare condizione di povertà in cui entrambe versavano in patria.

Ha trascurato che le prove raccolte, come evidenziato dalla difesa, escludono che l'imputato abbia posto in essere una condotta di reclutamento.

Al contrario, è risultato dimostrato che le persone offese hanno autonomamente e spontaneamente scelto di emigrare e che, proprio al fine di realizzare tale progetto personale, hanno chiesto ed ottenuto un finanziamento, assumendo l'impegno morale, con il rituale juju, di restituire la somma ricevuta con proventi dell'attività del meretricio che avrebbero esercitato in Europa.

Una volta arrivate in Italia, A.O. e F.O. sono sempre rimaste libere di muoversi e di fare la propria vita senza alcuna forma di asservimento ed hanno scelto liberamente di esercitare l'attività di prostituzione, gestendo in totale autonomia i proventi conseguiti, salvo versare periodicamente all'imputato un rimborso spese ed una quota destinata a saldare il debito contratto per lasciare la Nigeria.

La condotta accertata, a tutto concedere, è qualificabile come favoreggiamento della permanenza delle donne clandestine sul territorio nazionale ai sensi dell'art. 12, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998.

3. C.E.S.I. ha sviluppato tre motivi.

3.1. Il primo motivo è esposto in termini sovrapponibili a quello dedotto dal coimputato, cui si rinvia.

3.2 Il secondo motivo deduce vizio di motivazione con particolare riferimento al travisamento della testimonianza di F.O. nonché violazione di legge in relazione agli artt. 3 e 4 della legge n. 75 del 1958.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, F.O. non ha mai riconosciuto nell'odierna imputata la connazionale che l'accompagnava nel luogo dove si prostituiva e alla quale, in un'occasione, aveva consegnato il denaro in attuazione dell'accordo con B.O. per saldare il debito.

La testimone ha ammesso di avere conosciuto in Italia più donne chiamate “C.”, ma non ha mai riferito che una di queste fosse C.E.S.I.; anzi, ha precisato che la donna che la controllava nella zona Brescia, si chiamava “S.”.

Una volta espunto dall'apparato argomentativo il dato travisato, gli elementi residui non sono sufficienti per ritenere configurabile il reato contestato.

3.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge con riferimento all'art. 157 cod. pen.

Evidenzia che, una volta accolti i primi due motivi sulla insussistenza della condotta commessa ai danni di F.O., la residua condotta delittuosa di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di A.O., si è prescritta essendo stata commessa fino al maggio 2016, considerato che non è configurabile l'aggravante della consumazione del fatto ai danni di più persone di cui all'art. 4 n. 7 della legge n. 75 del 1958.

Considerato in diritto

1. Preliminarmente deve essere dichiarata intempestiva la richiesta di trattazione orale trasmessa telematicamente a questa Corte di cassazione dal comune difensore di B.O. e C.E.S.I.

I ricorsi di entrambi gli imputati sono stati proposti in data 14 ottobre 2024, quindi dopo il 30 giugno 2024.

Trova, pertanto, applicazione il nuovo testo dell'art. 611, comma 1, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 11, commi 2, lettere a), b), c) e 3 del D.L. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120.

A mente di tale disposizione tutti i ricorsi devono essere trattati dalla Corte di cassazione in camera di consiglio, senza la partecipazione del procuratore generale e dei difensori, con esclusione, tra gli altri, di quelli, relativi a sentenze pronunciate nel dibattimento, per i quali il successivo comma 1-bis prevede la facoltà delle parti di richiedere la trattazione in pubblica udienza disciplinata dall'art. 614 cod. proc. pen. “entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell'udienza”.

E' pacifico che nel computo dei “giorni liberi” vanno esclusi il "dies a quo" nonché il "dies ad quem" (Sez. 3, n. 30333 del 23/04/2021, Altea, Rv. 281726 – 01; Sez. 2, n. 15718 del 01/03/2023, Russo, Rv. 284499 – 01).

Ne segue che nel presente giudizio, in cui l'udienza è stata fissata per il 10 dicembre 2024 con successiva comunicazione alle parti, il deposito telematico dell'istanza di trattazione orale in pubblica udienza doveva essere eseguito entro il 14 novembre; l'istanza nell'interesse degli imputati, invece, è stata depositata il giorno 15 novembre 2024.

2. Il primo motivo dei ricorsi di B.O. e di C.E.S.I. non è fondato.

Risulta dagli atti che una delle due persone offese, F.O., è stata esaminata mediante audizione “da remoto”, precisamente tramite videocollegamento con il Tribunale tedesco di Magonza, nonostante il difensore degli imputati non avesse prestato il consenso, ma anzi ripetutamente espresso il suo motivato dissenso.

Sostengono i ricorrenti, reiterando le deduzioni già espresse nel corso delle udienze dibattimentali, prima e dopo l'audizione, nonché con l'atto di appello, che il mezzo istruttorio è stato assunto in violazione delle norme del codice di rito in tema di testimonianza, che tale violazione ne ha determinato la nullità e che, comunque, il risultato probatorio acquisito con la deposizione è inutilizzabile.

In ogni caso, l'ordinanza che ha ammesso l'audizione “a distanza” ha giustificato la scelta di tale peculiare modalità con argomentazioni disallineate rispetto ai presupposti previsti per derogare all'esame “in presenza” dalla normativa di riferimento ed in particolare dagli artt. 14, comma 2, d.lgs. n. 52 del 2017 dalle disposizioni contenute nella legge n. 88 del 2019.

L'assunto non è condivisibile sia pure per ragioni parzialmente diverse da quelle esplicitate nella sentenza impugnata.

1.1. Il comma 2-bis dell'art. 496 cod. proc. pen., aggiunto dall'art. 30, comma 1, lett. g) d.lgs. n. 150 del 2022 (c.d. riforma "Cartabia"), applicabile nel caso in verifica ratione temporis, dispone: «Salvo che una particolare disposizione di legge preveda diversamente, il giudice può disporre, con il consenso delle parti, che l'esame dei testimoni … si svolga a distanza».

Secondo la nuova disciplina, per l'assunzione della testimonianza a distanza, è sempre necessario, anche se non sufficiente, il consenso delle parti; occorre, infatti, anche una valutazione discrezionale del giudice (“può disporre”).

Il Giudice, qualora ritenga di dare corso all'audizione a distanza, una volta ottenuto il consenso delle parti, deve adottare il decreto motivato previsto dall'art. 133-ter, comma 1, cod. proc. pen.; mentre se non lo ritiene opportuno, nonostante il consenso delle parti, può sempre disporre che l'assunzione della prova avvenga “in presenza”, che, quindi, rimane pur sempre la forma ordinaria di espletamento dell'atto istruttorio.

Il “consenso”, attenendo ad una scelta di natura tecnica, può esser espresso dal solo difensore.

Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità a proposito dell'interpretazione dell'art. 431, comma 2, cod. proc. pen. («Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva»), il consenso, che in tale peculiare ipotesi determina la definitiva acquisizione al materiale probatorio direttamente utilizzabile per la decisione di atti che, per essersi stati formati nel corso delle indagini preliminari in assenza di contraddittorio, non possono trovare ingresso nel fascicolo del dibattimento, è valido anche se prestato dal solo difensore dell'imputato nell'esercizio dei suoi poteri di rappresentanza nel processo, (Sez. 5, n. 2679 del 06/12/2018, dep. 2019, Di Rosa, Rv. 274595-01 secondo cui in senso contrario non può essere richiamato il disposto di cui all'art. 526, comma 1 -bis, cod. proc. pen., che deve essere letto alla luce della previsione di cui all'art. 111, comma 5, Cost. secondo la quale il principio del contraddittorio è derogabile per il consenso espresso dalla parte titolare del diritto garantito; in senso conforme, Sez. 4, n. 35585 del 12/05/2017, Schettino, Rv. 270777-01; Sez. 6, n. 7061 del 11/02/2010, Minzera, Rv. 246090-01; Sez. 3, n. 13242 del 15/02/2008, Grujovic, Rv. 239709-01).

D'altra parte, al difensore, ai sensi dell'art. 99 cod. proc. pen., competono le facoltà ed i diritti che la legge riconosce all'imputato a meno che essi siano riservati a quest'ultimo; d'altro canto la mancata previsione di una siffatta riserva trova spiegazione nel fatto che proprio al difensore spetta la valutazione dal punto di vista tecnico dell'opportunità della scelta de qua.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, corollario della disciplina sin qui esaminata è che la prova testimoniale assunta “a distanza”, senza l'osservanza della disciplina ordinaria prevista dagli artt. 497 e seg. cod. proc. pen., in assenza del presupposto legittimante la deroga, ovvero il consenso delle parti, non è utilizzabile per la decisione ai sensi dell'art. 191, comma 1, cod. proc. pen. perché acquisita in violazione del divieto previsto dall'art. 496, comma 2 bis, cod. proc. pen., sistematicamente interpretato alla luce delle norme codicistiche in tema di esame testimoniale sia in sede di incidente probatorio che in dibattimento.

Dal complesso di tali norme si evince che il legislatore ha considerato l'assunzione “in presenza” della testimonianza il sistema ordinario sostituibile da quello “da remoto” soltanto in presenza di specifici presupposti o condizioni, tra cui il consenso delle parti, anche nell'ipotesi estrema in cui ad essere esaminata è una persona offesa “vulnerabile”.

L'art. 392, comma 1-bis cod. proc. pen., nel consentire al fuori dei casi previsti in un elenco tassativo l'assunzione con le forme dell'incidente probatorio della testimonianza delle vittime di cui alcuni reati, tra cui quello di tratta, nonché delle persone offese in condizioni di “particolare vulnerabilità”, individua quale modalità di assunzione quella “in presenza”, potendo il giudice nell'ordinanza di ammissione prevista dall'art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen.stabilire «il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno. A tal fine l'udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l'abitazione della persona interessata all'assunzione della prova. Le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia ovvero della consulenza tecnica. Dell' interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti».

Parallelamente, il comma 4-ter dell'art. 498 cod. proc. pen. prevede che qualora occorra procedere all'esame in dibattimento di una persona offesa che versi in condizione di “particolare vulnerabilità”, il giudice, su richiesta dell'offeso, può disporre l'adozione di “modalità protette” secondo le forme previste dall'art. 398 comma 5-bis, cod. proc. pen.

In conclusione, nel caso in cui difetti il “consenso delle parti” la testimonianza “a distanza” assunta non può essere utilizzata per la decisione al pari dell'atto contenuto nel fascicolo del pubblico ministero acquisito in violazione del disposto dell'art. 431, comma 2, cod. proc. pen. (da ultimo Sez. 4, n. 24086 del 17/01/2024, Carvelli, Rv. 286469 - 01) e degli esami dibattimentali resi davanti ad un giudice diverso acquisti in assenza del “consenso” alla loro rinnovazione mediante lettura, in violazione del divieto previsto dall'art. 525, comma 1, cod. proc. pen. a mente del quale «alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento» (cfr. Sez. U n. 41736 del 30/05/2019, Bajrami).

1.2. Come accennato, oltre al “consenso delle parti”, l'art. 496, comma 2 bis, cod. proc. pen. ammette, ulteriori deroghe, alla regola generale secondo cui la deposizione testimoniale deve avvenire “in presenza”, rinviando alle previsioni contenute in disposizione di legge.

Ha indubbio contenuto derogatorio la disposizione di cui all'art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 52 del 2017 secondo cui, per quel che rileva in questa sede, l'autorità giudiziaria procedente può richiedere «l'audizione a distanza del testimone … direttamente all'autorità competente di altro Stato Parte… a) quando il soggetto … si trova nel territorio dello Stato Parte e ricorrono giustificati motivi che rendono non opportuna la sua presenza nel territorio nazionale».

L'ordinanza del 12 aprile 2023 con cui la Corte di assise ha ammesso l'esame a distanza mediante videoconferenza F.O., rintracciata in uno degli “Stati Parte”, la Germania, previa emissione di ordine indagine europeo ha correttamente applicato la norma appena citata, individuando, sulla scorta delle informazioni desumibili dagli atti di causa, le ragioni di opportunità che sconsigliavano, principalmente a tutela dell'incolumità dell'interessata, il trasferimento della testimone nella stessa città in cui risiedevano gli imputati di gravi reati commessi ai suoi danni per un lungo periodo, anche attraverso atti di violenza morale e fisica che ne avevano comportato “la sottomissione”, nonché i loro amici e familiari, per di più accompagnata dalla figlia minore che accudiva personalmente e che non poteva affidare ad altri a causa delle precarie condizioni economiche.

Trattasi di apprezzamenti plausibili, nemmeno specificamente contestati dai ricorrenti, non sindacabili in sede di legittimità perché espressione di un potere discrezionale del giudice del merito, il cui esercizio in concreto è parametrato alla categoria particolarmente estesa, dell'”opportunità”.

Per completezza, va osservato che i ricorrenti, non hanno illustrato in modo specifico l'incidenza dell'eventuale eliminazione della testimonianza di F.O. ai fini della cosiddetta "prova di resistenza".

E' pacifico che gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Sez. 2, n. 30271 dell'11/05/2017, De Matteis, Rv. 270303 - 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218 - 01; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011 - 01; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452 - 01).

Pertanto, in presenza di ulteriori prove a carico costituite dalle conversazioni intercettate, dalle dichiarazioni dell'altra persona offesa, A.O. e dalle ammissioni di B.O., i ricorrenti avrebbero dovuto prospettare, non solo in termini generici, l'inidoneità delle prove residue a sorreggere l'affermazione di responsabilità.

2. Il secondo motivo del ricorso di B.O. è inammissibile perché generico e versato interamente in fatto.

2.1. Va premesso che la fattispecie di cui all'art. 601 cod. pen.incrimina colui il quale «recluta, introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di fuori di esso, trasporta, cede l'autorità sulla persona, ospita una o più persone che si trovano nelle condizioni di cui all'articolo 600, ovvero, realizza le stesse condotte su una o più persone, mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi».

Secondo i principi indicati dalla direttiva comunitaria 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, attuata dal d.lgs., 4 marzo 2014, n. 24 anche sostituendo ed ampliando la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 601 cod. pen., la “situazione di vulnerabilità” deve essere intesa come qualsiasi situazione di debolezza o di mancanza materiale o morale della persona offesa, idonea a condizionarne la volontà personale e che non consente altra scelta effettiva di vita, se non cedendo all'abuso di cui è vittima.

E' irrilevante l'eventuale consenso prestato dalla vittima della tratta e, quindi, al suo sfruttamento, programmato o effettivo qualora risulti accertato la condizione di vulnerabilità e l'agente abbia in qualsia modo approfittato di tale peculiare condizione (art. 4.4. della direttiva 2011/36/UE citata).

Più di recente, la medesima nozione di "vulnerabilità" è stata inserita anche nel codice di procedura penale in attuazione della Direttiva 2012/29/UE con l'introduzione dell'art. 90-quater cod. proc. pen. da parte del d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212.

Tale nuova disposizione, nell'indicare i criteri attraverso i quali è possibile desumere, sulla base degli atti, l'accertamento di tale peculiare condizione definita “di particolare vulnerabilità” fa riferimento non solo ad alcune caratteristiche personali della vittima (età, stato d'infermità o di deficienza psichica), ma anche al tipo di reato, alle modalità e circostanze del fatto ed in particolare alla sua riconducibilità ad «ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani» nonché alla «dipendenza, economica o psicologica, della persona offesa dall'autore del reato».

2.2. La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei ricordati principi.

In sintonia con le valutazioni della Corte di assise, la Corte distrettuale, sulla scorta di precise emergenze probatorie analiticamente richiamate, ha ritenuto accertato che entrambe le giovanissime persone offese, sin dal primo contatto nel Paese di origine con gli emissari e complici degli odierni imputati e, successivamente, durante la permanenza in Italia, sono continuativamente rimaste, sia a causa delle condizioni economiche e più in generale di vita, estremamente precarie, sia a causa dei limiti culturali ed intellettuali che le hanno indotto a credere ciecamente nel rito juju e nella sua effettiva forza vincolante, in una condizione di debolezza e fragilità, se non di vera e propria soggezione, che non ha consentito alle stesse altra scelta se non quella di cedere agli abusi di cui sono state vittime, pur di realizzare l'obbiettivo di abbandonare la Nigeria nella speranza un futuro più prospero.

Approfittando di tale posizione, certamente inquadrabile nella nozione di “vulnerabilità”,  B.O., operando in stretto collegamento con i complici operanti in Nigeria e Libia, con i quali era in costante contatto, aveva organizzato e finanziato il viaggio in Italia di F.O. ed A.O., si era messo in contatto con loro non appena sbarcate, le aveva ospitate presso la sua abitazione ed utilizzando la connazionale, C.E.S.I., le aveva coattivamente avviate alla prostituzione, ricevendone i profitti e maltrattandole se non guadagnavano abbastanza. E ciò al preteso fine di imporre alle ragazze, nelle more divenute sempre più dipendenti da B.O. e dai suoi complici, perché senza documenti di identità, incapaci di comprendere la lingua italiana, prive di autonomia economica, senza alcun riferimento familiare, di restituire il prestito contratto per le spese di viaggio, il cui importo, peraltro, era stato arbitrariamente stabilito in una somma ingente.

Per di più, le ragazze erano pianamente convinte che solo con la consegna del denaro, potevano sfuggire alle gravi conseguenze previste della violazione del giuramento assunto con il rito juju. Una volta distaccatesi dai luoghi di origine per gravi eventi traumatici, le aveva apertamente minacciate e perseguitate anche tramite terze persone fino a quando al culmine della disperazione non si erano decise di rivolgersi alle Forze di polizia.

Il ricorso, senza realmente confrontarsi con gli argomenti, giuridici e logici, sviluppati dalla sentenza in relazione alla nozione di «stato di soggezione» rilevante ai fini dell'integrazione del reato contestato, che deve essere soltanto connesso alla situazione di vulnerabilità della vittima, sviluppa considerazioni di puro merito in ordine alla ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata, affacciando ipotesi alternative sul piano degli accadimenti accertati e introducendo argomenti fattuali, non scrutinabili in sede di legittimità, già disattesi nel giudizio di merito (insussistenza condizione di povertà delle persone offese in Nigeria, autonomia e spontaneità della scelta migratoria e del meretricio da parte delle stesse).

2.3. La sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del più grave reato di tratta esclude l'invocata derubricazione in quello, meno grave, di favoreggiamento della permanenza delle donne clandestine sul territorio nazionale di cui all'art. 12, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998.

D'altra parte, tale ultima fattispecie, per l'espressa clausola di riserva, sarebbe comunque assorbita in quella più grave di cui all'art. 601 cod. pen., nonostante la diversità dei beni giuridici tutelati dalle norme incriminatrici, nel caso in cui sia realizzata, come prospettato dal ricorrente, con una condotta naturalistica identica o continente. (Sez. 1, n. 20154 del 03/02/2023, A. Rv. 284651 – 01; Sez. 1, n. 33708 del 25/06/2021, E., Rv. 281791 - 01).

3. Il secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse di C.E.S.I., relativo alla testimonianza di F.O. nonché alla violazione di legge in relazione agli artt. 3 e 4 della legge n. 75 del 1958, non supera il vaglio di ammissibilità per la genericità e comunque per la manifesta infondatezza delle censure.

La ricorrente, nel dedurre il travisamento delle dichiarazioni rese da F.O., non si conforta con il principale elemento valorizzato in chiave accusatoria dai giudici del merito per identificarla nella “madame” alla quale la O. era stata affidata per svolgere l'attività di meretricio, anche ricevendo in consegna il denaro guadagnato, ossia il riconoscimento fotografico.

Sia in sede di indagini preliminari sia in sede di esame dibattimentale, F.O., visionando l'album fotografico predisposto dalla polizia giudiziaria aveva individuato, senza incertezza alcuna, nella fotografia con l‘effigie dell'imputata la connazionale che l'aveva ospitata all'interno di un appartamento, anch'esso individuato con precisione nel corso di in un sopralluogo con gli agenti.

L'immobile era lo stesso che C.E.S.I. aveva indicato come sua residenza in una denuncia.

4. Il terzo motivo del ricorso di C.E.S.I. relativo alla prescrizione del reato, è inammissibile per manifesta infondatezza.

Una volta rimasto accertato che il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di cui al capo C) è stato commesso dalla C.E.S.I.  non solo ai danni di A.O. ma anche ai danni di F.O., stante la legittima utilizzazione delle dichiarazioni accusatorie di quest'ultima e la credibilità del riconoscimento fotografico, non può revocarsi in dubbio la sussistenza della circostanza aggravante ad effetto speciale prevista dall'art. 4 della l., 20 febbraio 1958, n. 57 («se il fatto è commesso ai danni di più persone»).

Il termine di prescrizione del reato contestato all'imputata è di quindici anni.

Siffatto termine, anche considerando la data di consumazione indicata dal difensore (maggio 2016) in contrasto con il capo di imputazione (dal giugno 2015 al novembre 2016), non è, comunque, ancora spirato.

5. Deriva da quanto sin qui esposto il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, ex art. 616 cod. proc. pen.

Si dispone l'oscuramento dei dati sensibili, in ragione del titolo di reato per il quale i ricorrenti hanno riportato la condanna alla pena in esecuzione.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.