Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Terzi intercettati senza rimedio, violato diritto alla vita privata (Corte EDU, Contrada 2024)

23 maggio 2024, Corte europea per i diritti dell'Uomo

Il diritto italiano non fornisce “garanzie adeguate ed effettive” che tutelino dal rischio di abuso le persone oggetto di una misura di intercettazione che, non essendo sospettate di essere coinvolte in un reato né imputate, rimangono estranee al procedimento. In particolare, non è previsto che queste persone abbiano la possibilità di adire un'autorità giudiziaria per ottenere un controllo effettivo della “legittimità” e della “necessità” della misura e per ottenere, se del caso, un adeguato indennizzo.

Tenuto conto di tali carenze, la Corte ritiene che la legge italiana non soddisfi il requisito relativo alla “qualità della legge” e non sia idonea a limitare l'“ingerenza” a quanto è “necessario in una società democratica”.

La Corte conclude quindi riconoscendo la violazione dell'art. 8 della CEDU.

(traduzione automatica non ufficiale, originale in francese qui )

Corte europa per i diritti dell'Uomo

PRIMA SEZIONE

 CONTRADA c. ITALIA (N. 4)

(Ricorso n. 2507/19)

 

SENTENZA
 

Articolo 35 § 1 - Rimedio disponibile e adeguato in relazione alla perquisizione e al sequestro dell'abitazione di una persona non coinvolta nel procedimento penale a carico di terzi - Possibilità di ottenere il riconoscimento dell'illegittimità della perquisizione, la revoca ex post del mandato e la restituzione del materiale sequestrato, con la conseguenza che il materiale relativo alla vita privata dell'interessato non sarà utilizzato nel successivo procedimento penale - Rimedi interni non esauriti

Articolo 8 - Privacy - Corrispondenza - Intercettazioni telefoniche di una persona al di fuori del procedimento penale rivolte a terzi prive di garanzie adeguate ed efficaci contro il rischio di abusi - Situazione diversa dall'intercettazione delle conversazioni di una persona a seguito di intercettazioni di terzi - Prevedibilità della legge come interpretata dalla giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione - Impossibilità di adire un'autorità giudiziaria per ottenere un controllo effettivo della legittimità e della necessità della misura e per ottenere, se del caso, un rimedio adeguato.

STRASBURGO

23 maggio 2024

La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni previste dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetta a modifiche formali.

Nel caso Contrada contro Italia (n. 4),

La Corte europea dei diritti dell'uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da :

 Marko Bošnjak, Presidente,
 Alena Poláčková,
 Lətif Hüseynov,
 Péter Paczolay,
 Gilberto Felici,
 Erik Wennerström,
 Raffaele Sabato, giudici,
e Ilse Freiwirth, cancelliere di sezione,

visto il :

il ricorso (n. 2507/19) contro la Repubblica italiana presentato alla Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”) da un cittadino di tale Stato, il signor Bruno Contrada (“il ricorrente”), l'11 dicembre 2018,

la decisione di informare il Governo italiano (“il Governo”) dei reclami del ricorrente ai sensi degli articoli 6, 8 e 13 della Convenzione,

le osservazioni delle parti,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 9 aprile 2024,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1.  Il ricorso riguarda la legittimità dell'intercettazione delle conversazioni telefoniche del ricorrente e della perquisizione della sua abitazione e dei suoi locali. Il ricorrente ha lamentato un'interferenza ingiustificata nei suoi diritti ai sensi dell'articolo 8 e l'assenza di un effettivo controllo giurisdizionale delle misure in questione, che erano state disposte nell'ambito di un procedimento in cui non era stato direttamente coinvolto. A questo proposito, sostiene di essere stato vittima di una violazione degli articoli 6, 8 e 13 della Convenzione.

I FATTI

2.  Il ricorrente è nato nel 1931 e vive a Palermo. È stato rappresentato da S. Giordano, avvocato in Palermo, e M.S. Mori, avvocato in Milano.

3.  Il Governo era rappresentato dal suo agente, il sig. L. D'Ascia.

4.  Il ricorrente è un ex alto funzionario di polizia e vicedirettore del Servizio Segreto Civile (“SISDE”). A seguito di un processo penale iniziato nel 1996, è stato condannato per aver sostenuto un'associazione di tipo mafioso. I giudici nazionali hanno accertato che, tra il 1979 e il 1988, in qualità di funzionario di polizia e poi di capo di gabinetto dell'Alto commissariato per la lotta alla mafia e di vicedirettore del SISDE, aveva sistematicamente contribuito alle attività e all'attuazione dei piani criminali dell'associazione di tipo mafioso denominata “Cosa nostra”. In particolare, egli aveva fornito ad alcuni membri di tale associazione informazioni riservate relative a indagini e operazioni di polizia che avevano come obiettivo le persone in questione e altri membri dell'associazione. La condanna del ricorrente è passata in giudicato l'8 gennaio 2008.

5.  Gli eventi connessi al procedimento penale contro il ricorrente hanno dato origine ai casi Contrada c. Italia (24 agosto 1998, Reports of Judgments and Decisions 1998-V), Contrada c. Italia (n. 2) (n. 7509/08, 11 febbraio 2014) e Contrada c. Italia (n. 3) (n. 66655/13, 14 aprile 2015).

6.  Il 15 dicembre 2017 la Procura di Palermo, nell'ambito delle indagini penali sull'omicidio del 1989 dell'agente di polizia A.A., ha disposto l'intercettazione urgente di cinque linee telefoniche utilizzate dal ricorrente. Le indagini erano dirette contro tre persone, tra cui due presunti membri di Cosa nostra e un agente di polizia, A.G.; il ricorrente stesso non era sospettato. Secondo la Procura, le indagini avevano dimostrato che il poliziotto ucciso faceva parte di una cellula dei servizi segreti che operava sotto copertura per rintracciare i membri della mafia che si sottraevano volontariamente alla giustizia (latitanti); A.G. e altri agenti di polizia appartenenti a tale cellula - agenti di cui il ricorrente era il superiore all'epoca dei fatti - sarebbero stati corrotti dai clan mafiosi. Gli agenti sospettati di corruzione avevano anche tentato di ostacolare le indagini e uno di loro, dopo essere stato interrogato, aveva immediatamente contattato il ricorrente, che non si era dimostrato del tutto collaborativo quando era stato interrogato dagli investigatori. Per chiarire i fatti e identificare altri membri della cellula in questione, era quindi urgente, secondo la Procura, monitorare le reazioni dei poliziotti presumibilmente corrotti, da un lato, e del ricorrente, dall'altro, e intercettare a tal fine le sue conversazioni telefoniche.

7.  Con una decisione dello stesso giorno, il Giudice per le indagini preliminari (GIP) di Palermo, applicando gli articoli 266 e 267 del Codice di procedura penale (CPP) e la legge n. 203 del 1991, ha autorizzato le intercettazioni. Egli ha ritenuto che vi fossero in effetti sufficienti elementi di prova per ritenere che i tre indagati avessero commesso i reati di omicidio e di associazione a delinquere di stampo mafioso e che, alla luce dei risultati delle indagini, era probabile che tra il richiedente e le persone coinvolte vi fossero state conversazioni relative ai fatti all'origine del procedimento. Ha spiegato che l'intercettazione di tali conversazioni avrebbe permesso di raccogliere nuove prove utili alle indagini e di identificare altri sospetti, per cui era giustificato, ai fini del corretto svolgimento delle indagini, che il richiedente fosse intercettato con urgenza.

8.  La durata delle intercettazioni, inizialmente fissata in quaranta giorni, è stata successivamente prorogata più volte dal giudice istruttore. La misura è stata revocata il 28 luglio 2018. Il 3 agosto 2018, il GIP ha autorizzato il pubblico ministero a ritardare il deposito delle trascrizioni delle intercettazioni fino alla chiusura delle indagini preliminari.

9.  Nel frattempo, con mandato del 28 giugno 2018, la Procura di Palermo aveva disposto la perquisizione dell'abitazione del ricorrente e di due immobili di sua proprietà. Secondo la Procura, le intercettazioni telefoniche avevano infatti rivelato l'esistenza di edifici in cui il ricorrente conservava documenti e che non erano ancora stati perquisiti; ora, spiegava la Procura, era utile cercare tutti i documenti (appunti, fotografie, atti ufficiali, file informatici, ecc.) che potessero contribuire a far luce sui rapporti esistenti tra il ricorrente, A.A. e gli agenti di polizia coinvolti nell'attività della cellula dei servizi segreti di cui sopra. Con lo stesso mandato, il pubblico ministero ha disposto il sequestro di qualsiasi oggetto pertinente trovato durante la perquisizione.

10.  Gli edifici sono stati perquisiti il 29 giugno 2018. Essa ha portato al sequestro da parte della polizia di tre album di fotografie, di una copia delle trascrizioni di un'udienza pubblica e di appunti manoscritti riguardanti uno degli agenti di polizia coinvolti nelle indagini.

11.  Il richiedente ha dichiarato di aver appreso quel giorno, leggendo il mandato di perquisizione, che le sue linee telefoniche erano state messe sotto controllo e che le conversazioni erano state registrate. Ha dichiarato di non aver ricevuto alcuna copia delle decisioni giudiziarie prese a tal fine.

12.  Il 10 luglio 2018 la Procura ha disposto la restituzione al ricorrente degli album fotografici sequestrati durante la perquisizione. Gli album sono stati restituiti il 12 luglio 2018.

13.  Le indagini contro A.G. sono state interrotte a causa del suo decesso. Gli altri due sospettati sono stati rinviati a giudizio il 5 giugno 2020.

IL QUADRO GIURIDICO NAZIONALE E LA PRASSI RILEVANTE

    Il regime di perquisizione
        Il Codice di procedura penale

14.  L'articolo 247 del Codice di procedura penale stabilisce che, qualora vi siano motivi sufficienti per sospettare che il corpus delicti o gli elementi rilevanti del reato si trovino in un determinato luogo, l'autorità giudiziaria ordina la perquisizione di tale luogo con una decisione motivata (decreto). Durante la fase delle indagini preliminari, la decisione spetta al pubblico ministero (articolo 352 § 4 del Codice di procedura penale).

15.  Le norme e le garanzie relative alle perquisizioni domiciliari sono contenute negli articoli 250 e 251 del Codice penale. Il mandato di perquisizione deve essere notificato all'imputato o alla persona che occupa i locali, che può essere assistita da un avvocato; in assenza dell'imputato o dell'occupante, il mandato viene notificato al coniuge di uno dei due o al custode. La perquisizione domiciliare non può essere effettuata prima delle 7.00 o dopo le 20.00, salvo in caso di emergenza.

16.  Ai sensi degli articoli 257 e 324 dello stesso Codice, l'imputato, il proprietario del bene sequestrato o la persona che rivendica il diritto alla restituzione di tale bene possono chiedere la revisione (riesame) della decisione con cui è stato disposto il sequestro (decreto di sequestro). La richiesta viene esaminata entro dieci giorni dal tribunale della contea a cui fa capo l'autorità giudiziaria che ha emesso la decisione contestata. L'istanza di revisione può indicare i motivi su cui si basa e nuovi motivi possono essere presentati dal richiedente durante l'udienza in camera di consiglio. L'istanza di revisione non sospende l'esecuzione del sequestro.

17.  Entro dieci giorni, il tribunale dichiara inammissibile l'istanza oppure annulla, rivede o conferma la decisione impugnata (articolo 309 § 9 del CPC). Se il mandato di perquisizione risulta illegittimo, i beni sequestrati sono inutilizzabili e devono essere restituiti all'interessato.

L'imputato, il proprietario del bene sequestrato o la persona che ne chiede la restituzione possono ricorrere alla Corte di cassazione contro la decisione del tribunale del riesame (articolo 325 del CPC).

    Giurisprudenza nazionale pertinente

18.  La Corte di cassazione ha ripetutamente affermato il seguente principio giurisprudenziale (sentenze n. 30130 del 24 giugno 2015, n. 51997 del 31 ottobre 2017 e n. 15537 del 12 novembre 2020):

“Un'istanza di revisione non può essere diretta contro un mandato di perquisizione in quanto tale. Tuttavia, se la perquisizione è disposta ai fini di un sequestro e le due decisioni sono prese in un unico contesto, il riesame può riguardare anche la perquisizione nella misura in cui risulti che le due decisioni sono strettamente interdipendenti e, quindi, nei limiti di un riesame (indagine) volto a verificare la legittimità del sequestro”.

    La riforma “Cartabia

19.  Il 19 ottobre 2021 la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la Legge n. 134 (Legge Cartabia), che conferisce al Governo la delega per l'adozione di misure volte a migliorare l'efficienza dei procedimenti penali e della giustizia riparativa e che reca disposizioni per la celerità dei procedimenti giudiziari. Il paragrafo 24 dell'articolo 1 della legge prevede che le disposizioni pertinenti del CPC siano riformate in modo da introdurre il diritto per un imputato o qualsiasi altra persona interessata di impugnare davanti a un giudice un mandato di perquisizione non seguito dal sequestro di beni.

20.  In attuazione della legge n. 134, è stato adottato il decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022, il cui articolo 12 ha introdotto l'articolo 252 bis del Codice di procedura penale. Tale disposizione recita

Articolo 252 bis

Opposizione a un mandato di perquisizione emesso dal pubblico ministero

“1. Salvo che la perquisizione abbia dato luogo a un sequestro, la persona oggetto delle indagini e la persona nei cui confronti la perquisizione è stata disposta o eseguita possono presentare opposizione al mandato di perquisizione emesso dal pubblico ministero.

2.  L'opposizione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, entro dieci giorni dall'esecuzione del mandato o dalla data in cui l'interessato è stato informato dell'esecuzione della perquisizione.

3.  Il tribunale accoglie l'obiezione se ritiene che la perquisizione sia stata disposta in circostanze diverse da quelle previste dalla legge.

    Risarcimento dei danni causati dalle perquisizioni

21.  Il D.P.R. 18 aprile 1994, n. 388, disciplina le modalità di risarcimento dei danni causati a cose o persone durante le operazioni di polizia giudiziaria, comprese le perquisizioni domiciliari. Esso stabilisce che il Prefetto è responsabile dell'esame delle richieste di risarcimento presentate dai singoli e, se del caso, assegna una somma a titolo di risarcimento dopo aver richiesto l'autorizzazione al pagamento al Ministero dell'Interno. Secondo la giurisprudenza consolidata dei tribunali amministrativi, tale risarcimento non dipende dalla colpevolezza degli agenti di polizia o dall'illegalità dell'operazione che ha causato il danno (si veda, ad esempio, la sentenza n. 2264 del 23 aprile 2014 del Tribunale amministrativo di Napoli).

    Il regime delle intercettazioni

22.  Gli articoli da 266 a 271 del CPC disciplinano l'intercettazione di conversazioni, comunicazioni telefoniche e scambi con altri mezzi di telecomunicazione, comprese le comunicazioni informatiche e telematiche. Queste disposizioni sono state riviste più volte.

    Le disposizioni in vigore all'epoca dei fatti

23.  L'articolo 266, paragrafo 1, del Codice di procedura penale elenca i reati che possono giustificare l'uso delle intercettazioni nelle relative indagini. Tra questi vi sono i reati intenzionali punibili con l'ergastolo o con una pena superiore ai cinque anni di reclusione.

24.  L'articolo 267 del Codice di procedura penale stabilisce le condizioni in cui possono essere effettuate le intercettazioni e il tipo di decisione richiesta a tal fine:

“ 1.  Il pubblico ministero chiede al [GIP] l'autorizzazione a intercettare conversazioni, telefonate o altre comunicazioni. L'autorizzazione viene concessa, mediante un'ordinanza motivata, se vi sono gravi indizi che fanno presumere la commissione di un reato e se l'intercettazione è assolutamente indispensabile per il proseguimento delle indagini. L'ordinanza che autorizza l'intercettazione di conversazioni mediante sensori informatici su dispositivi elettronici deve indicare le ragioni che giustificano la necessità in concreto di tale misura per lo svolgimento delle indagini (...).

2.  Nei casi urgenti, se un ritardo potrebbe arrecare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone l'intercettazione con provvedimento motivato, che viene comunicato al [GIP] entro 24 ore. Il giudice decide entro 48 ore se convalidare l'ordine. Se la convalida non avviene prima della scadenza di tale termine, l'intercettazione non può essere proseguita e i risultati dell'intercettazione non possono essere utilizzati.

3.  L'ordine del Pubblico Ministero deve specificare le modalità e la durata delle operazioni. Questa non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal [GIP] per periodi successivi di quindici giorni.

4.  Il Pubblico Ministero esegue le operazioni personalmente o tramite un ufficiale di polizia giudiziaria.

5.  Le decisioni che ordinano, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni sono annotate in ordine cronologico in un registro riservato a tale scopo e conservato nell'ufficio del pubblico ministero e per ogni intercettazione sono indicate le date di inizio e fine delle operazioni”.

25.  La Corte di Cassazione (tra l'altro nelle sentenze n. 9428 del 18 giugno 1999, n. 38413 del 7 febbraio 2003 e n. 34244 del 22 settembre 2010) ha chiarito in più occasioni che l'articolo 267 del Codice di procedura penale si riferisce ai gravi indizi che danno luogo a una presunzione di esistenza di un reato, e non alla colpevolezza provata o sospettata di un determinato individuo; Pertanto, le intercettazioni possono essere disposte, a condizione che siano necessarie per la prosecuzione delle indagini, anche nei confronti di persone nei confronti delle quali non sono state trovate prove di colpevolezza o che non sono sospettate del reato oggetto dell'indagine.

26.  Secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, la motivazione di un'ordinanza che autorizza un'intercettazione telefonica, pur chiarendo le ragioni della decisione in considerazione del carattere essenziale della misura per il proseguimento delle indagini e dell'esistenza di gravi indizi relativi alla commissione di un reato, deve necessariamente riferire sulle ragioni che richiedono l'intercettazione di una specifica linea telefonica appartenente a una determinata persona, indicando tassativamente il legame tra l'indagine in corso e la persona in questione (si vedano, tra le altre, le sentenze n. 12722 del 12 febbraio 2009 e n. 1407 del 12 gennaio 2017).

27.  La legge n. 203 del 1991 “recante misure urgenti per la lotta alla mafia” prevede deroghe al regime delle intercettazioni quando l'indagine riguarda un reato connesso alla criminalità organizzata. In particolare, l'articolo 13 della legge prevede, in parziale deroga all'articolo 267 del Codice di procedura penale, che le intercettazioni possano essere autorizzate in presenza di “sufficienti indizi” di violazione della legge (e non solo in caso di “gravi indizi” di reato), per un periodo iniziale di quaranta giorni (anziché quindici), prorogabile per periodi successivi di venti giorni.

28.  L'articolo 268 del Codice di procedura penale disciplina l'esecuzione delle operazioni di intercettazione. Esso prevede che le comunicazioni intercettate siano registrate e che sia redatto un verbale delle operazioni (§ 1); che il contenuto delle conversazioni intercettate sia trascritto nel verbale, anche se in modo succinto (§ 2); che le intercettazioni possano essere eseguite esclusivamente con apparecchiature a disposizione del pubblico ministero, ma che, se necessario, il pubblico ministero possa disporre, con provvedimento motivato, l'uso di apparecchiature appartenenti alla polizia giudiziaria (§ 3). Il paragrafo 4 dell'articolo, nella versione vigente all'epoca dei fatti, recitava come segue:

“I rapporti e le registrazioni sono trasmessi immediatamente al pubblico ministero. Entro cinque giorni dalla fine delle operazioni, sono depositati in segreteria, insieme alle decisioni che ordinano, autorizzano, convalidano o estendono l'ascolto, e vi rimangono per il periodo stabilito dal pubblico ministero, a meno che il giudice non ritenga necessaria una proroga di tale periodo”.

29.  Ai sensi del paragrafo 6 dell'articolo 268 del CPC, i rappresentanti delle parti del procedimento sono informati che possono, entro un certo periodo, esaminare le trascrizioni delle conversazioni intercettate e ascoltare le relative registrazioni. Nella versione vigente all'epoca dei fatti, tale disposizione prevedeva che, scaduto il termine, il giudice ordinasse l'inserimento nel fascicolo di tutte le registrazioni indicate dalle parti che non fossero manifestamente irrilevanti per il procedimento, e che respingesse (stralcio) d'ufficio i dati raccolti di cui fosse vietata l'utilizzazione, notificando al pubblico ministero e ai difensori la procedura di rigetto e avendo il diritto di parteciparvi.

30.  L'articolo 269 del CPC disciplina la conservazione dei dati. Esso prevede quanto segue le trascrizioni delle intercettazioni e tutti i documenti relativi alle intercettazioni sono conservati dal pubblico ministero fino alla decisione giudiziaria definitiva; le trascrizioni, ad eccezione di quelle inserite nel fascicolo del processo, sono coperte da segreto; quando i dati raccolti non sono necessari per il procedimento, ogni interessato può, a tutela della riservatezza, chiederne la distruzione al giudice che ha autorizzato l'intercettazione, il quale decide in camera di consiglio dopo aver sentito le parti; se viene ordinata la distruzione, questa viene effettuata sotto la supervisione del giudice e viene riportata in un verbale.

31.  Nella sentenza n. 463 del 30 dicembre 1994, la Corte costituzionale ha stabilito che la richiesta di distruzione dei dati prevista dall'articolo 269 del CPC può essere avanzata anche dal pubblico ministero quando chiede l'interruzione delle indagini (si veda anche la sentenza n. 48595 del 2016 della Corte di Cassazione).

32.  L'articolo 271 del CPC stabilisce i casi in cui è vietato il ricorso alle intercettazioni. Il suo primo comma recita come segue:

“I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati se sono state effettuate al di fuori dei casi autorizzati dalla legge (articolo 266 CPC) o se non sono state rispettate le disposizioni degli articoli 267 e 268 §§ 1 e 3”.

Il terzo paragrafo di questa disposizione prevede che il giudice ordini la distruzione delle registrazioni inutilizzabili, a meno che non costituiscano la sostanza del reato.

    La riforma del 2020

33.  Il decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito nella legge 28 febbraio 2020, n. 7, ha introdotto, tra l'altro, il comma 2 bis dell'articolo 268 del Codice di procedura penale, in base al quale il pubblico ministero deve assicurarsi che i verbali redatti dalla polizia giudiziaria non contengano espressioni “lesive della reputazione delle persone o riguardanti dati personali che la legge riconosce come sensibili”, a meno che tali espressioni non siano necessarie per le indagini. Il comma 6 del suddetto articolo è stato inoltre modificato in modo che la procedura di rigetto (stralcio) non riguardi più solo i dati il cui utilizzo è vietato ai sensi dell'articolo 271 del CPP, ma anche le intercettazioni che riguardano “categorie particolari di dati personali”.

Inoltre, a seguito dell'entrata in vigore della citata legge n. 7, l'articolo 269 § 1 prevede che le trascrizioni delle intercettazioni siano registrate in un archivio digitale sicuro custodito dal pubblico ministero e che, nonostante i dati esclusi dal fascicolo dal giudice o non ancora utilizzati nel procedimento siano coperti da segreto, il GIP e i difensori delle parti possano avere accesso a tutte le trascrizioni e ascoltare le relative registrazioni.

34.  La Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto di accesso e di ascolto previsto dall'articolo 269 del CPC è riservato al GIP e ai difensori delle parti, e non è esteso ad altri “interessati”, ai quali l'articolo 269 riconosce solo il diritto di chiedere la distruzione dei dati non necessari al procedimento (sentenza n. 20639 del 2021).

    La riforma del 2023

35.  Il decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito in legge 9 ottobre 2023, n. 137, ha tra l'altro introdotto parziali modifiche ai commi 2 e 2 bis dell'articolo 268 del CPC, che ora recitano:

“ 2.  Nel verbale sono trascritte, sia pure sinteticamente, solo le comunicazioni rilevanti ai fini delle indagini, comprese quelle favorevoli alla persona sottoposta alle indagini. I contenuti non rilevanti per le indagini non devono essere trascritti e non devono essere menzionati nel verbale o nelle annotazioni della polizia giudiziaria, dove deve essere riportata la seguente indicazione: “La conversazione omessa non è utile per le indagini”.

2 bis.  Il Pubblico Ministero, che fornisce indicazioni in tal senso, provvede a redigere il verbale ai sensi del comma 2 e a non trascrivere espressioni lesive della reputazione delle persone o relative a fatti e circostanze riguardanti la vita privata degli interlocutori, a meno che tali espressioni non siano rilevanti per le indagini.”

IN LEGGE

    PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

36.  Il ricorrente ha lamentato l'intercettazione delle sue conversazioni telefoniche e la perquisizione della sua abitazione e di altri locali. Ha ritenuto che ciò costituisse un'interferenza ingiustificata nei suoi diritti ai sensi dell'articolo 8 e ha lamentato l'assenza di un effettivo controllo giurisdizionale delle misure in questione. L'articolo 8 della Convenzione recita quanto segue:

“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2.  L'esercizio di tale diritto non può essere oggetto di ingerenza da parte di un'autorità pubblica, salvo che sia conforme alla legge e sia necessario, in una società democratica, nell'interesse della sicurezza nazionale o della pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la prevenzione di disordini o di reati, per la protezione della salute o della morale o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

    Ammissibilità
        Status di vittima

37.  Secondo il Governo, il ricorrente non è stato vittima di una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata, del domicilio e della corrispondenza. Egli ha sostenuto a tal fine che tutte le decisioni prese nei suoi confronti dal pubblico ministero e dal giudice istruttore erano state adeguatamente motivate e perfettamente legittime.

38.  Il ricorrente ha contestato questo argomento.

39.  La Corte osserva che l'eccezione del Governo di mancanza dello status di vittima riguarda essenzialmente la questione se i diritti del ricorrente ai sensi dell'articolo 8 siano stati lesi, questione che rientra nell'ambito dell'esame del merito del ricorso. In ogni caso, ricorda che per qualificarsi come vittima ai sensi dell'articolo 34, un richiedente deve dimostrare di aver “subito direttamente gli effetti” della misura che sta contestando (si veda, tra le molte altre autorità, Legal Resource Centre per conto di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, § 96, CEDU 2014).

40.  La Corte può solo osservare che è difficilmente contestabile che l'abitazione del ricorrente, così come altri locali a sua disposizione, siano stati oggetto di un mandato di perquisizione e che sia stata presa la decisione di intercettare le sue comunicazioni telefoniche. Non è neppure contestato che le misure in questione siano state effettivamente attuate. In tali circostanze, al ricorrente non poteva essere negato il diritto di affermare di essere stato vittima di una violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

41.  Di conseguenza, l'obiezione del Governo deve essere respinta.

    Esaurimento delle vie di ricorso interne

(a) Osservazioni delle parti

42.  Il Governo ha sostenuto che il ricorrente non ha esaurito le vie di ricorso interne. Ha spiegato che sia il regime delle perquisizioni che quello delle intercettazioni telefoniche offrivano rimedi efficaci che il ricorrente avrebbe dovuto esercitare.

43.  Per quanto riguarda in particolare la perquisizione, il Governo ha affermato che il ricorrente avrebbe potuto chiedere, ai sensi degli articoli 257 e 324 del CPC, il riesame della decisione di sequestro. Nell'ambito di tale azione, il ricorrente avrebbe potuto, secondo il Governo, sollevare qualsiasi questione relativa alla legittimità e alla necessità della decisione che ordinava la perquisizione e chiedere l'annullamento del mandato e la restituzione immediata dei beni sequestrati. Il Governo ha spiegato che la procedura in questione era rapida e accessibile non solo alla persona coinvolta nel procedimento penale ma anche a qualsiasi altra persona interessata dal provvedimento in questione.

44.  Per quanto riguarda le intercettazioni, il Governo ha innanzitutto contestato l'affermazione del ricorrente secondo cui non avrebbe avuto accesso alle relative decisioni della Procura e del GIP. Ha sottolineato che l'articolo 116 del CPC consente a qualsiasi persona interessata di ottenere una copia di qualsiasi atto giudiziario. In conformità a tale disposizione, il ricorrente avrebbe potuto ottenere una copia delle decisioni contestate, il che gli avrebbe consentito di intentare un'azione legale contro di esse.

45.  Il Governo ha poi affermato che, in base al diritto interno, è possibile richiedere la distruzione delle registrazioni delle comunicazioni intercettate al fine di preservare il diritto al rispetto della vita privata e altri diritti fondamentali (articolo 269 §§ 1 e 2 del CPC). Ha aggiunto che l'articolo 271 del CPC prevedeva anche che il giudice incaricato del caso potesse ordinare la distruzione di tali dati se avesse riscontrato che le operazioni erano state ordinate o eseguite illegalmente.

46.  Ha inoltre sostenuto che le decisioni contestate dal ricorrente potevano, come qualsiasi atto procedurale di diritto italiano, essere impugnate direttamente dinanzi alla Corte di Cassazione al fine di farle riconoscere, se del caso, come abusive (abnormi).

47.  Il ricorrente replica innanzitutto che il ricorso diretto alla Corte di cassazione è irrilevante nel caso di specie. A tal proposito, sostiene che le decisioni giudiziarie che hanno disposto sia la perquisizione che le intercettazioni non possono in alcun caso essere considerate come atti abusivi, ossia come atti che le autorità hanno adottato eccedendo o abusando dei poteri loro conferiti dalla legge. A suo avviso, la legge italiana conferisce alle autorità il potere di prendere decisioni di questo tipo, il che, a suo avviso, è contrario ai requisiti della Convenzione; ed è tale non conformità della legge italiana alla Convenzione che il ricorrente chiede che la Corte riconosca. In ogni caso, egli ha spiegato che un ricorso diretto in cassazione non avrebbe potuto portare a un rimedio adeguato per la violazione di cui egli affermava di essere vittima.

48.  Per quanto riguarda l'azione prevista dagli articoli 257 e 324 del CPC, il ricorrente ha affermato che una richiesta di revisione può essere diretta solo contro una decisione che ordina il sequestro di beni, e non contro un mandato di perquisizione. Tuttavia, non era il sequestro che voleva contestare davanti alla Corte, ma la decisione, a suo dire illegittima e ingiustificata, che ordinava la perquisizione della sua abitazione e di altri locali a sua disposizione. Il ricorrente ha inoltre sostenuto che la restituzione dei beni sequestrati - che, per inciso, è avvenuta pochi giorni dopo l'esecuzione del decreto di perquisizione - non costituiva, nel caso di specie, un rimedio adeguato alla presunta violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

49.  Per quanto riguarda l'intercettazione delle conversazioni telefoniche, il ricorrente ha sostenuto che il rimedio previsto dall'articolo 269 del Codice di procedura penale non consente di contestare la legittimità e la necessità di una decisione di intercettare il telefono di una persona, ma solo di richiedere la distruzione delle trascrizioni. Ha inoltre sostenuto che la distruzione era prevista da tale disposizione solo per i dati non pertinenti al procedimento. Per quanto riguarda la distruzione prevista dall'articolo 271 del CPC, ha affermato che viene ordinata dal giudice se i dati sono stati raccolti in violazione delle disposizioni procedurali pertinenti. Ha spiegato che con il presente ricorso non intendeva contestare la conformità delle operazioni alle norme procedurali, ma mettere in discussione la compatibilità del diritto nazionale con la Convenzione. In breve, ha ritenuto che il diritto nazionale non prevedesse alcun rimedio per contestare la decisione di intercettare una persona.

b) La valutazione della Corte

    Principi generali sull'efficacia dei mezzi di ricorso

50.  Lo scopo della norma che prevede l'esaurimento delle vie di ricorso interne è quello di dare agli Stati contraenti l'opportunità di prevenire o porre rimedio alle violazioni addebitate loro prima che siano portate dinanzi alla Corte (si veda, tra le altre autorità, Mifsud c. Francia (dec.) [GC], n. 57220/00, § 15, CEDU 2002-VIII, e, più recentemente, Simons c. Belgio (dec.), n. 71407/10, § 23, 28 agosto 2012). Tuttavia, l'articolo 35 § 1 della Convenzione richiede l'esaurimento dei soli rimedi pertinenti alle violazioni denunciate, disponibili e adeguati. Un rimedio è effettivo quando era disponibile sia in teoria che in pratica all'epoca dei fatti, vale a dire quando è accessibile, è in grado di offrire al richiedente un rimedio e ha una ragionevole prospettiva di successo (Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 46, CEDU 2006-II; Paksas c. Lituania [GC], n. 34932/04, § 75, CEDU 2011 (estratti)). Per quanto riguarda l'onere della prova, spetta al Governo che invoca il non esaurimento dimostrare alla Corte che il rimedio era effettivo e disponibile sia in teoria che in pratica all'epoca dei fatti. Una volta dimostrato ciò, spetta al ricorrente dimostrare che il rimedio cui fa riferimento il Governo è stato effettivamente utilizzato o che, per qualche motivo, non era né adeguato né efficace rispetto ai fatti del caso, o che vi erano circostanze particolari che hanno impedito al ricorrente di esercitarlo (Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 68). Turchia, 16 settembre 1996, § 68, Reports of Judgments and Decisions 1996-IV; Demopoulos e altri c. Turchia (dec.) [GC], n. 46113/99 e altri 7, § 69, CEDU 2010; McFarlane c. Irlanda [GC], n. 31333/06, § 107, 10 settembre 2010).

Inoltre, non vi è alcun obbligo di ricorrere a rimedi che non siano né adeguati né efficaci (cfr. Akdivar e altri, sopra citata, § 67, e Communauté genevoise d'action syndicale (CGAS) c. Svizzera [GC], n. 21881/20, § 141, 27 novembre 2023). Ciò premesso, il semplice fatto di nutrire dubbi sulle prospettive di successo di un determinato rimedio che non sia palesemente destinato al fallimento non costituisce un motivo valido per non perseguire il rimedio in questione (Scoppola v. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, § 70, 17 settembre 2009; Vučković e altri c. Serbia (obiezione preliminare) [GC], nn. 17153/11 e altri 29, § 74, 25 marzo 2014; e Communauté genevoise d'action syndicale (CGAS), sopra citata, § 142).

51.  Per quanto riguarda le misure che violano l'articolo 8 disposte nell'ambito di un procedimento penale, l'efficacia dei ricorsi interni dipende essenzialmente dalle peculiarità dell'ordinamento giuridico dello Stato convenuto e dalle circostanze del caso in questione. Da un esame della giurisprudenza della Corte in materia emerge che, per essere efficace ai fini dell'esaurimento delle vie di ricorso interne, un rimedio deve innanzitutto consentire un controllo della legittimità e della necessità della misura violativa (si veda, tra l'altro, Gutsanovi c. Bulgaria, n. 34529/10, §§ 210 e 211, CEDU 2013 (estratti)). Inoltre, qualora venga riscontrata un'irregolarità, il rimedio deve offrire una riparazione adeguata (si veda, tra le altre autorità, Budak c. Turchia, n. 69762/12, § 46, 16 febbraio 2021).

52.  In alcuni casi la Corte ha ritenuto che tali condizioni fossero soddisfatte dal fatto che i tribunali penali che decidevano sul merito del caso in questione erano competenti a esaminare la legittimità e la necessità dell'ingerenza in questione (Kibermanis v. Lettonia (dec.), n. 42065/06, § 49, 3 novembre 2015; Šantare e Labazņikovs c. Lettonia, n. 34148/07, §§ 40-44, 31 marzo 2016; Ben Faiza c. Francia, n. 31446/12, §§ 47 e 73, 8 febbraio 2018, confrontare, mutatis mutandis, con Xavier Da Silveira c. Francia, n. 43757/05, § 46, 21 gennaio 2010).

53.  D'altro canto, ha ritenuto che il procedimento penale di merito non costituisca un rimedio effettivo nei casi in cui i tribunali competenti, pur essendo in grado di esaminare le questioni relative all'equità dell'assunzione delle prove, non siano tuttavia in grado di pronunciarsi sul merito di una denuncia di violazione della Convenzione presentata dagli interessati in quanto l'ingerenza nel loro diritto al rispetto della vita privata non era “conforme alla legge” o “necessaria in una società democratica” (Khan v. Regno Unito, n. 35394/97, § 44, CEDU 2000-V; Goranova-Karaeneva c. Bulgaria, n. 12739/05, § 59, 8 marzo 2011; Hambardzumyan c. Armenia, n. 43478/11, § 43, 5 dicembre 2019; Zubkov e altri c. Russia, nn. 29431/05 e altri 2, § 88, 7 novembre 2017; Potoczká e Adamčo c. Slovacchia, n. 7286/16, § 61, 12 gennaio 2023).

54.  A questo proposito, la Corte osserva incidentalmente che nelle cause contro l'Italia ha constatato in diverse occasioni, sebbene nel contesto dell'esame della legittimità e/o della proporzionalità delle interferenze contestate con l'esercizio dei diritti garantiti dall'articolo 8, che i ricorrenti hanno potuto impugnare le misure adottate nei loro confronti nell'ambito dei procedimenti penali che li riguardavano e hanno potuto così beneficiare di un controllo effettivo della legittimità e della giustificazione di tali misure (Panarisi c. Italia, n. 46794/99, § 77, 10 aprile 2007; Cariello e altri c. Italia (dec.), n. 14064/07, § 61, 30 aprile 2013; Sampech c. Italia (dec.), n. 55546/09, § 67, 19 maggio 2015; Capriotti c. Italia (dec.), n. 28819/12, § 56, 23 febbraio 2016; Falzarano c. Italia (dec.), n. 73357/14, § 38, 15 giugno 2021; si veda anche il successivo paragrafo 90).

55.  Per quanto riguarda i rimedi che dovrebbero essere concessi in caso di accertamento di irregolarità, la Corte ribadisce che l'adeguatezza e la sufficienza dei rimedi offerti ai ricorrenti dipendono da tutte le circostanze del caso, tenuto conto in particolare della natura della violazione della Convenzione in questione (si veda Gäfgen c. Germania [GC], n. 22978/05, § 116, CEDU 2010). La Corte ha quindi ritenuto compatibili con la sua giurisprudenza varie forme di riparazione previste a livello nazionale. In alcuni casi ha ritenuto che la possibilità di ottenere l'annullamento e la rimozione dal fascicolo del processo penale delle prove raccolte mediante la misura giudicata illegittima costituisse un'adeguata riparazione del danno subito (cfr. Ben Faiza, sopra citata, §§ 47 e 73), e in altre situazioni la possibilità per le persone interessate di ottenere un risarcimento economico a seguito di una constatazione di irregolarità da parte del giudice penale (cfr. Kibermanis, sopra citata, § 49; Bălteanu c. Romanie, no. 142/04, § 116, CEDU 2010). Romanie, n. 142/04, § 32, 16 luglio 2013) o da un'altra autorità giudiziaria (Svetina c. Slovenia, n. 38059/13, § 60, 22 maggio 2018; Bivolaru c. Romania (n. 2), n. 66580/12, § 169, 2 ottobre 2018; Budak, sopra citata, § 44; Yordanov c. Bulgaria, n. 56856/00, § 105, 10 agosto 2006, a confronto con Gutsanovi, sopra citata, § 210 e 211).

La Corte ha anche avuto modo di osservare che nei casi in cui ha riscontrato una violazione dell'articolo 8 della Convenzione a causa dell'inosservanza di tale disposizione da parte del diritto interno (ad esempio, nelle cause Szabó e Vissy c. Ungheria, n. 37138/14, § 98, 12 gennaio 2016, e Roman Zakharov c. Russia [GC], n. 47143/06, § 312), ha ritenuto che tale constatazione fosse di per sé sufficiente come equo indennizzo per il danno non patrimoniale (si veda Bivolaru (n. 2), sopra citata, §§ 173 e 174, dove l'assegnazione al ricorrente di un leu rumeno simbolico è stata ritenuta compatibile con la giurisprudenza in materia).

    Applicazione di questi principi al caso di specie

56.  Il compito della Corte nel caso di specie è quello di esaminare, alla luce delle dichiarazioni delle parti e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, se il ricorrente avesse a disposizione, all'epoca dei fatti, rimedi che gli consentissero, in primo luogo, di ottenere un controllo giurisdizionale della legittimità e della necessità della perquisizione del suo domicilio e di altri locali a sua disposizione e dell'intercettazione delle sue comunicazioni telefoniche e, in secondo luogo, di ricevere, se necessario, un'adeguata assistenza.

α) Per quanto riguarda le perquisizioni

57.  La Corte osserva innanzitutto che il ricorrente non contesta il comportamento degli agenti di polizia durante la perquisizione della sua abitazione, ma la legittimità del mandato di perquisizione in quanto tale. Ne consegue che il rimedio previsto dal diritto nazionale per consentire agli interessati di chiedere il risarcimento dei danni causati durante le operazioni di polizia (si veda il paragrafo 21 supra) non è pertinente nel caso di specie.

Il Governo, da parte sua, ha sostenuto che il regime di perquisizione italiano prevedeva un rimedio specifico, ossia l'istanza di riesame, che il ricorrente avrebbe potuto utilizzare per contestare il mandato di perquisizione e chiedere l'immediata restituzione dei beni sequestrati (si veda il paragrafo 43 supra).

58.  La Corte osserva, come il ricorrente, che secondo la legge italiana un mandato di perquisizione del domicilio di una persona non può di per sé essere oggetto di un'istanza di riesame, e che tale percorso può essere intrapreso solo se il mandato è accompagnato da un ordine di sequestro e il sequestro ha effettivamente avuto luogo. In tali casi, l'articolo 257 del CPC prevede la possibilità per l'imputato, il proprietario del bene sequestrato o la persona che rivendica il diritto alla restituzione di tale bene di presentare un'istanza di revisione della decisione di sequestro presa dalla Procura in qualità di autorità inquirente presso il tribunale competente (si vedano i paragrafi 16 e 18).

59.  La Corte ha anche avuto modo di osservare nella causa Brazzi c. Italia (n. 57278/11, §§ 46-51, 27 settembre 2018) che, in caso di perquisizione domiciliare non seguita dal sequestro di beni, l'istanza di riesame prevista dall'articolo 257 del CPC era destinata a fallire, e che l'ordinamento giuridico italiano in vigore all'epoca dei fatti non offriva alle persone interessate da un provvedimento di perquisizione nessun'altra possibilità di ottenere un effettivo controllo giurisdizionale di tale provvedimento.

60.  La Corte osserva che, successivamente alla sentenza Brazzi, il Codice di procedura penale italiano è stato modificato in modo tale da prevedere ora, all'articolo 252 bis, la possibilità per gli interessati di presentare opposizione a un mandato di perquisizione che non abbia portato al sequestro di beni (cfr. paragrafi 19 e 20 supra). Tuttavia, non è compito della Corte pronunciarsi sull'efficacia di questo nuovo rimedio poiché, nel caso di specie, il mandato di perquisizione emesso dalla Procura nei confronti del ricorrente era accompagnato da un decreto di sequestro e le perquisizioni hanno portato al sequestro di beni, e in tali circostanze è possibile presentare un'istanza ai sensi dell'articolo 257 del CPC per il riesame della decisione che ha disposto il sequestro. Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione in materia, nell'ambito di tale ricorso possono essere addotti motivi relativi al mandato di perquisizione, a condizione che le questioni sollevate siano strettamente legate alla legittimità del sequestro (cfr. paragrafo 18). Inoltre, le parti interessate possono presentare ricorso in cassazione contro la decisione emessa al termine del procedimento di revisione (si veda il precedente paragrafo 17).

61.  Nel suo ricorso il ricorrente ha lamentato che il mandato di perquisizione non spiegava con sufficiente chiarezza - soprattutto in considerazione del fatto che egli stesso non era stato in alcun modo implicato nel reato che aveva dato origine all'indagine - i motivi per cui la sua abitazione e gli altri locali a sua disposizione dovevano essere perquisiti, né indicava con precisione quali prove dovevano essere sequestrate. La Corte ammette che queste argomentazioni correlate avrebbero potuto essere avanzate dal richiedente nel contesto di un procedimento di revisione per ottenere un riesame della legittimità e della necessità della perquisizione e del sequestro. Secondo la Corte, vista la giurisprudenza nazionale in materia (si veda il precedente paragrafo 18), tale rimedio, che è aperto anche alle persone interessate che non sono sospettate o accusate del reato, non era chiaramente destinato a fallire e avrebbe permesso ai giudici nazionali di ascoltare il contenuto della denuncia sollevata dal ricorrente davanti alla Corte e di pronunciarsi sulla legittimità e la necessità della misura impugnata. Ha inoltre osservato che, se il tribunale avesse respinto la richiesta di riesame, le lamentele sulla non conformità della legge nazionale ai requisiti della Convenzione avrebbero potuto essere portate davanti alla Corte di cassazione. La Corte ribadisce che, in caso di dubbio sull'efficacia di un rimedio interno, la questione deve essere sottoposta ai giudici nazionali (Roseiro Bento c. Portogallo (dec.), no. Portogallo (dec.), n. 29288/02, CEDU 2004-XII (estratti), Lienhardt v. Francia (dec.), n. 12139/10, 13 settembre 2011, e Thevenon c. Francia (dec.), n. 46061/21, § 57, 13 settembre 2022).

62.  Per quanto riguarda l'adeguatezza del rimedio disponibile in caso di accertamento dell'irregolarità della perquisizione, la Corte ribadisce che ha ritenuto adeguate diverse forme di ricorso per le violazioni dei diritti garantiti dall'articolo 8. In alcuni casi, ha ritenuto che l'annullamento o l'esclusione di prove raccolte illegalmente possa costituire un rimedio adeguato per la violazione della privacy di una persona accusata di un reato (si veda, ad esempio, Ben Faiza, sopra citato, § 47), così come, in alcune circostanze specifiche, quando non sono state applicate le speciali garanzie procedurali a cui gli avvocati dovrebbero avere diritto (si veda Xavier Da Silveira, sopra citato, § 46). In altre situazioni ha ritenuto che la possibilità di ottenere un risarcimento pecuniario costituisca una riparazione adeguata e sufficiente, così come, in altre circostanze, il riconoscimento espresso della violazione dell'articolo 8 e la concessione di un risarcimento simbolico (si veda la giurisprudenza citata al precedente § 55).

63.  Nel caso in esame, poiché l'interessato non è mai stato parte del procedimento penale avviato a seguito delle indagini, va detto che non avrebbe potuto beneficiare dell'esclusione dal fascicolo del proprio processo di qualsiasi prova incriminante raccolta dalle autorità inquirenti in modo irregolare, in quanto tale possibilità è disponibile in abstracto solo per le persone che sono direttamente oggetto di un procedimento penale (si veda il paragrafo 54 supra).

Per quanto riguarda la possibilità di ottenere un risarcimento pecuniario, il Governo non ha sostenuto che il ricorrente avrebbe potuto chiedere una qualsiasi forma di indennizzo. La Corte ribadisce tuttavia che l'efficacia di un rimedio contro le violazioni dei diritti garantiti dall'articolo 8 non dipende necessariamente dall'ottenimento di un risarcimento economico. Inoltre, nel contestare l'efficacia del rimedio indicato dal Governo, il ricorrente si è limitato a sottolineare che esso non consentiva di ottenere l'accertamento dell'illegittimità della perquisizione, ma non ha in alcun modo lamentato il fatto che non offrisse la possibilità di ottenere un risarcimento economico.

64.  La Corte osserva che il ricorrente avrebbe potuto ottenere, a seguito di un'eventuale constatazione di illegittimità della perquisizione, la revoca a posteriori del mandato di perquisizione e la restituzione di tutti gli oggetti sequestrati, il che avrebbe comportato il non utilizzo di tali oggetti in relazione alla sua vita privata nel successivo procedimento penale. La Corte ritiene che, nelle circostanze del caso di specie, questo tipo di rimedio avrebbe costituito un rimedio adeguato per la violazione dell'articolo 8 lamentata dal ricorrente.

65.  Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la Corte ritiene che il ricorrente non abbia giustificato adeguatamente la sua decisione di non presentare ai tribunali nazionali un'istanza di riesame della legittimità e della necessità della perquisizione, nella quale avrebbe sollevato le sue lamentele prima di adire la Corte (si veda il paragrafo 48 supra). Ritenendo che il rimedio indicato dal Governo debba essere considerato, nelle circostanze del caso, disponibile e adeguato, la Corte non ravvisa alcuna circostanza particolare che avrebbe potuto dispensarlo dall'avviare tale procedimento al fine di esaurire le vie di ricorso interne. Ne consegue che l'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne da parte del Governo deve essere accolta nella misura in cui riguarda la perquisizione domiciliare.

(β) Per quanto riguarda le intercettazioni

66.  Il Governo ha ritenuto che, avendo appreso che le sue linee telefoniche erano state intercettate, il ricorrente avrebbe dovuto invocare l'articolo 269 del CPC per chiedere la distruzione delle trascrizioni delle telefonate intercettate (si veda il precedente paragrafo 45).

67.  Il ricorrente ha replicato che la disposizione in questione era intesa solo a consentire la distruzione delle trascrizioni delle intercettazioni qualora non si rivelassero necessarie per il proseguimento delle indagini: a suo avviso, tale approccio non consentiva di riesaminare la necessità e la proporzionalità della decisione che ordinava le intercettazioni. Egli ha sostenuto che il diritto nazionale non prevedeva alcun rimedio efficace in base al quale la persona interessata - soprattutto se estranea al procedimento penale nel cui ambito era stata adottata la misura - potesse impugnare una decisione di intercettazione (si veda il paragrafo 48 supra).

68.  La Corte osserva che l'articolo 269 del Codice di procedura penale, che disciplina la conservazione dei dati raccolti nel corso delle intercettazioni, prevede che tali dati siano conservati sotto la responsabilità del pubblico ministero fino alla fine del procedimento e che siano distrutti una volta che la decisione giudiziaria finale sia passata in giudicato. Tuttavia, lo stesso testo consente a qualsiasi persona interessata, anche non coinvolta nel procedimento (“gli interessati”, paragrafo 30 supra), di chiedere al tribunale, prima del termine summenzionato, la distruzione dei dati che la riguardano, e che in tali casi il tribunale si pronunci sulla domanda dopo un'udienza in camera di consiglio e dopo aver sentito le parti.

69.  La Corte osserva che questa disposizione offre effettivamente alle persone che non sono direttamente coinvolte nel procedimento la possibilità di rivolgersi al tribunale per tutelare la riservatezza delle loro comunicazioni. Tuttavia, secondo la formulazione di tale articolo, l'unica condizione per ottenere la distruzione dei dati è che essi siano considerati non necessari per il proseguimento del procedimento (cfr. paragrafo 30 supra). Non vi è nulla nel fascicolo del caso o nelle osservazioni del Governo che indichi che il giudice che si pronuncia ai sensi dell'articolo 269 del Codice di procedura penale sarebbe tenuto a controllare la legittimità e la necessità della decisione che ordina l'intercettazione.

70.  La Corte osserva che, a questo proposito, l'articolo 269 del Codice di Procedura Penale differisce dall'articolo 271 del Codice di Procedura Penale, che stabilisce i casi in cui le intercettazioni non possono essere utilizzate e devono essere distrutte immediatamente senza la necessità di un contraddittorio (si veda il paragrafo 32 supra). Tali casi sono i seguenti: intercettazioni disposte al di fuori delle situazioni previste dalla legge (articolo 266 del CPC), mancato rispetto delle condizioni relative alla forma e al contenuto del mandato di intercettazione (articolo 267 del CPC) e mancato rispetto di determinate modalità di esecuzione delle operazioni (articolo 268 §§ 1 e 3 del CPC), tutti motivi che le parti del procedimento possono sollevare dinanzi al giudice e che sono suscettibili, a parere della Corte, di dar luogo a un controllo della legittimità, della necessità e della proporzionalità della misura in questione. Ciò premesso, sebbene il Governo abbia fatto riferimento, nelle sue osservazioni, all'articolo 271 del CPC e all'obbligo per il giudice di distruggere i dati inutilizzabili, non ha affermato che tale disposizione possa essere invocata da una persona che non sia parte del procedimento. La Corte non dispone di alcun elemento che le consenta di concludere che il ricorrente avesse il diritto di invocare l'articolo 271 del TBC per ottenere il controllo giurisdizionale della misura adottata nei suoi confronti.

71.  Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che il Governo non abbia dimostrato che al ricorrente siano stati offerti rimedi effettivi e accessibili che gli consentissero di sollevare le sue doglianze di violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

72.  Infine, per quanto riguarda la possibilità di un ricorso in cassazione cui fa riferimento il Governo (si veda il paragrafo 46 supra), la Corte osserva che il Governo non ha dimostrato che il mandato in questione potesse essere considerato come un atto “abusivo”, ossia come un atto adottato dall'ufficio del pubblico ministero che eccedeva o abusava dei poteri conferitigli dalla legge e, in quanto tale, poteva essere impugnato direttamente in cassazione. Ha osservato, inoltre, che il Governo non ha indicato quale ristoro sarebbe stato concesso al ricorrente se tale ricorso fosse stato accolto.

73.  Ne consegue che l'eccezione del Governo di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne deve essere respinta nella misura in cui riguarda l'intercettazione delle conversazioni telefoniche del ricorrente.

    Conclusione

74.  Ritenendo che questa parte della denuncia ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione non fosse manifestamente infondata o irricevibile per qualsiasi altro motivo di cui all'articolo 35 della Convenzione, la Corte l'ha dichiarata ricevibile.

    Il merito
        Osservazioni delle parti

75.  Il ricorrente ha sostenuto che la decisione che ordinava l'intercettazione delle sue comunicazioni telefoniche era priva di base giuridica. A sostegno di tale affermazione, ha sostenuto che, poiché l'articolo 267 del codice di procedura penale non indicava le categorie di persone che potevano essere destinatarie di tale misura, la normativa nazionale non era sufficientemente dettagliata e non soddisfaceva il criterio di prevedibilità. A riprova di ciò, a suo avviso, il fatto che avrebbe potuto essere posto sotto sorveglianza anche se non era coinvolto nelle indagini e non aveva avuto alcun ruolo nella commissione del reato all'origine del procedimento.

76.  Quella che egli considerava una mancanza di prevedibilità nella legge non era stata inoltre corretta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che aveva più volte affermato che l'articolo 267 del Codice di procedura penale si applicava quando vi erano seri indizi che un reato fosse stato commesso, indipendentemente dall'identità della persona sospettata di averlo commesso. Ne consegue, secondo il ricorrente, che l'intercettazione può essere ordinata nei confronti di persone che non sono né accusate né sospettate di aver partecipato alla commissione di un reato. Egli ha inoltre sostenuto che il diritto interno non prevedeva alcun controllo giurisdizionale di una tale misura.

77.  Il ricorrente ha concluso che la legislazione italiana non forniva sufficienti garanzie contro l'arbitrarietà a tale riguardo.

78.  Il Governo, da parte sua, ha sostenuto che la base giuridica delle decisioni che hanno disposto l'intercettazione delle comunicazioni del ricorrente è l'articolo 266 del Codice di procedura penale. Ha aggiunto che il quadro legislativo nazionale sulle intercettazioni offriva sufficienti garanzie contro l'arbitrarietà: in primo luogo, ha spiegato, le decisioni in materia sono prese da due diversi magistrati, vale a dire in primo luogo dal pubblico ministero incaricato delle indagini e in secondo luogo dal giudice per le indagini preliminari; inoltre, ha sostenuto il Governo, la decisione che ordina l'intercettazione deve essere basata su prove serie e può essere presa in considerazione solo in relazione a reati di una certa gravità che si sono già verificati; infine, ha sostenuto, tale misura viene adottata solo se è assolutamente necessaria per il proseguimento delle indagini.

79.  Il Governo ha ritenuto che la supervisione del giudice per le indagini preliminari sull'applicazione e l'esecuzione della misura costituisse un controllo giudiziario sufficiente della misura stessa. Ha inoltre sostenuto che il ricorrente avrebbe potuto invocare l'articolo 269 del Codice di procedura penale per chiedere un riesame ex post.

80.  Il Governo ha poi sostenuto che le decisioni prese nel caso di specie dalla Procura e dal GIP erano state estremamente dettagliate e motivate. Ha spiegato che l'intercettazione delle comunicazioni del ricorrente era stata disposta nell'ambito di indagini su un grave reato commesso in un contesto di collusione tra la polizia e la criminalità organizzata in Sicilia. Sosteneva che i magistrati avevano ampiamente indicato le ragioni per cui era necessario tenerlo sotto controllo, tenendo conto della sua posizione di capo dei servizi segreti e dei suoi legami con gli agenti di polizia coinvolti nell'omicidio oggetto dell'indagine.

81.  Egli sostiene che, inoltre, il fatto che l'omicidio in questione sia stato commesso nel contesto della collusione tra le forze dell'ordine e la criminalità organizzata è stato successivamente confermato nel contesto del processo alle persone rinviate a giudizio. Ha ritenuto che, in tali circostanze, la decisione di monitorare il ricorrente fosse legittima e proporzionata.

    La valutazione della Corte

(a) L'esistenza di un'interferenza

82.  La Corte ha già ritenuto che l'intercettazione di comunicazioni private mediante apparecchiature di trasmissione radio e registrazioni audio e video, nonché la trascrizione dei dati così ottenuti e il loro possibile utilizzo in procedimenti penali, equivalgono a un'“ingerenza da parte di un'autorità pubblica” nell'esercizio da parte degli interessati del diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza garantito dall'articolo 8 § 1 della Convenzione (si veda, tra le altre autorità, Allan v. Regno Unito, n. 48539/99, § 35, CEDU 2002-IX, Panarisi, sopra citata, § 64, Bykov c. Russia [GC], n. 4378/02, § 72, 10 marzo 2009, e Cariello e altri, decisione sopra citata, § 49; Dragojević, sopra citata, § 85). Dall'applicazione di questi principi al caso di specie risulta che il ricorrente è stato vittima di un'ingerenza nell'esercizio di un diritto garantito dal paragrafo 1 di tale disposizione.

(b) Giustificazione dell'ingerenza

83.  Tale ingerenza viola l'articolo 8 a meno che non sia “conforme alla legge”, non persegua uno o più scopi legittimi ai sensi del paragrafo 2 di tale articolo e, inoltre, non sia “necessaria in una società democratica” per raggiungerli. Per un resoconto dettagliato dei principi generali per determinare quando le misure di sorveglianza segreta, compresa l'intercettazione delle comunicazioni, possono essere giustificate ai sensi dell'articolo 8 § 2 della Convenzione, la Corte fa riferimento alla sentenza Roman Zakharov (citata sopra §§ 227-234, 236, 243, 247, 250, 257-258, 275, 278 e 287-288; si veda anche Ekimdzhiev e altri c. Bulgaria, n. 70078/12, citata sopra, § 291). In particolare, sottolinea che nei casi in cui la legislazione che autorizza la sorveglianza segreta viene contestata davanti alla Corte, la questione della legittimità dell'interferenza è strettamente legata a quella del soddisfacimento del criterio della “necessità”, motivo per cui la Corte deve esaminare congiuntamente i criteri secondo cui la misura deve essere “prevista dalla legge” e “necessaria”. La “qualità della legge” in questo senso implica che il diritto interno non solo deve essere accessibile e prevedibile nella sua applicazione, ma deve anche garantire che le misure di sorveglianza segreta siano applicate solo laddove sono “necessarie in una società democratica”, in particolare fornendo garanzie sufficienti ed efficaci e salvaguardie contro gli abusi (si veda Roman Zakharov, sopra citato, § 236).

84.  La Corte osserva che nel caso in esame l'intercettazione delle linee telefoniche del ricorrente è stata disposta nell'ambito di un'indagine sui reati di omicidio e di associazione a delinquere di stampo mafioso, reati che sono elencati nella legge come giustificanti l'uso di tali intercettazioni. La misura in questione, disposta dalla Procura della Repubblica, è stata successivamente autorizzata dal GIP di Palermo sulla base degli articoli 267 e seguenti del codice di procedura penale e della legge n. 203 del 1991 (si vedano i paragrafi 7, 24 e 27 supra): l'ingerenza in questione aveva quindi una base giuridica nel diritto italiano.

85.  Il secondo requisito che emerge dall'espressione “previsto dalla legge”, ossia l'accessibilità della legge in questione, non solleva alcun problema nel caso di specie. Per quanto riguarda la “prevedibilità” della legge, la Corte ha già avuto modo di affermare che questo requisito non può essere applicato all'intercettazione delle comunicazioni nello stesso modo in cui si applica ad altri tipi di decisione. Infatti, nel caso di misure di sorveglianza segreta come l'intercettazione delle comunicazioni, il requisito della prevedibilità non può portare a richiedere che un individuo sia in grado di prevedere quando le autorità potrebbero intercettare le sue comunicazioni, in modo da poter adattare la sua condotta di conseguenza (Drakšas c. Lituania, n. 36662/04, § 67, 31 luglio 2012; Sefilyan c. Armenia, n. 22491/08, § 123, 2 ottobre 2012). Ciò detto, la legge deve essere redatta con sufficiente chiarezza per indicare adeguatamente a tutti in quali circostanze e a quali condizioni autorizza l'autorità pubblica ad adottare tali misure (si vedano Roman Zakharov, sopra citato, § 229, e Valenzuela Contreras c. Spagna, 30 luglio 1998, § 46). Spagna, 30 luglio 1998, § 46, Rapporti 1998-V, Weber e Saravia c. Germania (dec.), n. 54934/00, § 93, CEDU 2006-XI, Associazione per l'integrazione europea e i diritti umani e Ekimdjiev c. Bulgaria, n. 62540/00, § 75, 28 giugno 2007, e Uzun c. Germania, n. 35623/05, § 61, CEDU 2010 (estratti)). Inoltre, poiché l'applicazione di misure per la sorveglianza segreta delle comunicazioni sfugge al controllo sia delle persone interessate che del pubblico, la “legge” sarebbe contraria allo Stato di diritto se non ci fossero limiti alla discrezionalità concessa all'esecutivo o a un giudice. Di conseguenza, essa deve definire la portata e le modalità di esercizio di tale potere con sufficiente chiarezza per fornire all'individuo un'adeguata protezione contro l'arbitrio (si vedano, tra le altre autorità, Malone c. Regno Unito, 2 agosto 1984, § 68, Serie A n. 82; Leander c. Svezia, 26 marzo 1987, § 51, Serie A n. 116; Huvig c. Francia, 24 aprile 1990, § 29, Serie A n. 176-B; Weber e Saravia, decisione citata sopra, § 94; Bykov, citata sopra, § 78). Secondo la giurisprudenza della Corte sulle misure di sorveglianza segreta, la legge deve specificare i seguenti elementi come garanzie minime contro l'abuso di potere: la natura dei reati che possono dar luogo a un mandato di intercettazione, le categorie di persone che possono essere intercettate, la durata massima dell'esecuzione della misura, la procedura da seguire per l'esame, l'uso e la conservazione dei dati raccolti, le precauzioni da adottare nella comunicazione dei dati ad altre parti e le circostanze in cui la cancellazione o la distruzione delle registrazioni può o deve avvenire (Weber e Saravia, decisione citata sopra, § 95; Roman Zakharov, citata sopra, § 231). Per accertarsi che esistano garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi, la Corte valuta tutte le circostanze del caso, ad esempio la natura, l'entità e la durata di eventuali misure, le ragioni necessarie per ordinarle, le autorità competenti a consentirle, eseguirle e controllarle, e il tipo di rimedio previsto dal diritto interno (Klass e altri c. Germania, 6 settembre 1978, § 50, Serie A n. 28).

86.  Nel caso in esame, il ricorrente ha sostenuto che le disposizioni pertinenti del diritto interno non soddisfacevano il requisito della prevedibilità in quanto non indicavano chiaramente le categorie di persone che potevano essere sottoposte a intercettazioni. Egli ha inoltre ritenuto che le garanzie contro possibili abusi fossero insufficienti (si vedano i paragrafi 75-77 supra).

87.  La Corte osserva che il Codice di procedura penale italiano non fa alcun riferimento alle categorie di persone che possono essere sottoposte a intercettazioni. Osserva tuttavia che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, l'articolo 267 del Codice di Procedura Penale è applicabile quando vi sono gravi indizi che un reato sia stato commesso, indipendentemente da chi lo abbia commesso, cosicché, a condizione che la misura sia necessaria per il proseguimento delle indagini, le intercettazioni possono essere disposte, entro certi limiti, anche nei confronti di persone che non sono direttamente coinvolte nella commissione del reato in questione (si veda il paragrafo 25 sopra).

88.  La Corte ricorda innanzitutto che ha già ritenuto che le misure di intercettazione dirette contro una persona che non è sospettata di un determinato reato ma che può possedere informazioni su di esso possono essere giustificate ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione (si veda Greuter c. Paesi Bassi (dec.), n. 40045/98, 19 marzo 2002; si veda anche Roman Zakharov, sopra citato, § 245). Certo, né il codice di procedura penale né la giurisprudenza della Corte di Cassazione specificano quali persone in contatto con un indagato sono passibili di intercettazione; tuttavia, la Corte è consapevole che in Italia le misure di intercettazione richieste dalla Procura richiedono un'autorizzazione motivata da parte del tribunale, che deve verificare, tra l'altro, le ragioni addotte per intercettare la persona interessata. La Corte osserva inoltre che, secondo la giurisprudenza dell'Alta Corte italiana, le motivazioni dell'autorizzazione giudiziaria devono indicare i legami tra l'indagine e la persona a cui si riferisce la misura e che la linea o le linee telefoniche intercettate devono essere identificate con precisione per delimitare l'ambito di applicazione della misura (cfr. paragrafo 26 supra). Questo è, inoltre, il modo in cui è stato fatto nel caso in questione (si vedano i paragrafi 6 e 7).

A questo proposito, il presente ricorso si distingue dai casi in cui le persone interessate non erano state direttamente destinatarie della misura, ma le loro conversazioni erano state intercettate a seguito di intercettazioni di terzi (ad esempio, Matheron c. Francia, n. 57752/00). Francia, n. 57752/00, 29 marzo 2005; Pruteanu c. Romania, n. 30181/05, 3 febbraio 2015; mutatis mutandis, Azer Ahmadov c. Azerbaigian, n. 3409/10, 22 luglio 2021; Haščák c. Slovacchia, nn. 58359/12 e altri 2, giugno 2022).

La Corte ribadisce a questo proposito che il requisito della preventiva autorizzazione giudiziaria, pur non rendendo ipso facto lecite le intercettazioni, costituisce un'importante salvaguardia contro l'arbitrarietà (cfr. Pruteanu, sopra citata, § 50; Versini-Campinchi e Crasnianski c. Francia, no. 49176/11). Francia, n. 49176/11, n. 68, 16 giugno 2016) e contribuisce a limitare il potere discrezionale delle autorità responsabili dell'applicazione di una legge generalmente formulata (si veda, mutatis mutandis, Roman Zakharov, sopra citata, § 249).

89.  In tali circostanze, la Corte ritiene che la legge nazionale, come interpretata dalla giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione (si vedano i paragrafi 87 e 88 supra), indichi con sufficiente precisione le persone che possono essere intercettate e le circostanze e le condizioni in cui tali misure possono essere adottate. Di conseguenza, la legge nazionale soddisfa il requisito della prevedibilità richiesto dalla Convenzione nel contesto particolare dell'intercettazione delle comunicazioni (si veda il paragrafo 85 supra).

90.  La Corte osserva di passaggio che il codice di procedura penale italiano indica chiaramente quali reati giustificano l'ordine e l'esecuzione di intercettazioni, la forma e il contenuto della relativa decisione, la durata massima di tali intercettazioni, la procedura da seguire per la conservazione, la consultazione, l'esame, l'uso, la comunicazione e la distruzione dei dati intercettati, nonché i casi in cui l'uso e la pubblicazione di tali dati sono vietati (si vedano i paragrafi 22-32 supra). La Corte ha già avuto modo, in diversi casi, di pronunciarsi sulla qualità delle disposizioni della legge italiana sulle intercettazioni in vigore all'epoca dei fatti del presente caso, e ha sempre ritenuto che tali disposizioni soddisfacessero i requisiti di accessibilità e prevedibilità e fossero in grado di proteggere le persone interessate dall'arbitrio. Inoltre, nei casi in questione ha constatato che i ricorrenti avevano potuto contestare l'intercettazione dei loro dati personali nei procedimenti penali che li riguardavano e, in tale contesto, avevano potuto beneficiare di un controllo effettivo della legittimità e della giustificazione di tali misure (si veda Panarisi, sopra citata, § 77; e le decisioni sopra citate, Cariello e altri, § 61; Sampech, § 67; Capriotti, § 56; e Falzarano, § 38).

91.  In ogni caso, la Corte è consapevole del fatto che il presente caso riguarda la situazione specifica di persone soggette a un mandato di intercettazione che, non avendo partecipato alla commissione di un reato, rimangono al di fuori del procedimento penale nel cui ambito la misura è stata disposta ed eseguita. La questione che si pone è quindi se tali persone godano di garanzie adeguate ed efficaci contro gli abusi, allo stesso modo delle altre persone sottoposte a processo.

92.  La Corte osserva che la legge italiana prevede che le parti del procedimento siano informate senza indugio una volta terminate le operazioni di intercettazione e che abbiano accesso alle registrazioni e alle trascrizioni delle intercettazioni, nonché a tutte le decisioni giudiziarie pertinenti, in modo da poterne eventualmente contestare la legittimità e la pertinenza (si veda il paragrafo 27 supra). D'altro canto, non è prevista la notifica successiva della misura alle persone intercettate che non sono coinvolte nel procedimento, con il risultato che tali persone, salvo indiscrezioni o altri eventi fortuiti, potrebbero non venire mai a conoscenza di essere state oggetto di una misura di sorveglianza.

93.  La Corte sottolinea che la questione della notifica a posteriori delle misure di sorveglianza è indissolubilmente legata a quella dell'efficacia dei ricorsi giudiziari e quindi all'esistenza di garanzie efficaci contro gli abusi. In linea di principio, l'interessato difficilmente può contestare retrospettivamente davanti ai giudici la legittimità di misure adottate a sua insaputa, a meno che non ne sia stato informato o - in un altro caso - sospetti che le sue comunicazioni siano o siano state oggetto di intercettazione e abbia la possibilità di adire i giudici, che sono competenti anche se la persona sottoposta a intercettazione non è stata informata della misura (Roman Zakharov, sopra citato, § 234).

In particolare, dalla giurisprudenza della Corte risulta che l'obbligo di notifica a posteriori di una misura di intercettazione è legato a due fattori: se tale notifica sia possibile in pratica, tenuto conto del contesto in cui la sorveglianza è stata effettuata, e se costituisca un presupposto per l'utilizzo dei ricorsi giurisdizionali ai sensi del diritto nazionale (si veda Roman Zakharov, sopra citata, §§ 287-288, e la giurisprudenza ivi citata; e Ekimdzhiev e altri, sopra citata, § 349).

94.  Passando alle circostanze del caso di specie, la Corte osserva che, sebbene il ricorrente non fosse stato informato di essere stato sottoposto a intercettazioni, è venuto a conoscenza della misura indirettamente quando ha letto il mandato di perquisizione della casa (si veda il paragrafo 11 supra). Osserva che, una volta appreso che le sue comunicazioni erano state intercettate, il ricorrente avrebbe potuto chiedere una copia delle decisioni giudiziarie pertinenti e ottenere informazioni sulle motivazioni e sulle operazioni di intercettazione (cfr. paragrafo 43 supra). Tuttavia, come la Corte ha appena dichiarato (cfr. paragrafi 68 e 70), un estraneo al procedimento penale, anche se si rende conto di essere stato oggetto di sorveglianza, non dispone di alcun mezzo di ricorso che gli consenta di chiedere il controllo giudiziario delle intercettazioni disposte nei suoi confronti. La Corte ha già affermato che privare una persona sottoposta a intercettazione dell'effettiva possibilità di impugnare retroattivamente tale misura significa privarla di un'importante salvaguardia contro possibili abusi (si veda Roman Zakharov, sopra citato, § 300).

95.  La Corte conclude che la legge italiana non contiene garanzie adeguate ed efficaci per proteggere dal rischio di abusi le persone sottoposte a una misura di intercettazione che, non essendo sospettate o accusate di un reato, rimangono al di fuori del procedimento. In particolare, non esiste alcuna disposizione che consenta a tali persone di adire un'autorità giudiziaria per ottenere un effettivo riesame della legittimità e della necessità della misura e, se necessario, di ricevere un'adeguata riparazione (cfr. paragrafo 55 supra).

96.  Alla luce di queste carenze, la Corte ritiene che la legge italiana non soddisfi il requisito relativo alla “qualità del diritto” e non sia in grado di limitare l'“ingerenza” a quanto “necessario in una società democratica”.

97.  Vi è stata pertanto una violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

    PRESUNTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 E 13 DELLA CONVENZIONE

98.  Il ricorrente ha sostenuto che il suo diritto di accesso a un tribunale era stato violato per l'impossibilità di rivolgersi alle autorità giudiziarie per contestare le misure adottate nei suoi confronti che violavano l'articolo 8. Ha invocato gli articoli 6 e 13 della Convenzione. Ha invocato gli articoli 6 e 13 della Convenzione.

99.  Tenuto conto dei fatti della causa, delle osservazioni delle parti e delle conclusioni cui è giunta ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione, la Corte ritiene di aver esaminato la principale questione giuridica sollevata nel presente ricorso e di non dover esprimere un parere separato sulla ricevibilità e sul merito delle suddette doglianze (si veda Azer Ahmadov, sopra citato, § 79).

    APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

100.  Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione :

“Se la Corte constata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente consente di riparare solo parzialmente le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se necessario, un'equa soddisfazione alla parte lesa”.

    Danno

101.  Il ricorrente ha chiesto 20.000 euro per il danno non patrimoniale che riteneva di aver subito.

102.  Il Governo ha ritenuto che tale somma fosse esorbitante.

103.  La Corte ritiene che il ricorrente abbia subito un danno non patrimoniale certo che le constatazioni di violazione non possono bastare a colmare. Decidendo in via equitativa, come richiesto dall'articolo 41 della Convenzione, ha riconosciuto al ricorrente la somma di 9.000 euro.

    Costi e spese

104.  Poiché il ricorrente non ha richiesto alcun rimborso di costi e spese, la Corte decide di non concedere nulla a tale riguardo.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

    Dichiara a maggioranza che il reclamo relativo alla perquisizione dell'abitazione del ricorrente è irricevibile;
    Dichiara all'unanimità che il reclamo relativo all'intercettazione e alla trascrizione delle comunicazioni telefoniche del ricorrente è ammissibile;
    Dichiara all'unanimità che vi è stata una violazione dell'articolo 8 della Convenzione;
    Dichiara all'unanimità che non è necessario esaminare la ricevibilità e il merito della denuncia ai sensi degli articoli 6 e 13 della Convenzione;
    Dichiara all'unanimità

(a) che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, 9.000 euro (novemila euro), più ogni importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, a titolo di danno non patrimoniale;

(b) che, a partire dalla scadenza di tale periodo e fino al pagamento, su tale importo saranno dovuti interessi semplici a un tasso pari a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca Centrale Europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;

    respinge all'unanimità il resto della richiesta di equa soddisfazione.

Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 23 maggio 2024, ai sensi dell'articolo 77, paragrafi 2 e 3, del Regolamento.

 

 Ilse Freiwirth Marko Bošnjak
 Cancelliere Presidente

 

(traduzione automatica non ufficiale, originale in francese qui )

 

Ai sensi dell'articolo 45 § 2 della Convenzione e dell'articolo 74 § 2 del Regolamento della Corte, alla presente sentenza è allegata un'opinione parzialmente dissenziente dei giudici L. Hüseynov e G. Felici.

M.B.
I.F.
 

OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEI GIUDICI HÜSEYNOV E FELICI

1.  Con tutto il rispetto per i nostri colleghi della maggioranza, non possiamo condividere la dichiarazione di irricevibilità della parte del ricorso relativa al mandato di perquisizione domiciliare emesso il 28 giugno 2018 per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.

2.  La nostra posizione si basa su due argomenti principali, che esporremo brevemente di seguito. In primo luogo, il Governo non ha dimostrato l'esistenza di un rimedio in grado di porre rimedio alla presunta violazione dell'articolo 8 della Convenzione da parte del ricorrente, che ha ravvisato un'ingerenza nella sua vita privata attraverso la perquisizione della sua abitazione. In secondo luogo, anche se il rimedio indicato potesse essere considerato adeguato, non potrebbe in ogni caso fornire un rimedio effettivo, a causa della mancanza di un risarcimento.

3.  Il Governo italiano ha sottolineato che, ai sensi dell'articolo 257 del Codice di procedura penale, il ricorrente avrebbe potuto presentare un'istanza di riesame (riesame) della decisione che dispone il sequestro (decreto di sequestro) contro il mandato di perquisizione - nella misura in cui lo riguardava in questa sede. Secondo il Governo, il ricorrente avrebbe potuto sollevare la questione della legittimità e della necessità della decisione di perquisizione e chiedere l'annullamento del mandato e l'immediata restituzione dei beni sequestrati. Questa procedura, ha spiegato il Governo, sarebbe stata rapida e accessibile non solo alla persona direttamente coinvolta nel procedimento penale, ma anche a qualsiasi altra persona interessata dal provvedimento (si veda il paragrafo 43 della sentenza).

4.  Da parte sua, il ricorrente ha sostenuto che una richiesta di riesame può essere presentata solo contro una decisione che ordina il sequestro di beni, non contro un mandato di perquisizione. La sua intenzione non era quella di contestare il sequestro, ma la decisione di perquisire la sua abitazione e altri locali a sua disposizione, una decisione che, a suo avviso, aveva interferito con la sua vita privata tutelata dall'articolo 8. Il ricorrente ha inoltre sostenuto che la restituzione dei beni non era stata effettuata. Egli ha inoltre sostenuto che la restituzione dei beni sequestrati pochi giorni dopo la perquisizione non costituiva un rimedio sufficiente e adeguato per la presunta violazione dell'articolo 8. È chiaro che il suo reclamo riguardava esclusivamente l'impatto della perquisizione sulla sua vita privata, e non certo l'uso che poteva essere fatto dei risultati della perquisizione in un ipotetico procedimento penale (si veda il paragrafo 48 della sentenza).

5.  Va innanzitutto osservato che il reclamo del ricorrente riguardava solo la perquisizione della sua abitazione e dei locali a sua disposizione, e non il sequestro dei documenti trovati durante la perquisizione. Non era tanto il sequestro dei suoi effetti personali che il ricorrente considerava un'interferenza, quanto piuttosto l'ingresso e la permanenza degli agenti a casa sua e la perquisizione dei suoi effetti personali, che egli considerava illegali e ingiustificati. Quanto sopra emerge chiaramente dai documenti prodotti a sostegno del ricorso (si veda il successivo paragrafo 7).

6.  A nostro avviso, il rimedio interno indicato dal Governo (riesame) non può essere considerato, in quanto tale, un rimedio effettivo ai sensi della Convenzione, poiché - secondo la giurisprudenza prodotta dal Governo, dato che non spetta alla Corte svolgere ulteriori indagini - sembrerebbe che un'istanza di riesame sia ammessa solo contro la decisione con cui è stato disposto il sequestro, mentre la violazione lamentata dal ricorrente riguarda solo il mandato di perquisizione dei suoi locali in quanto tale.

7.  La decisione adottata dalla maggioranza si basa sulla giurisprudenza interna prodotta dal Governo (sentenze della Corte di Cassazione n. 30130 del 24 giugno 2015, n. 51997 del 31 ottobre 2017 e n. 15537 del 12 novembre 2020). Tuttavia, queste decisioni non consentono di affermare che una domanda di riesame diretta contro una decisione che dispone un sequestro consenta di esaminare anche la perquisizione in quanto tale. Come sottolinea la stessa Corte nella sua sentenza, la Corte di Cassazione italiana - applicando la normativa vigente all'epoca dei fatti - ha affermato in più occasioni che “la domanda di riesame non può essere diretta contro un mandato di perquisizione in quanto tale”, consentendo il riesame solo in caso di provvedimenti “interconnessi” e, in ogni caso, nei limiti di un riesame volto a verificare la legittimità del sequestro. Dalla giurisprudenza italiana si evince quindi che la richiesta di riesame può riguardare anche il mandato di perquisizione, ma solo nei limiti di un procedimento volto a verificare la legittimità del sequestro (Corte di Cassazione sentenza n. 30130 del 24 giugno 2015).

8.  Tuttavia, nel caso di specie, da un lato, il ricorrente afferma chiaramente che il suo interesse è esclusivamente quello di contestare la legittimità dell'ingerenza costituita dalla sola perquisizione (nelle osservazioni presentate a questa Corte, egli afferma espressamente che “l'oggetto del ricorso non è affatto la possibilità di ottenere la restituzione dei pochi documenti sequestrati (. ...)", e che ‘il ricorrente è certamente interessato alla dichiarazione di illegittimità dell'ingresso della polizia nella sua abitazione, al di là del sequestro effettuato in quell'occasione (tanto più che, dopo qualche giorno, la merce gli è stata volontariamente restituita)’). D'altra parte, non vi era alcuna “interdipendenza” tra la perquisizione e il sequestro, perché i beni, come abbiamo già sottolineato, sono stati volontariamente restituiti pochi giorni dopo la perquisizione e il mandato di perquisizione non conteneva alcuna indicazione di beni specifici da sequestrare.

9.  Va quindi osservato che la giurisprudenza citata (confermata da sentenze successive, come la sentenza n. 50482 pronunciata dalla Corte di Cassazione il 19 dicembre 2023) non consente di dimostrare l'efficacia del riesame (riesame) quando la denuncia ai sensi dell'articolo 8 riguarda l'ingerenza costituita dalla sola perquisizione, a prescindere dal sequestro.

10.  Questa conclusione è supportata anche dalla soluzione sostanziale fornita dalle decisioni interne sopra citate, che hanno tutte dichiarato inammissibili i ricorsi contro una perquisizione. Né il Governo ha prodotto alcuna decisione contraria che suggerisca l'esistenza di un ricorso interno, che sia ammissibile - anche al di fuori dei tribunali penali - e che consenta di valutare la legittimità di un atto di perquisizione in quanto tale (sebbene, come menzionato al paragrafo 6, spetti al Governo dimostrare l'esistenza di un ricorso effettivo).

11.  In ogni caso, non si potrebbe concludere che esiste un rimedio interno effettivo anche se la domanda di riesame potesse essere diretta contro la sola violazione derivante dalla perquisizione. Mancherebbe infatti una forma adeguata di ricorso (sul concetto di ricorso adeguato, si vedano, mutatis mutandis, Branko Tomašić e altri c. Croazia, n. 46598/06, §§ 38-44, 15 gennaio 2009, Saçılık e altri c. Turchia, nn. 43044/05 e 45001/05, 5 luglio 2011, e Jeronovičs c. Lettonia [GC], n. 44898/10, §§ 76-77, 5 luglio 2016).

12.  Sarebbe problematico considerare la restituzione dei beni sequestrati come una forma di riparazione soddisfacente, poiché non potrebbe in alcun modo rimediare all'ingerenza costituita dall'ingresso e dalla permanenza degli agenti nell'abitazione del ricorrente o dalla perquisizione degli oggetti ivi rinvenuti. Va aggiunto che il ricorrente non avrebbe certamente ottenuto un risarcimento economico in un procedimento penale in cui non era parte. Inoltre, il Governo non ha fatto alcun cenno a qualsiasi altra forma di rimedio o procedura, anche al di fuori dei tribunali penali, che avrebbe permesso al ricorrente di ottenere una qualsiasi forma di risarcimento economico al di fuori del procedimento specifico nel contesto del quale era stata disposta la perquisizione.

13.  Infine, al paragrafo 64 della sentenza, la maggioranza ha affermato che il ricorrente, se avesse presentato un'istanza di riesame, avrebbe potuto, tra l'altro, in caso di esito positivo che avrebbe portato al riconoscimento dell'illegittimità della perquisizione, beneficiare di un divieto di utilizzo delle prove raccolte nell'ambito del “successivo procedimento penale”. Ci sembra difficile trovare quest'ultima conseguenza in qualche modo compensativa o soddisfacente rispetto alla violazione contestata nel caso di specie, soprattutto in considerazione del fatto che il ricorrente non era parte di alcun procedimento penale. In ogni caso, il ricorrente non si lamentava dell'uso che veniva fatto degli oggetti sequestrati, ma piuttosto - come abbiamo più volte sottolineato in precedenza - dell'interferenza nella sua vita privata che derivava dalla perquisizione.

14.  In conclusione, da un lato, non è stato dimostrato in modo convincente che la denuncia del ricorrente circa l'illegittimità e l'ingiustificatezza della perquisizione avrebbe potuto essere esaminata nel merito dalle autorità nazionali e, dall'altro, in ogni caso, non sarebbe stato possibile concedere un rimedio adeguato a tale denuncia. Riteniamo pertanto che la Corte non avrebbe dovuto dichiarare il reclamo ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.