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Terra dei Fuochi: CEDU condanna Italia per violazione del diritto alla vita (Corte EDU, Italia, 2025)

30 gennaio 2025, Corte europea per i diritti dell'Uomo

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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato l’Italia per violazione dell’Articolo 2 (diritto alla vita) a causa della gestione inefficace dell’emergenza ambientale nella Terra dei Fuochi, un’area della Campania colpita da decenni di sversamenti e incendi illegali di rifiuti tossici. I ricorrenti, residenti nei comuni colpiti, hanno denunciato l’inerzia dello Stato nel proteggere la loro salute e nell’adottare misure preventive efficaci. La Corte ha riconosciuto che il governo italiano era a conoscenza del fenomeno già dagli anni ’90, ma ha risposto in modo tardivo e frammentato, senza adottare misure tempestive e coordinate per la tutela della popolazione.

Secondo la sentenza, lo Stato ha fallito nell’identificare e monitorare adeguatamente le aree inquinate, nel garantire la bonifica dei siti contaminati e nel contrastare in modo efficace i reati ambientali, spesso legati alla criminalità organizzata. Nonostante l’introduzione di nuove norme nel 2015, molte indagini si sono concluse senza condanne a causa della prescrizione. Inoltre, la CEDU ha rilevato che le autorità non hanno informato adeguatamente la popolazione sui rischi per la salute, violando l’obbligo positivo di proteggere la vita e il benessere dei cittadini.

La Corte ha applicato la procedura del giudizio pilota, ordinando all’Italia di attuare un piano d’azione strutturato entro due anni, che includa una strategia di bonifica, un meccanismo di monitoraggio indipendente e una piattaforma pubblica di informazione. Questa sentenza rappresenta un precedente fondamentale per il riconoscimento dei diritti umani nel contesto ambientale, aprendo la strada a nuove azioni legali in tutta Europa per il contrasto ai disastri ecologici e alle negligenze statali nella protezione della salute pubblica.

(traduzione automatica non ufficiale)

Corte europea per i diritti dell'uomo 

PRIMA SEZIONE

CASO DI CANNAVACCIUOLO E ALTRI c. ITALIA

(Domande n. 51567/14 e altre 3, vedi elenco in calce)

STRASBURGO

30 gennaio 2025

 

SENTENZA

Art. 34 - Vittima - Legittimazione ad agire - Fenomeno di inquinamento sistematico, decennale, diffuso e su larga scala, causato da discariche abusive, interramenti e/o abbandoni incontrollati di rifiuti pericolosi, speciali e urbani, spesso ad opera di gruppi criminali organizzati, in alcune zone della regione Campania ("Terra dei Fuochi") - Le associazioni ricorrenti non sono "direttamente colpite" dalle presunte violazioni derivanti da un pericolo per la salute dovuto all'esposizione al fenomeno dell'inquinamento - Mancanza di legittimazione delle associazioni ricorrenti ad agire per conto dei loro membri - Criteri di status di vittima/locus standi di cui alla sentenza Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera [GC] non applicabile in quanto il criterio di legittimazione non è applicabile. Svizzera [GC] non applicabile in quanto limitato al contesto del cambiamento climatico - Assenza di altre "considerazioni speciali" per concedere la legittimazione ad agire alle associazioni ricorrenti senza una specifica autorità in tal senso - Mancanza di prove sufficienti che alcuni dei ricorrenti o dei loro parenti vivessero in aree colpite dal fenomeno dell'inquinamento - Incompatibilità ratione personae

Art. 2 (sostanziale) - Obblighi positivi - Vita - Esistenza di un rischio sufficientemente grave, reale, accertabile e imminente a causa del fenomeno di inquinamento in corso - Esistenza di un dovere di protezione non annullato dalla mancanza di certezza scientifica sugli effetti precisi che l'inquinamento potrebbe avere sulla salute di un richiedente - Applicazione dell'art. 2 - Mancanza da parte delle autorità di affrontare il problema della Terra dei Fuochi con la diligenza giustificata dalla gravità della situazione e di adottare tutte le misure necessarie per proteggere la vita dei richiedenti - Mancanza di una risposta sistematica, coordinata e strutturata

Art. 46 - Sentenza pilota - Misure generali dettagliate indicate dalla Corte da attuare entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza per affrontare il problema della Terra dei Fuochi - Necessità di una strategia globale che riunisca le misure esistenti o previste, un meccanismo di monitoraggio indipendente e una piattaforma di informazione pubblica - Rinvio di casi analoghi pendenti non ancora notificati al Governo

Art. 41 - Giusta soddisfazione - Danno non patrimoniale - Riservato

Preparato dalla Cancelleria. Non impegna la Corte.

La sentenza diventerà definitiva nelle circostanze previste dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetta a revisione editoriale.

Nella causa Cannavacciuolo e altri contro Italia,

La Corte europea dei diritti dell'uomo (Prima Sezione), riunita in sezione composta da:

 Ivana Jelić, Presidente,
 Alena Poláčková,
 Georgios A. Serghides,
 Tim Eicke,
 Erik Wennerström,
 Raffaele Sabato,
 Frédéric Krenc, giudici,
e Ilse Freiwirth, cancelliere di sezione,

Tenuto conto di:

i ricorsi (nn. 39742/14, 51567/14, 74208/14 e 24215/15) contro la Repubblica italiana presentati alla Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione") dalle persone e dalle organizzazioni elencate nella tabella allegata, ("i ricorrenti"), nelle varie date indicate nella tabella allegata;

la decisione di notificare al Governo italiano ("il Governo") i reclami relativi agli articoli 2, 8, 10 e 13;

la decisione di dare priorità alle domande (articolo 41 del Regolamento del Tribunale);

le osservazioni presentate dal Governo convenuto e le osservazioni in risposta presentate dai ricorrenti;

i commenti di terzi presentati da ClientEarth; MacroCrimes; il contributo coordinato del Forum for Human Rights and Social Justice della Newcastle University, del Newcastle Environmental Regulation Research Group della Newcastle University, di Let's Do It! Italia e Legambiente; i professori M. Carducci e V. Lorubbio (Centro di Ricerca Euro Americano sulle Politiche Costituzionali - CEDEUAM); il professor F. Bianchi (Istituto di Fisiologia Clinica di Pisa); G. D'Alisa (Università di Coimbra) e il professor M. Armiero (KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma), che hanno ottenuto il permesso di intervenire dal Presidente della Sezione;

Avendo deliberato in privato il 17 dicembre 2024,

Emette la seguente sentenza, che è stata adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1 .  La questione principale del presente caso è se le autorità non abbiano adottato misure adeguate e sufficienti per proteggere la vita dei ricorrenti che vivono in aree della Regione Campania colpite da un fenomeno di inquinamento su larga scala derivante da discariche illegali, interramento e/o abbandono incontrollato di rifiuti pericolosi, speciali e urbani, spesso associati al loro incenerimento. Il caso solleva questioni relative agli articoli 2 e 8 della Convenzione.

I FATTI

2 . I richiedenti e i loro rappresentanti sono elencati nell'Allegato I.

3 .  Il Governo era rappresentato dal suo agente, L. D'Ascia, e dagli avvocati G. Palatiello e F. Fedeli.

4.  I fatti di causa, così come presentati dalle parti, possono essere riassunti come segue.

            I.   "TERRA DEI FUOCHI": IL CONTESTO

5 .  L'espressione "Terra dei Fuochi", che si traduce letteralmente come "Terra dei Fuochi", è apparsa per la prima volta in un rapporto del 2003 dell'associazione Legambiente onlus, in cui si richiamava l'attenzione sulle discariche abusive e sui roghi di rifiuti pericolosi nel territorio dei comuni di Qualiano, Villaricca e Giugliano, in provincia di Napoli.

6 .  Come definito dall'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania ("ARPAC"), l'area della Terra dei Fuochi si riferisce al territorio compreso tra la provincia di Napoli e l'area sud-occidentale della provincia di Caserta. L'inquinamento del territorio in questione, definito "fenomeno Terra dei Fuochi" (Sesta Commissione parlamentare d'inchiesta, Relazione sulla Campania, 28 febbraio 2018, p. 195; si veda il successivo paragrafo 9), deriva dallo scarico illegale, dall'interramento e/o dall'abbandono incontrollato di rifiuti pericolosi, speciali e urbani, spesso associato al loro incenerimento.

7 .  Una direttiva interministeriale emanata il 23 dicembre 2013 ha inizialmente individuato cinquantasette comuni delle province di Napoli e Caserta interessati dal fenomeno. Le direttive interministeriali del 16 aprile 2014 e del 10 dicembre 2015 hanno aggiunto, rispettivamente, altri trentuno e due comuni all'elenco (si veda l'Allegato II per l'elenco completo dei comuni). Secondo una relazione del 19 gennaio 2018 della 12a Commissione (Igiene e Sanità) del Senato italiano, le direttive di cui sopra stabiliscono una delimitazione legale per quella che la commissione definisce la zona Terra dei Fuochi (il territorio Terra dei Fuochi), che comprende novanta comuni interessati da pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti (cfr. pagg. 49-50 della relazione 2018 della 12a Commissione). Questi comuni sono stati costantemente indicati come comuni della Terra dei Fuochi e zona della Terra dei Fuochi in un'ampia gamma di documenti e strumenti ufficiali.

8 .  La zona della Terra dei Fuochi, come sopra definita, ha una popolazione di circa 2.900.000 abitanti, pari al 52% della popolazione della regione Campania. L'ARPAC si riferisce agli abitanti di tali comuni come alla "popolazione esposta" al fenomeno Terra dei Fuochi.

            II.  TERRA DEI FUOCHI: LE PROVE

9 . Tra il 1995 e il 2018 sono state istituite diverse Commissioni parlamentari d'inchiesta sul ciclo di gestione dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse ("le Commissioni parlamentari d'inchiesta") ai sensi della normativa in materia (delibera della Camera dei Deputati del 20 giugno 1995 - "prima Commissione parlamentare d'inchiesta") e delle Leggi n. 97 del 10 aprile 1997 ("la seconda Commissione parlamentare d'inchiesta"), n. 399 del 31 ottobre 2001 ("la terza Commissione parlamentare d'inchiesta"), n. 271 del 20 ottobre 2006 ("la quarta Commissione parlamentare d'inchiesta"), n. 6 del 6 febbraio 2009 ("la quinta Commissione parlamentare d'inchiesta", n. 1 del 7 gennaio 2014 ("la sesta Commissione parlamentare d'inchiesta") e n. 100 del 7 agosto 2018 ("la settima Commissione parlamentare d'inchiesta" ). Il mandato delle Commissioni parlamentari d'inchiesta copriva l'intero territorio italiano.

10 .  La prima di queste Commissioni parlamentari d'inchiesta iniziò i suoi lavori il 27 luglio 1995. Nel suo rapporto dell'11 marzo 1996, la Commissione ha rilevato la presenza di molteplici discariche abusive nelle province di Caserta e Napoli, in particolare nelle campagne di Aversa e del litorale domizio-flegreo, controllate a livello locale da gruppi criminali organizzati. Ha inoltre rilevato che non è stato messo in atto alcun piano di supervisione o di bonifica, sebbene le autorità fossero a conoscenza del fenomeno delle discariche e dei sotterramenti illegali di rifiuti pericolosi almeno dal 1988, che stava aumentando nelle aree in cui le falde acquifere erano spesso utilizzate per l'irrigazione (p. 44 del rapporto).

La commissione ha segnalato che, secondo un rapporto sugli screening sanitari nel territorio di competenza dell'Azienda sanitaria locale n. 4 di Napoli, presentato nel corso di un seminario organizzato dall'ASL nel 1995, i tassi di mortalità per tumore erano aumentati del 100% nei trentacinque comuni di competenza (p. 10). 4 (Azienda sanitaria locale, "ASL") e presentato in occasione di un seminario organizzato dall'ASL nel 1995, i tassi di mortalità per tumore erano aumentati del 100% nei trentacinque comuni di sua competenza (pag. 10 del rapporto). Un numero significativo di questi comuni è stato successivamente inserito nell'elenco dei comuni della Terra dei Fuochi (cfr. paragrafo 7). La Commissione ha notato con preoccupazione che c'è stato un aumento dei casi di linfoma, leucemia e tumori al fegato nell'area che comprende i comuni di Acerra, Marigliano e San Vitaliano.

La Commissione ha inoltre richiamato l'attenzione sul fatto che le prime indagini sull'interramento e lo scarico illegale di rifiuti pericolosi hanno avuto luogo a partire dal 1993, sebbene il problema fosse noto fin dal 1988 (pagg. 47 e 48 del rapporto). La Commissione ha inoltre raccomandato di classificare i reati ambientali come reati gravi (delitti) piuttosto che come reati minori (contravvenzioni) (pagg. 29 e 44 del rapporto).

Secondo la commissione, la diffusione del fenomeno dell'inquinamento è dovuta, tra l'altro, alla mancanza di sufficiente rigore, unita a un'inadeguata comprensione dei pericoli connessi in termini di protezione dell'ambiente e della salute; a una vasta rete di complicità, in particolare all'interno dell'amministrazione; all'inadeguatezza delle sanzioni disponibili per combattere il fenomeno (p. 48 del rapporto).

11 .  La seconda commissione parlamentare d'inchiesta ha iniziato i suoi lavori nel luglio 1997.

12 .  Il 7 ottobre 1997 C.S., un informatore (collaboratore di giustizia), è stato ascoltato dalla Commissione e l'ha informato dell'esistenza di un fenomeno su larga scala di interramento sistematico di rifiuti pericolosi in alcune zone della Campania. Le sue dichiarazioni sono state classificate come segreto di Stato e sono state rese pubbliche solo nel 2013 (cfr. paragrafo 40).

13 .  Il 22 aprile 1998 la seconda Commissione d'inchiesta ha pubblicato un rapporto contenente proposte per l'introduzione dei reati ambientali nel quadro penale. La Commissione riteneva che la legislazione ambientale emanata negli anni precedenti avesse portato a un'interpretazione e a un'applicazione disomogenea e spesso mal coordinata del quadro normativo esistente, che non prevedeva reati gravi (delitti). Al contrario, i reati ambientali sono stati classificati come reati minori (contravvenzioni), che nell'ordinamento italiano sono quasi sempre di portata limitata e soggetti a pene meno severe. L'effetto deterrente e repressivo di un simile quadro normativo è stato definito dalla Commissione "praticamente inesistente", soprattutto se le pene modeste vengono confrontate con la natura altamente lucrativa delle attività illegali legate alla gestione dei rifiuti. La commissione ha inoltre sottolineato che gli strumenti operativi e procedurali forniti alla polizia e alla magistratura da questo quadro erano limitati, creando ostacoli per un'indagine efficace della condotta in questione.

14 . Nella sua relazione sulla Campania, pubblicata l'8 luglio 1998, la stessa commissione d'inchiesta sottolineava che era stata osservata un'eccezionale concentrazione di metalli pesanti in alcune aree, come il territorio del comune di Villa Literno. Era stato inoltre rilevato un aumento dei tumori nella provincia di Caserta. La commissione ha sollecitato lo svolgimento di ricerche epidemiologiche per stabilire se esistesse un legame tra questo aumento e lo scarico illegale di rifiuti pericolosi sul territorio in questione (p. 40 del rapporto). Ha rilevato, in primo luogo, l'esistenza di quello che ha definito "avvelenamento persistente" del suolo nel territorio campano e, in secondo luogo, che le autorità competenti non hanno ancora affrontato il tema della decontaminazione con la necessaria fermezza (pp. 26 e 27 del rapporto). Le indagini penali avevano finora evidenziato che, in diverse aree del territorio campano, erano state scavate fosse per lo smaltimento dei rifiuti, con conseguente contaminazione delle falde acquifere e danni ai terreni circostanti (pp. 30 e 31 del rapporto). Queste indagini hanno inoltre rivelato pratiche di traffico di rifiuti su larga scala che prevedevano il trasporto di rifiuti pericolosi dal Nord Italia a impianti di stoccaggio nella provincia di Caserta , dove venivano riqualificati illegalmente come rifiuti non pericolosi e poi smaltiti in discariche illegali (pp. 33-34 del rapporto). Tra il 1994 e il 1998, la procura di Santa Maria Capua Vetere aveva disposto il sequestro di mille siti contaminati. Inoltre, ha affermato che, a causa dello scarico di milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi e tossici, la regione Campania è stata utilizzata come "la pattumiera d'Italia" (p. 32 del rapporto).

La Commissione ha inoltre osservato che i giudici e i pubblici ministeri che hanno fornito dichiarazioni hanno sottolineato in numerose occasioni l'impossibilità di ottenere condanne per i reati ambientali (pag. 36 del rapporto). La Commissione ha ribadito il suo impegno a riesaminare la proporzionalità delle pene disponibili, che riguardano soprattutto gli illeciti amministrativi (p. 38 del rapporto).

La Commissione ritiene che sia necessario introdurre in via prioritaria un programma di decontaminazione ambientale, in particolare nel litorale domizio-flegreo e nelle campagne di Aversa (pag. 40 della relazione), e garantire una maggiore efficacia dei controlli amministrativi preventivi (pag. 38 della relazione). Secondo la Commissione, le istituzioni italiane disponevano già di tecnologie che consentivano di rilevare gli inquinanti nel suolo e di individuare le aree interessate dallo smaltimento illegale dei rifiuti.

15.  Nell'aprile 2003 l'associazione ambientalista Legambiente ha pubblicato il rapporto annuale sulla criminalità ambientale, intitolato "Ecomafie", in cui ha denunciato pratiche di incenerimento illegale di rifiuti a cielo aperto, che si verificano quotidianamente in diverse aree, in particolare nei comuni di Giugliano, Qualiano e Villaricca.

16 .  Il 7 aprile 2004 la terza Commissione parlamentare d'inchiesta ha raccolto le dichiarazioni di un Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere; il suo ufficio era stato coinvolto in indagini sul traffico illecito di rifiuti fin dai primi anni '90.

Ha descritto le pratiche relative all'interramento illegale e allo scarico sistematico di rifiuti emerse dalle indagini. Il suo ufficio aveva raccolto prove dell'esistenza di circa 980 discariche illegali, scoperte dall'ARPAC tra il 2000 e il 2002 nelle province di Napoli e Caserta. Le informazioni raccolte indicano che migliaia di tonnellate di rifiuti sono state smaltite illegalmente in Campania. È stato notato che quando i rifiuti non venivano semplicemente scaricati, a volte venivano mescolati con altre sostanze per essere utilizzati, ad esempio, come materiale per le attività di costruzione o come compost per fertilizzare i terreni.

Ha inoltre riferito di metodi specifici, identificati durante le indagini, per eludere i controlli esistenti e scaricare i rifiuti o trasformarli in materie prime.

Ha inoltre riferito sul problema degli inceneritori illegali nelle province di Caserta e Napoli, citando i risultati di un'indagine condotta dal suo ufficio sulla contaminazione da diossina. La diossina aveva provocato l'inquinamento di un'area considerevole, in particolare nei comuni di Marcianise e San Felice a Cancello, al confine con Acerra da un lato, e Casal di Principe e Castel Volturno dall'altro. Gli investigatori avevano accertato che nella stragrande maggioranza dei casi la diossina era stata rilasciata attraverso la combustione illegale di rifiuti e le pratiche di combustione illecita di alcune aziende dei settori dell'alluminio e del ferro.

Per quanto riguarda le misure di bonifica delle aree contaminate dallo smaltimento illegale dei rifiuti, ha citato l'esempio di una discarica che il suo ufficio aveva posto sotto sequestro nel 2000 a causa di barili interrati contenenti rifiuti tossici. Il suo ufficio aveva contattato le autorità responsabili della decontaminazione, che avevano risposto di non sapere dove smaltire tali rifiuti in Italia. Non è stato fatto nulla di più.

Per quanto riguarda le possibili conseguenze di queste pratiche sull'ambiente e sulla salute pubblica, il procuratore ha descritto le enormi difficoltà incontrate dal suo ufficio nell'ottenere informazioni al riguardo e l'assenza di studi epidemiologici sugli effetti sulla salute delle pratiche illegali in questione. Il suo ufficio è riuscito a recuperare solo alcuni dati, sempre con grandi difficoltà, dalle autorità sanitarie locali.

17 .  Nella sua relazione di attività, pubblicata il 28 luglio 2004, la terza Commissione parlamentare d'inchiesta ha segnalato la persistenza e l'aumento, al momento della stesura della relazione, del traffico di grandi quantità di rifiuti, spesso pericolosi, dal Nord al Sud Italia. Una volta arrivati, i rifiuti venivano smaltiti in vari modi. Un primo metodo consisteva nello scaricare e seppellire i rifiuti in discariche abusive, spesso cave, corsi d'acqua (come negli specchi d'acqua del litorale domizio-flegreo) o grandi fosse, talvolta scavate su terreni agricoli e poi ricoperte, che continuavano a essere utilizzate in seguito per l'agricoltura . Un altro metodo di smaltimento dei rifiuti prevedeva la miscelazione dei rifiuti pericolosi con altri rifiuti e il loro utilizzo per la produzione di compost a scopo fertilizzante (pagg. 53 e 54 del rapporto). La Commissione ha fatto riferimento alle indagini avviate nel 1999 su un'area della provincia di Napoli, che hanno rivelato il traffico di circa un milione di tonnellate di rifiuti. Questi rifiuti erano costituiti da materiali pericolosi, tra cui polveri provenienti dall'abbattimento dei fumi delle industrie siderurgiche e metallurgiche, vernici di scarto e residui contenenti solventi organici non alogenati, ceneri di combustione di oli minerali, fanghi industriali, fanghi provenienti da processi di trattamento delle acque e fanghi acidi.

La Commissione ha sottolineato la natura lucrativa di queste attività per le organizzazioni criminali e ha osservato che esse rappresentano un'interessante strategia di riduzione dei costi per alcune industrie (pagg. 52 e 53 del rapporto).

La commissione ha inoltre riferito di quella che ha definito "emergenza diossina" nella provincia di Caserta. La commissione ha rilevato che questa provincia e la campagna di Napoli Nord erano disseminate di discariche abusive ed erano diventate "un ricettacolo di rifiuti di ogni genere". Oltre all'interramento illegale, in queste aree i rifiuti venivano spesso incendiati. La combustione dei rifiuti, compresi quelli pericolosi, generava alte e dense colonne di fumo nero e rilasciava, tra le altre sostanze, diossina. Oltre a questi incendi, la commissione ha riferito di due episodi di combustione illegale "di vaste proporzioni" avvenuti in aziende di smaltimento di pneumatici di auto a Marcianise e Castelvolturno, descritti come "vere e proprie montagne di pneumatici di auto andate in fumo" (p. 54 del rapporto).

Infine, la Commissione ha osservato che, oltre al traffico e allo smaltimento illegale di rifiuti da parte di gruppi criminali organizzati, un aspetto del problema da non sottovalutare è lo smaltimento illegale di rifiuti da parte di piccole aziende a livello locale e di "comuni cittadini" che utilizzano il suolo pubblico, considerato da loro come res nullius, per smaltire i loro rifiuti. A quest'ultimo proposito, la commissione ha riferito che spesso i singoli cittadini smaltivano in questo modo oggetti domestici ingombranti, che rappresentavano un pericolo per la salute in quanto spesso contenevano bifenili policlorurati (PCB) (p. 52 del rapporto).

18 .  Nel settembre 2004 uno studio pubblicato da The Lancet Oncology (una rivista medica) ha riportato che il tasso di mortalità per cancro nell'ASL n. 4 di Napoli è cresciuto continuamente nei periodi 1970-1974 e 1995-2000. 4 era cresciuto costantemente nei periodi 1970-1974 e 1995-2000. Inoltre, dal registro dei tumori dell'Azienda sanitaria risultava che nel febbraio 2002 la mortalità per tumore del colon-retto, del fegato, per leucemie e linfomi era più alta nel distretto n. 73 - che comprendeva i comuni di Nola, Marigliano e Acerra (confinanti con il comune di Somma Vesuviana) - rispetto al resto del territorio di competenza dell'ASL. I tassi di tumore al fegato, leucemie e linfomi erano molto alti rispetto a quelli del resto d'Italia. Secondo uno degli autori dello studio, questi dati suggeriscono l'esistenza di un nesso causale tra l'inquinamento derivante da una gestione inadeguata dei rifiuti e l'esistenza di discariche abusive, da un lato, e gli alti tassi di mortalità per cancro della regione, dall'altro. Entrambi gli autori concordano sul fatto che il legame tra lo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e la mortalità per cancro debba essere indagato con urgenza.

19 .  Nel novembre 2004 un articolo pubblicato su Epidemiologia&Prevenzione (rivista dell'Associazione Italiana di Epidemiologia) ha analizzato la mortalità per cause specifiche in un'area della Campania caratterizzata dalla presenza di discariche abusive, in molte delle quali i rifiuti venivano anche inceneriti, e di siti interessati dall'interramento illegale di rifiuti industriali. L'area di studio comprendeva i comuni di Giugliano in Campania, Qualiano e Villaricca, con una popolazione complessiva di circa 150.000 abitanti. Secondo le indagini dell'ARPAC e di Legambiente, nell'area di studio sono state individuate trentanove discariche abusive, di cui ventisette presumibilmente interessate dalla presenza di rifiuti pericolosi. Nell'area di studio è stato riscontrato un aumento significativo della mortalità per cancro, in particolare per quanto riguarda, tra l'altro, i tumori del polmone, della pleura, della laringe, della vescica, del fegato e del cervello.

20 .  Nel suo ulteriore rapporto del 22 dicembre 2004, la terza commissione parlamentare d'inchiesta (si veda il paragrafo 16) ha affrontato in modo più dettagliato l'introduzione dei reati ambientali nel quadro penale. La commissione ha fatto una dichiarazione generale secondo la quale vi erano molteplici fattori che compromettevano l'efficacia e l'effetto deterrente del quadro penale che disciplina i reati ambientali. In particolare, ha evidenziato l'assenza di un quadro generale (intervento-quadro) che disciplini in modo armonioso i reati esistenti, introdotti nel tempo e attraverso strumenti diversi. Inoltre, molte delle sanzioni penali applicabili ai reati esistenti riflettevano la natura normativa dei reati stessi. Ciò comportava, tra l'altro, brevi termini di prescrizione. La natura normativa dei reati precludeva anche l'uso di alcuni strumenti investigativi, riservati dal Codice di procedura penale ai reati penali, e limitava l'applicabilità di alcune misure cautelari.

La Commissione ha sottolineato l'importanza dell'introduzione, nel marzo 2001, del reato di "attività organizzate per il traffico di rifiuti" (cfr. paragrafo 131). Tuttavia, dalle dichiarazioni rese alla commissione dai giudici istruttori e dagli ufficiali di polizia giudiziaria è emerso che l'onere probatorio in relazione a questo reato è stato a volte impossibile da soddisfare, data la natura molto specifica della condotta che costituisce il reato (ibidem). La Commissione ha ritenuto che questo fosse un motivo di preoccupazione in termini di deterrenza.

21 .  Nel gennaio 2005 sono stati pubblicati i risultati della prima fase della ricerca (Studio Pilota) condotta nell'ambito di uno studio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) su richiesta del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale. Lo studio si è concentrato sull'impatto sanitario dei rifiuti nelle province di Napoli e Caserta ed è stato condotto in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità ("ISS"), il Consiglio Superiore della Ricerca ("CNR"), l'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania ("ARPAC") e l'Osservatorio Epidemiologico Regionale ("OER").I risultati hanno mostrato che il rischio di mortalità associato a tumori dello stomaco, del fegato, delle vie biliari, della trachea, dei bronchi, dei polmoni, della pleura e della vescica, e il rischio di malformazioni cardiovascolari, urogenitali e degli arti, erano più elevati in un'area a cavallo tra le province di Napoli e Caserta rispetto al resto della Campania. Le conclusioni hanno evidenziato l'importanza di indagini più approfondite sul tema.

22 .  Il 22 marzo 2005 la Commissione delle Comunità europee (che dal 1° dicembre 2009 è diventata la Commissione europea; "la Commissione europea") ha presentato alla Corte di giustizia un ricorso per inadempimento contro l'Italia ai sensi dell'articolo 226 del Trattato che istituisce la Comunità europea ("TCE") (causa n. C-135/05). Criticando l'esistenza di un gran numero di discariche illegali e non controllate in Italia, la Commissione ha affermato che le autorità italiane non hanno rispettato gli obblighi previsti dagli articoli 4, 8 e 9 della Direttiva 75/442/CEE sui rifiuti, dall'articolo 2 § 1 della Direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e dall'articolo 14, lettere da a) a c), della Direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti.

23 .  Il 13 giugno 2005, la Giunta regionale della Campania ha approvato un primo piano di decontaminazione regionale ("il PRB").

24.  Il 3 aprile 2006 il governo italiano ha approvato il Decreto Legislativo n. 152 (Legge Quadro sull'Ambiente), il cui articolo 239 ha stabilito che, ad eccezione dei siti di interesse nazionale (cfr. paragrafo 120), la responsabilità delle operazioni di bonifica delle zone contaminate spetta alle Regioni. 152 (Legge Quadro sull'Ambiente), il cui articolo 239 stabilisce che, ad eccezione dei siti di interesse nazionale (si veda il successivo paragrafo 120), la responsabilità delle operazioni di bonifica delle zone contaminate spetta alle Regioni, che sono tenute a introdurre piani regionali di decontaminazione.

25 .  Nel 2007 sono stati pubblicati i risultati della seconda fase dello studio condotto dall'OMS, dall'ISS, dal CNR, dall'ARPAC e dall'OER (cfr. paragrafo 21). Da essi è emerso che l'area con i più alti tassi di mortalità per cancro e malformazioni è quella che è stata maggiormente colpita dallo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e dall'incenerimento incontrollato di rifiuti solidi urbani. Secondo lo stesso rapporto, questa correlazione suggerisce che l'esposizione al trattamento dei rifiuti ha avuto un impatto sul rischio di mortalità osservato in Campania, sebbene anche la prevalenza di alcune infezioni e virus e l'uso diffuso di prodotti del tabacco possano aver influenzato il tasso di mortalità. Tra le conclusioni dello studio, si possono evidenziare le seguenti:

Sono state trovate numerose associazioni positive e statisticamente significative (e quindi non casuali) tra salute e rifiuti pericolosi. (...). Nell'interpretazione dei risultati vanno tenute presenti alcune limitazioni (...). In ogni caso, le associazioni osservate, la loro consistenza e coerenza, suggeriscono che l'esposizione a sostanze rilasciate da rifiuti pericolosi non smaltiti correttamente, subita dalla popolazione negli ultimi decenni, gioca un ruolo significativo come determinante della salute nelle province di Napoli e Caserta. Se da un lato è necessario colmare le numerose lacune conoscitive relative agli effetti sulla salute, dall'altro è urgente implementare e rafforzare le misure di riduzione dell'esposizione, attraverso politiche di gestione integrata dei rifiuti.

26 .  Il 26 aprile 2007 la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (già Corte di Giustizia delle Comunità Europee; "la Corte di Giustizia" o "la CGUE") ha emesso la sentenza nel procedimento avviato dalla Commissione il 22 marzo 2005 (Commissione/Italia, C-135/05, EU:C:2007:250; si veda il successivo paragrafo 167). In questa sentenza, la CGUE ha rilevato "la generale non conformità delle discariche [alle] disposizioni pertinenti" del diritto dell'UE, osservando, tra l'altro, che il governo italiano "non contesta l'esistenza ... in Italia di almeno 700 discariche abusive contenenti rifiuti pericolosi, che non sono quindi soggette ad alcuna misura di controllo". Il Consiglio ha concluso che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi derivanti dalle disposizioni citate dalla Commissione, in quanto non ha adottato tutte le misure necessarie per garantire che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute umana e senza utilizzare processi o metodi che potrebbero danneggiare l'ambiente, e non ha vietato l'abbandono, lo scarico o lo smaltimento incontrollato dei rifiuti.

27 . Il 13 giugno 2007, la quarta Commissione parlamentare d'inchiesta ha pubblicato una relazione sulla Campania, in cui ha rilevato che "la situazione del ciclo di gestione dei rifiuti mostra segni di una pericolosa regressione, che porta al collasso della capacità operativa del servizio [di gestione dei rifiuti] e comporta gravi rischi per la salute pubblica".

28 .  Nel suo rapporto del 19 dicembre 2007, la quarta commissione parlamentare d'inchiesta ha rilevato, in particolare, che "buona parte del territorio [era] ancora contaminato da cumuli di rifiuti abbandonati", che "le autorità locali [erano] sempre meno disposte ad aprire nuovi siti di smaltimento o a [permettere] la creazione di [relative] infrastrutture", che "la fiducia nella capacità degli enti statali di avviare programmi di risanamento e sviluppo per le regioni più colpite dal degrado ambientale [era] praticamente inesistente" e che "a ciò si aggiungeva, fatalmente, l'inclusione di gruppi criminali organizzati nel circuito della gestione dei rifiuti, che contrastava con la natura largamente inefficace delle disposizioni amministrative di controllo". Si aveva inoltre "la sensazione che la crisi [avesse] lasciato il posto alla tragedia".

29 .  Il 3 luglio 2008 la Commissione europea ha presentato un nuovo ricorso per inadempimento contro l'Italia ai sensi dell'articolo 226 del TCE (causa n. C-297/08).

30 .  Nel marzo 2009 la Marina Militare statunitense ha pubblicato un rapporto intitolato "Naples Public Health Evaluation (PHE) - Public Health Summary - Volume II: Phase I Screening Risk Evaluation", nell'ambito di un'indagine sui potenziali rischi per la salute del personale della Marina Militare statunitense residente nell'area di Napoli in Campania (identificata come un'area regionale di 395 miglia quadrate) derivanti da pratiche illegali di smaltimento dei rifiuti e da carenze nella gestione dei rifiuti. Gli estratti rilevanti del rapporto sono i seguenti:

"Per oltre un decennio, la regione Campania ha dovuto affrontare numerose sfide legate alla raccolta dei rifiuti, ai roghi incontrollati di rifiuti non raccolti e allo scarico diffuso di rifiuti, compresi quelli chimici e altri potenzialmente pericolosi. ... In risposta alle preoccupazioni sanitarie espresse dalla Marina degli Stati Uniti e dal suo personale civile e dalle famiglie, il Comandante della Marina Regione Europa, Africa, Asia sud-occidentale ha contattato l'Ufficio di medicina e chirurgia della Marina e ha richiesto che il Centro di salute pubblica della Marina e del Corpo dei Marines conducesse una valutazione completa della salute pubblica.

La prima fase di questo studio prevede una valutazione di supporto ai test ambientali, che include una valutazione del rischio di screening dei dati relativi all'aria, all'acqua di rubinetto, al suolo e ai gas del suolo. Il presente rapporto documenta i risultati della valutazione del rischio di screening (SRE). Lo scopo della SRE è quello di determinare l'esistenza di potenziali impatti sulla salute associati all'esposizione al suolo superficiale, all'aria interna, all'acqua di rubinetto e all'aria ambiente (esterna) del personale dell'USN (in servizio attivo, civili e loro famiglie), residente nell'area di Napoli in Campania. Questo SRE è stato condotto in conformità con le linee guida per la valutazione del rischio dell'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente degli Stati Uniti (USEPA). ... I risultati di questo SRE saranno utilizzati per determinare:

 Se l'esposizione al suolo superficiale, all'aria interna, all'acqua di rubinetto e all'aria ambiente rappresenti o meno un rischio inaccettabile per il personale dell'USN, sulla base delle linee guida di valutazione del rischio dell'USEPA e dell'USN;

Se sono necessarie ulteriori indagini per garantire la sicurezza e il benessere del personale USN residente in Campania;

...

31 .  Il 4 marzo 2010 la Corte di giustizia ha emesso la sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115). Pur rilevando che nel 2008 l'Italia aveva adottato misure per affrontare la "crisi dei rifiuti", la CGUE ha concluso che in Italia esisteva un "deficit strutturale in termini di impianti necessari per lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti in Campania, come dimostrato dalle notevoli quantità di rifiuti che [si erano] accumulati lungo le strade pubbliche della regione".

La Corte ha dichiarato che l'Italia "non ha adempiuto all'obbligo di creare una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento che le consenta di assicurare lo smaltimento dei propri rifiuti e, di conseguenza, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'articolo 5 della direttiva 2006/12". Secondo la Corte di giustizia, tale inadempimento non poteva essere giustificato da circostanze quali l'opposizione della popolazione locale ai siti di smaltimento dei rifiuti, la presenza di attività criminali nella regione o l'inadempimento degli obblighi contrattuali da parte delle imprese incaricate della costruzione di alcune infrastrutture di smaltimento dei rifiuti. Ha spiegato che quest'ultimo fattore non poteva essere considerato forza maggiore, perché "la nozione di forza maggiore richiede che l'inadempimento dell'atto in questione sia attribuibile a circostanze, al di fuori del controllo della parte che invoca la forza maggiore, che [erano] anormali e imprevedibili e le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l'esercizio di tutta la diligenza dovuta", e che un'autorità diligente avrebbe dovuto prendere le precauzioni necessarie per evitare l'inadempimento contrattuale in questione o per garantire che, nonostante tali carenze, l'effettiva costruzione delle infrastrutture necessarie per lo smaltimento dei rifiuti sarebbe stata completata nei tempi previsti. La Corte di giustizia ha anche osservato che "la Repubblica italiana non ha contestato il fatto che i rifiuti che invadono le strade pubbliche ammontino a 55.000 tonnellate, che si aggiungono alle 110.000-120.000 tonnellate di rifiuti in attesa di trattamento nei siti di stoccaggio comunali". Per quanto riguarda i rischi per l'ambiente, la Corte di giustizia ha ribadito che, tenuto conto in particolare della capacità limitata di ogni regione o località per la raccolta dei rifiuti, l'accumulo di rifiuti costituisce un pericolo per l'ambiente. Essa ha concluso che l'accumulo di tali ingenti quantità di rifiuti lungo le strade pubbliche e nelle aree di deposito temporaneo aveva dato luogo a un "rischio per l'acqua, l'aria o il suolo, nonché per la fauna o la flora" ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/12, aveva causato "un fastidio per il rumore o gli odori" ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera b), ed era suscettibile di incidere "negativamente (...) sul paesaggio o sui siti di particolare interesse" ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera c), di tale direttiva. Per quanto riguarda il pericolo per la salute umana, la Corte di giustizia ha rilevato che "la preoccupante situazione di accumulo di rifiuti lungo le strade pubbliche [aveva] esposto la salute degli abitanti del luogo a un certo pericolo, in violazione dell'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2006/12".

32 .  Nel maggio 2011, la Marina statunitense ha pubblicato un ulteriore rapporto intitolato "Naples Public Health Evaluation (PHE) - Public Health Summary - Volume III", che riassumeva le ricerche relative al periodo compreso tra gennaio 2008 e giugno 2011 nell'ambito della valutazione dei potenziali rischi per la salute del personale della Marina statunitense residente nell'area di Napoli (cfr. paragrafo 30 sopra). A Secondo questo rapporto c'erano:

"Disponibilità limitata di informazioni da parte delle autorità italiane di regolamentazione ambientale per determinare la natura e l'entità della contaminazione dove risiede il personale USN... Accesso limitato ai rapporti, agli studi e ai funzionari della sanità pubblica della nazione ospitante... (p. P-5).

Da un punto di vista regionale, sono state riscontrate distribuzioni sia a grappolo che casuali di abitazioni inaccettabili [cioè abitazioni in prossimità di località ritenute inaccettabili in base ai criteri di rischio della Marina]; pertanto, non è possibile prevedere l'ubicazione di abitazioni accettabili... (pag. ES-8).

... c'è un'ampia frequenza e distribuzione di case inaccettabili in tutte le nove aree di studio ...

... una storia pluridecennale (primi anni '80) di discariche illegali di rifiuti pericolosi, come ampiamente documentato dal governo italiano nell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania ... La provincia di Caserta ha il maggior numero di aree in cui si sono verificate discariche illegali di rifiuti: 851 siti che includono il Litorale Domizio-Flegreo e l'Agro-Aversano ..... La maggior parte delle nove aree di studio dell'USN per il PHE si trova all'interno dell'impronta di uno o più di questi "Siti di interesse nazionale" in Campania (vedi Figura 1-3).

...È documentata la mancanza di progressi da parte del governo italiano nella caratterizzazione e nella bonifica di questi siti, così come la mancanza di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento necessari per realizzare queste azioni. ... (p. ES-9).

... Le residenze situate nelle New Lease Suspension Zones (NLSZ) [...] hanno mostrato superamenti significativi e diffusi e hanno avuto le concentrazioni più alte e più frequentemente inaccettabili di sostanze chimiche rilevate durante il PHE ....".

Inoltre, il Navy and Marine Corps Public Health Center (NMCPHC) ha raccomandato al Commander Navy Region Europe, Africa, Southwest Asia (CNREURAFSWA), tra l'altro, di:

"Incoraggiare/educare i futuri residenti ad affittare edifici a più piani e a vivere al primo piano a partire dal piano terra o più in alto, il che mitigherà in modo significativo le preoccupazioni associate all'intrusione di vapori dal gas del suolo...";

Mantenere a tempo indeterminato l'avviso di acqua in bottiglia del luglio 2008 per il personale fuori base per bere, preparare il cibo, cucinare, lavarsi i denti, preparare il ghiaccio e per gli animali domestici  (p. ES-9)".

L'EHIC (Environmental Health Information Center), che si trova presso l'Ospedale Navale degli Stati Uniti a Napoli, "effettua anche chiamate di notifica immediata ai residenti le cui abitazioni sono state sottoposte a campionamento e che potrebbero avere risultati che superano i criteri di gestione del rischio dell'USN per la notifica e/o il trasferimento".

In una sezione dedicata alle sfide e ai limiti incontrati nella conduzione della valutazione della salute pubblica, sono state fatte le seguenti considerazioni:

In quanto ospite in una nazione ospitante, la capacità dell'USN di eseguire una valutazione completa dei rischi per la salute umana su proprietà private italiane o affittate dall'USN, come farebbe negli Stati Uniti, era estremamente limitata. Inoltre, la capacità dell'USN di condurre la PHE è stata influenzata dalle migliaia di siti di rifiuti, sia identificati che non identificati, nella regione Campania per i quali l'USN non disponeva di dati sulle sostanze chimiche o sulle loro concentrazioni. Sono necessarie ulteriori indagini da parte delle agenzie di regolamentazione ambientale italiane per documentare la natura e l'estensione della contaminazione ambientale.

Tra gli altri esempi di sfide e incertezze significative, il rapporto elenca l'influenza dei gruppi criminali organizzati sull'industria dello smaltimento dei rifiuti.

33 .  Il 24 settembre 2012 è stato istituito un registro tumori per le province di Napoli e Caserta con Decreto n. 104 del Presidente della Giunta regionale della Campania. Tale registro aveva lo scopo di istituire un sistema integrato di monitoraggio sanitario-ambientale al fine di valutare, senza indugio, la necessità di proteggere la popolazione dai rischi ambientali .

34 .  Con Decreto Ministeriale del 26 novembre 2012, il Ministro dell'Interno ha previsto la nomina di un Vice Prefetto con il compito di coordinare le iniziative esistenti, di fornire supporto alle Prefetture e agli enti locali della regione e di fungere da collegamento tra le forze dell'ordine e i diversi soggetti coinvolti nelle attività di contrasto alle pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti. Il Viceprefetto che assumerà questo ruolo sarà indicato come il Funzionario delegato per il fenomeno dell'incenerimento dei rifiuti nella regione Campania (L'incaricato per il fenomeno dei roghi di rifiuti nella regione Campania - "il Funzionario delegato").

35 . Il 5 febbraio 2013, la quinta Commissione parlamentare d'inchiesta istituita ai sensi della legge 6 febbraio 2009, n. 6, ha pubblicato una relazione in cui criticava il "disastro ambientale" in atto nella città di Napoli e in parte della regione Campania, ritenendolo un fenomeno di impatto storico "paragonabile solo alla diffusione della peste nel XVII secolo" (p. 792 della relazione).

Per quanto riguarda più specificamente l'incenerimento illegale dei rifiuti, la Commissione d'inchiesta ha ricordato le dichiarazioni rilasciate nel 2012 dal Presidente della Provincia di Caserta, secondo cui questo fenomeno aveva un duplice impatto, ovvero (i) una riduzione della qualità della vita; e (ii) un pericoloso aumento dei casi di cancro, questione ancora più preoccupante ed evidente dai dati statistici (p. 144 della relazione). La commissione d'inchiesta ha sottolineato che solo il 20% dei pneumatici è stato smaltito in modo legale (p. 144 del rapporto) e che, di conseguenza, la distruzione del restante 80% (bruciato illegalmente) ha comportato, tra gli altri problemi, la dispersione di diossina nell'atmosfera, con una grave minaccia per la salute. A titolo di esempio, la commissione d'inchiesta ha rilevato che nel sito di Calabricito (comune di Acerra) il livello di diossina nel 2006 era 100.000 volte superiore al limite consentito dalla legge (relazione sulla regione Campania, approvata il 26 gennaio 2006, pag. 53).

Nella stessa relazione del 2013, la commissione d'inchiesta ha rilevato che il problema ha origine nelle attività svolte a partire dagli anni '80 da gruppi criminali organizzati. Citava un'indagine, avviata già nel 1992 dalla Procura di Napoli, che aveva trovato le prove che, in un periodo di quattro anni, erano state smaltite illegalmente cinquecentomila tonnellate di rifiuti. Affermava che il "massacro" ambientale (scempio) non era cessato negli anni successivi e che si erano prodotti danni incalcolabili e irreversibili, soprattutto in considerazione del trasferimento di sostanze inquinanti dall'ambiente alla catena alimentare, senza che fosse possibile, alla data di redazione del rapporto, stabilire con certezza gli effetti sulla salute pubblica (p. 15 del rapporto 2013).

36 .  Il 29 aprile 2013 l'ARPAC ha adottato una serie di "Linee guida per la rimozione dei rifiuti abbandonati". Esse contengono istruzioni sull'identificazione, la classificazione e la rimozione dei rifiuti su proprietà pubbliche e private, nonché sulle misure da adottare in seguito alla rimozione, come gli interventi per dissuadere futuri abbandoni (ad esempio, recinzione del terreno in questione, installazione di telecamere a circuito chiuso e pattugliamento dell'area da parte delle forze dell'ordine).

37 .  Il 10 giugno 2013 il Presidente del Senato italiano ha autorizzato l'avvio di un'indagine da parte della 12a Commissione (Igiene e Sanità) del Senato sull'inquinamento ambientale e il suo impatto sui tassi di tumori, sulle malformazioni feto-neonatali e sull'epigenetica nell'area geografica della Regione Campania denominata Terra dei Fuochi (p. 3 della relazione 2018 della 12a Commissione). Lo studio è nato dall'esigenza di tutelare la salute di una vasta popolazione, esposta per anni a contaminanti ambientali smaltiti illegalmente, e si proponeva, tra gli altri obiettivi, di comprendere le varie e complesse sfaccettature del cosiddetto "fenomeno Terra dei Fuochi".

38 .  L'11 luglio 2013 è stato firmato un Accordo per la Terra dei Fuochi (Patto per la Terra dei Fuochi) tra la Regione Campania, le Province e le Prefetture di Napoli e Caserta, ottanta Comuni interessati dall'incenerimento illegale dei rifiuti, l'ARPAC, le ASL e alcune organizzazioni ambientaliste (tra cui Legambiente). In base a questo accordo, la Regione Campania ha stanziato 5 milioni di euro (euro) per finanziare progetti volti a contrastare la combustione illegale dei rifiuti. Le prefetture si sono impegnate a sviluppare un piano di monitoraggio del territorio e i Comuni si sono impegnati a rimuovere i rifiuti abbandonati nelle strade e nelle aree pubbliche, in linea con le linee guida sviluppate dall'ARPAC (cfr. paragrafo 36).

39 .  Il 25 ottobre 2013 la Regione Campania ha approvato un piano di decontaminazione regionale ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006.

40 .  Il 31 ottobre 2013 il Presidente della Camera dei Deputati ha declassificato le dichiarazioni rese da C. S. il 7 ottobre 1997 (cfr. paragrafo 12), in cui aveva informato il Parlamento italiano dell'esistenza di un fenomeno su larga scala di interramento e scarico sistematico di rifiuti pericolosi, che aveva avuto luogo almeno dal 1988. C.S. ha dichiarato che le prove di queste pratiche di traffico e interramento di rifiuti sono state messe a disposizione delle forze dell'ordine a partire dal 1993. Ha inoltre descritto come i gruppi criminali organizzati smaltissero rifiuti di varia provenienza, da quelli domestici di alcuni comuni campani le cui discariche erano piene, a quelli industriali provenienti dal Nord Italia e dall'estero. Come esempio di come venivano smaltiti i rifiuti, C.S. ha descritto come nel 1988 la costruzione di un'autostrada tra Caserta e il litorale Domizio-Flegreo avesse fornito l'opportunità di riempire circa 240 ettari di terreno scavato con rifiuti pericolosi di diversa provenienza. Ha descritto come le buche fossero spesso scavate a una profondità tale da raggiungere le falde acquifere. La quinta Commissione parlamentare d'inchiesta ha notato che la declassificazione delle dichiarazioni di C.S. è stata ampiamente riportata dai media (p. 258 della relazione del 28 febbraio 2018).

41 .  Il 28 novembre 2013 la Regione Campania ha adottato un "Piano di monitoraggio straordinario sugli alimenti prodotti nella cosiddetta area Terra dei Fuochi". Il piano prevedeva il campionamento di prodotti animali e vegetali, tra cui ortaggi, latte, uova, carne, foraggi e sementi prodotti in 120 comuni della regione Campania, e l'analisi di tali prodotti per la ricerca di contaminanti.

42 .  Il 9 dicembre 2013 il Consiglio regionale della Campania ha adottato la Legge regionale n. 20, intitolata "Misure straordinarie per la prevenzione e il contrasto dell'abbandono e dell'incenerimento illecito dei rifiuti". Tra le altre misure, la legge prevedeva che i Comuni dovessero istituire, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, i registri delle aree interessate dall'abbandono e dall'incenerimento dei rifiuti. Tali registri dovevano essere aggiornati ogni sei mesi. La legge prevedeva inoltre che le aree identificate in tali registri non potessero essere utilizzate, tra l'altro, per scopi agricoli, turistici o commerciali fino a quando non fosse stata dimostrata, sulla base di analisi effettuate da laboratori accreditati, l'assenza di rischi per la salute o l'ambiente.

43.  Il 10 dicembre 2013 è stato emanato il decreto legge n. 136, poi convertito nella legge n. 6 del 2014, ("decreto legge n. 136 del 2013"). Esso ha introdotto una serie di misure urgenti volte a fronteggiare quella che nel suo preambolo viene definita un'emergenza ambientale nella Regione Campania. Questo strumento è spesso indicato come Decreto Terra dei Fuochi. Nei documenti ufficiali pubblicati dalla Camera dei Deputati e che ne riassumono le disposizioni, lo strumento viene descritto come l'introduzione di disposizioni per affrontare una "grave emergenza ambientale" in alcune parti delle province di Napoli e Caserta, in un'area denominata Terra dei Fuochi. Il decreto legge ha incaricato le autorità competenti di mappare i terreni agricoli della Regione Campania, al fine di individuare l'eventuale presenza di contaminazioni legate a discariche, interramenti e roghi illegali di rifiuti. Ha inoltre istituito il reato di combustione illecita di rifiuti e ha introdotto una serie di disposizioni relative al monitoraggio ambientale, alle misure di sicurezza e decontaminazione e alle azioni da intraprendere nell'ambito della tutela della salute (cfr. paragrafi 103-109).

44 .  Il 10 dicembre 2013 la Commissione europea ha presentato un ulteriore ricorso alla Corte di giustizia, questa volta per inadempimento ai sensi dell'articolo 260 § 2 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) (causa n. C-653/13) a causa della mancata adozione da parte dell'Italia di tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Italia (n. C-297/08).

45 .  Il 23 dicembre 2013 è stata emanata una direttiva interministeriale ai sensi del decreto legge n. 136 del 2013. Essa conteneva istruzioni su come effettuare la mappatura e le indagini tecniche previste dal decreto legge sopra citato. Essa ha istituito un Gruppo di lavoro con il compito di individuare i terreni contaminati dallo scarico e dallo smaltimento illecito di rifiuti nella Regione Campania, di elaborare un modello scientifico per la classificazione delle aree ispezionate in base al loro livello di inquinamento e, infine, di redigere relazioni con i risultati delle indagini e proposte sulle misure da adottare (si veda il successivo paragrafo 111). La direttiva indicava anche cinquantasette comuni delle province di Napoli e Caserta in cui tali indagini dovevano essere svolte in via prioritaria (si veda l'elenco nell'Allegato II).

46.  Il 10 marzo 2014 il Gruppo di lavoro ha pubblicato un rapporto che classificava gli appezzamenti di terreno per i quali dovevano essere condotte le indagini in cinque categorie di "rischio presunto" (si veda il paragrafo 112 di seguito).

47 .  L'11 marzo 2014 un decreto interministeriale ha individuato gli appezzamenti di terreno nei cinquantasette comuni elencati nel decreto interministeriale del 12 dicembre 2013 (cfr. paragrafo 45) che dovevano essere sottoposti a campionamento e analisi. La priorità doveva essere data ai terreni classificati nelle categorie di "rischio presunto" più elevate, ossia le categorie da 5 a 2b (cfr. paragrafo 112 di seguito). In attesa del completamento delle analisi relative a ciascuno di questi appezzamenti, il decreto vietava la vendita di prodotti provenienti da qualsiasi terreno appartenente a queste ultime categorie.

48.  Nel 2014 i diversi enti che compongono il Gruppo di lavoro, tra cui l'ARPAC, l'Università di Napoli e l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ("l'IZSM"), hanno avviato campionamenti e altre attività tecniche nei rispettivi ambiti di competenza. Le indagini sono iniziate nelle aree identificate come appartenenti alle categorie a più alto "rischio presunto" (si veda il successivo paragrafo 112).

49 .  Il 16 aprile 2014 una direttiva interministeriale ha nominato altri trentuno comuni delle province di Napoli e Caserta in cui si sarebbero dovute svolgere le indagini dirette (si veda l'elenco nell'Allegato II).

50.  Il 12 maggio 2014 l'ARPAC ha iniziato le attività di campionamento previste dal Piano di monitoraggio straordinario (cfr. paragrafo 42).

51 .  Nel luglio 2014 sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science of the Total Environment i risultati di uno studio di biomonitoraggio intitolato "Priority persistent contaminants in residents of critical areas of the Campania Region, Italy". Lo studio ha analizzato se il fatto di vivere in aree degradate dal punto di vista ambientale nelle province di Caserta e Napoli avesse un impatto sull'esposizione degli abitanti a contaminanti persistenti altamente tossici (tra cui le policlorodibenzodiossine (PCDD), i policlorodibenzofurani (PCDF) e i policlorobifenili (PCB, diossina-simili e non), l'arsenico (As), il cadmio (Cd), il mercurio (Hg) e il piombo (Pb)). A tal fine sono stati analizzati il sangue, il siero sanguigno e il latte umano per questi contaminanti in un certo numero di volontari altrimenti sani. Sebbene le concentrazioni dei contaminanti elencati nel sangue siano risultate compatibili con i valori attualmente accettati nei Paesi europei e nel resto d'Italia, i seguenti comuni sono stati segnalati - sulla base di valori relativamente più elevati dei biomarcatori - come meritevoli di attenzione per interventi orientati alla salute: Brusciano e Caivano (As), Giugliano (Hg), Pianura (PCDD e PCDF) e Qualiano-Villaricca (As, Hg).

52 .  Nel 2015 la Regione Campania ha lanciato il "progetto QR Code", un sistema di certificazione della sicurezza alimentare accessibile ai consumatori. Le aziende che hanno scelto di aderire al progetto hanno accettato che i loro prodotti fossero testati dall'IZSM. A questo punto, sull'etichetta del prodotto è stato apposto un codice QR , che i consumatori hanno potuto scansionare con il proprio smartphone per ottenere informazioni sul prodotto, compresi i risultati delle analisi per rilevare la presenza di contaminanti.

53 .  Il 10 febbraio 2015 Legambiente ha pubblicato un rapporto incentrato sullo stato di avanzamento del fenomeno Terra dei Fuochi ("Terra dei Fuochi: a che punto siamo?").

Ha riferito che, a un anno dall'entrata in vigore del decreto legge n. 136 del 2013, i progressi nell'attuazione sono stati lenti; sono state effettuate poche analisi del suolo e delle acque sotterranee e non sono state svolte attività di decontaminazione nei comuni della Terra dei Fuochi. Ha notato che il fenomeno dell'incenerimento dei rifiuti era in corso e ha riferito che altre pratiche illegali di smaltimento dei rifiuti persistevano. Ha inoltre citato i risultati di studi epidemiologici secondo i quali, tra l'altro, c'era un eccesso di mortalità e di ospedalizzazione per diversi tipi di cancro nella popolazione residente negli oltre cinquanta comuni della Terra dei Fuochi ufficialmente identificati. I rischi per la salute legati alle pratiche illegali di gestione dei rifiuti sono sempre più evidenti e occorre intervenire con urgenza.

Ha inoltre riferito che, dal 1991 alla data di redazione, sono state avviate ottantadue indagini penali sullo smaltimento illegale di rifiuti nell'area della Terra dei Fuochi da parte di gruppi criminali organizzati delle province di Napoli e Caserta.

54 .  Il 12 febbraio 2015 un decreto interministeriale ha individuato specifici appezzamenti di terreno nei trentuno comuni elencati nella direttiva interministeriale del 16 aprile 2014 (cfr. paragrafo 49) che dovevano essere sottoposti a campionamento e analisi. In attesa del completamento delle analisi in ciascuno di questi appezzamenti, il decreto ha vietato la vendita di prodotti provenienti da qualsiasi terreno delle categorie interessate.

Il decreto elencava inoltre gli appezzamenti di terreno che, in base ai risultati dei test effettuati nella prima serie di comuni (si veda il paragrafo 47), non potevano essere utilizzati per scopi agricoli, quelli idonei all'agricoltura e quelli che potevano essere utilizzati solo per alcuni tipi di produzione agricola (si veda il paragrafo 112).

55 .  Nel giugno 2015 la Regione Campania ha lanciato il "Programma Integrato di Monitoraggio Campania Trasparente", guidato dall'IZSM, finalizzato a ottenere dati sull'esposizione umana agli inquinanti su scala regionale e a promuovere una "cultura della trasparenza" negli ambiti della sicurezza alimentare e dell'ambiente. L'IZSM (in collaborazione con l'ARPAC, la task force interministeriale Terra dei Fuochi, i dipartimenti competenti delle università della regione, il CNR e l'Agenzia per la tecnologia, l'energia e lo sviluppo sostenibile) ha avviato un programma di rilevamento dell'inquinamento ambientale nella regione, attraverso il campionamento di suolo, acqua, aria, alimenti di origine animale e vegetale e fauna selvatica.

56 .  Il 16 luglio 2015 la Corte di giustizia ha emesso la sentenza nel procedimento avviato dalla Commissione il 10 dicembre 2013 (Commissione/Italia, C-653/13, EU:C:2015:478; si veda il successivo paragrafo 173). In tale sentenza la Corte di giustizia ha osservato che l'obbligo di smaltire i rifiuti senza mettere in pericolo la salute umana e senza recare pregiudizio all'ambiente rientra nella finalità stessa della politica dell'Unione in materia ambientale, in virtù dell'articolo 191 TFUE. In particolare, l'inosservanza degli obblighi derivanti dall'articolo 4 della direttiva 2006/12 era suscettibile, per la natura stessa di tali obblighi, di mettere direttamente in pericolo la salute umana e di danneggiare l'ambiente e doveva pertanto essere considerata particolarmente grave. Ha ritenuto che le significative carenze nella capacità della Regione Campania di smaltire i propri rifiuti, compresa la produzione di rifiuti urbani, fossero tali da compromettere seriamente la capacità della Repubblica italiana di raggiungere l'obiettivo dell'autosufficienza nazionale (si veda la sentenza Commissione/Italia, no. C-297/08, EU:C:2010:115, punto 70). Inoltre, ha osservato che molte discariche in quasi tutte le regioni italiane non erano ancora state adeguate alle disposizioni in materia di gestione dei rifiuti.

57 . Nel settembre 2015 l'Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un altro studio , dal titolo "Mortalità, ospedalizzazione e incidenza tumorale nei Comuni della Terra dei Fuochi in Campania (relazione ai sensi della Legge 6/2014)", realizzato in applicazione dell'articolo 1 § 1 bis della Legge n. 6 del 2014. In questo studio l'Istituto Superiore di Sanità ha verificato il tasso di mortalità, il tasso di tumori e il livello di morbilità nei 55 comuni elencati nella Direttiva interministeriale del 23 dicembre 2013 (ad eccezione delle città di Napoli e Caserta; si veda l'Allegato II), sulla base dei dati di ospedalizzazione relativi all'esposizione della popolazione ai contaminanti inquinanti. La ricerca ha evidenziato tassi di mortalità e di ospedalizzazione eccessivi per entrambi i sessi a causa di malattie che potrebbero essere state causate, tra l'altro, dall'esposizione alle discariche abusive e alla combustione illegale di rifiuti.

Questo studio rientrava nel progetto "Sentieri" (Studio Epidemiologico Nazionale del Territorio e degli Insediamenti Esposti a Rischio Inquinamento), avviato nel 2007 sotto il coordinamento dell'Istituto Superiore di Sanità con l'obiettivo di valutare il profilo di salute delle popolazioni residenti nelle aree dei "Siti di interesse nazionale per la decontaminazione" (si veda il successivo paragrafo 120).

58 .  Il 21 ottobre 2015 il funzionario delegato (cfr. paragrafo 34) ha testimoniato alla quinta Commissione parlamentare d'inchiesta. Nella sua dichiarazione, il funzionario delegato ha evidenziato che l'incenerimento illegale dei rifiuti in questione era un fenomeno complesso e sfaccettato alimentato da una varietà di fattori. Ha sottolineato che i rifiuti bruciati illegalmente comprendono, da un lato, i rifiuti urbani e, dall'altro, i rifiuti speciali provenienti da attività industriali. La popolazione residente nelle aree interessate è sempre più preoccupata per i fumi maleodoranti sprigionati dagli incendi, che interessano un'area di circa 1.000 chilometri quadrati, comprendente diverse zone delle province di Napoli e Caserta.

Per quanto riguarda il primo tipo di rifiuti, ha osservato che le aree in questione sono caratterizzate da carenze nella gestione del ciclo di smaltimento dei rifiuti urbani. Tuttavia, anche nelle aree in cui la raccolta differenziata dei rifiuti urbani è aumentata e la capacità di smaltirli è migliorata, permane il problema dei cittadini che, per evitare gli obblighi di raccolta differenziata, scelgono di abbandonare i sacchi di rifiuti in aree remote, spesso lasciandoli nei Comuni che non hanno introdotto tali obblighi.

Per quanto riguarda il secondo tipo di rifiuti, ha osservato che nell'area in questione vi erano industrie tessili e conciarie che spesso producevano merci contraffatte. Questo significa che producevano merci illegalmente e non potevano smaltire i loro rifiuti di produzione in modo legale, e quindi ricorrevano a mezzi illegali, come l'incenerimento. Ha osservato che l'area è anche caratterizzata dall'abusivismo edilizio, che porta allo smaltimento illegale e all'incenerimento dei rifiuti provenienti dai cantieri. Per quanto riguarda i rifiuti provenienti dalle attività agricole, ha fatto riferimento all'esistenza di cumuli di teli di plastica e all'incenerimento di container.

Inoltre, il funzionario delegato ha notato con preoccupazione che i rifiuti vengono ancora stoccati in quelli che dovrebbero essere siti di stoccaggio temporaneo creati per far fronte alla crisi dei rifiuti. Ha citato come esempio 5 milioni di tonnellate di balle di rifiuti stoccate a Giugliano e Villa Literno, che teme possano diventare oggetto di attività di incenerimento illegale. Tali siti devono essere monitorati per evitare conseguenze potenzialmente gravi.

59 .  Nei mesi di novembre e dicembre 2015 la Regione Campania ha adottato un programma per la rimozione, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti stoccati in balle in vari siti delle cinque province della Regione, ai sensi del Decreto Legge n. 185 del 15 novembre 2015 (denominato anche "Programma straordinario di rimozione delle balle di rifiuti"). Secondo la descrizione del programma pubblicata dalla Regione Campania, le grandi quantità di rifiuti stoccati nelle balle stavano determinando condizioni inaccettabili nelle aree di stoccaggio e rendevano indispensabile provvedere senza indugio allo smaltimento di tali rifiuti. La necessità di rimuovere questo tipo di rifiuti è stata considerata particolarmente urgente in quella che è stata definita l'area della Terra dei Fuochi, già interessata da pratiche illegali di smaltimento e incenerimento dei rifiuti, con conseguenze pericolose per l'ambiente e la salute pubblica. Il programma prevedeva una serie di azioni finalizzate al trasporto di parte dei rifiuti in impianti fuori regione, sia in Italia che in altri Paesi dell'Unione Europea, e delineava azioni finalizzate allo smaltimento della restante parte all'interno della regione. A quest'ultimo proposito, il programma prevedeva di adattare gli impianti esistenti e di aumentarne il numero per soddisfare le esigenze di trattamento, recupero e smaltimento.

60 .  Il 10 dicembre 2015 una direttiva interministeriale ha elencato altri due comuni delle province di Napoli e Caserta in cui si sarebbero svolte le indagini dirette (si veda l'elenco nell'Allegato II).

61 .  Il 26 maggio 2016 è stata adottata la Legge Regionale sul ciclo dei rifiuti (Legge n. 14) ("Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti al fine di disciplinare il ciclo di gestione dei rifiuti in conformità alle priorità stabilite dalle direttive dell'Unione Europea (tra cui la prevenzione attraverso la riduzione della produzione di rifiuti, il riutilizzo e il recupero di materiali e prodotti, nonché lo smaltimento, come sistema residuale e minimo per i rifiuti non trattabili).

62 .  Il 1° giugno 2016 il Commissario straordinario per l'attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del SSR campano ha adottato il Decreto n. 38, che ha introdotto un programma d'azione per l'attuazione delle disposizioni in materia sanitaria della legge n. 6 del 2014 (si veda il successivo paragrafo 107). In una relazione presentata alla XII Commissione (Igiene e Sanità) del Senato nell'ottobre 2017, il Direttore dei servizi tecnico-operativi della Direzione Sanità della Regione Campania ha dichiarato che questo decreto si è reso necessario perché, a quasi due anni dall'emanazione della legge n. 6 del 2014, le sue disposizioni in materia sanitaria non erano ancora state attuate.

Il decreto ha approvato, tra l'altro, un programma d'azione per rafforzare i programmi di screening e prevenzione oncologica e l'attuazione di piani di trattamento diagnostico e terapeutico per i pazienti oncologici nei novanta comuni interessati da discariche e smaltimenti illegali di rifiuti, come individuati dalle direttive interministeriali del 23 dicembre 2013, 16 aprile 2014 e 10 dicembre 2015. Particolare enfasi è stata posta su una serie di "malattie prioritarie", tra cui alcuni tipi di cancro, identificate come tali dall'Istituto Nazionale di Sanità. Sotto il titolo "Assistenza sanitaria di base e Terra dei Fuochi", il programma d'azione prevedeva un ruolo fondamentale per i medici di base nella promozione dell'educazione sanitaria e nel coinvolgimento dei pazienti nei programmi di screening oncologico nei comuni individuati dalle direttive interministeriali. Il programma menzionava anche l'approvazione di un piano regionale per l'incremento delle attrezzature mediche per la diagnosi e la cura dei tumori. Il programma prevedeva inoltre campagne di comunicazione per informare la popolazione target sulla prevenzione, la diagnosi e il trattamento del cancro, con l'obiettivo di aumentare la partecipazione ai programmi di screening oncologico. Infine, il programma ha sottolineato l'importanza di rafforzare la sorveglianza epidemiologica nell'area in questione, in particolare per quanto riguarda i tumori e le malformazioni congenite.

63 .  Nel giugno 2016 l'Istituto Superiore di Sanità e la Procura di Napoli Nord hanno firmato un accordo di collaborazione per la ricerca, finalizzato allo scambio di dati e altre informazioni derivanti dal monitoraggio epidemiologico della popolazione dell'area di Napoli Nord, con un focus specifico sull'eccesso di mortalità, sull'incidenza dei tumori e sull'ospedalizzazione per condizioni mediche i cui fattori di rischio includono l'esposizione (accertata o sospetta) a sostanze inquinanti.

64 .  Il 3 agosto 2016 il comitato etico dell'Istituto Nazionale Tumori (IRCCS) ha approvato uno studio epidemiologico promosso dall'IZSM in collaborazione con l'Università Federico II di Napoli ("SPES - Exposure Study on Vulnerable People"), volto a indagare la relazione tra esposizione a inquinanti ambientali (tra cui Idrocarburi Policiclici Aromatici, diossine e metalli pesanti) e salute nella Regione Campania. Lo studio è partito da una panoramica contestuale, al fine di individuare le fonti di contaminazione e di definire le aree geografiche di interesse come "cluster", che sono state poi classificate in base a un "indice di pressione" ambientale (basso impatto, medio impatto e alto impatto). Il progetto prevedeva poi il biomonitoraggio delle persone che vivono in questi cluster per stimare la loro esposizione, quantificando gli inquinanti in campioni biologici e studiandone gli effetti. La popolazione dello studio era composta da 4.200 soggetti sani di età compresa tra i 20 e i 49 anni che avevano vissuto per almeno cinque anni consecutivi in una serie di comuni identificati. Il personale medico e di ricerca ha raccolto informazioni sulla loro storia clinica e sulle loro abitudini di vita e ha prelevato campioni biologici.

65 .  Il 20 settembre 2016 il Commissario straordinario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale in Campania ha adottato il Decreto n. 98, che ha istituito la Rete Oncologica Regionale.

66 .  Il 10 ottobre 2016 la Giunta regionale della Campania ha adottato un "Piano d'azione per il contrasto del fenomeno delle discariche abusive e dell'incenerimento dei rifiuti" (il "Piano d'azione") con l'obiettivo di rafforzare le azioni per prevenire e far cessare le discariche abusive e l'incenerimento dei rifiuti e contrastare le conseguenze dannose di tali comportamenti.

Il Piano d'azione ha rilevato che, nonostante la riduzione delle segnalazioni di incendi (3.000 tra gennaio e agosto 2012 e 1.300 nello stesso periodo del 2013), la vastità del fenomeno e l'elevato numero di discariche abusive (oltre 3.300 quelle monitorate al momento della stesura del rapporto) rendevano necessarie ulteriori "azioni urgenti" per rafforzare gli sforzi esistenti e nuove iniziative per contrastare in modo più efficace le pratiche illegali.

È stato notato con preoccupazione che i metodi illegali di smaltimento dei rifiuti sono considerati particolarmente diffusi in aree caratterizzate da "un'inadeguata supervisione del territorio da parte delle forze dell'ordine, favorendo un senso generalizzato di impunità". L'incenerimento dei roghi, soprattutto quelli derivanti da processi industriali, era diventato un "normale epilogo" degli atti di scarico illegale. È stato evidenziato che un fenomeno così diffuso e complesso richiedeva una combinazione di misure strutturali in grado di garantire il passaggio da una situazione di emergenza alla normale gestione dei rifiuti nella regione.

Il Piano d'azione prevedeva cinque "azioni" chiave: (1) la creazione di cosiddetti "centri operativi" all'interno di comuni selezionati (si veda la descrizione di seguito); (2) l'individuazione dei rifiuti abbandonati; (3) lo spegnimento degli incendi; (4) la rimozione e il trasporto dei rifiuti abbandonati; (5) la creazione di impianti di ricezione e trattamento dei rifiuti.

Per quanto riguarda i "centri operativi", la loro creazione e gestione è stata affidata a SMA Campania, una società pubblica "in house" di proprietà della Regione Campania. I centri avevano il compito di ricevere, verificare e convalidare i dati e le segnalazioni relative all'abbandono e all'incenerimento dei rifiuti presentate dai vari soggetti presenti sul territorio (vigili del fuoco in squadre appositamente dislocate per tali attività, compreso il personale dell'Esercito e il personale di SMA Campania impiegato per il monitoraggio e la rendicontazione, oltre a privati cittadini). Tutti i dati sono stati registrati ed elaborati attraverso una piattaforma informatica (chiamata "I.TER"), che sarebbe stata utilizzata anche per generare mappe che identificano i siti in cui i rifiuti sono stati scaricati o bruciati. Le segnalazioni di abbandono di rifiuti inserite nel sistema informativo generavano automaticamente avvisi via e-mail, che venivano inviati al Comune di competenza, il quale era tenuto a procedere alla rimozione dei rifiuti. A seconda del tipo di incidente segnalato, veniva allertato anche l'organo di polizia competente. SMA Campania ha inoltre sviluppato un'applicazione che può essere scaricata dai privati cittadini sui loro telefoni e utilizzata per inviare segnalazioni, facendo confluire i dati direttamente nel sistema informativo.

Per quanto riguarda l'individuazione dei rifiuti abbandonati (Azione 2), il piano prevedeva l'installazione di telecamere di sorveglianza, il monitoraggio aereo con l'utilizzo di droni e altri sistemi aerei a pilotaggio remoto, nonché il monitoraggio e la sorveglianza a terra da parte di diversi attori (come le forze dell'ordine, il personale dell'esercito o il personale di SMA Campania), e lo sviluppo di servizi di supporto per i cittadini che desiderano segnalare comportamenti illegali.

Per quanto riguarda lo spegnimento degli incendi (Azione 3), le "azioni" previste sono state il dispiegamento di unità di pronto intervento antincendio e la gestione e lo smaltimento dei rifiuti bruciati da parte di società "in house", dell'ARPAC e di società iscritte all'albo dei gestori ambientali, nel rispetto delle linee guida elaborate dall'ARPAC.

Per quanto riguarda la rimozione e il trasporto dei rifiuti abbandonati (Azione 4), sono state previste le seguenti misure: la stipula di un Accordo Quadro tra Regione, Province, Comuni, altri enti proprietari di terreni ed enti gestori di strade pubbliche. Questo è stato ritenuto un passo fondamentale, per ripartire le responsabilità tra i diversi enti e per snellire e velocizzare la rimozione dei rifiuti, rallentata da "ostacoli amministrativi". Altre azioni hanno riguardato un primo vaglio e imballaggio dei rifiuti "in loco"; il trasporto dalle discariche agli impianti di gestione dei rifiuti e la rimozione dei rifiuti dalle aree di competenza della Regione e nei corsi d'acqua pubblici.

Per quanto riguarda la creazione di strutture di raccolta e trattamento dei rifiuti (Azione 5), come primo passo è stata scelta una revisione e identificazione delle strutture di gestione dei rifiuti esistenti che potrebbero essere adatte a ricevere alcune categorie di rifiuti (pneumatici per auto, rifiuti tessili, rifiuti di produzione agricola...). Il secondo passo doveva essere la creazione di nuove strutture o l'espansione di quelle esistenti.

67 .  Il 16 dicembre 2016 il Consiglio regionale della Campania ha approvato un aggiornamento del Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani e ha individuato una nuova serie di obiettivi da raggiungere entro il 2020, come l'aumento della percentuale di rifiuti domestici differenziati (raccolta differenziata) al 65%, da attuare attraverso iniziative di raccolta porta a porta, l'aumento del numero di centri di raccolta differenziata, lo sviluppo di incentivi per gli utenti del sistema, nonché la sensibilizzazione e la formazione di quest'ultimo gruppo. Il piano prevedeva anche il finanziamento e la costruzione di impianti per il trattamento dei rifiuti compostabili per gruppi di comuni.

68 .  Il 15 marzo 2017 l'IZSM ha pubblicato un Rapporto di attività sul programma di monitoraggio "Campania trasparente" (cfr. paragrafo 55). L'introduzione al rapporto riconosce il fenomeno Terra dei Fuochi, definendolo come "lo scarico incontrollato e irresponsabile di sostanze tossiche e rifiuti di ogni genere, spesso seguito dal loro incenerimento". Il rapporto rileva che questa attività inquinante è stata condotta in modo "sistematico" ed è stata resa possibile da una "catena di negligenze, omissioni e silenzi", a cui si è aggiunta una "tragica impreparazione" delle autorità a fermarla. Ciò ha portato, secondo l'IZSM, a un "vero e proprio disastro ambientale".

La relazione procede poi a descrivere gli obiettivi del programma e la sua struttura organizzativa, la metodologia seguita e la sua concreta attuazione.

Per quanto riguarda il campionamento del suolo, il programma prevedeva il prelievo di 3.300 campioni di topsoil da analizzare per i composti organici e inorganici. Tra le attività previste c'era anche l'analisi della presenza di metalli potenzialmente tossici e l'accertamento delle quantità di tali metalli che potevano essere assorbite dalle piante. Un altro obiettivo era quello di creare una "mappa geochimica" della distribuzione e della concentrazione di composti organici e inorganici. Il rapporto riportava che una prima serie di campioni di suolo superiore (circa 2.000) era stata prelevata e analizzata per rilevare la presenza di contaminanti (tra cui cinquantatré metalli pesanti, IPA e PCB) e che era stata creata una "mappa geochimica" basata sui risultati delle analisi sviluppate. Era prevista anche una seconda fase che prevedeva il campionamento del suolo di fondo, al fine di valutare l'eventuale presenza di percolato nelle acque sotterranee, anche se non sembra essere stata realizzata come indicato nella relazione.

Per quanto riguarda il campionamento dell'acqua, è stato programmato il prelievo di 2500 campioni da pozzi situati nelle sedi di 500 aziende di produzione alimentare della regione, da analizzare per diversi composti organici e inorganici. L'obiettivo era valutare l'inquinamento delle acque sotterranee e sviluppare un geodatabase. Il rapporto indicava che una prima serie di circa 200 campioni era stata prelevata nel gennaio 2017 e che i risultati erano stati illustrati in una "mappa" che identificava le aree problematiche.

Per quanto riguarda il monitoraggio della qualità dell'aria, il programma prevedeva l'installazione di 150 campionatori passivi dell'aria e 50 deposimetri, al fine di rilevare e classificare la presenza di inquinanti organici potenzialmente tossici (IPA, PCB, metalli pesanti e altre sostanze rilevanti). Al momento della stesura del rapporto, nel 2017, non erano ancora disponibili i risultati; è stato dichiarato che è necessario almeno un anno di campionamento continuo per raccogliere dati significativi.

Per quanto riguarda il biomonitoraggio umano, il rapporto fa riferimento allo studio SPES (cfr. paragrafo 64).

69 .  Il 20 giugno 2017 è stato stipulato un protocollo d'intesa tra la Regione Campania, il registro regionale dei tumori infantili, i registri tumori delle ASL di Caserta e Napoli, il servizio epidemiologico delle ASL di Caserta e Napoli-3 Sud, l'IZSM, l'ARPAC e la Procura di S. Maria Capua Vetere, al fine di "adottare strategie congiunte per la valutazione di eventuali rischi per la salute connessi a problematiche ambientali nei comuni di competenza della Procura di S. Maria Capua Vetere".

Il preambolo del Memorandum fa riferimento alle indagini condotte dalla Procura, che avevano rivelato una pratica consolidata e di lunga data di traffico di rifiuti pericolosi e di scarico illegale di rifiuti in aree della provincia di Caserta. Cita inoltre le indagini che hanno confermato la pratica diffusa nelle stesse aree - non solo da parte di gruppi criminali organizzati - dell'incenerimento illegale di rifiuti e dello scarico di rifiuti urbani e industriali nei corsi d'acqua.

Inoltre, sottolinea che gli studi epidemiologici sulla popolazione residente nell'area hanno rivelato tassi di mortalità per cancro più elevati rispetto ad altre aree della stessa regione, e che gli autori di tali studi hanno ipotizzato che i fattori ambientali possano essere una causa contribuente. Ha inoltre sottolineato che i primi studi sul tasso di nuovi casi di cancro sono stati recentemente pubblicati dall'ASL di Caserta e che tali dati possono essere considerati più affidabili come "indicatori di rischio" rispetto a quelli incentrati solo sulla mortalità. Infine, ha ritenuto che gli studi disponibili fossero tutti di natura trasversale e non in grado di stabilire una relazione causale diretta tra le fonti di rischio e il cancro. Da qui la necessità di una cooperazione tra i firmatari per indagare il rischio di malattie cronico-degenerative e di cancro e i "crimini ambientali" nell'area in questione.

70 .  Il 2 ottobre 2017 è stato firmato un ulteriore protocollo d'intesa tra la Regione Campania e Invitalia (l'"Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa", società pubblica di cui il Ministero dell'Economia è socio unico), al fine di accelerare l'attuazione degli interventi di decontaminazione/bonifica e messa in sicurezza delle aree di "particolare complessità" individuate nel PRB (cfr. paragrafo 23). Le azioni elencate comprendevano interventi per la messa in sicurezza della falda acquifera nella zona "Area Vasta Lo Uttaro"; la classificazione ambientale di altre "Aree Vaste" in vista della loro decontaminazione; la rimozione dei rifiuti rimanenti in quattordici siti di stoccaggio temporaneo; l'analisi dei sedimenti in tali aree.

71 .  Il 9 ottobre 2017 il Direttore dei Servizi Tecnici e Operativi della Direzione Sanità della Regione Campania ha presentato una relazione alla XII Commissione (Igiene e Sanità) del Senato riguardante, tra l'altro, lo stato di attuazione delle disposizioni in materia sanitaria della legge n. 6 del 2014 al giugno 2016 (si veda il successivo paragrafo 107). Ha riferito che a marzo 2017 è stato istituito un Gruppo di lavoro Terra dei Fuochi, coadiuvato da un'équipe scientifica, con l'obiettivo di creare una rete interistituzionale, che riunisca tutti gli attori istituzionali che a vario titolo si occupano del problema Terra dei Fuochi e che monitori le attività svolte da tali attori. È stato creato un sottogruppo tecnico, che riunisce i responsabili dei Registri Tumori delle ASL, i responsabili dei Servizi di Epidemiologia e il Dipartimento di Scienze Mediche e Preventive dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, con l'obiettivo, tra l'altro, di avviare uno studio di georeferenziazione; l'obiettivo era quello di attivare allarmi geografici o epidemiologici laddove si riscontrasse una particolare concentrazione di casi di tumore in specifiche aree geografiche. Lo studio prevedeva anche l'incrocio dei dati resi disponibili dall'ARPAC, delle cartelle cliniche e dei dati di mortalità.

Ha ricordato che le Asl dei Comuni colpiti dal fenomeno Terra dei Fuochi hanno ricevuto finanziamenti specifici per attuare le misure sanitarie previste dal Decreto n. 38 del Commissario straordinario (cfr. paragrafo 62). 38 del Commissario straordinario (cfr. paragrafo 62).

È in corso di realizzazione una piattaforma informatica (SANIARP) per monitorare e gestire lo screening dei tumori da parte di tutte le autorità sanitarie locali della regione. Il Direttore ha anche fornito una panoramica delle misure previste per rafforzare lo screening dei tumori.

72.  Il 28 dicembre 2017 la Giunta regionale della Campania ha emanato la delibera n. 831, che ha aggiornato il (secondo) Piano regionale di decontaminazione del 2013 (cfr. paragrafo 39).

73 . Il 10 gennaio 2018 la 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato italiano ("Commissione del Senato") ha pubblicato la sua relazione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'inquinamento ambientale e i suoi effetti sull'incidenza dei tumori, delle malformazioni feto-neonatali ed epigenetica, avviata dal Presidente del Senato il 10 giugno 2013 (cfr. paragrafo 37).

La Commissione del Senato ha rilevato che l'IZSM ha descritto la situazione della Terra dei Fuochi come un fenomeno "irresponsabile" e "incontrollato" relativo allo scarico e all'incenerimento di sostanze tossiche e di ogni forma di rifiuto. Secondo l'IZSM, questa attività inquinante "criminale" e "sistematica" è stata determinata, da un lato, da una catena di negligenze, omissioni e silenzi e, dall'altro, da una totale impreparazione delle autorità a prevenire il fenomeno, e ha portato a un vero e proprio disastro ambientale (p. 7 del rapporto).

La Commissione del Senato ha descritto, riferendosi in particolare all'area del litorale domizio-flegreo e all'agro di Aversa, come tonnellate di rifiuti speciali siano state scaricate, nel corso di molti anni, in discariche abusive in aree agricole, in alcuni corsi d'acqua e in cave. Ha rilevato che i rifiuti di molte di queste discariche abusive sono stati incendiati, rilasciando enormi quantità di idrocarburi policiclici aromatici e diossine, che il Comitato ha definito sostanze con noti effetti nocivi sulla salute. Il Comitato ha notato che questa situazione ha indotto le autorità a includere l'area nell'elenco dei "siti di interesse nazionale" (cfr. paragrafo 120) che richiedono un'urgente decontaminazione (cfr. pag. 35 del rapporto).

Ha inoltre rilevato la specificità del fenomeno Terra dei Fuochi, soprattutto alla luce dei seguenti aspetti (pagg. 11-14 del rapporto):

- il problema non riguardava un numero limitato di fonti di inquinamento facilmente identificabili e con caratteristiche note; al contrario, si trattava di un fenomeno particolarmente complesso, data la molteplicità delle fonti di inquinamento, che si differenziavano per:

           -loro tipologia: dumping, scarico o interramento e combustione illegale di rifiuti speciali pericolosi, la cui composizione chimica variava notevolmente;

           -loro dimensioni: le discariche illegali erano distribuite su aree che variavano da meno di 1.000 m2 a più di 10.000 m2;

           -loro località: i siti erano distribuiti in modo disomogeneo nelle aree in questione.

           -i vari siti si differenziano per diversi aspetti:

           -la varietà di inquinanti, che spesso coesistevano in un'unica zona;

           -la varietà di elementi interessati dall'inquinamento (aria, suolo, acqua);

           -i diversi modi in cui le sostanze inquinanti si sono diffuse e, di conseguenza, i diversi modi in cui le persone sono entrate in contatto con esse;

           -la difficoltà di identificare le popolazioni a rischio.

La Commissione del Senato ha ritenuto che, tenuto conto di queste specificità, la valutazione epidemiologica fosse significativamente più complessa rispetto ad altre aree inquinate, come quella di Taranto, in cui le fonti di inquinamento erano note e più limitate nel numero e caratterizzate da specifiche proprietà chimiche e fisiche e da una popolazione a rischio facilmente identificabile.

Secondo il rapporto, l'elenco dei comuni individuati nella legislazione e nei decreti era stato redatto sulla base di presunzioni, ma ciò non significava che alcune aree non incluse nell'elenco non fossero interessate dal fenomeno dell'inquinamento (p. 51 del rapporto).

La Commissione del Senato ha anche affermato che quando è stata istituita (nel 2013), e anche in parte quando è stata preparata la sua relazione nel 2018, le autorità non avevano ancora raccolto dati sufficienti sull'impatto di questo inquinamento sull'ambiente e sulla salute pubblica.

La Commissione ha inoltre osservato che la sua indagine ha mostrato che le autorità hanno iniziato solo di recente a valutare la portata critica della situazione, di cui erano ben informate, e a programmare e realizzare azioni preventive, con notevole ritardo (p. 3 della relazione). La Commissione del Senato ha inoltre richiamato l'attenzione sul ritardo con cui è stata riconosciuta la gravità del fenomeno, soprattutto per quanto riguarda i rischi per la salute e la necessità di adottare misure per la diagnosi dei tumori tra i gruppi di popolazione interessati (p. 7 della relazione).

La Commissione del Senato ha inoltre evidenziato come il fenomeno Terra dei Fuochi abbia dimostrato l'importanza di sviluppare una rigorosa metodologia interdisciplinare, da condividere tra i diversi attori istituzionali coinvolti nell'affrontare il problema, e la relativa necessità di evitare analisi frammentate e parcellizzate del fenomeno e delle azioni per affrontarlo (p. 8 della relazione).

Dalla relazione emerge che i dati statistici sui roghi illegali di rifiuti sono stati raccolti a partire dal 2012. Secondo tali dati, nel 2012 sono stati condotti 3.984 interventi antincendio per spegnere roghi causati dalla combustione illegale di rifiuti nelle province di Napoli e Caserta, contro i 2.835 del 2013, i 2.531 del 2014, i 2.026 del 2015, i 1.814 del 2016 e i 1.442 del 2017.

Il Comitato ha inoltre richiamato l'attenzione sul ruolo importante e meritorio svolto dalle ONG e dalle associazioni della comunità che hanno denunciato e sensibilizzato i comportamenti illegali in questione e i danni all'ambiente e alla salute umana.

74 .  Il 28 febbraio 2018 la sesta Commissione parlamentare d'inchiesta ha pubblicato una relazione incentrata sulla regione Campania. La relazione includeva un capitolo su quella che definiva la nuova emergenza Terra dei Fuochi. La relazione spiegava che la scelta del termine "nuova" rifletteva il fatto che continuavano ad emergere informazioni sul fenomeno dell'inquinamento in questione, che era in continua evoluzione. Ad esempio, si ottengono informazioni dai risultati delle attività di analisi, oppure le indagini portano alla luce nuovi siti utilizzati per seppellire o scaricare rifiuti, rinnovando così il carattere di "emergenza" del problema, che sembra non avere mai fine. La commissione ha evidenziato la complessità del fenomeno, che interessa aree della Campania da lungo tempo. Ha sottolineato la difficoltà di cogliere tale complessità in una descrizione unitaria e completa, a fronte di una molteplicità di fonti e di informazioni frammentarie e incomplete. Inoltre, le condotte illecite che hanno dato origine al fenomeno non potevano essere attribuite a un'unica fonte. A titolo di esempio, la commissione ha osservato che le indagini sull'interramento dei rifiuti hanno rivelato il coinvolgimento di gruppi criminali organizzati, ma anche cause non correlate.

La gestione del problema coinvolge diverse entità dell'apparato statale e una combinazione di competenze tecniche, scientifiche, amministrative e giudiziarie.

La Commissione ha ritenuto che l'adozione del decreto legge n. 136 del 2013 e della legge n. 6 del 2014 indicasse una gradita "mobilitazione" da parte delle autorità, con un'attenzione specifica al problema della Terra dei Fuochi e un tentativo di affrontare i diversi aspetti che compongono questo fenomeno.

Il lavoro svolto dal Gruppo di lavoro per la mappatura e l'analisi dei contaminanti sui terreni agricoli (cfr. paragrafo 111) è stato elogiato, in quanto ha fornito un'istantanea ufficiale delle aree interessate dal fenomeno dell'inquinamento in questione e ha identificato le aree non idonee alla produzione agricola. Allo stesso tempo, la Commissione ha espresso preoccupazione per il fatto che il Gruppo di lavoro sia stato costretto, senza alcuna colpa, a condurre una valutazione concreta della contaminazione (con l'obiettivo di classificare le aree ispezionate in base al loro livello di inquinamento) senza alcun regolamento che stabilisca i parametri e le procedure pertinenti per i terreni agricoli. L'emanazione di tale strumento era stata infatti prevista dalla legge nel 2006 (si veda il successivo paragrafo 123) e ribadita ancora una volta nel 2014 (si veda il successivo paragrafo 106). Secondo la Commissione, ciò potrebbe aver portato a sottovalutare il rischio in alcuni casi e a sovrastimarlo in altri. Il rapporto rilevava inoltre che il Gruppo di lavoro non aveva ancora completato i suoi compiti, in quanto l'identificazione degli appezzamenti di terreno appartenenti alla presunta categoria di rischio 2d (terreni circostanti gli impianti di smaltimento/trattamento dei rifiuti, le discariche e le aree interessate dalla combustione dei rifiuti) era ancora in corso. Un altro motivo di preoccupazione nell'affrontare il problema della Terra dei Fuochi era la condizione di difficoltà finanziaria in cui versano molti comuni delle province di Napoli e Caserta. Secondo la Commissione, ciò rendeva difficile per alcuni comuni far rispettare il divieto di attività agricole imposto a seguito delle attività di indagine del Gruppo di lavoro.

Affinché le misure di prevenzione e protezione siano efficaci, gli sforzi di monitoraggio e gli impegni finanziari devono essere estesi a tutte le aree interessate dallo smaltimento illegale dei rifiuti, e non concentrarsi solo su quelle identificate come terreni agricoli.

Per quanto riguarda lo stato di avanzamento delle attività di decontaminazione nella Regione Campania, la Commissione ha osservato che, nonostante la grande quantità di informazioni fornitele da varie fonti, vi erano delle lacune su aspetti fondamentali. Ciò ha reso difficile per la Commissione ottenere un quadro obiettivo e aggiornato della situazione (pag. 641 del rapporto). La Commissione ha sottolineato che le informazioni ricevute erano spesso frammentarie e non aggiornate, e venivano presentate da diverse entità con responsabilità sovrapposte, le cui sfere d'azione a volte non erano del tutto chiare.

La Commissione ha inoltre osservato che, per quanto riguarda la decontaminazione dei siti identificati come "di interesse nazionale" (si veda il successivo paragrafo 120), i progressi sono stati molto lenti: a più di quindici anni dall'identificazione di tali siti, e nonostante un accordo firmato nel 2007 che avrebbe dovuto dare impulso alle attività di decontaminazione, il lavoro di classificazione iniziale non era ancora iniziato o, laddove i progetti di decontaminazione erano già stati definiti, alcuni non erano stati attuati o non erano stati completati. Secondo la Commissione, nonostante l'esistenza di situazioni estremamente gravi che richiedevano un'azione rapida, efficiente ed efficace, gli sforzi sono stati rallentati da controversie amministrative e da rapporti difficili tra i diversi enti responsabili della decontaminazione.

Per quanto riguarda la gestione del ciclo dei rifiuti, la Commissione ha rilevato che gli impianti di compostaggio nella regione sono ancora insufficienti. Pur sottolineando gli sviluppi positivi nella raccoltadifferenziata dei rifiuti domestici, ha evidenziato una serie di carenze nel piano regionale di gestione dei rifiuti del 2016. In quest'ultimo ha menzionato, tra gli altri aspetti, la sottostima del fabbisogno di smaltimento e incenerimento dei rifiuti, fabbisogno che non può essere soddisfatto dagli impianti esistenti. La Commissione ha rilevato che le misure di gestione del ciclo dei rifiuti urbani previste dalla legge regionale non sono ancora state attuate. Ha inoltre rilevato la mancata esecuzione della sentenza della CGUE emessa nel 2015, che è costata all'Italia, al momento della stesura del presente documento, circa 130 milioni di euro a causa dell'imposizione di una sanzione giornaliera).

Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti speciali, ha osservato che il problema delle balle di rifiuti è emblematico della situazione di emergenza in cui versa la regione, che, secondo la Commissione, persisterà fino a quando le 5.300.000 tonnellate di rifiuti imballati in balle e stoccati in diversi siti non saranno stati definitivamente rimossi. La Commissione ha rilevato l'importanza dell'entrata in vigore del Decreto Legge n. 185 del 15 novembre 2015, che ha previsto la rimozione definitiva di 5.300.000 tonnellate di rifiuti imballati in balle. 185 del 15 novembre 2015, che prevedeva l'adozione di "misure straordinarie" per la rimozione delle balle di rifiuti (si veda il precedente paragrafo 59) e riconoscendo alcuni sforzi compiuti dalla Regione Campania, ha concluso che la situazione rimaneva critica e il numero di ecoballe effettivamente rimosse (104.650 tonnellate) appariva trascurabile rispetto a quelle stoccate in diversi siti.

La Commissione ha evidenziato particolari difficoltà nell'ottenere informazioni aggiornate dalle autorità regionali campane, non solo per quanto riguarda la decontaminazione ma anche per la gestione del ciclo dei rifiuti stesso. La Commissione ha aggiunto, come considerazione generale, che la natura frammentaria e a volte incoerente delle informazioni che le sono state presentate derivava, tra l'altro, da una mancanza di coordinamento tra i diversi enti coinvolti e questo, a sua volta, dall'assenza di un quadro giuridico e normativo che assegnasse responsabilità e poteri specifici ai diversi enti e ne regolasse le interazioni (pag. 642 del rapporto).

Per quanto riguarda il quadro penale applicabile ai reati ambientali, la Commissione ha sottolineato che la complessità della costruzione di un caso (accertamento) relativo ai reati ambientali, insieme ai brevi termini di prescrizione, sono elementi che ostacolano il successo dei procedimenti penali in questo ambito. Secondo la Commissione, sarebbe necessario verificare nel tempo se i nuovi reati ambientali introdotti (cfr. paragrafo 133) siano più efficaci. Ha sottolineato che i procedimenti penali in corso al momento della sua indagine si basavano sul quadro giuridico precedente ai nuovi reati. La Commissione ha sottolineato l'importanza della responsabilità politica nell'affrontare la condotta in questione, un aspetto che va oltre l'accertamento della responsabilità penale.

La Commissione ha poi esaminato l'introduzione del reato di incenerimento illecito di rifiuti e ha ritenuto che, nonostante l'intenzione del legislatore di combattere un fenomeno molto grave, nella sua attuazione pratica si sia rivelato meno utile del previsto. Ciò è dovuto in parte a quelli che la Commissione ha definito difetti nella formulazione della disposizione. La Commissione ha sottolineato la difficoltà di identificare i responsabili del reato, un motivo di preoccupazione che è emerso in tutte le dichiarazioni dei pubblici ministeri ascoltati dalla Commissione. La Procura di Napoli aveva sottolineato che dall'analisi dei dati relativi alle iscrizioni nel registro delle notizie di reato fino al 31 dicembre 2016, emergeva che in circa il 95% dei casi gli autori dei roghi di rifiuti rimanevano ignoti, e i responsabili erano stati identificati solo in poco più del 5% dei casi (p. 211).

75 .  Nell'agosto 2018 il Gruppo di lavoro (si veda il successivo paragrafo 111) ha pubblicato un rapporto sullo stato di avanzamento della mappatura dei terreni agricoli prevista dal decreto legge n. 136 del 2013. Si è concentrato su una parte della Regione Campania nota come "Area Vasta Bortolotto-Sogeri", che faceva parte del territorio che era stato identificato come appartenente alla categoria 2c "rischio presunto" (si veda il paragrafo 112 di seguito). Secondo il rapporto, erano state condotte indagini su una possibile correlazione tra l'inquinamento del suolo e la qualità dell'acqua utilizzata per scopi irrigui. Il rapporto fa riferimento alla scoperta che il percolato di due discariche chiuse da anni, ma non adeguatamente gestite dopo la chiusura, si è infiltrato nelle acque sotterranee e nei campi agricoli adiacenti. I lavori preparatori necessari per rendere sicuri i siti erano in corso. Al momento della stesura del rapporto, era in fase di adozione un decreto interministeriale per vietare l'agricoltura e il pascolo entro un raggio di 20 metri dal canale di raccolta del percolato e da alcune porzioni di terreno identificate. Secondo il rapporto, un decreto analogo era in fase di adozione per un'altra parte della regione denominata "Area Vasta Lo Uttaro".

76 .  Nell'ottobre 2018 Invitalia ha pubblicato il "Piano operativo" che definisce i termini della sua assistenza alla Regione Campania per accelerare il processo di bonifica nell'ambito del PRB, come da convenzione stipulata il 2 ottobre 2017 (si veda il precedente paragrafo 70). Il Piano operativo elenca una serie di ostacoli che la Regione Campania ha incontrato nella fase di pianificazione (governance frammentata a livello regionale; difficoltà nell'attribuzione delle responsabilità tra i vari enti amministrativi e nella determinazione dei budget per le attività, difficoltà riguardanti aree specifiche e sovrapposizioni con altri enti coinvolti nel processo). Ha dichiarato che la "complessità tecnica e amministrativa" non le permetteva di prevedere le attività future né di fare una pianificazione a lungo termine. Le attività previste comprendono una serie di progetti di bonifica e messa in sicurezza dei siti. La maggior parte di questi progetti, tuttavia, riguardava la cosiddetta "classificazione" dei siti. Invitalia si è impegnata ad assistere la Regione nella "pianificazione e programmazione delle attività necessarie all'avvio delle gare", pur riconoscendo che la complessità delle diverse attività comporta la necessità di avviare numerose procedure di gara pubblica, con ripercussioni sui tempi di concreta attuazione degli interventi e con il rischio di contenziosi che potrebbero rallentare anche notevolmente il processo.

77 .  Il 31 ottobre 2018 il Direttore Generale per il Ciclo dei Rifiuti della Regione Campania e il Direttore Generale per i Rifiuti e l'Inquinamento del Ministero dell'Ambiente hanno pubblicato una relazione congiunta sullo stato di avanzamento del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Urbani (si veda il precedente paragrafo 67), compreso il Programma straordinario per la rimozione delle ecoballe (si veda il precedente paragrafo 59).

Il rapporto ha fornito una panoramica della legislazione e degli altri strumenti introdotti per affrontare le carenze nella gestione dei rifiuti nella regione dal 2015. Ha evidenziato l'emanazione della legge regionale del 2016 sul ciclo dei rifiuti (si veda il precedente paragrafo 61) che ha posto la Campania all'avanguardia negli sforzi nazionali per affrontare questo problema.

Il Programma straordinario per la rimozione delle balle di rifiuti era in fase di attuazione e si prevedeva che avrebbe consentito la rimozione di 961.934 tonnellate di rifiuti. Per le restanti 4.700.000 tonnellate, il programma prevedeva, tra l'altro, l'utilizzo delle balle di rifiuti per la produzione di combustibile. È stato inoltre rilevato che nel settembre 2016 erano stati stanziati 60 milioni di euro per lo smaltimento dei rifiuti stoccati in balle. Altri 294 milioni di euro sono stati stanziati a dicembre 2016 specificamente per le azioni da attuare in quelli che il rapporto indica come i Comuni che rientrano nella Terra dei Fuochi. Pur riconoscendo i ritardi nell'attuazione del programma, il rapporto sottolinea l'impegno della Regione.

Il rapporto fornisce anche un aggiornamento sulla capacità delle diverse discariche e sulla quantità di rifiuti da esse trattati. Ha richiamato l'attenzione sugli sforzi di ammodernamento tecnologico di tre impianti di triturazione e imballaggio dei rifiuti, che erano in corso e che avrebbero portato a una significativa riduzione della quantità di rifiuti inviati alle discariche.

Per quanto riguarda il compostaggio, nell'ambito del piano regionale sono stati stanziati 200 milioni di euro per un programma di costruzione di nuovi impianti di compostaggio. Il rapporto ha esaminato i progressi compiuti in questo ambito e ha rilevato che la capacità di trattamento del compostaggio è aumentata notevolmente dal 2017. Inoltre, nel 2017 è entrato in funzione un nuovo impianto per il trattamento della frazione organica dei rifiuti solidi urbani nel Comune di Giugliano. Il deficit impiantistico rimanente è stato affrontato, tra l'altro, con l'erogazione di finanziamenti per ulteriori impianti pubblici.

78 .  Il 19 novembre 2018 è stato firmato un "Protocollo d'intesa per l'attuazione sperimentale del Piano d'azione per il contrasto all'incenerimento dei rifiuti" tra la Regione Campania e diversi ministri del Governo (il Presidente del Consiglio dei Ministri, i Ministri dell'Ambiente, dell'Interno, dello Sviluppo Economico, della Difesa, della Salute e della Giustizia e il Ministro per il Mezzogiorno).

Nel preambolo del Protocollo si legge che la necessità di un nuovo accordo, che riunisca diversi ministeri piuttosto che autorità a livello regionale, è emersa a fronte di un significativo aumento degli incendi nei mesi precedenti alla sua stesura. Il testo citava un rapporto pubblicato il 17 gennaio 2018 dalla sesta Commissione parlamentare d'inchiesta, che evidenziava come il problema dell'incenerimento dei rifiuti non riguardasse solo alcuni episodi isolati ma, piuttosto, costituisse un problema di interesse nazionale, data la sua correlazione con le carenze del ciclo di gestione dei rifiuti. Da qui la necessità di un approccio innovativo e di un nuovo piano d'azione coordinato, la cui efficacia doveva essere "testata" (sperimentata) sul territorio della Regione Campania. Per affrontare con successo il problema, un passo preliminare sarebbe stato quello di creare una rete di monitoraggio capillare per studiare le correlazioni tra i diversi tipi di pratiche illegali di gestione dei rifiuti. Inoltre, per combattere il fenomeno, è stato necessario individuare e coordinare l'attribuzione delle competenze alle diverse entità amministrative coinvolte.

Sono state individuate tre "aree" di intervento generali: (1) azioni di tutela della salute; (2) azioni di tutela dell'ambiente; (3) azioni di pattugliamento e monitoraggio del territorio per la prevenzione degli incendi.

Per quanto riguarda (1) la salute, il piano prevedeva la creazione di un sistema informativo unificato e aggiornato contenente, da un lato, dati e statistiche sulle condizioni mediche (in particolare sui tassi di mortalità e di incidenza dei tumori) che colpiscono la popolazione residente nelle aree interessate dall'incendio e dallo scarico dei rifiuti e, dall'altro, studi epidemiologici. Tra i sotto-obiettivi di questa voce figurano: la creazione di una banca dati accessibile al pubblico, la pubblicazione di rapporti periodici volti a informare la popolazione e le autorità sanitarie, la valutazione dell'incidenza dei tumori, l'avvio di studi sulle possibili cause di tali tumori, la creazione di mappe per valutare l'incidenza e la prevalenza dei tumori in diverse aree e il lancio di campagne di prevenzione primaria e secondaria.

Il Protocollo prevedeva inoltre un maggiore monitoraggio della qualità dell'aria, attraverso l'acquisto di due sensori per la valutazione della qualità dell'aria, da utilizzare in caso di incendi. Il piano ha inoltre rafforzato la collaborazione con il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco per il rilevamento della radioattività.

Per quanto riguarda le (2) azioni per la tutela dell'ambiente, due aspetti fondamentali riguardavano gli incendi segnalati all'interno dei cosiddetti "Siti di interesse nazionale" (si veda il successivo paragrafo 120). In caso di incendio in tali aree, il Ministero dell'Ambiente e l'ISPRA dovevano effettuare entro sette giorni una valutazione del danno ambientale e individuare le misure da adottare, il cui elenco doveva essere trasmesso all'ente responsabile entro 45 giorni. Se il soggetto responsabile non si adeguava o non poteva essere identificato, sarebbero intervenuti il Ministero dell'Ambiente e la SOGESID (Società di Gestione di Impianti Idrici). Una procedura simile, ma non identica, si applicava anche ai siti che non facevano parte del SIN.

Il Protocollo prevedeva inoltre la conclusione di un accordo Stato-Regione sul monitoraggio della qualità dell'aria nella Regione Campania.

Per quanto riguarda la rimozione dei rifiuti abbandonati e bruciati, il protocollo ha ribadito che la Regione è tenuta a svolgere le attività di bonifica quando i singoli Comuni non hanno i mezzi per farlo.

La sezione relativa al monitoraggio e al pattugliamento (3) contiene il maggior numero di azioni. Innanzitutto, prevedeva un aumento del numero di agenti di polizia e di personale dell'esercito per il pattugliamento, unitamente a un rafforzamento delle attività di monitoraggio da parte dei Vigili del Fuoco e del loro coinvolgimento nelle operazioni di valutazione del rischio. In particolare, ai Vigili del Fuoco doveva essere affidato il compito di sviluppare "mappe dinamiche" dei roghi, di aggiornare la ricognizione delle aree da indagare e dei siti interessati dall'abbandono e dalla combustione dei rifiuti, nonché degli impianti di trattamento dei rifiuti esistenti, oltre che la creazione di un database degli impianti esistenti. Il piano prevedeva inoltre lo sviluppo di linee guida per la sicurezza antincendio nei siti di raccolta e gestione dei rifiuti e di linee guida per lo svolgimento di controlli sulle procedure autorizzative per l'esercizio di tali impianti.

Il piano prevedeva inoltre la creazione di una rete di monitoraggio potenziata attraverso telecamere di sorveglianza, droni e altri dispositivi, nonché l'istituzione di un "centro di controllo permanente". È stato inoltre previsto l'aggiornamento del portale pubblico del Corpo dei Vigili del Fuoco, che contiene informazioni sugli incendi e sulle attività svolte dai pompieri, e il miglioramento dell'applicazione mobile "Segnala un incendio" sviluppata da SMA Campania.

Il Protocollo contiene anche proposte relative a campagne di informazione e sensibilizzazione rivolte alle imprese e ai cittadini. Il documento illustrava in modo dettagliato le proposte di campagne che i diversi Ministeri avrebbero dovuto lanciare. Ad esempio, il Ministero dell'Ambiente si è impegnato a lanciare campagne di sensibilizzazione per i cittadini sulle misure da adottare in caso di presenza di rifiuti bruciati e su cosa fare per prevenire gli incendi.

Come previsto dal Protocollo, è stata istituita un'Unità di coordinamento.

79 .  Il 30 dicembre 2018 è stata approvata la Legge n. 145 (la "Legge di Bilancio 2019"). Questa prevedeva l'adozione di un Programma nazionale di bonifica da parte del Ministro dell'Ambiente. Come previsto, poco dopo è stata istituita una task force composta da personale del Ministero dell'Ambiente e dell'ISPRA per la definizione di criteri standardizzati e applicabili a livello nazionale per la classificazione dei siti contaminati, al fine di dare priorità alle attività di decontaminazione.

80 .  Il 31 dicembre 2018 il Direttore Generale della Direzione Sanità della Regione Campania ha presentato al Ministero della Salute una relazione sullo stato dei vari progetti e sull'utilizzo dei fondi stanziati in relazione al fenomeno Terra dei Fuochi. La relazione si è concentrata principalmente sui progressi compiuti nell'attuazione delle disposizioni in materia sanitaria della legge n. 6 del 2014 a partire da giugno 2016 (si veda il precedente paragrafo 107).

Ha notato che una piattaforma informatica per il monitoraggio e la gestione dello screening dei tumori da parte di tutte le autorità sanitarie locali è in funzione.

Secondo il rapporto, sono stati compiuti notevoli progressi nel rafforzamento dello screening dei tumori nella regione. Diverse autorità sanitarie locali avevano istituito cliniche per la prevenzione del cancro e aperto nuovi centri di screening, compresi ambulatori e laboratori. Alcune autorità hanno attuato iniziative di screening itineranti e altre hanno esteso i programmi ai fine settimana per aumentare la partecipazione. Il rapporto ha fornito prove di altre misure concrete adottate da specifiche autorità sanitarie locali con i finanziamenti ricevuti, tra cui l'assunzione di ulteriore personale medico e tecnico e l'acquisto di attrezzature diagnostiche e di laboratorio. Il rapporto ha anche fornito una panoramica delle diverse attività di sensibilizzazione svolte nelle scuole, nelle fabbriche, nei centri comunitari, nelle farmacie e nelle chiese di diversi comuni in relazione allo screening del cancro.

Per quanto riguarda in particolare i comuni della Terra dei Fuochi, il rapporto rileva che sono state introdotte misure specifiche per garantire un accesso preferenziale e semplificato ai programmi di screening oncologico e che le persone che partecipano a tali programmi sono esenti da tutti gli oneri che sarebbero stati applicati dal sistema sanitario nazionale. È stato ribadito che questi Comuni hanno ricevuto finanziamenti specifici per attuare queste misure.

Inoltre, sono state introdotte misure per alcune altre "malattie prioritarie", come quelle respiratorie. In particolare, si stavano creando nuovi ambulatori all'interno di alcune autorità sanitarie locali. Nell'ambito della salute materno-infantile, il rapporto affermava che a livello regionale era diventato operativo un Registro delle Malformazioni Congenite. In alcuni comuni sono stati creati nuovi centri di diagnosi prenatale, dotati delle attrezzature necessarie per misurare gli inquinanti nei fluidi corporei.

Per quanto riguarda le misure di sorveglianza epidemiologica, sono stati avviati due nuovi studi che analizzano i fattori sanitari e ambientali da diverse prospettive. Sono state inoltre adottate misure per rafforzare la sorveglianza epidemiologica attraverso i registri dei tumori.

81 .  Il 22 marzo 2019 la Regione Campania ha pubblicato la relazione sullo stato di attuazione del Piano regionale di decontaminazione per il 2018. In particolare, in questo rapporto si legge che per il 75% dei 3.479 siti individuati nel PRB 2013 non è stata avviata alcuna procedura di indagine ambientale. Per il 13% dei siti era stata avviata tale procedura, nel 4% era iniziata la fase di valutazione del rischio e nel 3,5% dei siti erano iniziate le attività di decontaminazione, attraverso la preparazione o l'attuazione di un progetto di decontaminazione. Ha inoltre rilevato che tra il 2013 e il 2018 sono stati inclusi nel piano altri siti, per un totale di 4.692 siti registrati; secondo lo stesso rapporto, per il 77% di questi siti non è stata avviata alcuna procedura di indagine ambientale o di analisi dei rischi. Il rapporto affermava inoltre che le attività di bonifica si erano concluse per il 3% dei siti.

82 .  Il 28 maggio 2019 il Ministro della Salute ha emanato un decreto che istituisce un "Centro di referenza nazionale per l'analisi e lo studio delle correlazioni tra ambiente, animali e uomo" sotto l'egida dell'IZSM. Il mandato del Centro prevede la creazione di una rete di punti focali all'interno dei diversi Istituti zooprofilattici per il coordinamento delle attività in materia di sicurezza alimentare; l'assistenza tecnico-scientifica al Ministro della Salute; l'organizzazione di corsi di formazione per il personale del Servizio sanitario nazionale e per gli altri dipendenti degli enti locali interessati; lo svolgimento di attività di programmazione, ricerca scientifica, valutazione del rischio, monitoraggio epidemiologico e analisi, al fine di approfondire le interazioni tra contaminanti e prodotti alimentari e sviluppare azioni mirate.

83 .  Nel giugno 2019 l'Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un aggiornamento del progetto "Sentieri" (cfr. paragrafo 57). Nella sezione relativa all'agro di Aversa e del litorale domizio-flegreo, in cui erano state individuate molteplici discariche abusive e che comprendeva trentotto dei comuni elencati nella direttiva interministeriale del 23 dicembre 2013 (cfr. Allegato II), lo studio riportava un eccesso di mortalità generale per entrambi i generi per tutte le cause di morte sottostanti, rispetto alla media regionale. La ricerca ha inoltre evidenziato, tra l'altro, un eccesso di mortalità per alcune malattie in entrambi i generi (cancro allo stomaco, cancro al colon-retto, cancro al fegato, malattie respiratorie), negli uomini (cancro ai polmoni, cancro alla vescica, asma) e nelle donne (cancro al seno). Le conclusioni del rapporto sottolineano, tra l'altro, che:

"In tutta l'area è stato confermato un eccesso di malattie riscontrate in precedenti periodi di osservazione in altri studi indipendenti; molte di queste malattie hanno diversi fattori di rischio, tra i quali la letteratura internazionale più recente individua l'esposizione a un inadeguato smaltimento di rifiuti urbani e pericolosi o a contaminanti presenti in alcune parti dell'area in esame."

La sezione relativa al Litorale Vesuviano (Area Litorale Vesuviana), che comprende i comuni di Boscoreale, Boscotrecase, Castellammare di Stabia, Pompei, Portici, San Giorgio a Cremano, Terzigno, Torre Annunziata e Torre del Greco, ha rilevato, tra l'altro, che:

"Gli eccessi di cancro al fegato e di altre malattie epatiche in entrambi i generi possono essere in parte dovuti all'esposizione a sostanze rilasciate dalle discariche incontrollate e/o illegali presenti nell'area". L'esposizione ai contaminanti atmosferici può aver avuto un ruolo causale o co-causale nel determinare gli eccessi osservati per quanto riguarda le malattie respiratorie, malattie che sono multifattoriali e per le quali il fumo attivo e passivo e il consumo di alcol sono importanti fattori di rischio. La mortalità per asma, così come quella per cancro al seno e al collo dell'utero, richiedono una riflessione, non solo sul possibile ruolo dell'esposizione agli inquinanti ambientali presenti nell'area, ma anche per quanto riguarda l'implementazione di misure diagnostiche e terapeutiche. La raccolta di dati sulla contaminazione delle diverse matrici ambientali, al fine di determinare l'esposizione passata e presente della popolazione residente, fornirà elementi utili per l'interpretazione dei dati sanitari riportati. Data la superficie dell'area in questione, si raccomanda che ... i dati siano raccolti attraverso studi epidemiologici focalizzati su piccole aree. L'integrazione dei dati ambientali e sanitari può fornire indicazioni utili sulle sottoaree in cui dare priorità agli sforzi di decontaminazione e sui sottogruppi della popolazione per i quali dare priorità alla prevenzione e al trattamento".

Sono state formulate raccomandazioni per l'attuazione urgente di attività di decontaminazione e per l'adozione di misure immediate per fermare le pratiche illegali di smaltimento dei rifiuti.

84 .  Il 14 giugno 2019 il funzionario delegato ha pubblicato una relazione sulle attività volte a contrastare l'incenerimento dei rifiuti da gennaio a maggio 2019.

Ha esordito sottolineando che nel 2018 sono stati condotti 1.511 interventi antincendio per spegnere roghi causati dalla combustione illegale di rifiuti nelle province di Napoli e Caserta, con una diminuzione rispetto all'anno precedente.

Nel periodo di riferimento, le segnalazioni di incendi sono aumentate del 24% rispetto al semestre precedente. La maggior parte degli incendi ha riguardato i rifiuti solidi urbani (613 incendi). Secondo le parole del funzionario delegato, "ciò è dovuto essenzialmente alle difficoltà incontrate da alcuni comuni nella gestione dei rifiuti urbani, in un contesto di carenze nel ciclo dei rifiuti che, nell'ultimo anno, sono state particolarmente evidenti".

Degli incendi segnalati, 84 riguardavano materiali plastici, tessili, gomma, cuoio e pneumatici. L'autore ha sottolineato che l'abbandono e l'incendio di rifiuti continuano ad avere origine in aziende che smaltiscono illegalmente i propri rifiuti industriali. Uno sviluppo positivo è stato l'assenza di incendi segnalati negli impianti di stoccaggio e trattamento dei rifiuti.

Il rapporto ha descritto l'interazione tra le attività di monitoraggio svolte dall'Esercito, dalla polizia nazionale e dalle forze di polizia locali, comprese le operazioni congiunte coordinate dal funzionario delegato. Grazie a tali operazioni congiunte, nel 2018 si è registrato un aumento del 40% delle azioni di contrasto (sequestro di aziende e veicoli, presentazione di denunce penali, emissione di sanzioni amministrative) e un aumento del 37% degli arresti (30 persone nel 2019). Nel periodo in questione 155 ufficiali dell'esercito sono stati impiegati specificamente per il monitoraggio degli impianti di stoccaggio e smaltimento dei rifiuti.

Il rapporto contiene anche un aggiornamento sulle iniziative di contrasto all'incenerimento degli pneumatici per auto e sull'attuazione del progetto "Ecopneus", avviato nel 2013 congiuntamente dal Ministero dell'Ambiente, dal Funzionario delegato, dalle Prefetture di Napoli e Caserta e da Ecopneus (società no profit che ricicla pneumatici per auto).

Dato che il rapporto è stato pubblicato poco prima dei mesi estivi, il funzionario delegato ha esortato i comuni a intensificare gli sforzi per rimuovere i rifiuti abbandonati facilmente combustibili che potrebbero produrre fumi tossici se bruciati, "pur riconoscendo le difficoltà [per i comuni] di ottenere finanziamenti" per tali scopi.

Il rapporto elogiava il lavoro degli agenti di polizia, in particolare della polizia locale (municipale), ma allo stesso tempo sottolineava con preoccupazione che "la grave carenza di personale" ostacolava gli sforzi della polizia locale.

Nelle sue conclusioni, il funzionario delegato ha affermato che, sebbene i dati presentati nel rapporto mostrassero che alcuni tipi di comportamenti illegali erano diminuiti, "fenomeni che possono generare rischi ambientali" erano ancora presenti in quella che ha definito l'area della Terra dei Fuochi.

Il problema della combustione dei rifiuti, in particolare, secondo il funzionario delegato non può essere risolto solo con misure di monitoraggio, indagine e applicazione. È indispensabile intervenire nel settore della gestione del ciclo dei rifiuti, le cui carenze sono state identificate come una delle cause principali degli incendi.

Il funzionario delegato ha inoltre raccomandato una riorganizzazione amministrativa, in modo che la rimozione dei rifiuti abbandonati non sia di esclusiva competenza dei singoli comuni, ma sia invece condivisa con altre entità amministrative.

85 .  Il 4 aprile 2019 il Governo italiano ha presentato informazioni al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa in relazione all'esecuzione della sentenza Di Sarno e altri c. Italia (n. 30765/08, 10 gennaio 2012), da esaminare nella 1348ª riunione del Comitato dei Ministri nel giugno 2019. Il documento ha esaminato il quadro legislativo introdotto per affrontare le carenze nella raccolta, nel trattamento e nello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania. Ha descritto gli obiettivi da raggiungere entro il 2020, come stabilito nel Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani del 2016 (cfr. paragrafo 67), al fine di conformarsi alla sentenza della CGUE del 2015. Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti speciali, il Governo ha fatto riferimento ai risultati della sesta Commissione parlamentare d'inchiesta nella sua relazione 2018 sulla Campania (cfr. paragrafo 74) e ha richiamato l'attenzione sulle azioni previste per affrontare il problema delle ecoballe. In una sezione intitolata "impatto delle misure adottate", il Governo ha inoltre evidenziato che tra il 2009 e il 2017 la percentuale di rifiuti differenziati a livello domestico è passata dal 29% al 53%.

86 .  Il 24 aprile 2019 la Giunta regionale della Campania ha adottato la Delibera n. 180 del 2019, recante "Monitoraggio ambientale e valutazione sanitaria della popolazione residente nelle aree a rischio". Questa conteneva quello che è stato definito un "nuovo programma di attività" da svolgere tra il 2019-2021 nell'ambito dell'attuazione del Protocollo d'intesa del 2018 per l'"Attuazione sperimentale" del Piano d'azione (si veda il precedente paragrafo 78).

Sono state identificate quattro aree chiave di attività: "ambiente", "salute", "ricerca applicata" e "comunicazione".

Nell'ambito della voce "ambiente", la prima azione doveva comportare un "follow-up" delle attività di monitoraggio di Campania Trasparente (cfr. paragrafo 55). Una prima fase prevedeva lo studio dei risultati delle diverse attività di monitoraggio (l'IZSM con il programma Campania Trasparente, i campionamenti e i monitoraggi dell'ARPAC e altri studi sull'inquinamento ambientale dell'area) per pianificare ulteriori campionamenti e analisi mirate, da effettuare non solo in contesti agricoli ma anche in contesti urbani. Per quanto riguarda il campionamento dell'aria, il punto di partenza doveva essere l'elaborazione dei dati raccolti dalle 50 stazioni di campionamento dell'aria istituite nell'ambito del programma Campania Trasparente e dalle 26 stazioni istituite dall'ARPAC. Per quanto riguarda il campionamento delle acque, 1.000 campioni di acque sotterranee sarebbero stati prelevati ed esaminati in collaborazione con l'ARPAC, utilizzando le 298 stazioni di campionamento delle acque sotterranee esistenti di quest'ultima. Le attività di campionamento contribuiranno a definire le aree critiche (con un "indice di pressione ambientale elevato") in termini di qualità dell'aria e dell'acqua.

Un altro progetto prevedeva la creazione di un Registro unificato dei servizi idrici (Catasto unico delle Utenze Idriche). Questo nasce dalla necessità di registrare tutte le fonti idriche della regione, compresi i pozzi privati non registrati e utilizzati senza autorizzazione ufficiale. Il piano prevedeva anche lo sviluppo di Linee guida per l'uso e il monitoraggio delle acque sotterranee.

Alla voce "salute" il documento elenca i tre nuovi studi:

SPEM ("Exposure study on the population affected by pathologies"), uno studio epidemiologico osservazionale volto a indagare la possibile correlazione tra l'inquinamento ambientale e alcune condizioni di salute (cancro alla vescica, cancro al colon-retto, malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2). Lo studio intende indagare il rischio di contrarre tali patologie in relazione all'esposizione a determinati inquinanti ambientali, confrontando i livelli di tali inquinanti nei fluidi corporei dei residenti di alcune aree affette da tali patologie e di soggetti sani. I contaminanti in questione includono diossine e composti diossina-simili, idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti.

SPEL ("Exposure study for occupational diseases"), uno studio che doveva indagare l'esposizione di alcune categorie di lavoratori ad agenti chimici (ad esempio, vigili del fuoco, dipendenti di impianti di trattamento dei rifiuti, lavoratori delle concerie...) attraverso l'analisi di biomarcatori, al fine di valutare i rischi a cui erano esposti.

GEMMA, uno studio volto a indagare come diversi fattori, compresi quelli ambientali, possano influenzare lo sviluppo dei disturbi dello spettro autistico.

Un follow-up dello studio "SPES" (vedi paragrafo 64). Il suo obiettivo era quello di monitorare nel tempo (20 anni) la salute delle persone che avevano partecipato allo studio SPES nel 2016-2017.

La componente "salute" del documento prevedeva anche l'avvio di uno studio per sviluppare modelli di diagnosi precoce del cancro. Inoltre, prevedeva un progetto, in collaborazione con i medici di medicina generale, volto a rafforzare la prevenzione primaria e secondaria dei tumori e i percorsi diagnostici e assistenziali in relazione alle patologie legate all'esposizione agli inquinanti. Ha inoltre previsto il rafforzamento dei programmi di screening oncologico e lo sviluppo di un "Atlante di mortalità della Regione Campania".

Sono state previste campagne di comunicazione per sensibilizzare la popolazione sui rischi per la salute associati all'età, all'occupazione, allo stile di vita e all'esposizione all'inquinamento.

Nell'ambito della "ricerca applicata", il programma prevedeva ricerche sulle procedure di rimozione degli inquinanti dalle acque sotterranee.

87 .  Il 1° giugno 2019, il Decreto Ministeriale n. 46 ha introdotto un regolamento relativo agli interventi di bonifica, di ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento, come previsto dall'articolo 241 del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. 152 del 3 aprile 2006 (cfr. paragrafo 123). Il regolamento prevedeva, tra l'altro, procedure per la caratterizzazione ambientale delle aree contaminate, stabiliva le modalità di esecuzione delle valutazioni di rischio, individuava metodi e procedure per le operazioni di bonifica e le misure da adottare per garantire la sicurezza alimentare.

88 .  Il 7 agosto 2019 l'Unità di coordinamento istituita nell'ambito del Protocollo d'intesa per l'"Attuazione sperimentale" del Piano d'azione Terra dei Fuochi (cfr. paragrafo 78) ha pubblicato un Rapporto periodico, relativo ai tre mesi precedenti la sua pubblicazione.

89.  All'interno dell'Unità di coordinamento è stato istituito un gruppo di lavoro specifico per esaminare i database esistenti che raccolgono dati sul fenomeno in questione e per esplorare la possibilità di integrarli. Il rapporto affermava che si stavano compiendo progressi per garantire la compatibilità della piattaforma informativa, prevista dal Piano d'azione 2016 (cfr. paragrafo 66), con altri sistemi informativi, in modo da poter ricevere dati dall'ARPAC, dal Corpo dei Vigili del Fuoco e da altri utenti. SMA Campania stava svolgendo indagini per identificare le aree interessate da roghi e scarichi illegali di rifiuti nei 90 Comuni della Terra dei Fuochi e alimentava le informazioni nella piattaforma I.TER. SMA Campania ha inoltre completato la georeferenziazione dei siti interessati dalla combustione illegale di rifiuti e ha inserito queste informazioni nella piattaforma I.TER.

90.  Secondo il rapporto, tutti i registri tumori della Regione Campania hanno ricevuto l'accreditamento nazionale.

91.  Per quanto riguarda il monitoraggio della qualità dell'aria, si stavano concludendo i contratti per l'acquisto dei sensori d'aria indicati nel Protocollo d'intesa (cfr. paragrafo 78). Una bozza dell'Accordo Stato-Regione sul monitoraggio della qualità dell'aria in Campania era stata inviata dalla Regione Campania al Ministero dell'Ambiente, che aveva proposto delle modifiche. La Regione Campania sta valutando il testo modificato.

92.  Per quanto riguarda la rimozione dei rifiuti abbandonati e inceneriti illegalmente a livello comunale, erano in corso le attività di appalto e i membri dell'unità di coordinamento si erano incontrati con i rappresentanti della Regione Campania e del Ministero dell'Ambiente per sviluppare strategie di supporto ai Comuni nelle attività di bonifica. L'Unità di coordinamento stava inoltre valutando il problema dell'abbandono dei rifiuti al fine di sviluppare proposte per semplificare gli sforzi di rimozione da parte dei Comuni.

Per il periodo in questione, definito "stagione estiva", è stato registrato un notevole incremento dell'impiego di personale di polizia, dei vigili del fuoco e dell'esercito per il monitoraggio. Inoltre, emerge che è stato effettuato il monitoraggio di specifici siti "sensibili" individuati dalla Regione Campania (discariche, depositi di balle di rifiuti, impianti di stoccaggio di rifiuti). Sono proseguite le attività di monitoraggio condotte da personale dell'esercito attraverso l'uso di droni. Per quanto riguarda l'acquisto delle attrezzature previste dal piano (ulteriori droni e telecamere di sicurezza), erano in corso di espletamento le gare pubbliche. Le prefetture di Napoli e Caserta hanno istituito un gruppo di lavoro per monitorare i siti di stoccaggio e trattamento dei rifiuti individuati dalla Regione Campania. È stato concluso un accordo con l'Aeronautica militare italiana per utilizzare le attrezzature militari e attingere alle sue competenze per rafforzare gli sforzi di mappatura, sorveglianza e monitoraggio in relazione alle pratiche di scarico e incenerimento illegale nella cosiddetta Terra dei fuochi.

Il rapporto forniva anche statistiche sul numero di inceneritori illegali segnalati, che erano leggermente aumentati nei primi cinque mesi del 2019, e sul numero di interventi dei vigili del fuoco per spegnerli. Il database degli incendi segnalati che richiedono interventi antincendio, creato dal Corpo dei Vigili del Fuoco nel 2012, è in costante aggiornamento.

L'Unità di coordinamento ha sottolineato che uno dei fattori che contribuiscono all'incenerimento illegale dei rifiuti è da ricercare nelle carenze del ciclo dei rifiuti. Pur dichiarando di non avere competenze specifiche in materia, ha espresso la propria disponibilità a collaborare con gli enti locali coinvolti nella gestione dei rifiuti.

È stato posto l'accento sul ruolo dell'"industria della contraffazione" nel contribuire alle pratiche illegali di gestione dei rifiuti. Per affrontare questo problema, sono state realizzate campagne di sensibilizzazione e attività sulla contraffazione.

93 .  Il 19 settembre 2019 l'ISPRA ha presentato la relazione finale sui criteri di classificazione dei siti contaminati per dare priorità alle attività di decontaminazione, in vista dell'adozione di un Programma nazionale di decontaminazione. A seguito di un'indagine sui criteri utilizzati a livello regionale nel contesto dei piani di decontaminazione regionali, il rapporto ha elencato alcuni dei fattori su cui si potrebbe basare la classificazione delle priorità. Tra questi: la superficie interessata, la pericolosità dei contaminanti in questione, la quantità dei contaminanti, la fonte dei contaminanti, il materiale contaminato (acqua o suolo) e la distanza dalle aree residenziali.

94 .  Il 30 ottobre 2019 la Direzione Generale per i Rifiuti e l'Inquinamento del Ministero dell'Ambiente ha pubblicato una relazione sullo stato di avanzamento delle misure adottate nel primo semestre del 2019 per quanto riguarda la Regione Campania al fine di conformarsi alla sentenza della CGUE del 2015. Ha rilevato che la capacità di compostaggio è aumentata e che sono state avviate procedure di gara pubbliche per la costruzione di nuovi impianti. Sono stati compiuti progressi anche nell'aumento della capacità di incenerimento ed è stato aggiudicato un appalto pubblico per la creazione di un nuovo impianto per lo smaltimento delle balle di rifiuti attraverso la produzione di combustibile solido secondario. È stato notato che il numero di balle di rifiuti smaltite è aumentato rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, con 170.000 tonnellate di balle rimosse. Il rapporto ha evidenziato l'imminente riapertura di due settori della discarica di S. Arcangelo Trimonte, che aumenterà la capacità della discarica, e l'avvio della valutazione di impatto ambientale di un progetto di estrazione da discarica nel comune di San Tammaro.

95 .  Il 15 dicembre 2019 sono stati pubblicati sul Journal of Cellular Physiology i risultati di uno studio pilota intitolato "Blood screening for heavy metals and organic pollutants in cancer patients exposed to toxic waste in Southern Italy". Lo studio ha ribadito che la parte orientale della Regione Campania è stata caratterizzata da documentate discariche illegali e roghi di rifiuti e ha fornito una rassegna di studi precedenti che suggeriscono legami tra l'esposizione agli inquinanti e la salute della popolazione residente nell'area. In particolare, gli studi hanno dimostrato che l'esposizione ai rifiuti tossici è stata associata a un aumento dello sviluppo del cancro e della mortalità in queste aree, sebbene non sia ancora stato stabilito un nesso causale. È stato inoltre sottolineato che una serie di agenti chimici e fisici sono stati identificati dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro come "certamente cancerogeni per l'uomo", tra cui diossine, benzene, furani, inquinanti organici persistenti e metalli pesanti.

Nello studio pilota, gli autori hanno valutato i livelli di metalli pesanti tossici e di inquinanti organici persistenti ("POP") nel sangue di 95 pazienti con diversi tipi di cancro residenti in diversi comuni delle province di Napoli e Caserta e in 27 individui sani. Pur non avendo trovato alcuna correlazione significativa tra i livelli ematici di POP e la provenienza dei pazienti, hanno osservato alte concentrazioni ematiche di metalli pesanti in alcuni comuni, tra cui Giugliano in Campania, dove erano stati documentati in precedenza numerosi siti di smaltimento illegale di rifiuti. I risultati hanno mostrato che i pazienti con diversi tipi di cancro provenienti da Giugliano in Campania presentavano livelli ematici di metalli pesanti più elevati rispetto ai pazienti sani di controllo. Utilizzando l'esempio di Giugliano in Campania, gli autori hanno sottolineato che, nonostante i piccoli campioni utilizzati, l'effetto osservato era sufficientemente alto da raggiungere la significatività statistica. Pur riconoscendo alcune limitazioni dello studio esplorativo, le osservazioni preliminari degli autori li hanno portati a incoraggiare ulteriori ricerche per valutare l'associazione tra l'esposizione ai rifiuti pericolosi e l'aumento del rischio di cancro.

96 .  Nel gennaio 2020 è stato pubblicato l'"Atlante di mortalità della Regione Campania" (cfr. paragrafo 85). L'Atlante mostra una panoramica della mortalità attraverso il confronto con i dati nazionali e con le aree intra-regionali. Sono stati analizzati i dati di mortalità complessiva e per causa specifica relativi al periodo 2006-2014 riferiti alle persone residenti in Regione Campania.

97 .  Il 5 agosto 2020 è stato firmato un accordo tra il Ministero dell'Ambiente, il Funzionario delegato e i Comuni di Caivano e Giugliano in Campania. L'obiettivo era quello di fornire un sostegno ai due comuni per affrontare il problema dei rifiuti abbandonati e dell'incenerimento illegale, attraverso la prevenzione degli incendi, il rafforzamento delle attività di raccolta, riciclaggio e recupero dei rifiuti, il potenziamento del controllo del territorio, le campagne di informazione e il coinvolgimento delle comunità locali. Il programma ha cercato di sperimentare un modello che, in caso di successo, potrebbe essere adottato in altri comuni della "Terra dei Fuochi". Il Ministero si è inoltre impegnato a fornire telecamere di sorveglianza per garantire un monitoraggio continuo delle discariche bonificate.

98 .  Nel dicembre 2020 il gruppo di lavoro istituito nell'ambito dell'accordo del 2016 tra l'Istituto Superiore di Sanità e la Procura di Napoli Nord (si veda il precedente paragrafo 63) ha pubblicato la sua relazione finale.

Gli autori hanno notato che le pratiche di gestione dei rifiuti incontrollate e illegali si sono verificate nell'area di studio fin dalla fine degli anni '80 e che, al momento dell'inizio dell'indagine, non erano state effettuate attività significative di bonifica e ripristino.

L'area di studio era costituita da trentotto comuni sotto la giurisdizione della Procura di Napoli Nord, per una superficie totale di 426 kmq. Era caratterizzata dalla presenza di 2.767 siti di smaltimento dei rifiuti identificati (sia legali che illegali), 653 dei quali erano stati interessati da incenerimento illegale di rifiuti. Nei comuni presi in esame, il 37% della popolazione risiedeva entro 100 metri da uno o più di questi siti. Secondo gli autori, questo ha portato in molti casi a fonti multiple di esposizione a sostanze pericolose per la salute umana. I trentotto comuni sono stati classificati in base alla stima del rischio di esposizione ai rifiuti (denominato indicatore "IRC" o indicatore rischio da rifiuti comunale). Tra i comuni analizzati nello studio, a Giugliano in Campania e Caivano è stato assegnato il rischio di esposizione più elevato (IRC 4); entrambi i comuni sono stati caratterizzati da un elevato numero di discariche abusive e di incendi segnalati. Rispetto alla popolazione di riferimento, entrambi i comuni hanno mostrato, nel complesso, un eccesso di patologie. In tutta l'area e nei singoli comuni identificati, lo studio ha rilevato un eccesso di alcune condizioni di salute nella popolazione adulta, per le quali l'esposizione ai contaminanti emessi dai siti di smaltimento dei rifiuti potrebbe, secondo gli autori dello studio, essere una causa o una concausa. I comuni con un IRC elevato (4 e 5) sono risultati avere un'incidenza significativamente più alta di cancro al seno e di ricoveri ospedalieri per asma. Per quanto riguarda i comuni delle categorie 3, 4 e 5, lo studio ha riscontrato un'incidenza significativamente più alta di nascite pretermine; per quelli della categoria 4, c'è stata, nel complesso, un'incidenza più significativa di bambini nati con malformazioni congenite.

Nella popolazione pediatrico-adolescenziale complessiva non sono stati identificati eccessi rispetto alla popolazione del resto della regione, ma sono emersi alcuni motivi di preoccupazione in relazione a specifici comuni. Questo dato, secondo gli autori, meritava un'attenzione specifica e richiedeva un ulteriore approfondimento, non solo perché riguardava una parte vulnerabile della popolazione, ma perché poteva rivelare quelli che hanno definito "eventi sentinella" legati a fattori ambientali.

I risultati dello studio hanno evidenziato che i siti di smaltimento dei rifiuti, e in particolare i siti illegali contenenti rifiuti pericolosi e prodotti di combustione, potrebbero aver avuto un impatto sulla salute della popolazione in studio in termini di causalità o co-causalità (in termini di causalità e/o con-causalità) nell'insorgenza di specifiche malattie.

Alla luce dei risultati dello studio, gli autori hanno ritenuto indispensabile che le autorità pongano fine a qualsiasi attività illegale legata allo smaltimento dei rifiuti, procedano rapidamente alla decontaminazione dei siti interessati da contaminanti e delle aree circostanti, predispongano un piano di sorveglianza epidemiologica permanente della popolazione e attuino azioni di sanità pubblica in termini di prevenzione-diagnosi-cura. È stato proposto di estendere lo stesso studio a tutti i comuni delle province di Napoli e Caserta (escludendo i capoluoghi, Napoli e Caserta, in quanto le loro caratteristiche demografiche non sono state ritenute adatte alla metodologia di studio), in modo da avere un numero sufficiente di comuni non interessati da discariche e roghi di rifiuti con cui fare confronti.

99 .  Il 4 gennaio 2021 il funzionario delegato ha pubblicato una relazione relativa al secondo semestre del 2020).

Nel maggio 2020 il funzionario delegato ha iniziato a pianificare le attività che dovevano essere riprese dopo quello che è stato descritto come un lungo periodo di interruzione dovuto alla pandemia COVID-19. Ha osservato che mentre, a seguito delle misure di isolamento legate al COVID, le discariche illegali e i roghi di rifiuti non erano aumentati, si temeva che la revoca delle misure di confinamento avrebbe comportato una notevole recrudescenza di tali comportamenti illegali. Le attività previste comprendono: il rafforzamento del dispiegamento di unità di polizia sul territorio, l'aumento dell'uso di droni da parte delle forze dell'ordine e di rilevamenti aerei da parte della Guardia di Finanza, e un maggior numero di controlli mirati su attività agricole, industriali e commerciali identificate come potenzialmente associate a pratiche illegali di smaltimento dei rifiuti.

Ha inoltre passato in rassegna le misure concrete intraprese a maggio e giugno 2020 in termini di controlli su gommisti, concerie, impianti tessili e imprese edili. 1.332 operazioni delle unità di polizia (dell'esercito e delle forze di polizia) hanno dato risultati positivi in termini di segnalazioni di attività illegali, sequestri, arresti e sanzioni amministrative. Ha concluso che queste operazioni hanno avuto un impatto positivo, anche se non decisivo, sul numero di incendi segnalati, se si confrontano i dati relativi ai mesi di giugno 2020 (166 incendi nelle province di Napoli e Caserta insieme) e giugno 2019 (192 incendi). Il funzionario delegato ha poi passato in rassegna le misure concrete adottate da luglio a dicembre 2020, che hanno replicato la serie di misure precedenti, con un ulteriore focus sullo smaltimento illegale dei rifiuti urbani piuttosto che sui soli rifiuti provenienti dalle attività produttive. In linea con le istruzioni impartite dal funzionario delegato alle forze dell'ordine sul territorio, sono stati effettuati meno controlli sulle aziende e sono stati effettuati più "pattugliamenti fisici" del territorio. Questo ha portato a un risultato positivo se si confrontano i dati dei mesi di dicembre 2020 (58 incendi nelle province di Napoli e Caserta insieme) e dicembre 2019 (133 incendi). Ha inoltre sottolineato che sono in corso di distribuzione ai Comuni 400 telecamere di sorveglianza.

Ha inoltre riferito di una riunione che ha convocato con i rappresentanti di tutti i Comuni della Terra dei Fuochi per ottenere informazioni e, allo stesso tempo, per consentire scambi tra i Comuni. Ha sottolineato l'importanza del dialogo e della collaborazione con la società civile e ha riferito di incontri che hanno riunito i rappresentanti delle associazioni ambientaliste e dei cittadini locali, i rappresentanti del Ministero dell'Ambiente e delle prefetture locali.

Ha elogiato gli agenti delle forze dell'ordine dispiegati sul territorio per il loro impegno e la loro efficienza, sebbene abbiano incontrato ostacoli nello svolgimento delle loro attività. In particolare, il funzionario delegato ha osservato che le pattuglie sul territorio hanno incontrato difficoltà nel catturare i colpevoli mentre commettevano le attività illegali. Ha sottolineato che le telecamere di sorveglianza fisse avevano i loro limiti e che i droni utilizzati dalle forze dell'ordine non erano particolarmente adatti al compito (era necessaria una pista per il decollo e non avevano la visione notturna).

Ha inoltre sottolineato l'esistenza di quelle che ha definito "serie preoccupazioni di sistema" ("forti criticità di sistema") e ha dichiarato (enfasi nell'originale):

"Appare evidente che l'eccesso di rifiuti abbandonati nell'ambiente può essere attribuito, da un lato, a comportamenti illeciti da parte dei soggetti che svolgono tali attività e di coloro che ne traggono profitto; tuttavia, il punto di partenza dell'abbandono di rifiuti al di fuori del ciclo legale dei rifiuti deriva dalle carenze del ciclo stesso dei rifiuti, in particolare dall'assenza di impianti. Non sorprende che le aree con il maggior numero di incendi (che sono l'epilogo dello scarico) siano quelle meno dotate di strutture [adeguate] ..... A questo proposito, gli enti responsabili dell'organizzazione dei servizi legati al ciclo dei rifiuti, come le Regioni, dovrebbero essere sollecitati ad attivarsi nell'esercizio di tali funzioni ..., con particolare riferimento all'individuazione e alla realizzazione di impianti per il trattamento dei rifiuti, in assenza dei quali sarà impossibile trovare una soluzione duratura allo scarico, all'abbandono e alla combustione [dei rifiuti]. ... Soluzioni più permanenti per affrontare problemi come il numero insufficiente di strutture per la ricezione e il trattamento dei rifiuti possono essere messe in atto solo attraverso un'azione normativa specifica (amministrativa o legislativa)". (sottolineatura nell'originale).

Nel concludere la sua relazione, il funzionario delegato ha osservato con preoccupazione che le autorità regionali della Campania hanno mostrato un atteggiamento poco collaborativo, apparentemente illustrato in dettaglio in una relazione di servizio del comandante dell'esercito responsabile del monitoraggio delle attività nell'area della Terra dei Fuochi, allegata alla relazione ma non presente nel fascicolo del caso. Il Comandante ha rilevato numerosi tentativi di coinvolgere l'amministrazione regionale e la sua società in house SMA Campania nel suo comitato direttivo della Terra dei Fuochi (cabina di regia) e in altre attività, ma senza successo.

100 .  Il 20 marzo 2019 e il 20 aprile 2021 l'ARPAC ha pubblicato due relazioni sullo stato di avanzamento dei lavori, riguardanti la mappatura dei terreni agricoli e l'analisi dei contaminanti, in particolare il campionamento e l'analisi del suolo, dell'acqua per l'irrigazione e della vegetazione.

Secondo questi rapporti, tra il 2014 e il 2020 sono state condotte indagini dirette sul campo.

Dei 240 ettari di terreni agricoli esaminati e testati, il 67,15% è stato classificato come categoria A (di cui il 2,29% come categoria A1), il 12,49% come categoria D e il 20,36% come categoria B. È stato specificato che i terreni classificati come categoria D richiedono la decontaminazione e che il 31,2% dei terreni delle restanti categorie richiede una qualche forma di ripristino ambientale (recupero ambientale). In particolare, sono otto i Comuni che, secondo il sito , presentano le maggiori superfici classificate come categoria D: Villa Literno (CE), Caivano (NA), Acerra (NA), Succivo (NA), Santa Maria la Fossa (CE), Giugliano in Campania (NA), Saviano (NA) e San Gennaro Vesuviano (NA).

Il rapporto affermava che erano stati completati l'esame e la verifica degli appezzamenti di terreno identificati come appartenenti alle presunte categorie di rischio 5, 4, 3 e 2a (cfr. paragrafo 112).

L'ARPAC ha ribadito di aver completato l'esame e il collaudo degli appezzamenti dell'"Area Vasta Bortolotto-Sogeri" (cfr. paragrafo 75) e che il Gruppo di lavoro ha pubblicato il suo rapporto su tali attività, pur rilevando che il relativo decreto interministeriale che formalizza le conclusioni del Gruppo di lavoro e le relative restrizioni su alcune attività agricole non sono ancora state emanate. Il Gruppo di lavoro ha inoltre completato l'esame e la verifica di alcuni appezzamenti di terreno dell'"Area Vasta Lo Uttaro" e ha iniziato la verifica di un altro gruppo di appezzamenti.

101 .  Il 23 aprile 2021 il Gruppo di lavoro ha pubblicato una relazione sullo stato di avanzamento della mappatura dei terreni agricoli prevista dal decreto legge n. 136 del 2013. Secondo il rapporto, erano stati effettuati campionamenti del suolo in alcuni appezzamenti della cosiddetta "Area Vasta Lo Uttaro". È emersa una "presenza diffusa di contaminanti" tra cui arsenico, cadmio, idrocarburi pesanti e idrocarburi policiclici aromatici. I dati erano stati trasmessi alla procura competente, dando luogo a un'indagine e al sequestro di terreni e pozzi contaminati. Il Gruppo di lavoro ha osservato che, durante le attività di monitoraggio mensile dei terreni classificati, è emerso che sette appezzamenti di terreno venivano utilizzati per la produzione di cibo nonostante il divieto di farlo.

Rimanevano da valutare i terreni identificati come appartenenti alla categoria di rischio presunto 2b (terreni per i quali non sono disponibili dati sull'inquinamento del suolo, ma l'analisi dell'ortofoto ha rivelato potenziali fattori di rischio). È stato avviato un primo screening degli appezzamenti per determinare quelli da considerare a maggior rischio.

Per quanto riguarda i terreni identificati come appartenenti alla categoria di rischio 2d, vale a dire le aree circostanti gli impianti di smaltimento/trattamento dei rifiuti, le discariche e le aree interessate dalla combustione dei rifiuti (si veda il paragrafo 112), l'identificazione degli appezzamenti da mappare e indagare non era ancora iniziata quando il rapporto è stato completato.

Secondo il rapporto, non è stata svolta alcuna attività per quanto riguarda i due comuni (Ercolano e Calvi Risorta) aggiunti dal decreto interministeriale del 10 dicembre 2015 (cfr. paragrafo 60).

Il Gruppo di lavoro ha inoltre evidenziato alcuni motivi di preoccupazione. Ha dichiarato che il 25 giugno 2019 il Gruppo di lavoro aveva chiesto al Ministero dell'Ambiente di chiarire se, in vista dell'emanazione del Decreto ministeriale n. 46 del 1° giugno 2019 che introduce un regolamento sulle misure di decontaminazione, bonifica e messa in sicurezza dei terreni agricoli e adibiti a pascolo (si veda il precedente paragrafo 87), la classificazione degli appezzamenti condotta fino ad oggi dal Gruppo di lavoro dovesse essere rivista, e se il loro modello scientifico potesse essere ancora seguito per le indagini attualmente in corso, o se si dovesse seguire un nuovo metodo che rispecchiasse le procedure contenute nel decreto. Il coordinatore del Gruppo di lavoro ha ribadito la richiesta nel luglio 2020. Il Ministero dell'Ambiente ha risposto nel settembre 2020. La relazione ha inoltre evidenziato l'assenza di decreti ministeriali che formalizzino le conclusioni del Gruppo di lavoro per quanto riguarda i lotti di terreno dell'"Area Vasta Bortolotto-Sogeri" e della prima porzione dell'"Area Vasta Lo Uttaro" (cfr. paragrafo 100) e ha dichiarato di aver sollecitato il Ministero dell'Ambiente a procedere alla loro adozione.

QUADRO GIURIDICO E PRASSI PERTINENTI

            I.   DIRITTO E PRATICA NAZIONALE

                               A.         La Costituzione italiana

102 .  La Costituzione italiana è stata modificata dalla Legge n. 1 dell'11 febbraio 2022 per includere la tutela dell'ambiente tra i valori fondamentali che ispirano l'esercizio delle funzioni pubbliche e limitano le attività private. In particolare, l'articolo 9 della Costituzione prevede ora che la Repubblica tuteli l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi anche nell'interesse delle generazioni future. L'articolo 41, come modificato, stabilisce che l'attività economica privata non può essere svolta in modo da recare danno alla salute o all'ambiente.

B.   Legislazione relativa al fenomeno della Terra dei Fuochi

103 .  Il decreto legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito in legge n. 6 del 2014 ("decreto legge n. 136 del 2013") ha introdotto misure urgenti per fronteggiare le emergenze ambientali. Nel preambolo, il testo considerava, tra l'altro, la "situazione di criticità ambientale e sanitaria" che interessava alcune aree della regione Campania e l'urgenza di misure più incisive per contrastare l'incenerimento illegale dei rifiuti e per provvedere alla mappatura dei terreni agricoli e alla loro decontaminazione, nell'interesse della salute della popolazione residente, dell'ambiente e della produzione alimentare.

104 .  La sezione 1 § 1 ha incaricato le autorità competenti - il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura ("CRA"), l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ("ISPRA"), l'Istituto Superiore di Sanità e l'ARPAC - di mappare i terreni agricoli della Regione Campania al fine di rilevare l'eventuale presenza di contaminazione legata allo scarico, all'interramento e alla combustione illegale di rifiuti.

105 .  Il comma 1 § 1 bis prevedeva il rafforzamento della sorveglianza epidemiologica incaricando l'Istituto Superiore di Sanità di estendere il progetto "Sentieri" (cfr. paragrafo 57) ai Comuni interessati da pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti, così come individuati dalle relative direttive interministeriali.

106 .  Il comma 2 § 4 ter prevedeva che, anche in considerazione delle azioni di decontaminazione da intraprendere, il Ministro dell'Ambiente, di concerto con i Ministri della Salute, dello Sviluppo Economico e dell'Agricoltura, adottasse, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, un Regolamento relativo agli interventi di bonifica, di ripristino ambientale e di messa in sicurezza, delle aree destinate alla produzione agricola e di tutte le aree destinate alla produzione agricola, e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento, come previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006. 152 del 2006.

107 .  Il comma 2 § 4 quater, sexies, septies e octies ha incaricato la Regione Campania, con l'ausilio dell'Istituto Superiore di Sanità, di definire i test e gli screening medici necessari per monitorare lo stato di salute della popolazione residente nei comuni interessati da pratiche di smaltimento illecito dei rifiuti, così come individuati dalle direttive interministeriali in materia.

108.  L'articolo 3, paragrafo 1, stabilisce il reato di combustione illegale di rifiuti.

109 .  L'articolo 3 § 2 consentiva ai prefetti delle province della Regione Campania di richiedere l'assistenza delle forze armate per operazioni di monitoraggio e sicurezza in relazione, tra l'altro, ai reati ambientali, fino al 14 dicembre 2014.

110.  Il comma 2-bis ha affidato al Prefetto della provincia di Napoli la responsabilità di coordinare le attività di prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle procedure di affidamento ed esecuzione degli appalti pubblici e nell'esternalizzazione dei servizi pubblici relativi al monitoraggio e alla bonifica delle aree inquinate.

111 . Con una direttiva interministeriale del 23 dicembre 2013 è stato istituito un gruppo di lavoro ("Gruppo di lavoro") con il compito di individuare i terreni contaminati da pratiche di smaltimento illecito di rifiuti nella Regione Campania, di elaborare un modello scientifico di classificazione delle aree di terreno ispezionate in base al loro livello di inquinamento e, infine, di redigere dei rapporti che riportassero i risultati delle indagini e le proposte sulle misure da adottare. Il Gruppo di lavoro era composto dal CRA, dall'ISPRA, dall'Istituto Superiore di Sanità, dall'ARPAC, dagli enti regionali campani, dall'IZSM, dall'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise e dall'Università Federico II di Napoli, ed è stato coordinato inizialmente dall'"Agenzia delle erogazioni in agricoltura" ("AGEA") e successivamente dal Capo del Corpo forestale dello Stato. La stessa direttiva elencava cinquantasette comuni in cui dovevano essere svolte le indagini. Le direttive interministeriali del 16 aprile 2014 e del 10 dicembre 2015 hanno aggiunto, rispettivamente, altri trentuno e due comuni all'elenco dei comuni oggetto di indagine (si veda l'elenco nell'Allegato II).

112 . Nel contesto del suddetto modello scientifico sono state previste diverse fasi. La prima fase consisteva nell'identificazione dei siti contaminati attraverso la mappatura delle aree interessate dall'uso improprio o dall'utilizzo per scopi non appropriati di siti di smaltimento dei rifiuti formalmente legali, dall'interramento dei rifiuti e, infine, dalla combustione illegale dei rifiuti. La mappa doveva basarsi sui dati a disposizione degli enti del Gruppo di lavoro e di altri enti pubblici, su segnalazioni raccolte da internet, sulla serie di ortofoto dell'AGEA (per il periodo 1997-2011) e, nell'ambito del progetto "Monitoraggio delle aree potenzialmente inquinate" ("il MIAPI"), sui dati ottenuti nel periodo 2010-2013 attraverso il telerilevamento aereo (cioè varie procedure e tecniche per ottenere informazioni a distanza su oggetti terrestri, utilizzando le proprietà delle onde elettromagnetiche emesse o riflesse da questi oggetti). La seconda fase ha comportato l'elaborazione, da parte del Gruppo di lavoro, di un indice di classificazione per livello di rischio, in primo luogo per quanto riguarda i prodotti agricoli e, più in generale, la catena alimentare, e, in secondo luogo, del livello di rischio rappresentato dai siti di smaltimento e gestione dei rifiuti (con particolare riguardo al livello di pericolo rappresentato dai rifiuti, alla loro quantità e all'area coperta dai siti). Su questa base sono state sviluppate cinque categorie di "rischio presunto" (Categoria 5 - molto alto (prove aggiuntive); Categoria 4 - molto alto; Categoria 3 - alto; Categoria 2 - medio; Categoria 1 - basso). La categoria 2 è stata suddivisa in quattro sottocategorie: 2a (terreni per i quali esistono dati sull'inquinamento del suolo e che sono al di sotto di una certa soglia, ma per i quali non sono emerse ulteriori indicazioni di rischio dall'analisi dell'ortofoto storica); 2b (terreni per i quali non sono disponibili dati sull'inquinamento del suolo, ma l'analisi dell'ortofoto ha rivelato un rischio potenziale); 2c (terreni nelle cosiddette "aree vaste"); e 2d (terreni che circondano impianti di smaltimento/trattamento dei rifiuti, discariche e aree interessate dall'incenerimento dei rifiuti.

113 .  Utilizzando questi indici, il Gruppo di lavoro è stato in grado di classificare i terreni secondo cinque livelli di rischio, ai quali sono state associate le misure che le autorità dovevano adottare.

114 .  Nelle ultime fasi, il Gruppo di lavoro ha indicato le misure da adottare in considerazione del livello di rischio individuato e, infine, ha elaborato un programma di monitoraggio specifico per la supervisione dei programmi di decontaminazione a breve e a lungo termine.

115.  In pratica, il Gruppo di lavoro, utilizzando questa metodologia, ha identificato 14.301 appezzamenti di terreno (per una superficie totale di 7.359 ettari), come a rischio; l'elenco di tali appezzamenti è stato pubblicato nei decreti ministeriali dell'11 marzo 2014 (per cinquantasette comuni) e del 12 febbraio 2015 (trentuno comuni). In attesa del completamento dell'analisi di ciascun appezzamento, i decreti ministeriali del 2014 e del 2015 hanno vietato la vendita dei prodotti provenienti dai terreni con il livello di rischio più elevato.

116 .  In seguito all'analisi di questi appezzamenti, è stato sviluppato un indice di classificazione in quattro categorie di rischio "finali": Categoria A (terreni che possono essere utilizzati per la produzione agricola/alimentare, con la sottocategoria A1 che comprende i terreni che possono essere adatti a tali scopi solo dopo la rimozione dei rifiuti e l'analisi dei sedimenti del suolo); Categoria B (terreni agricoli sui quali è consentita la produzione di alimenti a determinate condizioni, ossia la coltivazione di frutta e verdura, ma è necessario produrre una certificazione che attesti la loro conformità alle norme sulla sicurezza alimentare prima della loro immissione sul mercato); Categoria C (le colture possono essere coltivate ma utilizzate per scopi diversi dalla produzione di alimenti, ossia la produzione di biocarburanti) e Categoria D (divieto di tutte le attività agricole e di pascolo).

C.   Il quadro legislativo italiano sul trattamento dei rifiuti

117 . Il Decreto Legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997 ("Decreto Ronchi") (che recepiva le Direttive 91/156/CEE, 91/689/CEE e 94/62/CE rispettivamente sui rifiuti, sui rifiuti pericolosi e sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio) aveva classificato la gestione dei rifiuti come un'attività di interesse pubblico volta a garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e un'efficace vigilanza. Secondo questo testo, in vigore dal 1997 al 2006, i rifiuti dovevano essere recuperati o smaltiti senza mettere in pericolo la salute umana e senza utilizzare processi o metodi che potessero danneggiare l'ambiente. La gestione dei rifiuti doveva rispettare i principi di responsabilità e cooperazione tra tutti gli attori coinvolti nella produzione, distribuzione, uso e consumo dei beni da cui i rifiuti derivavano, in conformità con i principi dei sistemi legali nazionali e dell'UE.

118.  Il Decreto Ronchi è stato abrogato dal Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 ("Decreto Legislativo n. 152 del 2006"). Questo decreto legislativo vietava, tra l'altro, lo scarico illegale di rifiuti e l'immissione di rifiuti nei sistemi idrici (articolo 192) e le discariche abusive (articolo 256, paragrafo 3). Poiché la legge non definiva i concetti di "discarica" e "discarica abusiva", la Corte di Cassazione ha precisato che la discarica (fly-tipping) era caratterizzata dalla natura occasionale del deposito (un atto unico ed estemporaneo, senza alcuna attività preliminare o successiva) e dalla quantità di rifiuti scaricati, mentre la discarica abusiva implicava una pluralità di abbandoni di rifiuti o un unico episodio, purché quest'ultimo fosse caratterizzato dalla trasformazione di fatto del terreno in una discarica, tenuto conto, in particolare, della quantità dei rifiuti e dell'area di pertinenza (Corte di Cassazione, sentenze nn. 42719 e 45145 del 2015 e nn. 18399 e 20862 del 2017).

D.   La legislazione sulla decontaminazione

119 . L'articolo 239 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 ha stabilito che la responsabilità delle operazioni di bonifica delle zone contaminate, ad eccezione dei siti di interesse nazionale (SIN), spetta alle Regioni, che sono tenute a introdurre piani regionali di decontaminazione ("PRB"). Questa disposizione escludeva dal suo campo di applicazione anche le discariche abusive e lo scarico di rifiuti nelle acque. Ai sensi dell'articolo 192 di questo decreto legislativo, la responsabilità del ripristino del territorio spettava ai soggetti che avevano scaricato i rifiuti e ai proprietari dei terreni e, in mancanza, ai sindaci dei comuni interessati.

120 .  L'articolo 252 § 1 dello stesso Decreto Legislativo specificava che i "Siti di interesse nazionale" ai fini della decontaminazione dovevano essere identificati sulla base delle caratteristiche specifiche dei siti, della quantità e della pericolosità dei contaminanti presenti e della gravità dell'impatto in termini di rischi per la salute e l'ambiente.

121.  Dopo aver approvato un primo PRB con delibera n. 711 del 13 giugno 2005, la Regione Campania, ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, ha approvato un secondo PRB nel 2013. 152 del 2006, ha approvato un secondo PRB nel 2013. Tale piano è stato aggiornato con delibera n. 831 del 28 dicembre 2017, adottata dallo stesso ente. Ai sensi dell'articolo 251 del citato decreto legislativo, il PRB è lo strumento di programmazione e pianificazione con cui le autorità regionali individuano, sulla base di criteri stabiliti dall'ISPRA, le aree da decontaminare, l'ordine di priorità in considerazione del livello di rischio per l'ambiente e per la salute e l'onere finanziario che le attività di decontaminazione comporterebbero.

122.  Ai sensi dell'articolo 239 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, il PRB non riguarda le aree interessate da abbandono di rifiuti o da un problema di inquinamento diffuso. Ai sensi della stessa disposizione , queste aree dovevano essere regolamentate dalle autorità regionali attraverso programmi specifici.

123 .  L'articolo 241 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 prevede l'adozione di un regolamento in materia di decontaminazione, bonifica ambientale e misure di sicurezza (messa in sicurezza) dei terreni adibiti alla produzione agricola e zootecnica, da adottare con decreto del Ministro dell'Ambiente di concerto con il Ministro delle Attività Produttive, il Ministro della Salute e il Ministro delle Politiche Agricole e Forestali. Il regolamento è stato adottato con il Decreto Ministeriale n. 46 del 1° giugno 2019 (si veda il precedente paragrafo 87).

E.    Disposizioni generali di diritto penale

124.  L'articolo 39 del Codice penale suddivide i reati in due categorie: reati gravi (delitti) e reati minori (contravvenzioni).

125.  La distinzione tra le due categorie dipende dal diverso tipo di pene previste dall'articolo 17 del Codice penale: ergastolo, reclusione e multa per i reati gravi; arresto e ammenda per i reati minori. Tra le altre differenze di legge, i reati minori sono puniti con pene più lievi: la reclusione per reati minori non può superare i tre anni e la multa per reati minori non può superare l'importo di 10.000 euro. I reati minori hanno anche termini di prescrizione più brevi.

126 .  Ai sensi dell'articolo 434 del Codice penale, chi commette atti che possono causare il crollo di un edificio o di una sua parte, o un altro disastro, è punito, se la sicurezza pubblica è messa in pericolo, con la reclusione da uno a cinque anni. Se il crollo o il disastro si verifica effettivamente, la pena è da tre a dodici anni di reclusione.

127 .  Le parti rilevanti dell'articolo 439 del Codice Penale, che prevede il reato di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari, recitano come segue:

"Chiunque avveleni le acque o le sostanze destinate al consumo umano prima del loro consumo (attinte) o della loro distribuzione per il consumo è punito con non meno di quindici anni di reclusione;..."

128 .  Le parti pertinenti dell'articolo 440 del Codice Penale, che prevede il reato di adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari, recitano come segue:

"Chiunque corrompa o adulteri acque o sostanze destinate al consumo umano... rendendole pericolose per la salute pubblica, è punito con la reclusione da tre a dieci anni;...".

F.    Disposizioni di diritto penale in materia di lotta al danno ambientale

129 .  L'articolo 51 del Decreto Legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997 ha introdotto reati minori (contravvenzioni) nell'ambito della gestione non autorizzata dei rifiuti. Ai sensi dell'articolo 51 § 1, chiunque effettua la raccolta, il trasporto, il recupero o lo smaltimento di rifiuti senza la prescritta autorizzazione è punito con l'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da lire cinque milioni (circa 2.500 euro) a lire cinquanta milioni (circa 25.000 euro) se si tratta di rifiuti non pericolosi, e con l'arresto da sei mesi a due anni e l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se si tratta di rifiuti pericolosi. L'articolo 51 § 3 punisce, con le stesse pene, il fatto di creare o gestire una discarica non autorizzata. Si applica la reclusione da uno a tre anni e la multa da dieci milioni a cento milioni di lire se la discarica è destinata, anche parzialmente, allo smaltimento di rifiuti pericolosi.

130 .  L'articolo 256 del Decreto Legislativo, entrato in vigore il 29 aprile 2006 e che ha abrogato il Decreto Legislativo n. 22 del 1997, riproduce gli stessi reati. Ai sensi dell'articolo 157 del Codice Penale, vigente ratione temporis, questi reati erano soggetti a un termine di prescrizione di tre anni. La legge n. 251 del 5 dicembre 2005 ha portato il termine a quattro anni per i reati commessi dopo la sua entrata in vigore.

131 .  La Legge n. 90 del 23 marzo 2001 ha introdotto nel Decreto Legislativo n. 22 del 1997 il grave reato (delitto) di "attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti", come nuovo articolo 53 bis. La norma punisce con la reclusione da un anno a sei anni chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, in più operazioni e attraverso attività organizzate e continuative, smaltisce, riceve, trasporta, esporta, importa o comunque gestisce ingenti quantitativi di rifiuti. La pena è aumentata (da tre a otto anni di reclusione) quando si tratta di rifiuti altamente radioattivi. Questo reato è stato riprodotto identico all'articolo 260 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006. 152 del 2006. Il Decreto Legislativo n. 21 del 1° marzo 2018 ha trasferito il reato nel Codice Penale con un nuovo articolo 452 quaterdecies, nella sezione relativa ai reati ambientali.

132 .  L'articolo 3 del Decreto Legge n. 136 del 2013, che ha introdotto l'articolo 256 bis nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006, ha istituito il grave reato (delitto) di combustione illecita di rifiuti, punito con la reclusione da due a cinque anni e con la prescrizione (minima) di sei anni.

133 . Con la legge n. 68 del 2015, il legislatore ha istituito specifici reati gravi (delitti) per contrastare il traffico e lo scarico illegale di rifiuti: inquinamento ambientale, grave danno ecologico, traffico o scarico di sostanze ad alta radioattività, ostacolo alle attività di vigilanza e mancata decontaminazione. Questi reati sono puniti con pene detentive diverse, da due a quindici anni, e con multe da 10.000 a 100.000 euro. Il termine di prescrizione di ciascun reato coincide con il termine massimo di reclusione previsto da ciascuna disposizione, con un minimo di sei anni.

G.   Altre disposizioni di diritto interno

134.  L'articolo 2043 del Codice civile prevede:

"Qualsiasi atto illecito che provochi un danno a un'altra persona rende l'autore responsabile del risarcimento dei danni ai sensi della legge civile".

135 .  Gli articoli 309 e 310 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 prevedono la possibilità di presentare reclami al Ministro dell'Ambiente in relazione a presunti danni ambientali o alla loro minaccia. Le parti pertinenti dell'articolo 309 stabiliscono quanto segue:

1. Le regioni, le province autonome e gli enti locali ... nonché le persone fisiche o giuridiche che sono o potrebbero essere colpite da un danno ambientale o che hanno un interesse legittimo a partecipare alla procedura per l'adozione di misure di precauzione, prevenzione o ripristino ... possono presentare al Ministro dell'Ambiente ... reclami e osservazioni, corredati da documenti e informazioni, relativi a qualsiasi caso di danno ambientale o di minaccia imminente di danno ambientale e richiedere l'intervento dello Stato a tutela dell'ambiente ai sensi della parte sesta del presente decreto.

2. Le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell'ambiente, di cui all'articolo 13 della legge n. 349 dell'8 luglio 1986, sono riconosciute come portatrici dell'interesse di cui al paragrafo 1.

3. Il Ministro dell'Ambiente valuta le richieste di intervento e le osservazioni ad esse allegate relative a casi di danno o minaccia di danno all'ambiente e informa senza indugio le parti richiedenti delle misure adottate al riguardo.

4. In caso di minaccia imminente di danno, il Ministro dell'Ambiente, in caso di estrema urgenza, interverrà sul danno segnalato anche prima di rispondere ai richiedenti ai sensi del paragrafo 3.

136.  L'articolo 310 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 prevede, tra l'altro, la possibilità di adire il giudice amministrativo in caso di mancata risposta del Ministro dell'Ambiente (silenzio inadempimento) ad un'istanza presentata ai sensi dell'articolo 309.

137 .  Il Decreto Legislativo n. 198 del 20 dicembre 2009 (intitolato "Attuazione dell'articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorsi giurisdizionali volti a promuovere l'efficienza delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti erogatori di servizi pubblici") ha introdotto la possibilità di proporre un'azione collettiva contro le autorità amministrative pubbliche davanti al giudice amministrativo.

H.   La giurisprudenza

1.    Procedimenti civili

138 .  Tra il 2016 e il 2018 il Tribunale di Roma ha emesso una serie di sentenze in cui ha riconosciuto il risarcimento dei danni ai titolari di aziende agricole e zootecniche le cui attività erano state danneggiate dall'inquinamento dell'area della Valle del fiume Sacco, nella regione Lazio, in cui avevano operato.

2.    Procedimenti amministrativi

(a)    Sentenza n. 676 dell'8 febbraio 2012 del TAR Campania

139 .  L'11 febbraio 2011 l'associazione ambientalista Legambiente e una persona fisica, A.S., hanno presentato una denuncia ai sensi dell'articolo 309 del decreto legislativo 152 del 2006 (cfr. paragrafo 135). Hanno denunciato la contaminazione delle acque sotterranee e il deterioramento della qualità dell'aria dovuti, secondo i denuncianti, a pratiche illegali di gestione dei rifiuti in una discarica di rifiuti solidi urbani situata nel comune di Terzigno, in Campania. Hanno invitato il Ministero dell'Ambiente a intervenire e, tra le altre azioni, a ordinare ai responsabili della condotta contestata l'immediata cessazione delle attività, la sospensione cautelativa dell'attività della discarica e la messa in sicurezza della discarica. Poiché il Ministero dell'Ambiente non ha risposto, il 31 maggio 2011 i ricorrenti hanno presentato un ricorso al TAR della Campania. Con sentenza dell'8 febbraio 2012, il tribunale ha ritenuto che il Ministero dell'Ambiente non si fosse pronunciato sul ricorso nonostante fosse trascorso quasi un anno dalla sua presentazione. Ha precisato che, ai sensi dell'articolo 309 del Decreto Legislativo n. 152/2006 il Ministero dell'Ambiente ha l'obbligo di valutare i reclami e di formulare conclusioni motivate sulla necessità o meno di un intervento statale. Il TAR ha osservato che ciò non comporta l'obbligo del Ministero di intraprendere azioni di prevenzione o ripristino (assunzione doverosa e vincolata di azioni di precauzione, prevenzione o ripristino). Il decreto ordinava al Ministero dell'Ambiente di rispondere al reclamo dei ricorrenti entro novanta giorni e prevedeva la nomina di un commissario ad acta che doveva intervenire se, alla scadenza di tale termine, il Ministero non avesse risposto.

(b)    Sentenza n. 8154 del 26 e 28 marzo 2013 del TAR del Lazio.

140 .  Un gruppo di ricorrenti ha presentato una class action pubblica contro il Ministro dell'Interno ai sensi del decreto legislativo n. 198 del 2009 (cfr. paragrafo 137). 198 del 2009 (si veda il precedente paragrafo 137), lamentando il ripetuto e sistematico mancato rispetto da parte di alcune autorità amministrative pubbliche del termine di novanta giorni entro il quale le autorità amministrative competenti erano tenute a rilasciare il permesso di soggiorno. Il tribunale ha accolto la richiesta, ritenendo che rientrasse nell'ambito delle azioni collettive pubbliche definite dal Decreto Legislativo n. 198 del 2009, in quanto riguardava le azioni collettive di tipo pubblico. 198 del 2009, in quanto riguardava la violazione dei tempi previsti per l'adozione di atti amministrativi. A questo proposito, il tribunale ha ribadito che un'azione pubblica di classe può essere presentata al fine di richiedere il corretto svolgimento di una funzione pubblica o l'emanazione di atti amministrativi, e non solo nel contesto della fornitura di servizi pubblici. Ha ordinato alle autorità amministrative convenute di rilasciare i documenti necessari entro un anno, nei limiti delle loro risorse. Ha respinto il resto del ricorso.

(c)    Sentenza n. 2054 del 18 luglio 2013 del TAR della Campania.

141.  Un gruppo di ricorrenti ha presentato una class action pubblica contro il Comune di Salerno ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2009, lamentando che il Comune non aveva adottato, tra l'altro, una Carta della qualità dei servizi (carta della qualità dei servizi) come richiesto dalla normativa in materia. 198 del 2009, lamentando che il Comune non aveva adottato, tra l'altro, una Carta della qualità dei servizi come richiesto dalla normativa in materia. Dando ragione ai ricorrenti, il tribunale ha evidenziato che l'azione pubblica di classe può essere presentata da singoli titolari di interessi identici a quelli di una più ampia classe di utenti o consumatori, o da associazioni che rappresentano gli interessi dei loro membri.

(d)    Sentenza n. 5190 del 5 novembre 2015 del TAR del Lazio.

142 .  Un gruppo di ricorrenti ha presentato una class action pubblica contro il Ministero dell'Istruzione e il Ministero dell'Economia e delle Finanze ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2009, lamentando, tra l'altro, l'asserita mancata adozione da parte dei Ministeri citati degli atti amministrativi necessari affinché le autorità scolastiche locali potessero pagare ai ricorrenti determinate indennità di occupazione. 198 del 2009, lamentando, tra l'altro, l'asserita mancata adozione da parte dei Ministeri citati degli atti amministrativi necessari affinché le autorità scolastiche locali potessero corrispondere ai ricorrenti alcune indennità di occupazione cui avevano diritto. Nel dare ragione ai ricorrenti, il tribunale ha ribadito il principio secondo cui l'azione pubblica di classe costituisce uno strumento di tutela degli interessi collettivi che si aggiunge a quelli già previsti dal Codice di procedura amministrativa italiano.

3.    Procedimento penale

(a)    Sentenza della Corte d'Appello di Napoli (IV Sezione Penale) n. 5052 del 14 novembre 2012 e procedimenti connessi (Pellini e altri)

143 .  Il 14 novembre 2008 il Tribunale di Nola ha condannato un individuo (P.C.), tra l'altro, per il reato di realizzazione di una discarica non autorizzata (articolo 51 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, cfr. paragrafo 129) e per il reato di emissione di fumi nocivi (articolo 674 del Codice penale). È stato condannato a tre anni di reclusione e a una multa di 15.000 euro. Il tribunale ha inoltre riconosciuto il diritto delle parti civili al risarcimento e ha concesso loro una provvisionale di 50.000 euro ciascuna. Il ricorrente n. 5 nel presente procedimento (Mario Cannavacciuolo) si è costituito parte civile.

144.  Il 29 settembre 2010 la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado ma ha ridotto la pena a due anni di reclusione, con possibilità di beneficiare della sospensione condizionale della pena, e a una multa di 10.000 euro.

145.  P.C. ha presentato ricorso in Cassazione.

146.  La Corte di cassazione ha accolto il ricorso e ha rinviato il caso alla corte d'appello.

147.  Il 14 novembre 2012 la Corte d'appello di Napoli ha dichiarato la prescrizione dei reati.

(b)    Sentenza della Corte d'Appello di Napoli (IV sezione penale) n. 680/2015 del 23 aprile 2015 e sentenza della Corte di Cassazione, sezione penale I, n. 58023 del 7 maggio 2017 (Pellini e altri)

148 .  Il procedimento è nato da un'indagine iniziata nel 2006 sulla gestione e lo smaltimento illegale di circa un milione di tonnellate di rifiuti pericolosi e non pericolosi.

L'indagine ha rivelato che in alcune società di gestione dei rifiuti il reale contenuto dei rifiuti ricevuti (principalmente costituiti da rifiuti provenienti da attività di decontaminazione contenenti fanghi industriali, polveri provenienti dall'abbattimento dei fumi delle industrie siderurgiche e metallurgiche con alte concentrazioni di idrocarburi e metalli pesanti e oli minerali esausti) veniva occultato falsificando i documenti relativi alla loro classificazione. In particolare, i rifiuti venivano prelevati dai produttori e trasferiti in centri di stoccaggio o in altre aree di deposito, dove venivano modificati i documenti che li accompagnavano e i rifiuti venivano declassificati da pericolosi a non pericolosi senza che venisse effettuato alcun trattamento.

L'indagine ha inoltre rivelato lo scarico continuo e "sistematico" dei rifiuti sopra descritti, contenenti sostanze cancerogene come oli minerali esausti contenenti policlorobifenili (PCB) e amianto, in siti non autorizzati. I rifiuti liquidi sono stati scaricati in alcuni corsi d'acqua e nelle campagne di Aversa e Napoli. I rifiuti solidi, compresi quelli pericolosi, sono stati mescolati con altri materiali per produrre compost o sono stati interrati su terreni agricoli o in cave trasformate in discariche non autorizzate. Secondo quanto emerso dalle indagini, le condotte contestate erano state poste in essere a partire dal 2002, tra l'altro, nei comuni di Giugliano, Qualiano, Bacoli, Villaricca, Acerra e Caivano ed erano in corso al momento della denuncia.

Ventotto persone sono state rinviate a giudizio presso il Tribunale di Napoli con l'accusa, tra l'altro, di associazione per delinquere, "disastro" ai sensi dell'art. 434 c.p. (cfr. supra, paragrafo 126), attività organizzate per il traffico di rifiuti ai sensi dell'art. 53 bis del D.Lgs. n. 22 del 1997 (cfr. supra, paragrafo 131), raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti senza la prescritta autorizzazione ai sensi dell'art. 51 § 1 del D.Lgs. n. 22 del 5 febbraio 1997 (cfr. supra, paragrafo 129). 22 del 1997 (cfr. supra, paragrafo 131), raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti senza la prescritta autorizzazione ai sensi dell'art. 51 § 1 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (cfr. supra, paragrafo 129), gestione o realizzazione di una discarica non autorizzata ai sensi dell'art. 51 § 3 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (ibidem), e abuso d'ufficio. Per alcuni degli imputati, l'intenzione di aiutare e favorire un'organizzazione criminale è stata inclusa come circostanza aggravante in diversi reati. Tra le persone accusate vi erano i proprietari o i gestori di diverse società di gestione dei rifiuti e di impianti di trattamento dei rifiuti, un membro dell'Arma dei Carabinieri e funzionari pubblici del Comune di Acerra.

149.  Il ricorrente n. 5 nel presente caso (Mario Cannavacciuolo) si è costituito parte civile nel procedimento.

150.  Con sentenza del 29 marzo 2013 del Tribunale di Napoli, alcuni degli imputati sono stati condannati per l'accusa di associazione a delinquere ai sensi dell'articolo 416 del Codice penale; alcuni di loro sono stati assolti totalmente o parzialmente per altre accuse. La Corte distrettuale ha ritenuto che il reato di disastro fosse caduto in prescrizione per tutti gli imputati. La stessa conclusione è stata raggiunta per il reato di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti senza autorizzazione. Per quanto riguarda il reato di attività organizzate per il traffico di rifiuti, il tribunale ha ritenuto che fosse caduto in prescrizione per tutti gli imputati tranne uno. Il tribunale ha respinto la richiesta di risarcimento delle parti civili, sulla base del fatto che le loro richieste si basavano sull'accertamento di un danno ambientale e che il relativo reato era stato dichiarato prescritto.

151 .  Con sentenza del 23 aprile 2015 la Corte d'Appello di Napoli ha parzialmente confermato e parzialmente riformato la sentenza di primo grado. In particolare, per quanto riguarda il reato di disastro, ha rilevato che il giudice di primo grado aveva errato nel ritenere che le condotte in questione si fossero limitate a costituire un pericolo per la pubblica incolumità piuttosto che aver effettivamente causato un disastro, il che aveva indotto il giudice di primo grado a dichiarare la prescrizione del reato. La corte d'appello ha considerato che, per quanto riguarda gli impianti di gestione dei rifiuti di proprietà di tre imputati (P.C., P.S. e P.G.), il perito indipendente nominato dal tribunale aveva riscontrato una contaminazione del suolo e delle acque. Il tribunale ha inoltre citato prove che dimostrano lo scarico nei corsi d'acqua di grandi quantità di rifiuti speciali altamente pericolosi provenienti da tali impianti. Il tribunale ha fatto riferimento alle registrazioni video effettuate dalla polizia forestale durante l'indagine penale, che mostravano come il colore del corso d'acqua fosse cambiato in seguito allo scarico di grandi quantità di percolato di discarica. Si basava inoltre sulle prove che il compost era stato prodotto con sostanze pericolose e destinato a essere utilizzato come fertilizzante in ambienti agricoli e in aree residenziali. Il compost era stato analizzato e aveva rivelato un'alta concentrazione di idrocarburi e diossina, che contaminavano il suolo e l'acqua una volta sparsi sui campi come fertilizzanti. Il tribunale ha ritenuto che la natura della contaminazione avesse assunto proporzioni di durata, ampiezza e intensità tali da far ritenere il danno all'ambiente "straordinariamente grave".

Il tribunale ha quindi concluso che un disastro si era effettivamente verificato e che il reato non era prescritto. Ha condannato P.C., P.S. e P.G. per il reato di disastro e li ha condannati a sette anni di reclusione.

Il tribunale ha ritenuto che l'azione penale per il reato di traffico illecito di rifiuti fosse prescritta per tutti gli imputati.

Il tribunale ha inoltre riconosciuto alle parti civili il diritto al risarcimento, sebbene abbia dato loro mandato di rivolgersi ai tribunali civili per la quantificazione del premio, data l'indeterminatezza del danno subito e l'assenza di elementi concreti e specifici che ne consentissero la quantificazione.

152 .  Le persone condannate hanno fatto ricorso contro quest'ultima sentenza davanti alla Corte di Cassazione, che ha respinto i ricorsi con una sentenza del 7 maggio 2017.

(c)    Sentenza del Tribunale di Napoli Nord (Seconda Sezione) n. 685/2018 del 21 marzo 2018 (Pezzella, Schiavone e altri)

153 .  Nel 2011 la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha aperto un'indagine nei confronti di quattro persone, tutte sospettate di aver commesso il reato di adulterazione e contraffazione di prodotti alimentari ai sensi dell'articolo 440 del Codice penale (cfr. paragrafo 128).

154.  Questi ultimi, in data imprecisata, sono stati denunciati per il reato di cui sopra e rinviati a giudizio presso il Tribunale di Napoli Nord. Secondo l'accusa, erano sospettati di aver scaricato, a partire dalla metà degli anni '80, 130.000 metri cubi di rifiuti pericolosi nel comune di Casal di Principe, con conseguente contaminazione del suolo e delle acque della falda acquifera sottostante, entrambi analizzati nel corso dell'indagine penale e che avevano evidenziato quantità di alcuni metalli pesanti, idrocarburi pesanti e altri contaminanti superiori ai limiti di sicurezza previsti dalla legge.

155 .  Con sentenza del 5 aprile 2018, il Tribunale di Napoli Nord ha dichiarato la propria incompetenza a trattare il caso e ha rinviato la causa al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. La Corte non ha ricevuto ulteriori informazioni sull'esito del procedimento una volta trasferito.

(d)    Sentenza della Corte d'Assise di Napoli del 15 luglio 2016 e sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Napoli (IV Sezione) n. 8 del 16 luglio 2019 (Alfani e altri)

156 .  Il procedimento ha avuto origine da un'indagine che ha portato alla luce un'operazione di traffico di rifiuti su larga scala. Dalla fine degli anni '80, attraverso società di copertura e la falsificazione di documenti, aveva favorito lo smaltimento illegale di ingenti quantità di rifiuti, anche pericolosi, provenienti da fonti industriali e da altri soggetti privati in altre parti d'Italia, in discariche del comune di Giugliano (denominato complesso "Resit") e di altre aree limitrofe nelle province di Napoli e Caserta.

157.  A seguito delle indagini, trentotto persone sono state rinviate a giudizio davanti alla Corte d'Assise di Napoli con l'accusa di "disastro" ai sensi dell'articolo 434 del Codice penale (cfr. paragrafo 126) e di avvelenamento di acque ai sensi dell'articolo 439 del Codice penale (cfr. paragrafo 127). Sono stati accusati di aver inquinato vaste aree, per un periodo di vent'anni, seppellendo illegalmente 806.590 tonnellate di rifiuti, tra cui circa 300.000 tonnellate di rifiuti pericolosi, in discariche non attrezzate a tale scopo e nelle aree circostanti le discariche, causando la contaminazione del suolo e delle acque sotterranee. Nel corso del procedimento sono state presentate diverse relazioni da parte di esperti nominati dal tribunale per valutare la contaminazione del suolo e delle acque in relazione all'inquinamento in questione. Le relazioni hanno confermato che le discariche in cui sono stati scaricati e/o interrati i rifiuti erano strutturalmente inadeguate a contenere i rifiuti tossici. I rapporti includono i risultati delle attività di analisi chimiche che confermano quella che è stata definita una contaminazione "grave e irreversibile" di tutti gli elementi ambientali: suolo, acqua e aria.

La contaminazione del suolo era una conseguenza diretta dell'interramento non autorizzato di rifiuti in siti privi di misure di protezione. Per quanto riguarda l'inquinamento delle acque, uno degli esperti ha quantificato il percolato delle discariche in questione in 57.900 tonnellate e ha stimato che il dieci per cento di esso è penetrato nella falda acquifera, provocando un danno che ha definito "di natura irreparabile", data l'estrema difficoltà di decontaminazione. In particolare, l'acqua campionata dai pozzi all'interno delle discariche in questione e l'acqua di falda sottostante l'area sono risultate contaminate da aliti clorurati cancerogeni e non cancerogeni. L'esperto aveva anche riscontrato una contaminazione da solventi clorurati in pozzi situati al di fuori dell'area Resit. Secondo l'esperto, per quanto riguarda le discariche situate nell'area Resit, l'infiltrazione del liquido contenente i solventi clorurati nella falda acquifera si sarebbe esaurita non prima di settantanove anni e, quindi, il progressivo inquinamento delle acque sotterranee sarebbe stato completato entro il 2064, dato che l'inizio dello smaltimento di questi rifiuti poteva essere fatto risalire alla metà degli anni Ottanta.

La contaminazione dell'aria è stata rilevata sotto forma di emissioni di gas provenienti dai siti di interramento dei rifiuti o dai terreni adiacenti a causa della migrazione laterale.

Secondo l'esperto, questa contaminazione costituisce una minaccia per la salute umana e animale, oltre che per le coltivazioni su questi terreni.

158.  In una sentenza emessa il 15 luglio 2016, la Corte d'Assise ha condannato, tra l'altro, quattro persone per i reati di "disastro" e avvelenamento delle acque. Altri imputati sono stati assolti e alcuni reati, come la falsificazione di documenti e la frode, sono stati dichiarati prescritti.

159 .  Con sentenza del 17 gennaio 2019 (motivazione depositata il 16 luglio 2019) la Corte d'Assise d'Appello ha riqualificato il reato di disastro e lo ha dichiarato prescritto. Ha confermato le condanne di tre persone per il reato di avvelenamento di acque ai sensi dell'articolo 439 del Codice penale e le ha condannate a pene detentive comprese tra 10 e 18 anni.

(e)    Sentenza della Corte d'Appello di Napoli (VI sezione penale) n. 1843 del 9 marzo 2015 e sentenza della Corte di Cassazione, sezione VI penale, n. 19001 del 5 aprile 2016 (Armenino e altri)

160 .  Il procedimento è scaturito da un'indagine iniziata nel 2002 sull'infiltrazione di un gruppo criminale organizzato (camorra) nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti nel comune di Marcianise. Le prove raccolte dalle autorità investigative hanno rivelato che era stato raggiunto un accordo tra l'azionista di maggioranza di una società privata di gestione dei rifiuti e un esponente di spicco di un clan camorristico, al fine di consentire a quest'ultimo di essere coinvolto, di fatto, nella gestione della società. Come descritto dalla Corte di Cassazione, questa collaborazione aveva portato a un'ampia gamma di attività illecite legate alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti. A seguito delle indagini, quarantatré persone sono state rinviate a giudizio presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con l'accusa, tra l'altro, di attività organizzate per il traffico di rifiuti (cfr. paragrafo 131), falsificazione di documenti identificativi di tipologie di rifiuti ed estorsione nei confronti di imprenditori operanti nel settore della gestione dei rifiuti. Alcuni degli imputati sono stati condannati per più capi d'imputazione, altri sono stati assolti totalmente o parzialmente.

161.  Il 9 marzo 2015 la Corte d'appello di Napoli ha confermato la condanna di alcuni imputati per il reato di attività organizzate per il traffico di rifiuti; ha rivalutato la pena di un imputato, infliggendogli diciannove anni di reclusione e una multa di 4.800 euro.

162 .  Alcuni degli imputati hanno presentato ricorso, che però è stato respinto dalla Corte di Cassazione il 5 aprile 2016.

(f)      Sentenza del Tribunale di Napoli (Sezione Penale) n. 9614/02 del 20 dicembre 2002 (Cavagnoli)

163 .  Il Tribunale di Napoli ha condannato un individuo, B.C., per aver commesso, tra l'altro, una serie di reati minori ai sensi dell'articolo 51 del Decreto Legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, e cioè la raccolta di rifiuti speciali, compresi quelli pericolosi, senza autorizzazione, e lo scarico e lo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi (si veda il paragrafo 129 sopra). B.C era il rappresentante legale di una società di stoccaggio di veicoli a motore e il tribunale ha accertato che aveva accumulato parti di veicoli rotte e arrugginite, tra cui batterie e pneumatici per auto. L'indagine ha anche rivelato la presenza di veicoli abbandonati. Da alcuni di questi rifiuti era fuoriuscito olio per motori su un terreno non reso impermeabile. B.C. è stato condannato a sei mesi di reclusione e a una multa di 140 euro.

            II.  DIRITTO E PRATICA DELL'UNIONE EUROPEA

                                A.         Diritto dell'Unione europea pertinente

164.  I considerando 2, 6 e da 8 a 10 del preambolo della direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti, in vigore fino all'11 dicembre 2010, recitano come segue:

"(2) L'obiettivo essenziale di tutte le disposizioni relative alla gestione dei rifiuti deve essere la protezione della salute umana e dell'ambiente dagli effetti nocivi causati dalla raccolta, dal trasporto, dal trattamento, dallo stoccaggio e dal deposito dei rifiuti.

...

(6) Al fine di raggiungere un elevato livello di protezione dell'ambiente, gli Stati membri, oltre a intraprendere azioni responsabili per garantire lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, dovrebbero adottare misure per limitare la produzione di rifiuti, in particolare promuovendo tecnologie e prodotti puliti che possono essere riciclati e riutilizzati, tenendo conto delle opportunità di mercato esistenti o potenziali per i rifiuti recuperati.

...

(8) È importante che [l'Unione Europea] nel suo complesso diventi autosufficiente nello smaltimento dei rifiuti ed è auspicabile che i singoli Stati membri puntino a tale autosufficienza.

(9) Per raggiungere questi obiettivi, negli Stati membri devono essere elaborati piani di gestione dei rifiuti.

(10) I movimenti di rifiuti devono essere ridotti e gli Stati membri possono adottare le misure necessarie a tal fine nei loro piani di gestione."

L'articolo 4 della direttiva prevede quanto segue:

"1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare processi o metodi che potrebbero danneggiare l'ambiente, e in particolare:

(a) senza rischi per l'acqua, l'aria o il suolo, o per piante o animali;

(b) senza causare fastidio per il rumore o gli odori;

(c) senza incidere negativamente sul paesaggio o sui luoghi di particolare interesse.

2. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per vietare l'abbandono, lo scarico o lo smaltimento incontrollato dei rifiuti".

165.  L'articolo 5 è formulato come segue:

"1. Gli Stati membri adottano le misure appropriate, in cooperazione con altri Stati membri ove ciò sia necessario o consigliabile, per creare una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento, tenendo conto della migliore tecnologia disponibile che non comporti costi eccessivi. La rete deve consentire alla Comunità nel suo complesso di diventare autosufficiente nello smaltimento dei rifiuti e agli Stati membri di procedere individualmente verso questo obiettivo, tenendo conto delle circostanze geografiche o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti.

2. La rete di cui al paragrafo 1 deve consentire lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, mediante i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e della salute pubblica".

166.  L'articolo 7 stabilisce che:

"1. Per conseguire gli obiettivi di cui agli articoli 3, 4 e 5, l'autorità o le autorità competenti di cui all'articolo 6 sono tenute a elaborare quanto prima uno o più piani di gestione dei rifiuti. Tali piani riguardano in particolare:

(a) il tipo, la quantità e l'origine dei rifiuti da recuperare o smaltire;

(b) requisiti tecnici generali;

(c) eventuali disposizioni speciali per rifiuti particolari;

(d) siti o impianti di smaltimento idonei.

2. I piani di cui al paragrafo 1 possono, ad esempio, riguardare:

...

(c) misure appropriate per incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della selezione e del trattamento dei rifiuti.

3. Gli Stati membri collaborano, se del caso, con gli altri Stati membri e con la Commissione per l'elaborazione di tali piani. Essi li notificano alla Commissione.

...".

B.   Le sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (ex Corte di Giustizia delle Comunità Europee; "la Corte di Giustizia")

167 . Il 22 marzo 2005 la Commissione delle Comunità europee (che dal 1° dicembre 2009 è diventata la Commissione europea; "la Commissione") ha presentato alla Corte di giustizia un ricorso per inadempimento contro l'Italia ai sensi dell'articolo 226 del Trattato che istituisce la Comunità europea ("TCE") (ora articolo 258) (causa C-135/05). Criticando l'esistenza di un certo numero di discariche illegali e non controllate in Italia, la Commissione ha affermato che le autorità italiane non hanno rispettato gli obblighi previsti dagli articoli 4, 8 e 9 della Direttiva 75/442/CEE sui rifiuti, dall'articolo 2 § 1 della Direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e dall'articolo 14, lettere da a) a c), della Direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti.

168.  Nella sentenza del 26 aprile 2007 Commissione/Italia (C-135/05, EU:C:2007:250), la Corte di giustizia ha rilevato la generale inosservanza da parte delle discariche delle disposizioni applicabili, osservando, tra l'altro, che il governo italiano non ha contestato l'esistenza in Italia di almeno 700 discariche abusive contenenti rifiuti pericolosi, che non erano quindi soggette ad alcuna misura di controllo .

169.  Ha concluso che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi previsti dalle disposizioni citate dalla Commissione, in quanto non ha adottato tutte le misure necessarie per garantire che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute umana e senza utilizzare procedimenti o metodi che potrebbero danneggiare l'ambiente, e non ha vietato l'abbandono, lo scarico o lo smaltimento incontrollato dei rifiuti.

170.  Il 3 luglio 2008 la Commissione ha presentato un nuovo ricorso per inadempimento contro l'Italia ai sensi dell'articolo 226 del TCE (causa C-297/08).

171.  Nella sentenza del 4 marzo 2010 Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115) la Corte di giustizia, pur prendendo atto delle misure adottate dall'Italia nel 2008 per far fronte alla "crisi dei rifiuti", ha fatto riferimento all'esistenza di un "deficit strutturale in termini di impianti necessari allo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti in Campania, come dimostrato dalle notevoli quantità di rifiuti che [si erano] accumulati lungo le strade pubbliche della regione". La Corte ha ritenuto che l'Italia "non abbia adempiuto all'obbligo di creare una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento che le consenta [...] di progredire verso l'obiettivo di garantire lo smaltimento dei propri rifiuti e, di conseguenza, [sia] venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'articolo 5 della direttiva 2006/12". Secondo la Corte di giustizia, tale inadempimento non poteva essere giustificato da circostanze quali l'opposizione della popolazione locale ai siti di smaltimento dei rifiuti, la presenza di attività criminali nella regione o l'inadempimento degli obblighi contrattuali da parte delle imprese incaricate della costruzione di alcune infrastrutture di smaltimento dei rifiuti. La Corte ha spiegato che quest'ultimo fattore non poteva essere considerato forza maggiore, perché la nozione di forza maggiore richiede che la mancata esecuzione dell'atto in questione sia attribuibile a circostanze, al di fuori del controllo della parte che invoca la forza maggiore, che siano "anormali e imprevedibili e le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l'esercizio di tutta la diligenza dovuta", e che un'autorità diligente avrebbe dovuto prendere le precauzioni necessarie per prevenire l'inadempimento contrattuale in questione o per garantire che, nonostante tali carenze, l'effettiva costruzione delle infrastrutture necessarie per lo smaltimento dei rifiuti sarebbe stata completata nei tempi previsti. La Corte di giustizia ha inoltre osservato che la Repubblica italiana non ha contestato il fatto che "i rifiuti che disseminano le strade pubbliche ammontano a 55.000 tonnellate, che si aggiungono alle 110.000-120.000 tonnellate di rifiuti in attesa di trattamento nei siti di stoccaggio comunali". Per quanto riguarda il rischio ambientale, la Corte di giustizia ha ribadito che, tenuto conto in particolare della capacità limitata di ogni regione o località per la raccolta dei rifiuti, l'accumulo di rifiuti costituisce un pericolo per l'ambiente. Essa ha concluso che l'accumulo di tali ingenti quantità di rifiuti lungo le strade pubbliche e nelle aree di deposito temporaneo aveva dato luogo a un "rischio per l'acqua, l'aria o il suolo, nonché per la flora o la fauna" ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/12, aveva causato "un fastidio per il rumore o gli odori" ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera b), ed era suscettibile di incidere "negativamente (...) sul paesaggio o sui siti di particolare interesse" ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della stessa direttiva. Per quanto riguarda il pericolo per la salute umana, la Corte di giustizia ha rilevato che "la preoccupante situazione di accumulo di rifiuti lungo le strade pubbliche [aveva] esposto la salute degli abitanti del luogo a un certo pericolo, in violazione dell'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2006/12".

172 .  Il 10 dicembre 2010 la Commissione ha presentato alla Corte di giustizia un ulteriore ricorso per inadempimento ai sensi dell'articolo 260, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) (causa C-653/13), a causa della mancata adozione da parte dell'Italia di tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Italia (causa C-297/08, EU:C:2010:115).

173 .  Nella sentenza del 16 luglio 2015 Commissione/Italia (C-653/13, EU:C:2015:478), la Corte di giustizia ha osservato che l'obbligo di smaltire i rifiuti senza pericolo per la salute umana e senza recare pregiudizio all'ambiente rientrava nella finalità stessa della politica dell'Unione in materia ambientale, in virtù dell'articolo 191 TFUE. In particolare, l'inosservanza degli obblighi derivanti dall'articolo 4 della direttiva 2006/12 era suscettibile, per la natura stessa di tali obblighi, di mettere direttamente in pericolo la salute umana e di danneggiare l'ambiente e doveva, pertanto, essere considerata particolarmente grave.

Ha ritenuto che le significative carenze nella capacità della Regione Campania di smaltire i propri rifiuti, compresa la produzione di rifiuti urbani, che rappresentano oltre l'8% della produzione nazionale, fossero tali da compromettere seriamente la capacità della Repubblica Italiana di raggiungere l'obiettivo dell'autosufficienza nazionale. Inoltre, ha rilevato che molte discariche in quasi tutte le regioni italiane non erano ancora state adeguate alle disposizioni in materia di gestione dei rifiuti. Secondo la Corte di giustizia, questa constatazione è in contrasto con l'affermazione della Repubblica italiana secondo cui la mancanza di autosufficienza regionale in Campania potrebbe essere compensata da trasferimenti interregionali di rifiuti.

In conclusione, la Corte di giustizia ha osservato che la Repubblica italiana, non avendo adottato tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Italia (causa C-297/08, EU:C:2010:115), nella quale aveva dichiarato di essere venuta meno agli obblighi derivanti dagli articoli 4 e 5 della direttiva 2006/12, è venuta meno agli obblighi derivanti dall'articolo 260, paragrafo 1, TFUE. Di conseguenza, la Repubblica italiana è stata condannata a pagare alla Commissione una sanzione di 120.000 euro (euro) per ogni giorno di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115), a partire dalla data di pronuncia della sentenza della Corte di giustizia del 16 luglio 2015 e fino alla completa esecuzione di tale sentenza, oltre a una sanzione forfettaria di 20 milioni di euro.

            III.         DIRITTO E PRATICA INTERNAZIONALE

                                  A.         Materiale relativo alla raccolta dei rifiuti in Italia e al fenomeno della Terra dei Fuochi

                                                        1.         Consiglio d'Europa

174.  Il 6 giugno 2019 il Comitato dei Ministri ha esaminato l'esecuzione della sentenza della Corte nella causa Di Sarno e altri c. Italia (citata sopra). Le parti pertinenti del documento preparato a questo proposito (CM/Notes/1348/H46-13, Note all'ordine del giorno, 6 giugno 2019) recitano come segue:

(...)

Per quanto riguarda le fasi di raccolta e trattamento del ciclo dei rifiuti, le informazioni disponibili mostrano un consolidamento del trend positivo precedentemente rilevato dal Comitato, in particolare per quanto riguarda l'aumento della percentuale di rifiuti differenziati che tra il 2014 e il 2017 è aumentata del 5%. A livello globale, dal 2009 al 2017 il livello di rifiuti differenziati è passato dal 29% al 53%. Gli sforzi delle autorità volti a promuovere i sistemi di raccolta differenziata dei rifiuti e il risultato ottenuto vanno notati con interesse.

(...)

Per quanto riguarda la fase di smaltimento, occorre distinguere tra, da un lato, il funzionamento quotidiano del sistema di smaltimento dei rifiuti e, dall'altro, l'eliminazione dei cosiddetti "rifiuti storici" (o "ecoballe") accumulati durante il periodo di emergenza fino al 2009.

Per quanto riguarda il primo punto, in assenza di informazioni dettagliate e aggiornate non è possibile valutare la situazione attuale e l'efficacia del sistema di smaltimento dei rifiuti. Il Comitato potrebbe quindi invitare le autorità a fornire informazioni specifiche sull'attuale funzionamento quotidiano del sistema di smaltimento dei rifiuti, compresa la sua capacità, sulla base degli impianti esistenti, di smaltire i rifiuti prodotti nella regione Campania, e sulle strategie e soluzioni a lungo termine adottate e/o previste per garantire l'effettivo funzionamento di questo segmento cruciale del ciclo di gestione dei rifiuti. In questo contesto si segnala che recentemente sono stati registrati diversi episodi di accumulo di rifiuti nelle strade.

Per quanto riguarda lo smaltimento dei "rifiuti storici" accumulati in Campania, le informazioni disponibili mostrano che le misure adottate per affrontare questo problema non hanno portato i risultati attesi. La situazione appare preoccupante. Mentre l'eliminazione di circa il 38% dei rifiuti stoccati è stata appaltata a terzi, solo l'1,9% dei rifiuti stoccati è stato rimosso al 15 febbraio 2018.

Appare quindi essenziale che le autorità adottino, senza ulteriori ritardi, tutte le misure necessarie per attuare il piano speciale del dicembre 2015 al fine di rimuovere i "rifiuti storici" accumulati e bonificare i luoghi in cui sono attualmente stoccati. Sono inoltre necessarie informazioni aggiornate sullo stato attuale di esecuzione del piano e sui tempi previsti per la sua completa attuazione.

(...)

Garantire un monitoraggio efficace e coordinato di tutte le fasi del processo di gestione dei rifiuti è un aspetto cruciale della risposta al complesso e sfaccettato problema in questione. L'impegno delle autorità italiane ha portato negli ultimi anni all'istituzione di diversi meccanismi di monitoraggio per sorvegliare il funzionamento del ciclo di gestione dei rifiuti e per prevenire lo smaltimento illegale dei rifiuti.

Tuttavia, le informazioni disponibili non consentono di valutare, da un lato, il livello di coordinamento esistente tra tutti i meccanismi istituiti (compresi quelli portati all'attenzione del Comitato in occasione dell'ultimo esame del caso) e, dall'altro, come richiesto in precedenza dal Comitato, la loro capacità di formulare raccomandazioni, ove necessario, e, in caso affermativo, il seguito dato alle stesse. Inoltre, sarebbe utile ottenere ulteriori informazioni sul funzionamento pratico dei meccanismi di monitoraggio istituiti, compresa la loro capacità di individuare le situazioni in cui lo smaltimento dei rifiuti avviene in modo tale da influire negativamente sull'ambiente e da richiedere interventi da parte delle autorità.

175 .  Il 6 giugno 2019, a conclusione della 1348a riunione (4-6 giugno 2019), il Comitato dei Ministri ha adottato una decisione (CM/Del/Dec(2019)1348/H46-13) relativa alla supervisione dell'esecuzione della sentenza Di Sarno. I relativi estratti recitano come segue:

I Deputati,

1.per quanto riguarda la raccolta e il trattamento dei rifiuti, ha preso atto con interesse degli sforzi delle autorità italiane volti a promuovere sistemi di raccolta differenziata e del consolidamento negli ultimi anni degli incoraggianti risultati precedentemente raggiunti in termini di raccolta differenziata dei rifiuti;

 2.per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, ha notato con preoccupazione che, almeno fino al 15 febbraio 2018, solo una minima parte dei cosiddetti "rifiuti storici" accumulati prima del 2009 è stata rimossa e ha invitato le autorità ad attuare senza ulteriori ritardi il piano per la rimozione di questo tipo di rifiuti; (...)

176 .  Il 16 settembre 2021, a conclusione della sua 1411a riunione (14-16 settembre 2021), il Comitato dei Ministri ha adottato un'altra decisione (CM/Del/Dec(2021)1411/H46-20) riguardante la supervisione dell'esecuzione della sentenza Di Sarno. I relativi estratti recitano come segue:

"I Deputati, ...

2. hanno ricordato le loro precedenti valutazioni, concludendo che sono stati compiuti sufficienti progressi nell'affrontare le carenze sistemiche nella raccolta e nel trattamento dei rifiuti nella regione Campania;

3. ha tuttavia notato con profondo rammarico che, nonostante gli intensi sforzi intrapresi dal Segretariato per dare seguito alla precedente decisione del Comitato del giugno 2019, le autorità non hanno fornito alcuna informazione sui passi compiuti per risolvere le questioni ancora aperte in tale decisione in relazione a (i) l'attuale funzionamento quotidiano del sistema di smaltimento dei rifiuti; (ii) la rimozione dei cosiddetti "rifiuti storici" accumulati prima del 2009; (iii) il funzionamento pratico e il livello di coordinamento dei vari meccanismi di monitoraggio istituiti a livello nazionale e (iv) la mancanza di rimedi efficaci;

4. ha rilevato, in questo contesto, con preoccupazione che continuano ad essere segnalate disfunzioni in relazione allo smaltimento dei rifiuti in Campania, nonostante i vari meccanismi nazionali istituiti per vigilare sul funzionamento del ciclo di gestione dei rifiuti e per prevenire lo smaltimento illegale dei rifiuti; ..."

177 .  Il 10 giugno 2022, a conclusione della 1436ª riunione (08-10 giugno 2022), il Comitato dei Ministri ha adottato un'altra decisione (CM/Del/Dec(2022)1436/H46-12) relativa alla supervisione dell'esecuzione del caso Di Sarno. Gli estratti rilevanti sono i seguenti:

2. ha ricordato inoltre che, mentre sono stati compiuti progressi per quanto riguarda le disfunzioni nella raccolta e nel trattamento dei rifiuti, nell'esecuzione di questa sentenza permangono questioni relative a diversi aspetti della fase di smaltimento del ciclo di gestione dei rifiuti e all'assenza di un rimedio per ottenere un'adeguata riparazione a livello nazionale in situazioni analoghe;

3. per quanto riguarda lo smaltimento giornaliero dei rifiuti, ha preso atto delle informazioni fornite sull'attuale capacità e strategia regionale per eliminare i rifiuti prodotti; ha tuttavia notato con una certa preoccupazione che nel periodo 2017-2020 non è stato osservato alcun progresso significativo nel livello di raccolta dei rifiuti differenziati, considerato cruciale dalle autorità per raggiungere l'autonomia regionale nello smaltimento dei rifiuti; ha invitato le autorità a raddoppiare gli sforzi nelle aree maggiormente interessate da questo problema e a fornire una valutazione completa, affrontando anche le preoccupazioni espresse dalla società civile, dell'adeguatezza dell'attuale sistema per prevenire violazioni simili;

4. per quanto riguarda l'eliminazione dei cosiddetti "rifiuti storici", ha preso atto con soddisfazione che la strategia delineata dalle autorità ha portato, entro il 2021, alla rimozione di quasi il 20% di questo tipo di rifiuti e che si prevedono ulteriori progressi a partire dal 2022 grazie al funzionamento di due ulteriori impianti; ha invitato le autorità a garantire il funzionamento efficiente di questi impianti e la completa eliminazione della quantità rimanente di questo tipo di rifiuti e a tenere informato il Comitato sugli ulteriori progressi compiuti;

5. ha preso atto delle informazioni fornite sui meccanismi di monitoraggio istituiti e sull'imminente entrata in vigore di un nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti; ha invitato le autorità a fornire informazioni aggiornate sulla loro interazione ed efficacia nell'individuare e risolvere eventuali carenze, chiarendo, come richiesto in precedenza, se possono emettere raccomandazioni vincolanti; (...)

2.    Nazioni Unite

178 .  Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulle implicazioni per i diritti umani della gestione e dello smaltimento ecocompatibile di sostanze e rifiuti pericolosi (indicato anche come relatore speciale delle Nazioni Unite su sostanze tossiche e diritti umani), Marcos A. Orellana, ha visitato l'Italia dal 30 novembre al 13 dicembre 2021. Il suo rapporto finale, pubblicato il 13 luglio 2022 (A/HRC/51/35/Add.2), contiene una sezione intitolata Terra dei Fuochi. I relativi estratti recitano come segue:

"37. La cosiddetta Terra dei Fuochi in Campania ospita circa 3 milioni di persone e comprende circa 500 siti contaminati in 90 comuni tra la parte nord-occidentale di Caserta e quella nord-orientale di Napoli. Cinquantasei di questi comuni sono in provincia di Napoli e trentaquattro in provincia di Caserta, con una popolazione esposta rispettivamente di 2.418.440 e 621.153 abitanti. (...) Le stime del 2015 indicano che negli ultimi 20 anni sono stati scaricati nell'area oltre 10 milioni di tonnellate di rifiuti illegali. (...)

38. Una parte dei rifiuti è stata trasportata in Campania dalle aree industrializzate del Nord Italia dalle cosiddette Ecomafie. Un'altra parte dei rifiuti è stata prodotta dalle industrie locali della regione. In passato, il rischio legato allo smaltimento illegale dei rifiuti era relativamente basso, in quanto veniva trattato come un semplice reato con sanzioni ridotte. Questo ha incoraggiato molte industrie e aziende del Paese ad associarsi a reti criminali per ridurre il costo dello smaltimento dei rifiuti. Solo nel 2013, lo smaltimento illegale di rifiuti e rifiuti tossici ha generato una cifra stimata in 16 miliardi di euro per le organizzazioni criminali in Italia.

40. Lo scarico illegale e la combustione di rifiuti pericolosi hanno generato livelli molto elevati di inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo in alcune aree. Su 400 ettari analizzati dalle autorità, l'agricoltura è stata totalmente vietata nel 12% e parzialmente vietata in un altro 20%. Tuttavia, la portata della contaminazione non è del tutto nota. Alcuni studi hanno documentato un aumento della morbilità e della mortalità delle persone che vivono nelle aree inquinate (...). Nonostante le richieste del relatore speciale, le autorità sanitarie regionali non hanno fornito dati dettagliati che potessero confutare questi risultati.

(...) La combustione dei rifiuti continua a essere praticata in Campania, anche se a livelli inferiori rispetto ai primi anni 2000.

(...) Il governo ha preso diverse iniziative, tra cui misure legislative nel 2014, per la valutazione e la bonifica dei siti contaminati. Tuttavia, non sono state stanziate risorse sufficienti per l'effettiva attuazione della legge. Le attività di bonifica non sono quindi ancora state implementate ed è necessario un maggiore sostegno da parte del Governo centrale".

B.   Materiale relativo ad altre questioni

1.     Diritto alla vita

179.  Nel suo Commento generale n. 36 sul diritto alla vita (articolo 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici), pubblicato il 3 settembre 2019, il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha affermato quanto segue:

"3. Il diritto alla vita è un diritto che non deve essere interpretato in modo restrittivo. Riguarda il diritto degli individui di essere liberi da atti e omissioni che sono destinati o possono essere previsti per causare la loro morte innaturale o prematura, così come di godere di una vita con dignità." ...

180.  Nel caso Portillo Cáceres v. Paraguay[1] il Comitato per i diritti umani ha affermato quanto segue:

"7.4 Il Comitato prende inoltre atto degli sviluppi di altri tribunali internazionali che hanno riconosciuto l'esistenza di un innegabile legame tra la protezione dell'ambiente e la realizzazione dei diritti umani e che hanno stabilito che il degrado ambientale può influire negativamente sull'effettivo godimento del diritto alla vita. Pertanto, un grave degrado ambientale ha dato luogo a constatazioni di violazione del diritto alla vita.

7.5 Nel caso in esame, il Comitato ritiene che l'irrorazione massiccia dell'area in questione con prodotti agrochimici tossici - azione ampiamente documentata - rappresenti una minaccia ragionevolmente prevedibile per la vita degli autori, dato che tale fumigazione su larga scala ha contaminato i fiumi in cui gli autori pescano, l'acqua dei pozzi che bevono e gli alberi da frutto, le colture e gli animali da allevamento che sono la loro fonte di cibo (...)....) Di conseguenza, in considerazione dell'avvelenamento acuto subito dagli autori, come riconosciuto nella decisione di amparo del 2011 (paragrafi 2.20 e 2.21), e della morte del signor Portillo Cáceres, che non è mai stata spiegata dallo Stato parte, il Comitato conclude che le informazioni in suo possesso rivelano una violazione dell'articolo 6 del Patto nei casi del signor Portillo Cáceres e degli autori della presente comunicazione".

2.    Raccolta e diffusione di informazioni ambientali

181.  La Convenzione delle Nazioni Unite sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale ("Convenzione di Aarhus") è stata adottata il 25 giugno 1998 ed è entrata in vigore il 30 ottobre 2001. L'Italia ha ratificato la Convenzione il 13 giugno 2001. Il preambolo del testo riconosce che un'adeguata protezione dell'ambiente è essenziale per il benessere umano e per il godimento dei diritti umani fondamentali, compreso il diritto alla vita stessa.

182 .  L'articolo 5, paragrafo 1, lettera c) della Convenzione di Aarhus impone a ciascuna Parte di garantire che "in caso di minaccia imminente per la salute umana o per l'ambiente, sia essa causata da attività umane o dovuta a cause naturali, tutte le informazioni che potrebbero consentire al pubblico di adottare misure per prevenire o attenuare i danni derivanti da tale minaccia e che sono in possesso di un'autorità pubblica siano diffuse immediatamente e senza indugio ai membri del pubblico che potrebbero essere interessati".

3.    Il principio di precauzione

183.  In virtù del principio di precauzione, sancito dall'articolo 191 del TFUE, la mancanza di certezza dei dati scientifici e tecnici disponibili non può giustificare che gli Stati ritardino l'adozione di misure efficaci e proporzionate per prevenire un rischio di danno grave e irreversibile all'ambiente (cfr. Di Sarno, cit., § 75). Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, "in caso di incertezza sull'esistenza o sull'entità dei rischi per la salute umana, le istituzioni possono adottare misure di protezione senza dover attendere che la realtà e la gravità di tali rischi si manifestino pienamente" (sentenza del 5 maggio 1998, Regno Unito/Commissione, C-180/96, EU:C:1998:192, paragrafo 99; e sentenza del 5 maggio 1998 nella causa The Queen contro Ministry of Agriculture, Fisheries and Food e Commissioners of Customs & Excise, ex parte National Farmers' Union e altri, C-157/96, EU:C:1998:191, paragrafo 63).

184.  Il 15 novembre 2017 la Corte interamericana dei diritti umani ha emesso un parere consultivo intitolato "Ambiente e diritti umani"[2] . La relativa parte conclusiva del parere consultivo recita come segue:

"Conclusione ...

242.  Sulla base di quanto sopra, in risposta alla seconda e terza domanda dello Stato richiedente, la Corte ritiene che, al fine di rispettare e garantire i diritti alla vita e all'integrità personale:

a.  Gli Stati hanno l'obbligo di prevenire danni ambientali significativi all'interno o all'esterno del loro territorio, in conformità con i paragrafi 127-174 del presente Parere.

b.  Per ottemperare all'obbligo di prevenzione, gli Stati devono regolamentare, supervisionare e monitorare le attività all'interno della loro giurisdizione che potrebbero produrre un danno ambientale significativo; condurre valutazioni di impatto ambientale quando c'è il rischio di un danno ambientale significativo; preparare un piano di emergenza per stabilire misure e procedure di sicurezza per ridurre al minimo la possibilità di incidenti ambientali gravi e mitigare qualsiasi danno ambientale significativo che possa essersi verificato, anche quando si è verificato nonostante le azioni preventive dello Stato, in conformità con i paragrafi da 141 a 174 del presente parere.

c.  Gli Stati devono agire nel rispetto del principio di precauzione per proteggere i diritti alla vita e all'integrità personale nel caso di potenziali danni gravi o irreversibili all'ambiente, anche in assenza di certezza scientifica, in conformità con il paragrafo 180 del presente Parere.

185.  Nel caso della popolazione di La Oroya contro il Perù[3] , la Corte interamericana dei diritti umani ha ritenuto le autorità statali responsabili della mancata protezione degli abitanti della città di La Oroya, esposti all'inquinamento tossico di un complesso metallurgico. La parte rilevante della sentenza recita come segue [ ] :*

"207. (...) questa Corte ricorda che gli Stati devono agire in conformità al principio di precauzione per prevenire la violazione dei diritti degli individui nei casi in cui vi siano indicatori plausibili che un'attività possa causare danni gravi e irreversibili all'ambiente, anche in assenza di certezza scientifica. Pertanto, anche in assenza di certezza scientifica individualizzata, ma in presenza di elementi che fanno presumere l'esistenza di un rischio significativo per la salute delle persone a causa dell'esposizione a livelli elevati di inquinamento ambientale, gli Stati devono adottare misure efficaci per prevenire l'esposizione a tale inquinamento. Per questo motivo, la Corte ritiene che l'assenza di certezza scientifica sui particolari effetti che l'inquinamento ambientale può avere sulla salute delle persone non può essere motivo per gli Stati di rinviare o evitare l'adozione di misure preventive, né può essere invocata come giustificazione per la mancata adozione di misure per la protezione generale della popolazione".

LA LEGGE

            I.   UNIONE DELLE DOMANDE

186.  Considerato l'oggetto simile delle domande, la Corte ritiene opportuno esaminarle congiuntamente in un'unica sentenza (articolo 42, paragrafo 1, del Regolamento della Corte).

            II.  QUESTIONE PRELIMINARE: PROSECUZIONE DELL'ESAME DELLA DOMANDA N. 39742/14 (ARTICOLO 37, PARAGRAFO 1, LETTERA a))

187.  La Corte osserva che l'articolo 37 § 1 della Convenzione, nelle sue parti pertinenti, prevede:

"1. La Corte può, in qualsiasi fase del procedimento, decidere di escludere una domanda dal suo elenco di cause quando le circostanze portano a concludere che

(a) il richiedente non intende proseguire la sua domanda; ...

Tuttavia, la Corte continuerà l'esame della domanda se il rispetto dei diritti umani, come definiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli, lo richiede".

188.  Dopo aver comunicato il ricorso al Governo resistente e aver ricevuto le sue osservazioni, il 7 ottobre 2019 la Corte ha invitato i ricorrenti, compresi i ricorrenti di nel ricorso n. 39742/14, a presentare le loro richieste di equa soddisfazione entro il 18 novembre 2019. A seguito di una richiesta di proroga da parte dei ricorrenti nel ricorso n. 51567/14, è stato fissato un nuovo termine per la presentazione delle osservazioni e della giusta soddisfazione al 20 gennaio 2020. Le lettere sono state inviate ai rappresentanti dei ricorrenti, utilizzando gli indirizzi da loro indicati come rispettivi recapiti per la corrispondenza.

189.  Non essendo pervenuta alcuna risposta da parte dei ricorrenti nel ricorso n. 39742/14, l'11 febbraio 2020 la Corte ha avvisato il loro rappresentante che il termine per la presentazione delle osservazioni e delle richieste di equa soddisfazione era scaduto, ma che nessuna osservazione era pervenuta alla Corte. Egli è stato informato che, ai sensi dell'articolo 37 § 1 (a) della Convenzione, la mancata risposta potrebbe indurre la Corte a concludere che i ricorrenti non sono più interessati a portare avanti il loro ricorso e la Corte potrebbe quindi cancellare il caso dalla sua lista di cause. La lettera è stata inviata al rappresentante dei ricorrenti attraverso il servizio di comunicazione elettronica della Corte (eComms). La lettera è stata scaricata dal rappresentante dei ricorrenti il 13 luglio 2021. Tuttavia, non è stata ricevuta alcuna risposta.

190.  La Corte ritiene che, nelle circostanze di cui sopra, si possa ritenere che i ricorrenti nel ricorso n. 39742/14 (ossia i ricorrenti nn. 1-4) non intendano più portare avanti il loro ricorso, ai sensi dell'articolo 37 § 1 (a) della Convenzione.

191.  Prima di dichiarare l'estinzione di un caso, la Corte deve tuttavia valutare se vi siano circostanze relative al rispetto dei diritti umani, come definiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli, che richiedano il proseguimento dell'esame del caso (articolo 37 § 1 in fine). A questo proposito, la Corte ritiene che l'oggetto del ricorso in esame riguardi quella che può essere considerata un'importante questione di interesse generale, in quanto riguarda un fenomeno di inquinamento ambientale su larga scala. Tuttavia, la Corte osserva che gli altri ricorsi uniti al ricorso n. 39742/14 riguardano lo stesso contesto fattuale e sollevano questioni giuridiche analoghe. La Corte avrà quindi l'opportunità di determinare tali questioni e un esame nel merito del presente ricorso non apporterebbe alcun elemento nuovo al riguardo. Di conseguenza, la Corte ritiene che il rispetto dei diritti umani non le imponga di proseguire l'esame del ricorso n. 39742/14.

192.  Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene opportuno escludere dalla lista dei casi il ricorso n. 39742/14 (presentato dai ricorrenti nn. 1-4).

            III.         L'OBIEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO

                                  A.         Le osservazioni delle parti

193.  Il Governo ha fatto presente che la Corte di giustizia dell'Unione europea ha emesso due sentenze (si vedano i paragrafi 31 e 56) che, a loro avviso, coprono una serie di questioni sollevate dai ricorrenti. In tali circostanze, hanno sostenuto che la Corte dovrebbe essere impedita di esaminare il merito della causa e l'hanno invitata a dichiarare i ricorsi irricevibili per questo motivo.

194.  I ricorrenti nei ricorsi n. 74208/14 e 21215/15 hanno contestato questa tesi.

B.   La valutazione della Corte

195.  La Corte esaminerà la questione in base all'articolo 35 § 2 (b) della Convenzione, che recita:

"... 2.  La Corte non tratta le domande presentate ai sensi dell'articolo 34 che ...

(b) è sostanzialmente identica a una questione che è già stata esaminata dalla Corte o che è già stata sottoposta a un'altra procedura di indagine o regolamento internazionale e non contiene nuove informazioni rilevanti. ..."

196.  La Corte osserva innanzitutto che è in discussione la seconda parte dell'articolo 35 § 2 (b) della Convenzione, che riflette il principio della litispendenza. Il suo scopo è quello di evitare una situazione in cui più organi internazionali si occupano contemporaneamente di domande sostanzialmente identiche; ciò sarebbe incompatibile con lo spirito e la lettera della Convenzione, che mira a evitare una pluralità di procedimenti internazionali relativi agli stessi casi (si veda Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 119, 20 marzo 2018).

197.  Per quanto riguarda il primo aspetto di questo criterio, la Corte ribadisce che un ricorso è considerato "sostanzialmente identico" quando i fatti, le parti e i reclami sono identici (cfr. Selahattin Demirtaş c. Turchia (n. 2) [GC], n. 14305/17, § 181, 22 dicembre 2020).

198.  Per quanto riguarda il secondo aspetto, ossia se una questione sollevata in una domanda individuale sia già stata sottoposta a "un'altra procedura di indagine o di composizione internazionale" ai sensi di tali termini, come stabilito dall'articolo 35 § 2 (b), la Corte ribadisce che il suo esame non si limita a una verifica formale, ma si estende, se del caso, ad accertare se la natura dell'organo di controllo, la procedura da esso seguita e gli effetti delle sue decisioni siano tali da escludere la competenza della Corte in base a tale disposizione. In tale contesto, lo scopo principale dell'esame della Corte è quello di stabilire se la procedura dinanzi a tale organo possa essere assimilata, nei suoi aspetti procedurali e nei suoi potenziali effetti, al diritto di ricorso individuale previsto dall'articolo 34 della Convenzione (si veda Selahattin Demirtaş, sopra citato, § 182).

199.  La Corte ribadisce inoltre che una delle sue funzioni nel trattare i ricorsi presentati ai sensi dell'articolo 34 è quella di rendere giustizia nei singoli casi e, se necessario, di offrire una giusta soddisfazione (cfr. Bryan e altri c. Russia , n. 22515/14, § 38, 27 giugno 2023).

200.  Passando ai fatti del caso di specie, la Corte osserva innanzitutto che i procedimenti dinanzi alla CGUE invocati dal Governo erano stati avviati dalla Commissione europea ai sensi, rispettivamente, dell'articolo 226 TCE e dell'articolo 260 § 2 TFUE (cfr. paragrafi 21, 22, 29 e 44 supra) e non derivavano da una denuncia di un privato (cfr., al contrario, Karoussiotis c. Portogallo, n. 23205/08, CEDU 2011 (estratti), in cui il ricorrente nella causa dinanzi alla Corte aveva presentato gli stessi fatti e le stesse denunce sia alla Corte che alla Commissione europea). Portogallo, n. 23205/08, CEDU 2011 (estratti), in cui il ricorrente nella causa dinanzi alla Corte aveva presentato gli stessi fatti e le stesse denunce sia alla Corte che alla Commissione europea). La Corte osserva che, se la Commissione ritiene che uno Stato membro non abbia rispettato gli obblighi imposti dal diritto dell'UE, può proporre un ricorso per inadempimento contro tale Stato membro dinanzi alla CGUE ai sensi dell'articolo 258 TFUE (ex articolo 226 TCE). Come risultato, la CGUE può emettere una sentenza che dichiara che lo Stato membro in questione ha violato il diritto dell'UE. Se lo Stato membro non si conforma a questa sentenza, ai sensi dell'articolo 260, paragrafo 2, del TFUE (ex articolo 228, paragrafo 2, del TCE), la Commissione può presentare un'ulteriore azione contro lo Stato membro davanti alla CGUE per l'imposizione di sanzioni finanziarie. Se la CGUE constata una violazione, ai sensi dell'articolo 260, paragrafo 3, del TFUE, può imporre allo Stato membro interessato il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.

201.  La Corte ha già avuto modo di rilevare che l'eventuale accertamento di una violazione da parte della CGUE si limita a obbligare lo Stato membro in questione a conformarsi al diritto dell'Unione e non serve a risolvere i casi individuali e non può portare alla concessione di risarcimenti individuali, anche quando il procedimento è avviato da singoli denuncianti (cfr. Karoussiotis, sopra citata, § 73-74; si veda anche, mutatis mutandis, De Ciantis c. Italia (dec.), no. 39386/10, § 32, 16 dicembre 2014).

202.  Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che la procedura dinanzi alla CGUE invocata dal Governo non sia simile, né per gli aspetti procedurali né per gli effetti potenziali, al diritto di ricorso individuale previsto dall'articolo 34 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e, pertanto, non costituisce una "procedura di indagine o di composizione internazionale", ai sensi dell'articolo 35 § 2 (b) della Convenzione.

203.  Ne consegue che alla Corte non è precluso, ai sensi di questa disposizione, l'esame del merito del caso e l'obiezione sollevata dal Governo deve essere respinta.

           IV.          PRESUNTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 2, 8 E 10 DELLA CONVENZIONE

204 .  Invocando gli articoli 2 e 8 della Convenzione, i singoli ricorrenti hanno lamentato che le autorità italiane erano a conoscenza dell'esistenza di un rischio per la loro vita e la loro salute o per la vita e la salute dei loro parenti deceduti a causa dello smaltimento di rifiuti in siti non autorizzati e dell'interramento e dell'incenerimento illegali di rifiuti pericolosi, e che tali autorità non hanno adottato misure di protezione adeguate. Tutti i singoli ricorrenti hanno inoltre lamentato, ai sensi delle stesse disposizioni, l'assenza di un quadro giuridico adeguato che avrebbe consentito alle autorità di perseguire efficacemente i responsabili dell'inquinamento.

205.  Basandosi sugli stessi articoli della Convenzione, le associazioni ricorrenti hanno sostenuto che le autorità erano a conoscenza dell'esistenza di un rischio per la vita e la salute dei loro membri a causa dello smaltimento di rifiuti in siti non autorizzati e dell'interramento e combustione illegale di rifiuti pericolosi, e che non hanno adottato misure di protezione adeguate. Hanno inoltre denunciato, in base alle stesse disposizioni, l'assenza di un quadro giuridico adeguato che avrebbe permesso alle autorità di perseguire efficacemente i responsabili dell'inquinamento.

206 .  Invocando gli articoli 8 e 10 della Convenzione, i singoli ricorrenti hanno lamentato l'omissione da parte delle autorità di fornire informazioni sui pericoli per la loro salute derivanti dall'inquinamento. Basandosi solo sull'articolo 8 della Convenzione, le associazioni ricorrenti hanno lamentato l'omissione da parte delle autorità di fornire informazioni sui pericoli per la salute dei loro membri derivanti dall'inquinamento.

207.  La Corte, essendo padrona della caratterizzazione da dare in diritto ai fatti di una causa (si veda Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 114, 20 marzo 2018), ritiene che quest'ultima doglianza sull'asserita mancata informazione, sollevata dai singoli ricorrenti ai sensi degli articoli 8 e 10, debba essere esaminata esclusivamente ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione.

208.  Di conseguenza, le disposizioni rilevanti per i reclami dei ricorrenti sono le seguenti:

Articolo 2

"1. Il diritto alla vita di ogni individuo è protetto dalla legge. Nessuno può essere privato della propria vita intenzionalmente se non in esecuzione di una sentenza di un tribunale a seguito di una condanna per un crimine per il quale la legge prevede tale pena".

2.  La privazione della vita non sarà considerata come inflitta in violazione del presente articolo quando risulta dall'uso della forza che non va oltre lo stretto necessario:

(a) per difendere una persona da una violenza illegale;

(b) per eseguire un arresto legittimo o per impedire la fuga di una persona legittimamente detenuta;

(c) in un'azione legittimamente intrapresa allo scopo di sedare una sommossa o un'insurrezione".

Articolo 8

"1. Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2.  Non vi sarà alcuna interferenza da parte di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto, a meno che non sia conforme alla legge e sia necessaria in una società democratica nell'interesse della sicurezza nazionale, della pubblica sicurezza o del benessere economico del Paese, per la prevenzione di disordini o crimini, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui".

A.   Ammissibilità

1.    Stato di vittima/locus standi

(a)    Associazioni richiedenti

(i)       Le osservazioni delle parti

209.  Il Governo ha sostenuto che per soddisfare i requisiti dell'articolo 34 della Convenzione, le associazioni ricorrenti (elencate ai numeri 15, 16, 17, 18 e 19 dell'Allegato I) devono essere in grado di dimostrare di essere state direttamente colpite dalla presunta violazione. Inoltre, basandosi sulla giurisprudenza della Corte nella causa Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani c. Italia (n. 35972/97, CEDU 2001-VIII), il Governo ha sostenuto che i diritti tutelati dagli articoli 8, 9 e 10 possono essere invocati solo dai membri di un'associazione e non dall'associazione in quanto tale. Sulla base di queste considerazioni, il Governo ha concluso che le associazioni ricorrenti elencate non possono essere considerate vittime ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione. Il Governo ha inoltre sostenuto che le associazioni non potevano agire in qualità di rappresentanti dei loro singoli membri, in quanto non disponevano di alcuna procura per agire in loro nome.

210.  Le associazioni ricorrenti (nn. 15, 16, 17, 18 e 19) hanno osservato, in via preliminare, che il loro obiettivo principale era la protezione dell'ambiente nelle zone della Campania interessate dal fenomeno della Terra dei Fuochi. Inoltre, hanno sottolineato che i fondatori, gli amministratori e i membri delle associazioni risiedono tutti in comuni colpiti dal fenomeno. Le associazioni ricorrenti hanno inoltre osservato che hanno costantemente e pubblicamente denunciato l'inquinamento della zona e l'incapacità delle autorità statali di proteggere la vita dei loro membri e, più in generale, la vita degli abitanti della Regione Campania. Esse hanno inoltre sollecitato l'adozione di misure da parte delle autorità, hanno presentato denunce e si sono costituite parte civile in vari procedimenti penali.

211.  Le associazioni ricorrenti hanno riconosciuto che la Convenzione non prevede la realizzazione di un'actio popularis. Tuttavia, hanno sostenuto che l'interesse generale che cercavano di tutelare, soprattutto se considerato alla luce della complessità del fenomeno Terra dei Fuochi e di un contesto di disfunzioni strutturali, non poteva essere equiparato a un'actio popularis.

212.  Infine, hanno sottolineato che nella causa Centre for Legal Resources per conto di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC] (n. 47848/08, CEDU 2014), la Corte ha ritenuto che nelle circostanze eccezionali di quel caso e tenendo conto della natura grave delle accuse in questione, un'associazione fosse autorizzata ad agire come rappresentante del ricorrente, nonostante non avesse alcuna procura per agire in suo nome.

213.  Sulla base delle considerazioni che precedono, le associazioni ricorrenti hanno invitato la Corte a riconoscere il loro status di vittime delle violazioni denunciate ai sensi degli articoli 2 e 8.

(ii)     I terzi intervenienti

214.  Client Earth ha sostenuto che, alla luce della complessità delle questioni ambientali e delle competenze necessarie per affrontarle, il diritto nazionale, comunitario e internazionale riconosce lo status privilegiato e la posizione delle associazioni ambientali e la loro funzione di "cane da guardia". Le associazioni sono essenziali per dare voce agli individui colpiti dall'inquinamento ambientale che non hanno necessariamente la capacità tecnica, finanziaria o legale di tutelare i propri diritti.

(iii)    La valutazione della Corte

215.  I principi relativi allo status di vittima e, in particolare, allo status di vittima delle associazioni, sono stati riassunti dalla Corte, in modo dettagliato, in Yusufeli İlçesini Güzelleştirme Yaşatma Kültür Varlıklarını Koruma Derneği c. Turchia (dec.), no. 37857/14, §§ 36-41, 20 gennaio 2022.

216 .  La Corte ritiene che, nel valutare se le associazioni ricorrenti possano essere considerate vittime di una presunta violazione della Convenzione, si debba tener conto della natura del diritto della Convenzione in questione e del modo in cui esso è stato invocato dalle associazioni ricorrenti in questione (si veda, mutatis mutandis, Yusufeli İlçesini Güzelleştirme Yaşatma Kültür Varlıklarını Koruma Derneği, sopra citata, § 41). A questo proposito, osserva che i diritti in gioco sono gli articoli 2 e 8 e che una violazione di questi diritti deriverebbe, secondo il modo in cui sono state formulate le denunce, dalla mancata adozione di misure da parte dello Stato per proteggere la vita e la salute dei membri delle associazioni. Per quanto riguarda l'articolo 2, la Corte ha affermato che tale diritto, per sua natura, non può essere esercitato da un'associazione, ma solo dai suoi membri (cfr. Yusufeli İlçesini Güzelleştirme Yaşatma Kültür Varlıklarını Koruma Derneği, sopra citata, § 41, e i riferimenti ivi citati). La Corte ha anche rilevato che sarebbe inconcepibile che l'integrità fisica, suscettibile di essere goduta dagli esseri umani, possa essere attribuita a una persona giuridica (cfr. Identoba e altri c. Georgia, n. 73235/12, § 45, 12 maggio 2015). La Corte ha inoltre sottolineato che un'associazione, in linea di principio, non è in grado di basarsi su considerazioni relative alla salute per invocare una violazione dell'articolo 8 (cfr. Greenpeace E.V. e altri c. Germania (dec.), n. 18215/06, 12 maggio 2009). La Corte ha anche stabilito che un'associazione non può rivendicare lo status di vittima in relazione a un reclamo sollevato ai sensi dell'articolo 8 quando la presunta violazione del diritto deriva da fastidi o problemi che possono essere riscontrati solo da persone fisiche (cfr. Asselbourg e altri c. Lussemburgo (dec.), n. 29121/95, CEDU 1999-VI). Poiché la violazione contestata nel presente caso ai sensi dell'articolo 8 si sovrappone essenzialmente a quella contestata ai sensi dell'articolo 2, e deriva da un pericolo per la salute a causa dell'esposizione a un fenomeno di inquinamento che può colpire solo le persone fisiche, la Corte ritiene che le associazioni ricorrenti non possano essere considerate come "direttamente colpite" dalle presunte violazioni.

217.  Per quanto riguarda il reclamo relativo alla fornitura di informazioni da parte delle autorità, la Corte osserva in primo luogo che il reclamo delle associazioni ricorrenti non riguarda l'asserita mancata concessione dell'accesso alle informazioni esistenti, un obbligo positivo di cui la Corte ha riconosciuto l'esistenza, a determinate condizioni, e per il quale le associazioni sono state considerate vittime a pieno titolo (si veda, ad esempio, e nella prospettiva dell'articolo 10, Association Burestop 55 and Others v. France , n. 56176/18 e altri 5, § 83, 1 luglio 2021 e Magyar Helsinki Bizottság v. Hungary [GC], § 83, 1 luglio 2021. Francia , nn. 56176/18 e altri 5, § 83, 1 luglio 2021 e Magyar Helsinki Bizottság c. Ungheria [GC], n. 18030/11, §§ 149-156, 8 novembre 2016). Piuttosto, il reclamo è incentrato sulla presunta mancata fornitura, da parte delle autorità, di informazioni sui rischi per la salute dei loro membri in relazione al fenomeno dell'inquinamento in questione. A questo proposito, la Corte ha riconosciuto, in una serie di casi riguardanti attività pericolose, l'esistenza di un obbligo positivo di informazione nell'ambito delle misure di prevenzione sotto l'aspetto sostanziale degli articoli 2 e 8 (cfr. Öneryıldız c. Turchia [GC], no. 48939/99, §§ 89-90, CEDU 2004-XII; Tătar c. Romania, n. 67021/01, § 88, 27 gennaio 2009); e, implicitamente, Guerra e altri c. Italia , 19 febbraio 1998, §§ 57-60, Raccolta di sentenze e decisioni 1998-I). Lo ha fatto, tuttavia, con riferimento alle persone fisiche che vivono in prossimità di attività pericolose, al fine di consentire a tali individui di valutare i rischi per la loro vita, la loro salute e la loro integrità fisica derivanti dall'esposizione a tali attività, e di operare scelte di conseguenza. In questo contesto, secondo la Corte, sarebbero ancora una volta i singoli membri delle associazioni, in quanto persone fisiche, a essere direttamente interessati dall'omissione di informazioni contestata (cfr., mutatis mutandis, Yusufeli İlçesini Güzelleştirme Yaşatma Kültür Varlıklarını Koruma Derneği, sopra citata, § 43).

218 .  La Corte riconosce le affermazioni delle associazioni ricorrenti in merito al ruolo svolto nel denunciare il fenomeno dell'inquinamento in questione presso le autorità governative e giudiziarie, nonché nel denunciare l'incapacità delle autorità statali di proteggere la vita dei loro membri e della popolazione della Regione Campania. A questo proposito, la Corte riconosce la funzione vitale delle associazioni come cani da guardia pubblici. Inoltre, nelle circostanze del caso di specie, non intende mettere in discussione il contributo che le associazioni ricorrenti possono aver avuto nel sensibilizzare e denunciare le pratiche illegali di smaltimento dei rifiuti che costituiscono il fenomeno della Terra dei Fuochi. In effetti, il ruolo chiave svolto dalle associazioni è stato sottolineato dalla 12a Commissione del Senato italiano (cfr. paragrafo 73). Detto questo, se un'associazione richiedente si basa esclusivamente sui diritti individuali dei suoi membri, senza dimostrare di essere stata in qualche modo colpita in modo sostanziale, non può ottenere lo status di vittima ai sensi di una disposizione sostanziale della Convenzione.

219 .  Infine, per quanto riguarda l'argomentazione delle associazioni ricorrenti secondo cui i loro membri, fondatori e amministratori risiedono tutti in comuni indicati dalle autorità nazionali come interessati dal fenomeno della Terra dei Fuochi e sono stati direttamente colpiti dalla situazione in questione nel presente caso, la Corte non è persuasa che tali individui fossero esenti dall'obbligo di presentare un ricorso alla Corte stessa. In effetti, un certo numero di persone fisiche residenti in tali comuni ha presentato ricorsi alla Corte a proprio nome nel caso di specie. Inoltre, la Corte osserva che non è stato sostenuto che i singoli membri delle associazioni ricorrenti soffrissero di una vulnerabilità che impedisse loro di presentare un ricorso alla Corte a proprio nome o che fossero altrimenti incapaci di farlo (si veda Yusufeli İlçesini Güzelleştirme Yaşatma Kültür Varlıklarını Koruma Derneği, sopra citato, § 42).

220 .  La Corte riconosce che in Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera ([GC], n. 53600/20, 9 aprile 2024) ha recentemente riconosciuto la possibilità per le associazioni di essere legittimate, a una serie di condizioni molto specifiche, a presentare un ricorso ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione in qualità di rappresentanti degli individui i cui diritti sono o saranno presumibilmente lesi. Tuttavia, la Corte ha anche chiarito che questo riconoscimento della legittimazione ad agire delle associazioni era giustificato da "considerazioni specifiche relative al cambiamento climatico" e "dalla particolarità del cambiamento climatico come preoccupazione comune dell'umanità e dalla necessità di promuovere la condivisione degli oneri intergenerazionali in questo contesto" e limitato a "questo contesto specifico" (si veda Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri, sopra citato, §§ 498-99).

221 .  Nel caso di specie, che non riguarda evidentemente la questione del cambiamento climatico, la Corte non può ravvisare altre "considerazioni speciali" (cfr. Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri, sopra citata, § 475) o "circostanze eccezionali" (cfr. Centre for Legal Resources per conto di Valentin Câmpeanu c. Romania[GC], no. 47848/08, § 112, CEDU 2014) che la porterebbero a concedere alle associazioni ricorrenti la legittimazione ad agire per conto dei loro membri, le presunte vittime dirette, senza una specifica autorità in tal senso.

222 .  Alla luce di quanto sopra, ne consegue che i reclami presentati dalle associazioni ricorrenti (ricorrenti nn. 15, 16, 17, 18 e 19) ai sensi degli articoli 2 e 8 sono incompatibili ratione personae con le disposizioni della Convenzione e devono essere respinti ai sensi dell'articolo 35, paragrafi 3 e 4, della stessa.

(b)    Richiedenti individuali

(i)       Le osservazioni delle parti

(α)      Il governo

223.  L'obiezione del Governo per quanto riguarda lo status di vittima dei singoli richiedenti era duplice.

224 .  Con la prima parte della loro obiezione, il Governo ha messo in dubbio l'esistenza di un comprovato nesso causale tra le presunte violazioni della Convenzione e il danno asseritamente subito dai ricorrenti.

225.  Pur sostenendo che il caso dovrebbe essere esaminato ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione, il Governo ha affermato che né tale disposizione, né altre disposizioni della Convenzione garantiscono specificamente una protezione generale dell'ambiente in quanto tale. Secondo la giurisprudenza della Corte, un fattore cruciale per determinare se, nelle circostanze di un caso, il danno ambientale abbia portato a una violazione di uno dei diritti garantiti dall'articolo 8 è l'esistenza di effetti dannosi sulla vita privata o familiare di una persona, e non semplicemente il deterioramento generale dell'ambiente (hanno fatto riferimento a Fadeyeva v. Russia, no. 55723/00, § 88, CEDU 2005-IV, Di Sarno e altri c. Ital y, no. 30765/08, § 80, 10 gennaio 2012; e Cordella e altri c. Italia y, nn. 54414/13 e 54264/15, § 100, 24 gennaio 2019).

226 .  Secondo il Governo, la Corte doveva stabilire se esistesse un rapporto di causalità tra l'attività inquinante denunciata e le ripercussioni negative sui ricorrenti. Il Governo ha inoltre sostenuto che il rapporto di causalità tra la contaminazione ambientale e l'impatto negativo sulla vita degli individui non poteva essere presunto solo sulla base delle affermazioni dei ricorrenti, ma doveva essere definitivamente dimostrato da chiare prove scientifiche. Secondo il Governo, i ricorrenti non hanno fornito prove di un rapporto causale scientificamente provato tra l'esposizione a siti contaminati e l'insorgenza del cancro. A questo proposito, il Governo ha sostenuto che, nel caso di malattie multifattoriali, non si può escludere l'influenza decisiva di altri fattori di rischio, per cui non si può stabilire con certezza l'esistenza di un rapporto causale.

227.  Per quanto riguarda la seconda parte dell'obiezione, il Governo ha osservato che, per quanto riguarda alcuni ricorrenti (elencati ai numeri 9, 14, 26, 27, 28, 30, 31, 32, 33 e 34 dell'Allegato I), le presunte vittime dirette o i parenti deceduti delle presunte vittime indirette avevano risieduto in comuni che non erano inclusi in quella che essi definiscono l'area della Terra dei Fuochi, il cui ambito geografico era stato circoscritto da direttive interministeriali (si veda il paragrafo 7 sopra). Secondo il Governo, ciò dovrebbe indurre la Corte a concludere che i ricorrenti elencati non avevano lo status di vittima ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione.

(β)       I richiedenti

     -Domande n. 74208/14 e 21215/15

228.  I ricorrenti hanno fatto riferimento al progetto "Sentieri" (cfr. paragrafi 57 e 83), che riportava alti tassi di mortalità per alcuni tumori e un'alta prevalenza di malformazioni congenite alla nascita in alcuni comuni della Terra dei Fuochi. I ricorrenti hanno sottolineato che, secondo gli studi di Sentieri, i tumori più comuni erano quelli del fegato, dello stomaco e del polmone. Hanno inoltre sottolineato la constatazione dello studio circa l'eccesso di ricoveri per tumori nei bambini nel primo anno di vita. I richiedenti hanno preso atto delle conclusioni degli studi secondo cui i vari fattori di rischio che possono aver contribuito a causare tali malattie includono l'esposizione a una combinazione di inquinanti ambientali che potrebbero essere rilasciati da siti illegali di smaltimento di rifiuti pericolosi e/o dalla combustione incontrollata di rifiuti pericolosi e rifiuti solidi urbani.

229.  I ricorrenti hanno anche fatto riferimento all'aggiornamento 2019 dello studio "Sentieri" (cfr. paragrafo 83), che ha rivelato un eccesso di mortalità in entrambi i sessi rispetto alla media regionale; è stato osservato un eccesso di cancro al fegato in entrambi i sessi sia come causa di morte che come diagnosi di ricovero ospedaliero, un eccesso di cancro al seno e un eccesso di ricoveri ospedalieri per linfoma non-Hodgkin nei bambini, nonché un eccesso di cancro allo stomaco e al colon-retto nell'area di studio (il litorale Domizio-Flegreo). I richiedenti di hanno sottolineato che, secondo gli autori dello studio, alcune di queste malattie potrebbero essere associate all'esposizione a PBC e diossina. Infine, hanno citato la raccomandazione dello studio secondo cui i programmi di decontaminazione devono essere attuati con urgenza e tutte le pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti devono essere immediatamente interrotte.

230.  I ricorrenti hanno anche fatto riferimento ai risultati dei tassi di mortalità in eccesso nell'area della Terra dei Fuochi contenuti nello studio dell'OMS del 2007 (cfr. paragrafo 21).

231.  Infine, i ricorrenti si sono basati sulle conclusioni di uno studio pubblicato sul Journal of Cellular Physiology nel dicembre 2019, in cui gli autori hanno valutato i livelli ematici di metalli pesanti tossici e di inquinanti organici persistenti in pazienti con diversi tipi di cancro residenti in diversi comuni delle province di Napoli e Caserta, confrontandoli con individui sani, e hanno osservato elevate concentrazioni ematiche di metalli pesanti nel sangue di individui residenti in alcuni comuni, tra cui il comune di Giugliano, in cui erano state documentate discariche abusive (cfr. paragrafo 95 supra).

232.  Dal punto di vista dei ricorrenti, le prove scientifiche contenute negli studi citati dovrebbero essere considerate come una conferma del legame tra le pratiche di gestione illegale dei rifiuti e l'insorgenza di tumori nell'area della Terra dei Fuochi. L'inquinamento a cui erano esposti costituiva quindi una minaccia per la vita dei ricorrenti. Aveva avuto conseguenze dannose per il benessere dei ricorrenti e, dato che non erano state adottate misure adeguate, continuava ad avere tali conseguenze.

233.  Per quanto riguarda coloro che non avevano sviluppato una particolare malattia, i ricorrenti hanno sostenuto che lo status di vittima non poteva essere escluso, a condizione che dimostrassero un rischio maggiore di sviluppare una condizione di pericolo di vita. A questo proposito, basandosi, tra l'altro, sulle sentenze della Corte nelle cause Budayeva e altri (sopra citate) e Kolyadenko e altri (sopra citate), i ricorrenti hanno sostenuto che l'articolo 2 era applicabile non solo a situazioni in cui determinate azioni o omissioni da parte dello Stato avevano portato alla morte, ma anche a situazioni in cui, sebbene un richiedente fosse sopravvissuto, esisteva chiaramente una minaccia per la sua vita.

234.  Per quanto riguarda la seconda parte dell'obiezione del Governo, il fatto che i comuni interessati dalle discariche abusive e dai roghi di rifiuti fossero stati ufficialmente identificati dalle direttive interministeriali citate dal Governo non significava, secondo i ricorrenti, che i comuni limitrofi non fossero interessati dallo stesso fenomeno. A sua volta, ciò significava che non si doveva escludere lo status di vittima dei ricorrenti che vivevano in comuni non inclusi nelle direttive.

235.  I ricorrenti hanno sostenuto che gli elenchi di comuni contenuti nella direttiva interministeriale non potevano essere considerati esaustivi. Inoltre, hanno sottolineato che i ricorrenti che non vivevano nei comuni ufficialmente riconosciuti risiedevano in quelli confinanti, o al di là di un ponte o di una strada da essi. I ricorrenti hanno sottolineato che alcuni comuni erano "enclavi", in quanto non figuravano nell'elenco ufficiale ma erano circondati da tutti i lati da comuni identificati nelle direttive interministeriali. A sostegno delle loro argomentazioni hanno presentato una mappa. Il fatto che tra il 2013 e il 2015 siano stati aggiunti comuni all'elenco ha fornito, a loro avviso, ulteriori prove del fatto che l'area della Terra dei Fuochi non è statica. In conclusione, hanno sostenuto che non sarebbe logico escludere la possibilità che i roghi illegali di rifiuti tossici non abbiano mai interessato le comunità che vivono nelle "enclavi" della mappa. Hanno osservato che i ricorrenti n. 27, 30, 31, 32 e 33 vivevano in comuni confinanti con i comuni inclusi nel perimetro ufficiale della Terra dei Fuochi.

236 .  Inoltre, hanno sottolineato che il richiedente n. 26 viveva in un comune situato lungo la costa vesuviana (area littorale vesuviana), che comprendeva diversi comuni, di cui solo tre erano stati formalmente inclusi nell'area della Terra dei Fuochi. Detto questo, undici di questi comuni sono stati aggiunti, dal 2013, all'elenco dei "siti di interesse nazionale" (cfr. paragrafo 120) che richiedono la decontaminazione. Inoltre, i ricorrenti hanno sottolineato che la sezione dell'aggiornamento dello studio "Sentieri" del 2019 incentrata sul litorale vesuviano (cfr. paragrafo 83) ha rivelato tassi di mortalità in eccesso per tutte le principali cause di morte, per entrambi i sessi, rispetto alla media regionale. Sulla base di queste considerazioni, i ricorrenti hanno sostenuto che sarebbe artificioso escludere il ricorrente n. 26.

237.  In generale, per quanto riguarda la contaminazione ambientale, hanno sostenuto che è difficile definire confini precisi. A titolo di esempio, hanno sottolineato che i contaminanti presenti nel suolo possono trasferirsi all'acqua. Per quanto riguarda gli incendi, i ricorrenti hanno sostenuto che non si poteva escludere che i fumi tossici rilasciati dall'incenerimento illegale di rifiuti in un comune potessero raggiungere i comuni limitrofi. Inoltre, hanno sottolineato, senza ulteriori approfondimenti, che individui che non risiedono formalmente nei comuni ufficiali della Terra dei Fuochi potrebbero trascorrere del tempo in tali aree, ad esempio per lavoro.

     -Domanda n. 51567/14

238.  I ricorrenti hanno osservato che i ricorrenti nn. 7, 10, 11, 12 e 14 erano tutti affetti da condizioni di salute che, a loro avviso, potevano essere collegate all'inquinamento diffuso nel contesto del fenomeno della Terra dei Fuochi. Hanno specificato che il sig. Cannavacciuolo (richiedente n. 5 nell'Allegato I) era stato trovato contaminato da diossina nel 2007 e ha presentato una documentazione in tal senso.

239.  Non sono d'accordo con l'affermazione del Governo secondo cui gli individui che non sono affetti da una grave condizione di salute non dovrebbero essere considerati vittime delle violazioni denunciate. Hanno sostenuto che il fenomeno Terra dei Fuochi esponeva tutti gli individui che vivevano nelle aree interessate a un rischio reale e immediato per la loro salute, indipendentemente dal fatto che avessero sviluppato una malattia. Questi ricorrenti, come quelli dei ricorsi n. 74208/14 e 21215/15, hanno posto particolare enfasi su uno studio pubblicato nel dicembre 2019 (si veda il precedente paragrafo 95); a loro avviso, i risultati di tale studio rafforzavano la tesi secondo cui erano stati e sono tuttora esposti all'inquinamento ambientale.

240.  Per quanto riguarda la seconda parte dell'obiezione del Governo, i ricorrenti hanno sottolineato che i ricorrenti n. 9 e 14 hanno sempre vissuto in comuni che non facevano parte dell'area della Terra dei Fuochi formalmente identificata, ma erano circondati da tali comuni. I ricorrenti hanno fatto riferimento al sito alla relazione 2018 della 12a Commissione del Senato, in cui si affermava che l'elenco dei comuni individuati dalla legislazione e dai decreti come facenti parte della Terra dei Fuochi era stato redatto sulla base di presunzioni; ciò non doveva essere interpretato come un'implicazione del fatto che alcune aree non incluse in tale elenco non fossero interessate dal fenomeno dell'inquinamento (cfr. paragrafo 73 supra).

(ii)     Le osservazioni delle terze parti intervenienti

241.  Il Professor F. Bianchi ha fornito una panoramica della letteratura scientifica sulle possibili ripercussioni sulla salute umana delle pratiche di gestione illegale dei rifiuti nella Regione Campania. Ha evidenziato, tra le altre ricerche, uno studio di biomonitoraggio i cui risultati sono stati pubblicati nel 2014 (cfr. paragrafo 51) e ha sottolineato che la letteratura esistente sull'argomento ha rivelato condizioni di salute che colpiscono gli individui che vivono in aree caratterizzate da pratiche di gestione illegale dei rifiuti, sia nei comuni inclusi nel perimetro ufficiale della Terra dei Fuochi, sia nei comuni limitrofi al di là dei confini ufficialmente definiti. A questo proposito, ha affermato che anche le persone che non soffrono di una particolare malattia dovrebbero essere considerate vulnerabili, in quanto esposte a inquinanti ambientali riconosciuti come pericolosi per la salute umana, e quindi con una maggiore probabilità di esiti negativi per la salute.

242.  Il signor D'Alisa e il professor Armiero hanno sostenuto che il fenomeno della Terra dei Fuochi non è limitato a un perimetro ben definito e che, al contrario, si sta espandendo. Hanno presentato una mappa che mostra il comune di Casavatore, che non fa parte dell'elenco ufficiale della Terra dei Fuochi, ma è circondato su tutti i lati da comuni ufficialmente riconosciuti. Hanno sostenuto che sarebbe irrealistico escludere la possibilità che la combustione illegale di rifiuti non abbia colpito gli individui che vivono in comuni come Casavatore. Hanno inoltre affermato che la contaminazione del suolo si trasferisce facilmente all'acqua, interessando quindi potenzialmente aree molto più ampie.

243.  Client Earth ha sostenuto che, in base ai principi del diritto ambientale, l'applicabilità dell'articolo 2 non dovrebbe essere esclusa nei confronti di individui che non hanno ancora sviluppato una malattia specifica, purché siano in grado di dimostrare un aumento del rischio di sviluppare una condizione di pericolo di vita. A questo proposito, hanno sottolineato che la Corte ha precedentemente affermato che l'articolo 2 copre non solo le situazioni in cui una certa azione o omissione da parte dello Stato ha portato alla morte, ma anche le situazioni in cui, sebbene un richiedente sia sopravvissuto, esiste chiaramente un rischio per la sua vita, e che l'articolo 2 può essere invocato da persone che sostengono che la loro vita è in pericolo, anche se non si è ancora concretizzato tale rischio, quando la Corte è convinta che ci sia stata una grave minaccia per la loro vita. Hanno fatto riferimento, in particolare, a Kolyadenko e altri c. Russia (n. 17423/05 e altri 5, 28 febbraio 2012).

244.  A loro avviso, gli individui esposti a livelli significativi di inquinamento ambientale erano soggetti a una minaccia per la loro vita ai fini dell'articolo 2, anche se la minaccia non si era ancora concretizzata. Hanno inoltre sostenuto che gli individui dovrebbero essere in grado di invocare l'articolo 2 quando l'incapacità dello Stato di prevenire, ridurre e controllare l'inquinamento ambientale ha comportato un rischio significativo di sviluppare una malattia grave, anche se c'era ancora incertezza scientifica sul se e quando tale rischio si sarebbe concretizzato.

(iii)    La valutazione della Corte

245 .  La Corte ritiene che la prima parte dell'obiezione sollevata dal Governo in merito allo status di vittima dei ricorrenti che sono persone fisiche sia strettamente legata alla sostanza delle denunce dei ricorrenti. Pertanto, la Corte unisce tale questione al merito.

246 .  Passando alla seconda parte dell'obiezione, la Corte ribadisce innanzitutto che tre direttive interministeriali hanno delimitato la cosiddetta zona Terra dei Fuochi, che comprende 90 comuni delle province di Napoli e Caserta interessati da pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti (cfr. paragrafo 7 supra). La Corte osserva inoltre che il Governo, nelle sue osservazioni, fa riferimento a questi comuni come comuni della Terra dei Fuochi e agli individui che vi abitano come residenti nella Terra dei Fuochi. La loro obiezione riguarda esclusivamente i ricorrenti la cui residenza o quella dei loro parenti deceduti ricade al di fuori dei comuni della Terra dei Fuochi precedentemente descritti.

247.  La Corte prende atto, in primo luogo, dell'affermazione della Commissione del Senato, invocata dai ricorrenti, secondo cui l'elenco dei comuni individuati negli strumenti legislativi pertinenti era stato redatto sulla base di presunzioni, il che non significava che alcune aree non incluse in tale elenco non fossero interessate dal fenomeno dell'inquinamento (cfr. paragrafo 73 supra). Pur non mettendo in dubbio le basi presuntive della delimitazione dell'area geografica in questione, la Corte ritiene che le autorità nazionali fossero indubbiamente in possesso di prove e informazioni rilevanti che le hanno portate a individuare i comuni in questione e non spetta alla Corte rimettere in discussione tale valutazione, che le autorità erano nella posizione migliore per effettuare.

248 .  La Corte prende inoltre atto dell'argomentazione avanzata da alcuni ricorrenti e terzi intervenienti secondo cui l'inquinamento atmosferico da incenerimento e i contaminanti rilasciati nei corsi d'acqua possono attraversare i confini tra i comuni. Prende inoltre atto delle osservazioni secondo cui alcuni comuni non inclusi nell'elenco ufficiale confinano, e in alcuni casi sono circondati, da comuni inclusi nell'elenco, e che altri comuni, non inclusi nell'elenco, sono stati comunque inclusi tra i cosiddetti "siti di interesse nazionale" (cfr. paragrafo 120) che richiedono la decontaminazione. Pur riconoscendo tali argomentazioni, la Corte ritiene di non avere a disposizione elementi sufficienti per concludere che i ricorrenti interessati vivessero, o che i loro parenti avessero vissuto, in aree interessate dal fenomeno dell'inquinamento oggetto del presente caso.

249 .  Di conseguenza, la Corte ritiene che i reclami presentati dai ricorrenti nn. 9, 14, 26, 27, 28, 30, 31, 32 e 33, che non hanno risieduto o i cui parenti non hanno risieduto nei comuni elencati nelle direttive interministeriali in questione (si veda il paragrafo 7), siano incompatibili ratione personae con le disposizioni della Convenzione e debbano essere respinti ai sensi dell'articolo 35, paragrafi 3 e 4, della stessa.

250.  Per quanto riguarda il ricorrente n. 34, la Corte osserva che egli ha risieduto in uno dei comuni elencati fino al 2002 (si veda l'Allegato I), ma ha cessato di viverci nel momento in cui ha presentato il suo ricorso alla Corte. Per questo motivo, la Corte ritiene più opportuno esaminare se il termine di sei mesi sia stato rispettato in relazione ai reclami presentati da tale ricorrente (si vedano i paragrafi 284-295).

2.    Non esaurimento delle vie di ricorso interne

(a)    Le osservazioni delle parti

(i)       Il Governo

251.  Il Governo ha sostenuto che i ricorrenti non hanno esaurito una serie di rimedi interni che, a loro avviso, erano disponibili ed efficaci al momento della presentazione dei ricorsi.

252.  In primo luogo, i ricorrenti avrebbero potuto intentare un'azione di risarcimento danni ai sensi dell'articolo 2043 del Codice civile e dell'articolo 185 del Codice penale contro i responsabili dello smaltimento illegale dei rifiuti.

253.  Secondo il Governo, tutti i ricorrenti avrebbero potuto intentare un procedimento contro le autorità locali e centrali per denunciare le omissioni in materia di smaltimento dei rifiuti e di inquinamento ambientale. Al fine di corroborare le proprie argomentazioni in merito all'efficacia di tale rimedio, il Governo ha fatto riferimento a quattro sentenze emesse dal Tribunale di Roma (cfr. paragrafo 138 supra).

254.  Il Governo ha sostenuto che i ricorrenti avrebbero potuto costituirsi parte civile nel procedimento penale. Il Governo ha osservato che questa via di ricorso era rilevante in particolare per quanto riguarda uno dei ricorrenti, il sig. Cannavacciuolo (ricorrente n. 5), in quanto si era costituito parte civile in un procedimento penale contro persone identificate come responsabili dello smaltimento illegale di rifiuti nel comune di Acerra. Il fatto che un procedimento, di cui il sig. Cannavacciuolo era parte, sia stato interrotto a causa della scadenza dei termini di prescrizione applicabili, non escludeva la possibilità per le parti lese di presentare la loro richiesta di risarcimento danni dinanzi ai tribunali civili. A questo proposito, il Governo ha richiamato l'attenzione della Corte su un procedimento penale in cui era stato riconosciuto il diritto delle parti civili, tra cui il sig. Cannavacciuolo (ricorrente n. 5), al risarcimento (cfr. paragrafi 148-151).

255.  Il Governo ha inoltre sostenuto che i ricorrenti non si erano avvalsi della procedura di reclamo prevista dagli articoli 309 e 310 del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 (si veda il paragrafo 135 supra). Attraverso questo rimedio, unito alla successiva presentazione, ove necessario, di un ricorso contro l'inerzia dell'autorità amministrativa competente, i ricorrenti avrebbero potuto ottenere l'adozione, da parte del Ministero dell'Ambiente, delle misure necessarie a prevenire o mitigare il danno ambientale. A sostegno della propria tesi, il Governo ha citato la sentenza n. 676 dell'8 febbraio 2012, emessa dal TAR Campania (cfr. paragrafo 139).

256.  Infine, il Governo italiano ha sostenuto che i ricorrenti avrebbero potuto avviare una "class action contro la pubblica amministrazione" ai sensi della Legge n. 15 del 4 marzo 2009, come attuata dal Decreto Legislativo n. 198 del 20 dicembre 2009 (cfr. paragrafo 137 supra). 198 del 20 dicembre 2009 (si veda il precedente paragrafo 137). A questo proposito, il Governo ha citato la giurisprudenza di diversi tribunali amministrativi regionali che hanno chiarito la portata dell'azione amministrativa in questione (cfr. paragrafi 140-142). Il Governo ha inoltre affermato genericamente che nella causa Viviani c. Italia (dec.) (n. 9713/13, § 11, 25 marzo 2015), la Corte aveva dichiarato una causa irricevibile per mancato esaurimento del rimedio in questione.

257.  In conclusione, e basandosi sulla giurisprudenza della Corte nella causa De Ciantis (citata in precedenza), il Governo ha sostenuto che l'esistenza di semplici dubbi da parte dei ricorrenti sulle prospettive di successo di un determinato rimedio non è una ragione valida per non esaurire tale rimedio.

(ii)     I Richiedenti

(α)      Domande n. 74208/14 e 21215/15

258.  I ricorrenti hanno ribadito che, in conformità con la sua consolidata giurisprudenza, la Corte deve tenere realisticamente conto non solo dei rimedi formali disponibili nell'ordinamento giuridico nazionale, ma anche del contesto giuridico e politico generale in cui essi operano.

259.  Essi sostengono che nessuno dei rimedi elencati dal Governo avrebbe fornito una risposta adeguata alle violazioni denunciate. Hanno ribadito di non aver chiesto un risarcimento finanziario e che le loro denunce si basavano sul fallimento di lunga data delle autorità nel proteggere la loro salute e l'ambiente e nel mitigare le conseguenze dell'inquinamento. Inoltre, hanno dichiarato che il fenomeno dell'inquinamento persiste. Hanno sottolineato, in particolare, le loro lamentele sull'inadeguatezza delle misure adottate per decontaminare il territorio in questione.

260.  Alla luce delle considerazioni che precedono, e rilevando l'assenza di precedenti giurisprudenziali in materia presentati dal Governo, i ricorrenti hanno sostenuto che nessuna azione penale, civile o amministrativa avrebbe consentito loro di ottenere una decisione giudiziaria che fornisse una soluzione globale all'inquinamento dell'area in cui vivevano. Essi si sono basati sulle conclusioni della Corte nella causa Cordella (citata sopra, §§ 121-127).

261.  Per quanto riguarda in particolare l'affermazione del Governo secondo cui i ricorrenti avrebbero potuto intentare un'azione di risarcimento danni dinanzi ai tribunali civili, essi hanno osservato che una sentenza favorevole non avrebbe portato alla rimozione dei rifiuti o alla decontaminazione delle aree interessate. Detto questo, i ricorrenti ritengono che il Governo non abbia in ogni caso dimostrato che tale rimedio avrebbe offerto loro ragionevoli prospettive di successo. Per quanto riguarda le sentenze del Tribunale di Roma presentate dal Governo, hanno osservato che queste non riguardavano l'area della Terra dei Fuochi e che erano procedimenti volti a ottenere un risarcimento specifico. Inoltre, i casi riguardavano un'area ben definita, la Valle del fiume Sacco, per la quale era stato dichiarato lo stato di emergenza, cosa che non accadeva per i comuni della Terra dei Fuochi. Pertanto, secondo i ricorrenti, i casi citati dal Governo non sono rilevanti ai fini del presente caso.

262.  Per quanto riguarda i ricorsi amministrativi, i ricorrenti hanno sottolineato che il Governo non ha presentato una giurisprudenza in cui i tribunali nazionali abbiano ordinato la decontaminazione delle aree in esame. Per quanto riguarda, in particolare, il meccanismo di reclamo previsto dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (si veda il precedente paragrafo 135), i ricorrenti hanno sottolineato che, in base a tale disposizione, i singoli cittadini potevano semplicemente invitare il Ministro dell'Ambiente a prendere provvedimenti. Hanno sottolineato che il Ministro dell'Ambiente non aveva alcun obbligo di farlo. Sulla base di queste considerazioni, e basandosi su una conclusione simile raggiunta dalla Corte nella causa Di Sarno (citata sopra, § 89), i ricorrenti hanno sostenuto che il rimedio in questione non costituiva un rimedio effettivo ai fini dell'articolo 35 della Convenzione.

263.  Infine, per quanto riguarda l'azione pubblica collettiva ai sensi della Legge n. 15 del 2009 e del Decreto Legislativo n. 189 del 2009, i ricorrenti hanno ritenuto che non fosse rilevante ai fini del presente caso. 189 del 2009, i ricorrenti hanno ritenuto che non fosse rilevante ai fini del presente caso.

(β)       Domanda n. 51567/14

264.  I ricorrenti hanno affermato che non erano disponibili rimedi penali, civili o amministrativi efficaci in relazione alle loro denunce. I ricorrenti hanno sottolineato che le loro denunce si basavano sull'inadeguatezza delle misure di protezione adottate dalle autorità in risposta al problema dell'inquinamento, come la decontaminazione delle aree inquinate.

265.  Per quanto riguarda l'affermazione del Governo secondo cui i ricorrenti avrebbero potuto intentare un'azione di risarcimento danni dinanzi ai tribunali civili, essi hanno osservato in via preliminare che la Corte aveva già respinto un'obiezione simile nella causa Di Sarno (sopra citata, § 87), in relazione alla cosiddetta crisi dei rifiuti in Campania. Sebbene un'azione del genere avrebbe potuto teoricamente portare a un risarcimento dei danni, non avrebbe affrontato adeguatamente il fenomeno dell'inquinamento su larga scala al centro delle lamentele dei ricorrenti. Anche supponendo che un risarcimento pecuniario avrebbe costituito un'adeguata riparazione, i ricorrenti hanno sostenuto che il Governo non ha dimostrato che il rimedio dato avrebbe offerto ai ricorrenti ragionevoli prospettive di successo. I ricorrenti ritengono che il Governo si sia limitato a fornire copie di sentenze relative a cause civili presentate da alcuni proprietari di terreni agricoli nella regione Lazio. Tuttavia, non hanno presentato alcuna decisione di un tribunale civile che riconosca i danni agli individui che vivono nelle aree colpite dal fenomeno della Terra dei Fuochi.

266.  As regards the complaint mechanism provided by Legislative Decree no. 152 del 2006 (si veda il paragrafo 135 supra), i ricorrenti hanno sottolineato che, ai sensi di tale disposizione, solo il Ministro dell'Ambiente poteva chiedere il risarcimento del danno ambientale e i singoli potevano semplicemente invitare il Ministro ad avviare un procedimento giudiziario. Facendo riferimento a Di Sarno (sopra citato, § 89), i ricorrenti hanno sostenuto che il rimedio in questione non poteva costituire un rimedio effettivo ai fini dell'articolo 35 della Convenzione.

267.  Infine, i ricorrenti non hanno accettato che un'azione pubblica collettiva ai sensi della legge n. 15 del 2009 e del decreto legislativo n. 189 del 2009 (cfr. paragrafo 137 supra) fosse un rimedio da esaurire. 189 del 2009 (cfr. paragrafo 137 supra) fosse un rimedio da esaurire. Essi ritengono che tale rimedio sia volto a garantire che le autorità pubbliche rispettino i loro obblighi nei confronti dei consumatori e riguardi il controllo giurisdizionale della qualità dei servizi forniti dalle autorità pubbliche. Hanno sostenuto che, in ogni caso, questa via legale non avrebbe potuto portare alla decontaminazione delle aree inquinate.

(b)    Le osservazioni dei terzi intervenienti

268.  Macro Crimes ha invitato la Corte a tenere conto della complessità e della natura peculiare del fenomeno della cosiddetta Terra dei Fuochi nell'esaminare la questione dei rimedi interni. Secondo gli intervenienti, tale complessità derivava da una serie di fattori: la sua durata per diversi decenni, la natura seriale delle attività illecite, le diverse modalità di smaltimento illegale dei rifiuti (abbandono, discarica, interramento e combustione di diversi tipi di rifiuti, compresi quelli pericolosi o speciali, la cui composizione chimica era molto variabile), l'interazione tra reati ambientali e corruzione, la sua natura diffusa, l'entità della contaminazione ambientale e, infine, la pluralità delle fonti di inquinamento presenti in ampie porzioni della Regione Campania.

(c)    La valutazione della Corte

269.  La Corte ribadisce che l'obbligo di esaurire le vie di ricorso interne richiede che il richiedente si avvalga normalmente delle vie di ricorso disponibili e sufficienti per far fronte alle sue doglianze della Convenzione. L'esistenza dei rimedi in questione deve essere sufficientemente certa non solo in teoria ma anche in pratica, pena la mancanza della necessaria accessibilità ed efficacia (cfr. Vučković e altri c. Serbia [GC], n. 17153/11, § 71, 25 marzo 2014; e Communauté genevoise d'action syndicale (CGAS) c. Svizzera[GC], n. 21881/20, §§ 138-143, 27 novembre 2023). Per essere efficace, un rimedio deve essere in grado di porre rimedio direttamente allo stato di cose contestato e deve offrire ragionevoli prospettive di successo (si veda Balogh c. Ungheria, no. 47940/99, § 30, 20 luglio 2004; e Sejdovic c. Italia [GC], no. 56581/00, § 46, ECHR 2006-II).

270.  Tuttavia, non vi è alcun obbligo di ricorrere a rimedi inadeguati o inefficaci (cfr. Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 67, Rapporti 1996-IV eVučković e altri, sopra citato, § 73).

271.  La Corte ribadisce inoltre la sua costante giurisprudenza, secondo la quale un ricorso a un'autorità superiore che non conferisce alla persona che lo presenta un diritto personale all'esercizio da parte dello Stato dei suoi poteri di controllo non può essere considerato un ricorso effettivo ai fini dell'articolo 35 della Convenzione (si veda Horvat c. Croazia, no. 51585/99, § 47, CEDU 2001-VIII; Belevitskiy c. Russia, n. 72967/01, § 59, 1° marzo 2007; e, mutatis mutandis, Petrella c. Italia, n. 24340/07, §§ 28-29, 18 marzo 2021).

272.  Per quanto riguarda l'onere della prova, la Corte ribadisce che spetta al Governo che invoca il non esaurimento dimostrare alla Corte che un rimedio era effettivo, disponibile in teoria e in pratica all'epoca dei fatti. Una volta soddisfatto questo onere, spetta al richiedente dimostrare che il rimedio proposto dal Governo era effettivamente esaurito, o che per qualche motivo era inadeguato e inefficace nelle particolari circostanze del caso, o che esistevano circostanze speciali che lo esoneravano da questo requisito (si vedano, tra le molte altre autorità, Akdivar e altri, sopra citata, § 68; Demopoulos e altri c. Turchia (dec.), § 68). Turchia (dec.) [GC], n. 46113/99 e altri, § 69, CEDU 2010; McFarlane c. Irlanda [GC], no. 31333/06, § 107, 10 settembre 2010; e Vučković e altri, sopra citata, § 77).

273.  La Corte ritiene, innanzitutto, che i rimedi che hanno lo scopo di concedere una riparazione economica, come un'azione di risarcimento danni ai sensi del Codice Civile italiano, non possano essere considerati adeguati rispetto alle lamentele dei ricorrenti. La Corte osserva che i ricorrenti lamentano una situazione di inquinamento diffuso in atto e la mancata adozione da parte dello Stato di misure non solo per prevenire tale inquinamento, ma anche per mitigarne le conseguenze, come la decontaminazione delle aree inquinate e la rimozione dei rifiuti. Ne consegue che tali rimedi non sarebbero in grado di affrontare direttamente aspetti importanti delle doglianze dei ricorrenti. A questo proposito, rileva che l'esito del procedimento civile a cui il Governo fa riferimento è stato il riconoscimento di un risarcimento danni ai ricorrenti (si veda il paragrafo 138 supra).

274.  As to the possibility of lodging a complaint with the Ministry of the Environment under Article 309 of Legislative Decree no. 152 del 2006 (cfr. paragrafo 135 supra), la Corte osserva che questa via non rappresenta altro che la presentazione di informazioni a un organo di vigilanza con l'invito ad avvalersi dei suoi poteri, ma che la piena discrezionalità sull'uso di tali poteri rimane al Ministero. Infatti, se l'autorità amministrativa competente rimane inattiva, l'ambito del controllo dei tribunali amministrativi si limita a verificare se il Ministero dell'Ambiente ha adempiuto all'obbligo di rispondere a un reclamo, senza alcun impatto sulla sfera di discrezionalità del Ministro in merito alla giustificazione delle misure richieste da un denunciante. Alla luce di quanto sopra, la Corte conclude che il meccanismo di reclamo citato dal Governo non conferisce alla persona che lo utilizza un diritto personale all'esercizio da parte dello Stato dei suoi poteri di vigilanza e non può essere considerato un rimedio effettivo.

275.  Anche supponendo che il rimedio in questione fosse efficace, la Corte sottolinea che il Governo non ha fornito un esempio di denunciante che sia effettivamente riuscito ad ottenere misure di protezione ambientale utilizzando la procedura in questione. In effetti, la Corte osserva che l'unica decisione prodotta dal Governo in relazione a questo meccanismo di reclamo riguarda la mancata risposta, in modo tempestivo, da parte del Ministro dell'Ambiente a un reclamo presentato ai sensi delle disposizioni pertinenti del sito . In tale decisione, il TAR della Campania ha ordinato al Ministero dell'Ambiente di fornire una risposta ai ricorrenti entro un termine specifico (cfr. paragrafo 139). Nel fare ciò, ha sottolineato che il Ministero ha mantenuto la piena discrezionalità nel decidere se prendere provvedimenti in merito ai danni segnalati. Il Governo non ha fornito informazioni sull'esito concreto di questa decisione, emessa nel 2012.

276.  Per quanto riguarda la possibilità di presentare una class action pubblica ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2009 (cfr. paragrafo 137 supra), il Governo ha fatto una generica affermazione secondo cui nella causa Viviani, citata in precedenza, la Corte aveva dichiarato la causa irricevibile per mancato esaurimento del ricorso in questione. 198 del 2009 (si veda il paragrafo 137 supra), il Governo ha fatto un'affermazione generica, sostenendo che nella causa Viviani, citata in precedenza, la Corte aveva dichiarato la causa irricevibile per mancato esaurimento del rimedio in questione. Tuttavia, la Corte osserva che nel caso di specie il Governo si è limitato ad affermare l'esistenza di questa via e ad evidenziare una serie di principi interpretativi generali elaborati dai tribunali amministrativi in merito alla sua portata (si vedano i paragrafi 140-142 supra) senza, tuttavia, spiegare come questo rimedio avrebbe funzionato in pratica e come sarebbe stato in grado di rispondere alle lamentele dei ricorrenti. Inoltre, la Corte sottolinea che la giurisprudenza interna citata a questo proposito dal Governo riguarda la mancata adozione di atti amministrativi specifici relativi al pagamento delle prestazioni sociali ai dipendenti pubblici nel settore dell'istruzione, all'adozione da parte di un Comune di una carta dei servizi di qualità e al rilascio dei permessi di soggiorno (cfr. paragrafi 140-142). Non è stato spiegato come questi casi sarebbero rilevanti per la situazione denunciata nel presente caso. Alla luce di quanto sopra, il Governo non è riuscito a persuadere la Corte che il rimedio in questione fosse in grado di fornire un rimedio alle lamentele dei ricorrenti.

277 .  Ne consegue che l'obiezione del Governo deve essere respinta.

3.    Termine di sei mesi

(a)    Le osservazioni delle parti

(i)       Il Governo

278.  Il Governo ha sostenuto che il termine di sei mesi dovrebbe decorrere dalla data in cui si sono verificati i fatti o gli atti contestati, o dalla data in cui il ricorrente è stato o avrebbe dovuto essere a conoscenza dei fatti o degli atti o dei loro effetti. Si sono basati, tra le altre autorità, su Mole c. Italia, n. 24421/03, § 31, 12 gennaio 2010.

279.  La posizione del Governo era che il periodo di sei mesi iniziava a decorrere per tutti i ricorrenti dalla data di conoscenza dei rischi potenziali a cui erano esposti. Secondo il Governo, la Corte, nella sentenza Di Sarno sulla "crisi dei rifiuti" in Campania, ha fatto risalire tale crisi al 2005 e al 2008. In alternativa, hanno sostenuto che il periodo di sei mesi inizia a decorrere, al più tardi, dal verificarsi degli effetti negativi, vale a dire l'insorgenza di un tumore nel caso delle vittime dirette, o la morte di un parente stretto a causa di un tumore presumibilmente causato dalla situazione di contaminazione ambientale nel caso delle vittime indirette. Secondo il Governo, tutte le denunce sono state quindi presentate oltre il termine di sei mesi.

(ii)     I richiedenti

280 .  I ricorrenti nei ricorsi nn. 74208/14 e 21215/15 hanno sostenuto che i loro reclami riflettono una situazione perdurante.  A sostegno della loro tesi, i ricorrenti hanno citato un aggiornamento dello studio "Sentieri" pubblicato nel giugno 2019, che ha rivelato un aumento delle patologie associate all'esposizione ai PBC e alla diossina (cfr. paragrafo 83 supra). Hanno inoltre citato un articolo di giornale pubblicato il 21 dicembre 2019 che riportava le dichiarazioni del Ministro dell'Ambiente secondo cui, nell'estate dello stesso anno, le fiamme stavano ancora "avvelenando" la vita quotidiana di migliaia di cittadini.

281.  I ricorrenti nel ricorso n. 51567/14 hanno affermato in generale che la situazione denunciata, che rifletteva un fenomeno di inquinamento su larga scala, non poteva essere equiparata a un atto istantaneo, ma piuttosto a una situazione continuata. Essi si sono basati sulla giurisprudenza della Corte che stabilisce che, quando la presunta violazione costituisce una situazione continuativa, il termine di sei mesi inizia a decorrere solo quando la situazione cessa.

(b)    La valutazione della Corte

(i)       Principi generali

282.  La Corte ribadisce che, di norma, il termine di sei mesi decorre dalla data della decisione finale nel processo di esaurimento delle vie di ricorso interne. Tuttavia, se è chiaro fin dall'inizio che il richiedente non dispone di un rimedio effettivo, il termine decorre dalla data degli atti o dei provvedimenti contestati o dalla data di conoscenza di tali atti o del loro effetto o pregiudizio per il richiedente (cfr. Varnava e altri c. Turchia [GC], nn. 16064/90, 16065/90, 16066/90, 16068/90, 16069/90, 16070/90, 16071/90, 16072/90 e 16073/90, § 157, CEDU 2009). Spetta quindi alla Corte stabilire, data la posta in gioco, quando un ricorrente che intenda presentare un reclamo davanti ad essa debba farlo (ibidem, § 169). Quando la presunta violazione costituisce una situazione continuativa contro la quale non è disponibile alcun rimedio interno, il periodo di sei mesi inizia a decorrere dalla fine della situazione continuativa (cfr. Ülke c. Turchia (dec.), no. 39437/98, 1° giugno 2004). Finché la situazione continua, la regola dei sei mesi non è applicabile (si veda Iordache c. Romania, n. 6817/02, § 50, 14 ottobre 2008; e Svinarenko e Slyadnev c. Russia [GC], nn. 32541/08 e 43441/08, § 86, CEDU 2014 (estratti)).

(ii)     Applicazione al caso di specie

283.  La Corte osserva che i ricorrenti nn. 5, 7, 10, 11, 12, 21, 24, 25 e 34, che hanno presentato il loro ricorso alla Corte in qualità di vittime dirette, non lamentano un atto istantaneo, ma piuttosto una violazione consistente in una situazione perdurante derivante da un fenomeno di inquinamento su larga scala e dalla persistente incapacità dello Stato italiano di adottare misure adeguate per farvi fronte. Nel caso in esame, dato che lo stato di cose denunciato non può essere considerato cessato al momento della presentazione dei ricorsi alla Corte (si vedano, ad esempio, i paragrafi 73 e 99), la situazione deve essere considerata come perdurante per i ricorrenti residenti nei comuni della Terra dei fuochi ufficialmente identificati (si veda il paragrafo 7). Ne consegue che l'obiezione del Governo deve essere respinta per quanto riguarda i ricorrenti nn. 5, 7, 10, 12, 21, 24 e 25.

284 .  La Corte osserva, d'altra parte, che i ricorrenti n. 11 e 34 non risiedevano nei comuni della Terra dei fuochi identificati al momento della presentazione del ricorso, come sottolineato anche dal Governo, ma avevano risieduto in tali comuni solo fino a un certo punto nel tempo. In particolare, il ricorrente n. 34 ha smesso di vivere in uno di questi comuni nel 2002 e il ricorrente n. 11 si è trasferito in un'altra regione italiana nel 2011 (cfr. Allegato II). Per questi ricorrenti, e in assenza di prove sufficienti che permettano alla Corte di concludere che il comune in cui il ricorrente n. 34 si è trasferito fosse interessato dal fenomeno dell'inquinamento in questione (si veda il precedente paragrafo 248), si può ritenere che la situazione denunciata sia cessata per loro quando hanno smesso di vivere nei comuni ufficialmente identificati.

285.  La Corte osserva inoltre che i ricorrenti nn. 6, 8, 13, 20, 22, 23 e 29 hanno presentato i loro ricorsi in qualità di vittime indirette, per conto di familiari deceduti prima della presentazione dei ricorsi alla Corte. Per quanto riguarda questi ricorrenti, si può affermare che la situazione denunciata è cessata per i loro familiari alla data del loro decesso. La Corte osserva che, nel caso di alcuni ricorrenti, tra il decesso dei loro parenti e la presentazione della domanda è trascorso un periodo di tempo considerevole, in alcuni casi addirittura superiore a dieci anni (cfr. Allegato I).

286.  Dato che non c'erano rimedi effettivi da esaurire, il periodo di sei mesi in questi casi dovrebbe decorrere dal momento in cui i ricorrenti sono venuti a conoscenza degli effetti della situazione denunciata su di loro o, nel caso delle vittime indirette, sui loro parenti. Nelle circostanze del caso di specie, questo momento sarebbe quello in cui i ricorrenti sono diventati sufficientemente consapevoli del fatto che essi o i loro parenti sono stati esposti a un rischio per la loro vita e la loro salute a causa del fenomeno di inquinamento denunciato.

287.  Per quanto riguarda i fatti specifici che possono aiutarla a identificare un momento rilevante, la Corte fa le seguenti osservazioni.

288.  Rileva che nell'ottobre 2013 il Parlamento italiano ha declassificato le dichiarazioni rese nell'ottobre 1997 dal collaboratore di giustizia C. S. al Parlamento italiano, rivelando l'esistenza di un fenomeno su larga scala e sistematico di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi risalente alla fine degli anni '80 (cfr. paragrafo 40 supra). Fino a tale declassificazione queste dichiarazioni erano state protette come segreto di Stato. La Corte ritiene questo momento particolarmente rilevante, in quanto la declassificazione delle suddette dichiarazioni ha attirato un'ampia attenzione da parte dei media e ha generato una presa di coscienza da parte dell'opinione pubblica sulla portata e sull'entità di un aspetto chiave del fenomeno, almeno per quanto riguarda le pratiche illegali di interramento e scarico di rifiuti pericolosi da parte di gruppi criminali organizzati.

289.  La Corte osserva inoltre che la prima risposta parlamentare che ha cercato di affrontare il fenomeno dell'inquinamento in questione è stato il decreto legge n. 136 del 10 dicembre 2013 (cfr. paragrafo 103 supra). Il titolo dello strumento rifletteva, tra l'altro, la necessità di introdurre misure per affrontare situazioni di "emergenza ambientale". Nel preambolo, il decreto legge faceva riferimento alla gravissima situazione sanitaria e ambientale che caratterizzava le aree della Regione Campania. La Corte ritiene inoltre rilevante sottolineare che, nei documenti ufficiali pubblicati dal Parlamento italiano, il decreto è stato descritto come l'introduzione di disposizioni per affrontare una "grave emergenza ambientale" in alcune parti delle province di Napoli e Caserta, nel territorio noto come Terra dei Fuochi (cfr. paragrafo 43 sopra).

290.  La Corte sottolinea che il decreto-legge prevedeva l'introduzione di misure "urgenti e straordinarie" finalizzate alla tutela della salute e alla bonifica dei siti contaminati nelle aree della Campania, che sarebbero state successivamente definite con una direttiva interministeriale (cfr. infra, paragrafo 291). È in questo strumento che le autorità hanno iniziato a parlare per la prima volta di sforzi di mappatura per rilevare la presenza di contaminanti esplicitamente legati allo scarico illegale, all'interramento e all'incenerimento di rifiuti, almeno per quanto riguarda i terreni agricoli. La Corte ritiene che l'emanazione di questo decreto sia particolarmente significativa in quanto costituisce una forma di riconoscimento ufficiale da parte dello Stato della natura su larga scala del problema e dell'urgente necessità di affrontare lo scarico, il sotterramento e l'incenerimento illegale dei rifiuti, rendendo al contempo esplicita la necessità di introdurre con urgenza le relative misure di protezione della salute.

291 .  Poco dopo l'emanazione del decreto, il 23 dicembre 2013, una direttiva interministeriale elencava cinquantasette comuni delle province di Napoli e Caserta che dovevano essere posti sotto indagine (si veda il precedente paragrafo 7). Secondo la Corte, l'emanazione di questa direttiva ha reso più concreto il riconoscimento del fenomeno, iniziando a circoscrivere aree specifiche e a nominare singoli comuni interessati dal fenomeno di inquinamento in questione, che richiedeva un intervento urgente da parte delle autorità.

292.  Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene che la fine del 2013 debba essere considerata come il momento in cui i ricorrenti avrebbero dovuto avere sufficiente consapevolezza del fatto che essi o i loro familiari erano stati esposti a un rischio per la loro vita e la loro salute a causa della situazione denunciata. Pertanto, nelle particolari circostanze del caso, e tenendo presente che l'articolo 35 della Convenzione deve essere interpretato con una certa flessibilità, la Corte ritiene che la data del 31 dicembre 2013 debba essere utilizzata come punto di partenza per il calcolo del termine di sei mesi in relazione ai ricorrenti i cui parenti sono deceduti prima di tale data, nonché ai ricorrenti che avevano smesso di vivere in uno dei comuni della Terra dei fuochi identificati (si veda il paragrafo 284 sopra).

293.  La Corte osserva che i familiari dei ricorrenti nn. 6, 8, 13, 22, 23 e 29 sono deceduti prima del 31 dicembre 2013. La Corte ritiene pertanto che avrebbero dovuto presentare il ricorso alla Corte entro sei mesi da quest'ultima data, ossia prima del 30 giugno 2014. La Corte osserva che i ricorrenti nn. 6, 8 e 13 hanno presentato il loro ricorso alla Corte il 12 novembre 2014 e i ricorrenti nn. 22, 23 e 29 il 27 ottobre 2014. Ne consegue che l'obiezione del Governo sulla base del mancato rispetto del termine di sei mesi deve essere accolta nei confronti di questi ricorrenti.

294.  Per quanto riguarda i ricorrenti i cui parenti sono deceduti dopo il 31 dicembre 2013, la Corte ritiene che il termine di sei mesi abbia iniziato a decorrere dalla data del decesso dei loro parenti. La Corte osserva che il parente del ricorrente n. 20 è deceduto il 29 gennaio 2014 e il ricorso è stato presentato il 27 ottobre 2014. Ne consegue che l'obiezione del Governo deve essere accolta anche nei confronti del ricorrente n. 20.

295 .  L'obiezione del Governo deve, inoltre, essere accolta nei confronti dei ricorrenti n. 11 e 34, che hanno cessato di vivere in uno dei comuni della Terra dei Fuochi individuati prima del 31 dicembre 2013, ma hanno presentato il ricorso alla Corte rispettivamente il 12 novembre 2014 e il 15 aprile 2015.

296 .  Alla luce di quanto sopra, la Corte dichiara irricevibili i reclami presentati ai sensi degli articoli 2 e 8 della Convenzione dai ricorrenti nn. 6, 8, 11, 13, 20, 22, 23, 29 e 34 per mancato rispetto del termine di sei mesi.

4.    Applicabilità delle disposizioni della Convenzione

297.  Per quanto riguarda gli altri ricorrenti (nn. 5, 7, 10, 12, 21, 24 e 25), resta da stabilire l'applicabilità delle disposizioni della Convenzione da loro invocate. Sebbene il Governo non abbia sollevato alcuna obiezione in merito all'applicabilità dell'articolo 2 della Convenzione, sostenendo invece che il caso dovrebbe essere esaminato esclusivamente dal punto di vista dell'articolo 8, la Corte ritiene di dover affrontare d'ufficio tale questione (cfr. Studio Monitori e altri c. Georgia , nn. 44920/09 e 8942/10, § 32, 30 gennaio 2020). La Corte ribadisce che la questione dell'applicabilità è una questione attinente alla giurisdizione della Corte ratione materiae, e per questo motivo, come regola generale, la relativa analisi dovrebbe essere svolta nella fase di ammissibilità, a meno che non vi sia un motivo particolare per unire tale questione al merito (cfr.Denisov c. Ucraina [GC], n. 76639/11, § 93, 25 settembre 2018). Nel caso di specie, la Corte ritiene che la questione dell'applicabilità sia strettamente legata alle questioni che dovrà esaminare nell'ambito dell'esame degli aspetti sostanziali degli obblighi e della responsabilità dello Stato ai sensi della Convenzione (si vedano, per quanto riguarda il reclamo ai sensi dell'articolo 2, i paragrafi 384-392 qui di seguito), nonché a quelle relative allo status di vittima dei ricorrenti, che sono già state unite al merito (si veda il paragrafo 245 qui sopra). Di conseguenza, essa ritiene opportuno esaminare la questione dell'applicabilità delle disposizioni pertinenti della Convenzione nel contesto della sua valutazione del merito di tali disposizioni.

5.    Conclusioni sull'ammissibilità

298.  La Corte osserva che i ricorsi presentati dai ricorrenti nn. 5, 7, 10, 12, 21, 24 e 25 ai sensi degli articoli 2 e 8 della Convenzione non sono né manifestamente infondati né irricevibili per altri motivi elencati nell'articolo 35 della Convenzione. Devono pertanto essere dichiarati ricevibili. Per quanto riguarda gli altri ricorrenti, questi ricorsi sono stati dichiarati irricevibili (si vedano i paragrafi 222, 249 e 296).

B.    Meriti

1.    Presunta violazione dell'articolo 2

(a)    Le osservazioni delle parti

(i)       I Richiedenti

(α)      Domanda n. 74208/14

299.  I ricorrenti hanno lamentato la loro esposizione a una situazione di inquinamento diffuso e l'incapacità dello Stato di intervenire non solo per prevenire questo inquinamento, ma anche per mitigarne le conseguenze, come la decontaminazione. Hanno sottolineato, a questo proposito, che le autorità non hanno protetto adeguatamente la loro vita e la loro salute. Hanno fatto notare che tutti loro hanno contratto il cancro.

300.  I ricorrenti hanno richiamato l'attenzione della Corte sulla declassificazione, il 31 ottobre 2013, delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia ("C.S.") che nel 1997 aveva informato il Parlamento italiano dell'esistenza, almeno dal 1988, di una pratica su larga scala di interramento di rifiuti tossici, industriali e in generale pericolosi. Secondo i ricorrenti, il documento rivelava che queste pratiche andavano avanti da anni nella zona in cui i ricorrenti vivevano, che le autorità italiane ne erano a conoscenza ma erano rimaste inattive e avevano mantenuto queste informazioni coperte dal segreto di Stato. I ricorrenti hanno anche sottolineato che le trascrizioni dimostrano che le Direzioni nazionali e distrettuali antimafia erano a conoscenza delle pratiche illegali almeno dal 1993, dato che C.S. ha dichiarato di aver fornito loro prove e di aver ulteriormente collaborato con gli investigatori della polizia conducendoli nei siti in cui erano stati interrati i rifiuti. I ricorrenti hanno citato un passaggio specifico delle dichiarazioni di C.S., secondo cui i rifiuti tossici erano stati interrati fino a 20 metri di profondità e avevano raggiunto le falde acquifere.

301.  I ricorrenti non concordano con le affermazioni del Governo secondo cui l'Italia avrebbe adottato tutte le misure appropriate ed esprimono riserve sul fatto che le misure elencate dal Governo siano state introdotte in modo tempestivo, dato il tempo trascorso tra le dichiarazioni di C.S. nel 1997 e l'emanazione del cosiddetto decreto Terra dei Fuochi il 10 dicembre 2013.

302.  Come argomento generale, i ricorrenti hanno sostenuto che, per la maggior parte, le misure elencate dal Governo esistevano solo "sulla carta" o riguardavano la mera pianificazione delle attività e che, in ogni caso, le misure introdotte erano state adottate in modo intempestivo. In particolare, i ricorrenti hanno sostenuto che alcune iniziative, come l'Accordo per la Terra dei Fuochi del 2013 (si veda il paragrafo 38 supra) e il Protocollo d'intesa del 2018 (si veda il paragrafo 78 supra) erano documenti puramente politici, contenenti misure che non erano state attuate in pratica.

303.  I ricorrenti hanno sostenuto che, nonostante le autorità fossero consapevoli della situazione, come descritto in precedenza, i primi sforzi di mappatura relativi ai terreni agricoli sono stati previsti solo nel 2013, con la direttiva ministeriale del 23 dicembre 2013, ossia più di vent'anni dopo che le autorità erano state informate della situazione. A questo strumento ne sono seguiti altri due, nel 2014 e nel 2015. Ciononostante, i ricorrenti hanno sostenuto che la mappatura delle aree definite dai testi in questione non era sufficiente, in quanto vi erano molti comuni che erano affetti dagli stessi problemi ma non erano inclusi nell'elenco ufficiale della Terra dei Fuochi.

304.  I ricorrenti hanno ribadito alcune conclusioni della 12a Commissione del Senato nel 2018 (cfr. paragrafo 73), che, al momento della stesura del rapporto, aveva richiamato l'attenzione sull'insufficiente monitoraggio di aria, suolo e acqua.

305.  I ricorrenti hanno prodotto articoli di giornale pubblicati tra agosto e novembre 2019 contenenti notizie che, a loro avviso, confermavano la persistenza del fenomeno Terra dei Fuochi.

306.  I ricorrenti hanno inoltre commentato la relazione presentata dal Governo in cui si constatava che nelle discariche dell'area Bortolotto-Sogeri erano state rilevate perdite di percolato dai bacini che confluivano nel canale di drenaggio delle acque piovane (cfr. paragrafo 75). I ricorrenti hanno osservato con preoccupazione che nella stessa parte delle loro osservazioni, il Governo aveva riferito che l'identificazione di alcune aree inquinate non era ancora iniziata nel 2018.

307.  I ricorrenti hanno espresso scetticismo sull'efficacia di alcune delle misure per contrastare il seppellimento e l'incenerimento illegale dei rifiuti elencate dal Governo. Hanno citato, come esempio, le telecamere di sorveglianza, sostenendo che tali telecamere non erano state installate in tutte le aree interessate e che quelle che erano state installate non funzionavano correttamente. A sostegno della loro tesi, hanno presentato articoli che mostrano telecamere circondate da cumuli di rifiuti accumulati. In uno degli articoli presentati si parlava delle difficoltà incontrate dalle forze dell'ordine nel catturare i responsabili dell'incendio dei rifiuti, in quanto utilizzavano tattiche "mordi e fuggi" e spesso mettevano targhe false sui loro veicoli, in modo che anche se ripresi dalle telecamere non potessero essere rintracciati.

308.  Hanno affermato che il cosiddetto fenomeno della Terra dei Fuochi, un tempo considerato un'emergenza, si è trasformato in una situazione di normalità. Hanno sostenuto che gli incendi continuavano a bruciare e le discariche e gli interramenti illegali di rifiuti non erano diminuiti. Nell'estate del 2019 la stampa ha riportato oltre cento incendi. I ricorrenti hanno prodotto articoli di stampa che riferivano che nel gennaio 2020 era stata scoperta una discarica illegale, descritta in un articolo come un "lago di rifiuti tossici", nel comune di San Felice Cancello, in provincia di Caserta. A loro avviso, ciò avvalorava la tesi secondo cui la condotta illegale in questione era ancora in atto, non era stata interrotta e rivelava l'incapacità del governo di proteggere la popolazione esposta per oltre trent'anni.

309.  Infine, hanno sostenuto che le autorità statali non hanno fornito loro informazioni sui pericoli per la loro salute derivanti dall'inquinamento.

(β)       Domanda n. 51567/14

310.  I ricorrenti hanno sostenuto che le autorità erano a conoscenza di un rischio reale e immediato per la vita e la salute delle persone che vivevano nelle aree interessate dal fenomeno Terra dei Fuochi almeno dal 1988. A questo proposito, hanno citato diversi risultati della relazione dell'11 marzo 1996 della commissione d'inchiesta istituita nel 1995; questi menzionavano la presenza di molteplici discariche illegali nelle province di Caserta e Napoli, controllate da gruppi criminali organizzati a livello locale, e il fatto che non era stato messo in atto alcun piano di supervisione o di bonifica del territorio, sebbene il fenomeno dell'interramento e dello scarico illegale di rifiuti pericolosi risalisse almeno al 1988 (si veda il paragrafo 10 sopra).

311.  I ricorrenti sostengono che le autorità italiane non hanno fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro per rispettare i loro obblighi positivi ai sensi degli articoli 2 e 8, in quanto non hanno adottato misure preventive e protettive adeguate.

312 .  I ricorrenti sostenevano che coloro che avevano gravi problemi di salute avevano malattie che potevano essere considerate collegate all'esposizione al fenomeno della Terra dei Fuochi. Hanno citato l'esistenza di diversi studi che indicano che i tassi di mortalità nei comuni in cui vivevano erano aumentati costantemente nel corso degli anni e che alcuni tumori, tra cui linfomi e leucemie, erano più comuni in tali comuni rispetto al resto d'Italia. Hanno citato i risultati dello studio dell'OMS (cfr. paragrafo 25) e altri studi sull'impatto sanitario del fenomeno della Terra dei Fuochi (cfr. paragrafi 17, 95 e 51). I ricorrenti hanno citato alcune delle principali conclusioni della CGUE nelle sentenze del 26 aprile 2007, del 4 marzo 2010 e del 16 luglio 2015 (cfr. paragrafi 26, 31 e 56). La CGUE ha individuato una serie di violazioni del diritto dell'Unione e ha ritenuto che anche l'accumulo di grandi quantità di rifiuti lungo le strade pubbliche e nelle aree di stoccaggio temporaneo esponga la salute degli abitanti locali a un certo pericolo.

313 .  I ricorrenti hanno inoltre sostenuto che le autorità italiane non avevano fatto abbastanza per identificare e monitorare i terreni contaminati e non avevano compiuto adeguati sforzi di decontaminazione. Per quanto riguarda queste ultime misure, hanno inoltre affermato che le risorse stanziate per la loro attuazione non sono state utilizzate in modo efficace ed efficiente.

314.  I ricorrenti hanno anche citato un'inchiesta giornalistica condotta nel 2019, i cui risultati sono stati trasmessi dalla televisione di Stato italiana ("RAI") il 29 giugno 2019 con il titolo "Tra Napoli e Caserta: la terra dei ciechi". Tale inchiesta ha rivelato un aumento dell'incenerimento illegale di rifiuti e materiali tossici in quel periodo.

315.  Per quanto riguarda la loro denuncia ai sensi dell'articolo 8, i ricorrenti hanno fatto riferimento principalmente alle loro osservazioni sull'articolo 2. Hanno ribadito che lo Stato italiano, a loro avviso, non ha garantito un adeguato pattugliamento e monitoraggio delle aree interessate dal fenomeno della Terra dei Fuochi. Queste presunte carenze, unite alla mancata decontaminazione delle aree inquinate, hanno portato, secondo i ricorrenti, a una violazione dell'articolo 8, parte sostanziale.

316.  I ricorrenti hanno inoltre sottolineato che, secondo la giurisprudenza della Corte, l'articolo 2 comporta il dovere per lo Stato di assicurare, con tutti i mezzi a sua disposizione, una risposta adeguata - giudiziaria o di altro tipo - affinché il quadro legislativo e amministrativo istituito per proteggere il diritto alla vita sia correttamente attuato e qualsiasi violazione di tale diritto sia repressa e punita. A questo proposito, i ricorrenti sostengono che lo Stato italiano non ha rispettato tale obbligo. Hanno sostenuto che le disposizioni penali in materia introdotte gradualmente nel quadro giuridico italiano erano inadeguate ad affrontare il fenomeno della Terra dei Fuochi. A loro avviso, le indagini penali in questo settore non hanno portato all'identificazione e alla punizione dei responsabili, essenzialmente a causa dei brevi termini di prescrizione dei reati in questione.

317.  Infine, secondo i ricorrenti, le autorità italiane non hanno rispettato l'obbligo positivo di informarli, per diversi decenni, dei rischi per la loro salute derivanti dal fenomeno di inquinamento in questione.

(ii)     Il Governo

318.  Il Governo ha formulato un'osservazione generale secondo cui le misure elencate nelle loro memorie e nei documenti giustificativi dovrebbero indurre la Corte a concludere che sono state adottate tutte le misure appropriate per tutelare i diritti dei ricorrenti ai sensi degli articoli 2 e 8 della Convenzione. Detto questo, hanno invitato la Corte a esaminare il caso esclusivamente in base all'articolo 8.

319 .  Il Governo ha poi elencato le misure adottate dalle autorità. Ha iniziato con le misure adottate per accertare le aree interessate dal fenomeno dell'inquinamento e il grado di contaminazione. Ha riassunto la legislazione e gli altri strumenti adottati in relazione al fenomeno della Terra dei Fuochi. In particolare, sono state fornite informazioni sulla normativa che prevede la mappatura dei terreni agricoli della Regione Campania al fine di individuare la presenza di contaminanti dovuti a discariche, smaltimenti e roghi illegali di rifiuti (Decreto Legge n. 136/2013, convertito in Legge n. 6/2014; e le Direttive Ministeriali del 23 dicembre 2013, 16 aprile 2014 e 10 dicembre 2015). Il Governo ha inoltre fornito dettagli sul mandato del Gruppo di lavoro istituito ai sensi del D.L. n. 136/2013 e sui diversi compiti individuati come necessari per l'espletamento di tale mandato (si veda il precedente paragrafo 111).

320.  In termini di azioni concrete intraprese, il Governo ha sottolineato che, alla data di redazione delle osservazioni, erano state condotte indagini dirette consistenti in campionamenti del suolo, delle piante e dell'acqua su appezzamenti di terreno classificati nelle categorie di rischio 5, 4, 3 e 2a. Il Governo ha presentato diversi documenti che illustrano i progressi compiuti a questo proposito (si vedano, in particolare, i paragrafi 100 e 101).

321.  Per quanto riguarda l'istituzione dei registri delle aree interessate dall'abbandono e dall'incenerimento dei rifiuti, come previsto dall'articolo 3 della legge regionale n. 20 del 9 dicembre 2013 (si veda il precedente paragrafo 42), il Governo ha dichiarato che ciò è di competenza dei Comuni e che sette Comuni avevano istituito i registri al momento della redazione delle osservazioni.

322 .  Per quanto riguarda le misure per esaminare l'impatto dell'inquinamento sulla salute e per affrontare i relativi rischi per la salute, il Governo ha fatto un riferimento generale a una nota pubblicata dalla Regione Campania, che ha allegato alle sue osservazioni insieme a quarantasette allegati, alcuni dei quali senza titolo, altri senza data e altri ancora contenenti dati senza un'analisi di accompagnamento. Nel testo delle loro osservazioni, il Governo ha sottolineato il "Programma integrato di monitoraggio Campania trasparente", lanciato dalla Regione Campania e guidato dall'IZSM, il cui scopo è ottenere dati sull'esposizione umana agli inquinanti su scala regionale e promuovere una "cultura della trasparenza" nei settori della sicurezza alimentare e dell'ambiente (cfr. paragrafo 55). Hanno fatto riferimento alle attività di monitoraggio degli alimenti condotte nell'ambito di questo programma, e in particolare al "progetto QR code" (cfr. paragrafo 52). Hanno dichiarato che nell'ambito di quest'ultimo progetto l'IZSM aveva testato 30.000 campioni di alimenti prodotti da aziende che operavano nell'area della Terra dei Fuochi e che si erano volontariamente sottoposte al programma, e che erano stati rilevati solo sette casi di non conformità. Hanno inoltre osservato che una componente chiave del programma Campania Trasparente prevedeva il biomonitoraggio umano e, a questo proposito, hanno fatto riferimento allo studio SPES (cfr. paragrafo 52).

323.  Il Governo ha elencato tre ulteriori studi sulla salute, ovvero lo "Studio sull'esposizione della popolazione affetta da patologie" ("SPEM"), lo "Studio sull'esposizione alle malattie professionali" ("SPEL") e lo studio GEMMA (si veda il paragrafo 85 sopra). Il Governo ha inoltre menzionato la creazione di una piattaforma informativa per la gestione e il monitoraggio degli screening oncologici (cfr. paragrafo 80).

324.  Il Governo ha sottolineato che il 10 ottobre 2016 la Giunta regionale della Campania aveva adottato un Piano d'azione per contrastare le discariche abusive e l'incenerimento dei rifiuti, elencando le misure di carattere sanitario previste da tale piano (si veda il paragrafo 66 supra).

325.  Il Governo ha inoltre sottolineato che sono stati istituiti registri dei tumori in tutte le ASL della Regione Campania. Senza specificare il numero o le sedi specifiche, ha dichiarato che sono stati creati registri dei tumori infantili e dei difetti congeniti. Hanno aggiunto che la Regione Campania ha lanciato un'iniziativa per sviluppare un "Atlante di mortalità della Regione Campania" (cfr. paragrafi 85 e 96). Il Governo ha concluso che l'intera popolazione della Regione Campania è sottoposta a sorveglianza oncologica.

326.  Il Governo ha citato il Decreto del Commissario straordinario n. 38 del 1° giugno 2016, che prevedeva il potenziamento dei programmi di screening oncologico e l'attuazione di piani di trattamento diagnostico e terapeutico per i pazienti oncologici (si veda il precedente paragrafo 62).

327.  Il Governo ha ricordato l'esistenza di un protocollo d'intesa, firmato il 23 giugno 2017 tra la Regione Campania, il registro regionale dei tumori infantili, i registri tumori delle ASL di Caserta e Napoli, il servizio epidemiologico delle ASL Caserta e Napoli 3 Sud, l'IZSM, l'ARPAC e la Procura di S. Maria Capua Vetere, al fine di adottare strategie congiunte  per la valutazione di eventuali rischi sanitari connessi a problematiche ambientali nelle aree di competenza della Procura di S. Maria Capua Vetere (cfr. art. 2, comma 1, lettera a)). Maria Capua Vetere, al fine di adottare strategie congiunte per la valutazione di eventuali rischi per la salute connessi a problematiche ambientali nelle aree di competenza della Procura di S. Maria Capua Vetere (cfr. paragrafo 69).

328.  Il Governo ha poi fornito informazioni sulle misure introdotte per prevenire lo scarico illegale e l'incenerimento dei rifiuti. È stato fatto particolare riferimento al Piano d'azione 2016 (si veda il paragrafo 66) e ad alcune delle misure o "azioni" previste da questo piano. Il Governo ha osservato che sono stati stanziati 4.500.000 euro per la creazione dei cosiddetti centri operativi. È stata prevista la creazione di quattro centri di questo tipo in quattro comuni. Secondo il Governo, a giugno 2019 tre di questi centri erano stati effettivamente istituiti ed erano operativi per ventiquattro ore al giorno, sette giorni alla settimana (compresi i giorni festivi). Un quarto centro è stato istituito presso la sede della SMA Campania. Secondo il Governo, due di questi centri sono diventati operativi nell'ottobre 2017.

329.  Il Governo ha sottolineato che sono stati stanziati 8.700.000 euro per l'attuazione di misure per l'individuazione dei rifiuti abbandonati nella corrispondente voce del Piano d'azione. In termini di azioni concrete, ha specificato che il personale della SMA Campania ha svolto regolari attività di pattugliamento. Queste attività sono state svolte in collaborazione con il personale dell'esercito e hanno avuto lo scopo di segnalare incendi, discariche abusive e altre situazioni di rischio. Erano stati stanziati fondi per l'acquisto di droni, da utilizzare dal personale della SMA Campania e per l'acquisto di attrezzature da parte dell'Arma dei Carabinieri (tra cui laboratori avionici di droni e dispositivi mobili su cui installare applicazioni di segnalazione).

330.  Il Governo ha inoltre sottolineato che è stato firmato un protocollo d'intesa tra il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e la Regione sulle misure di spegnimento degli incendi; in base a questo accordo, a ogni centro operativo sarà assegnata una squadra di cinque vigili del fuoco pronti a intervenire in caso di segnalazione di incendi. Nel 2019 sono stati stanziati fondi per prolungare di un anno la presenza di queste squadre antincendio. Nel 2019 sono stati stanziati altri fondi per l'attuazione di questa "azione", in parte per l'acquisto di attrezzature avioniche da parte della Polizia di Stato e in parte per garantire il funzionamento continuo dei centri operativi.

331.  Il Governo ha dichiarato che nel 2019 sono stati stanziati 1.150.000 euro per la "pulizia e la rimozione immediata" dei rifiuti in presenza di "un'alta probabilità che vengano incendiati".

332.  Il Governo ha fatto riferimento al Protocollo d'intesa per l'"Attuazione sperimentale" del Piano d'azione firmato nel 2018 tra la Regione Campania e diversi ministeri del Governo (cfr. paragrafo 78). Ha richiamato l'attenzione della Corte sulla sezione del Protocollo che delinea ulteriori azioni volte a prevenire le pratiche di incenerimento illegali. Nell'ambito di tale Protocollo, è stato istituito un gruppo di lavoro allo scopo di rendere il sistema informativo I.TER accessibile a una più ampia gamma di utenti, tra cui la Polizia Nazionale, il Corpo dei Vigili del Fuoco e le Procure, e di garantirne la compatibilità con altri sistemi informativi utilizzati per la raccolta e l'elaborazione dei dati, compresi quelli raccolti da droni, sensori e telecamere di sorveglianza. Il Governo ha richiamato l'attenzione della Corte sul Rapporto periodico sul Piano d'azione, datato 7 agosto 2019, pubblicato dall'Unità di coordinamento del Piano d'azione (cfr. paragrafo 88).

333.  Il Governo ha inoltre citato il decreto ministeriale del 26 novembre 2012, con cui il Ministro dell'Interno ha previsto la nomina di un viceprefetto come funzionario delegato (cfr. paragrafo 34 supra) e ha presentato un rapporto pubblicato dal funzionario delegato il 14 giugno 2019 (cfr. paragrafo 82 supra). Nelle osservazioni complementari del 26 maggio 2021, il Governo ha presentato un'ulteriore relazione pubblicata dal funzionario delegato il 4 gennaio 2021 (cfr. paragrafo 99), al fine di corroborare le proprie argomentazioni in merito alle azioni intraprese per combattere l'incenerimento illegale dei rifiuti.

334.  Il Governo ha inoltre sostenuto che l'Italia ha agito in modo rigoroso, tempestivo ed efficace in termini di repressione delle attività criminali, avvio di procedimenti giudiziari, punizione dei responsabili e riparazione dei danni ambientali causati dalla condotta criminale. A sostegno di questa tesi, hanno citato sette serie di procedimenti, come di seguito dettagliato, affermando che i casi elencati riguardavano i reati previsti dall'articolo 260 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 e dagli articoli 434 e 434 del Codice Civile. 152 del 2006 e dagli articoli 434 e 439 del Codice penale italiano (cfr. paragrafi 128 e 130).

335 .  Il Governo ha citato il procedimento n. 3313/12 contro D.B. e altri presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Essi hanno sostenuto che il procedimento in questione riguardava il traffico illecito di rifiuti in un complesso industriale nel comune di Aversa, dove i rifiuti pericolosi venivano mescolati con quelli non pericolosi modificando i codici di identificazione delle diverse categorie di rifiuti. Il Governo ha dichiarato che con sentenza del 17 dicembre 2015 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha interrotto il procedimento per scadenza dei termini di prescrizione. Ha inoltre dichiarato, senza fornire documentazione di supporto, che erano in corso di redazione le perizie tecniche in vista dell'avvio di un procedimento civile. Il Governo non ha presentato una copia della sentenza, se non il dispositivo che dichiara la prescrizione del procedimento.

336 .  Il Governo ha inoltre citato il procedimento n. 50653/04, contro M.R. e altri davanti al Tribunale di Napoli, sezione di Pozzuoli. Il procedimento riguardava l'accusa di traffico illecito di rifiuti, ai sensi dell'articolo 260 del Decreto Legislativo n. 152/2006, nei confronti dei titolari di alcuni impianti di recupero dei rifiuti situati a Napoli. 152/2006, nei confronti dei titolari di una serie di impianti di recupero di rifiuti situati in diverse zone della Campania. Secondo il Governo, le aziende in questione sarebbero state coinvolte nello smaltimento illegale di circa 1.071.637.648 chilogrammi di rifiuti provenienti da trentacinque comuni situati nelle aree indicate, processo reso possibile dalla modifica illecita dei codici di smaltimento dei rifiuti. Il 22 febbraio 2013 il Tribunale di Napoli, sezione di Pozzuoli, ha condannato nove persone a varie pene detentive e le ha condannate al risarcimento dei danni alle parti civili, tra cui il Ministero dell'Ambiente, da ottenere in separato giudizio civile. Contro la sentenza del tribunale distrettuale è stato presentato appello, ma al momento della stesura delle osservazioni, nel settembre 2019, l'udienza non era ancora stata fissata. Il Governo non ha presentato una copia della motivazione della sentenza, ma solo il dispositivo della sentenza del Tribunale di Napoli (sezione di Pozzuoli). Successivamente non sono state fornite informazioni sullo stato di avanzamento o sull'esito dell'appello.

337.  Il Governo ha inoltre richiamato l'attenzione della Corte sulla sentenza della Corte d'Appello di Napoli n. 680/2015 del 23 aprile 2015 e sulla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I penale, n. 58023 del 7 maggio 2017 (si veda il precedente paragrafo 148). La Corte di Cassazione aveva confermato la condanna di tre persone che erano state condannate per aver trafficato ingenti quantità di rifiuti, tra il 2001 e il 2005, nel comune di Acerra. In particolare, sono stati ritenuti responsabili di gestione illecita di aziende di compostaggio, con conseguente danno ambientale ai sensi dell'articolo 434 del Codice penale. Senza fornire documentazione di supporto, il Governo ha dichiarato che l'ISPRA ha valutato il danno ambientale in 3.794.900 euro. Il Tribunale di Napoli ha emesso un provvedimento di sequestro di aziende, terreni, fabbricati, veicoli, aeromobili e conti bancari di proprietà di C.P., G.P. e S.P. Secondo il Governo, il provvedimento è stato eseguito dalla Guardia di Finanza di Napoli il 14 febbraio 2017.

338.  Il Governo ha citato il procedimento penale n. 24961/10, presentato alla Corte d'Assise di Napoli contro R.A. e altri, conclusosi con la sentenza n. 14/16 dell'11 gennaio 2017. Ha inoltre citato una sentenza emessa il 17 gennaio 2019 dalla Corte d'Assise d'Appello di Napoli in relazione allo stesso procedimento, che riguardava attività di smaltimento illegale di rifiuti in una discarica nel comune di Giugliano in Campania. Tali attività avevano causato gravi danni all'ambiente e, in particolare, avevano determinato la contaminazione delle acque sotterranee a causa dello stoccaggio, nel tempo, di ingenti quantità di rifiuti industriali pericolosi . Il 17 gennaio 2019 la Corte d'Assise d'Appello di Napoli ha condannato un individuo a dieci anni di reclusione per contaminazione delle acque ai sensi dell'articolo 439 del Codice penale e lo ha condannato al risarcimento dei danni al Ministero dell'Ambiente. Il Governo ha dichiarato che il Ministero dell'Ambiente intende avviare un procedimento civile.

339.  Il Governo ha citato il procedimento penale n. 47098/13, presentato contro N.P., W.S. e L.D. davanti al Tribunale di Napoli Nord, conclusosi con la sentenza n. 685/18 del 21 marzo 2018. Il procedimento in questione riguardava l'inquinamento delle falde acquifere attraverso lo scarico, a partire dalla metà degli anni '80, di circa 150.000 metri cubi di rifiuti nel comune di Casal di Principe e l'interramento di tali rifiuti a circa 10 metri di profondità. Il 21 marzo 2018 il Tribunale di Napoli Nord ha dichiarato la propria incompetenza a trattare il caso e lo ha rinviato al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, davanti al quale il procedimento è pendente. Non sono state fornite informazioni sull'ulteriore svolgimento di questo procedimento.

340.  Infine, il Governo ha citato il procedimento penale n. 56063/09, presentato al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere contro G.A. e altri, conclusosi con la sentenza 1951/18 del 28 marzo 2014. Hanno inoltre citato le sentenze emesse dalla Corte d'Appello di Napoli e dalla Corte di Cassazione in relazione allo stesso procedimento. A conclusione del procedimento, alcune persone sono state ritenute responsabili del reato di traffico illecito di rifiuti e sono state condannate al risarcimento dei danni al Ministero dell'Ambiente, il cui importo sarà quantificato in un separato procedimento civile. Il Governo ha dichiarato che l'ISPRA, su richiesta del Ministero dell'Ambiente, ha effettuato una valutazione del danno ambientale causato dalle condotte criminali in questione, che prevedevano lo smaltimento illegale di terre provenienti da alvei fluviali e fanghi di depurazione, falsificando le informazioni (come i codici di smaltimento dei rifiuti) necessarie per la gestione di tali rifiuti, tra il 2004 e il 2008, nel comune di Marcianise. Secondo il Governo, l'ISPRA ha quantificato il danno in 235.000.000 di euro e nell'agosto 2018 la Guardia di finanza ha valutato la situazione patrimoniale dei condannati al fine di assistere il Ministero dell'Ambiente nella costituzione di parte civile. Non sono state fornite informazioni sull'ulteriore svolgimento di questi procedimenti.

341 .  Il Governo ha poi fornito informazioni sulle misure adottate per decontaminare le aree colpite. In primo luogo ha descritto le misure adottate a livello nazionale. A questo proposito, hanno sottolineato che la "Legge di bilancio 2019" ha previsto l'adozione di un Programma nazionale di bonifica (cfr. paragrafo 79) e ha aumentato i fondi destinati alla "realizzazione di misure ambientali", tra l'altro, nelle aree contaminate di quella che chiamano Terra dei Fuochi.

342.  Il Governo ha specificato che per il periodo 2019-2024 sono stati stanziati circa 20 milioni di euro all'anno per tali scopi. A questo proposito, il Ministero dell'Ambiente ha individuato una serie di attività ritenute necessarie per la preparazione del piano nazionale, tra cui, in via prioritaria, l'individuazione di criteri standardizzati per la classificazione dei siti contaminati, al fine di dare priorità alle attività di decontaminazione. Nell'aprile 2019 è stata istituita una task force per sviluppare tali criteri. Una delle prime attività della task force è stata un'indagine sui criteri e gli indicatori utilizzati a livello regionale per sviluppare le classifiche dei siti contaminati, da utilizzare come base per sviluppare criteri applicabili a livello nazionale. Secondo il Governo, la task force si è riunita il 3 settembre 2019 e ha deciso di esaminare diversi casi di studio per avviare una prima attività di sperimentazione. Ciò avrebbe permesso di individuare esattamente le informazioni necessarie per definire i criteri prioritari da adottare nel programma nazionale di decontaminazione. Il Governo ha sottolineato l'importanza di questa fase di sperimentazione per individuare criteri affidabili a livello nazionale. Il Governo ha precisato che è stato stilato un elenco di siti di prova e che si prevede di adottare il programma nazionale entro la fine del 2019.

343.  Il Governo si è soffermato sulle misure adottate a livello regionale. Ha citato un protocollo d'intesa firmato il 2 ottobre 2017 tra la Regione Campania e Invitalia (cfr. paragrafo 70 supra), finalizzato all'attuazione di misure di messa in sicurezza e decontaminazione nelle aree definite nel Piano regionale di bonifica (cfr. paragrafo 39 supra). Il Governo ha riprodotto una tabella che riporta una serie di attività e interventi elencati in relazione a sedici comuni della Terra dei Fuochi. Tali attività comprendono la messa in sicurezza di alcune discariche abusive e la successiva decontaminazione dell'area interessata; la classificazione e la decontaminazione dei terreni agricoli individuati ai sensi della legge n. 6/2014 (cfr. paragrafo 103); la rimozione dei rifiuti da diversi siti, compresi i rifiuti solidi urbani provenienti da siti di stoccaggio temporaneo, nonché le analisi preliminari del suolo e le misure di sicurezza e decontaminazione necessarie. Il Governo ha dichiarato che sono in corso di pubblicazione i documenti di gara per l'assegnazione delle attività di classificazione ambientale e decontaminazione.

344 .  Infine, il Governo ha affermato che la Regione Campania si è impegnata a farsi carico delle attività di decontaminazione dei Comuni che non dispongono delle risorse o delle attrezzature necessarie per svolgerle. Senza fornire ulteriori spiegazioni o dettagli, il Governo ha dichiarato che altre misure di decontaminazione sono state eseguite direttamente dai singoli comuni, utilizzando i fondi regionali.

345.  Il Governo ha poi affrontato il tema delle misure adottate per far fronte alle carenze nella gestione del ciclo dei rifiuti. Il Governo ha iniziato riassumendo alcuni aspetti chiave del procedimento contro l'Italia dinanzi alla CGUE in materia di gestione dei rifiuti in Campania.

346.  Per quanto riguarda le misure concrete adottate, il Governo ha evidenziato che un nuovo "Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani in Campania" era stato adottato dal Consiglio regionale nel 2016 (si veda il precedente paragrafo 67) e che il programma si concentrava sulla separazione dei rifiuti domestici (raccolta differenziata) e sulla costruzione di impianti di termovalorizzazione. Il Governo ha osservato che la Regione Campania ha lanciato un programma da 200 milioni di euro nell'ambito di questo piano per la costruzione di impianti di compostaggio. Senza fornire ulteriori dettagli, ha dichiarato che i comuni hanno risposto positivamente a un avviso pubblico pubblicato nel maggio 2016 relativo a quest'ultimo programma. Hanno inoltre preso atto dell'introduzione di un "Programma straordinario per la rimozione delle balle di rifiuti" e hanno fatto riferimento alla relazione congiunta sullo stato di avanzamento del Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani del Direttore generale per il ciclo dei rifiuti della Regione Campania e del Direttore generale per i rifiuti e l'inquinamento del Ministero dell'Ambiente (cfr. paragrafo 77). Il Governo ha sottolineato che nel 2016 e nel 2017 sono stati stanziati 294 milioni di euro per l'attuazione del programma nei Comuni della Terra dei Fuochi ufficialmente designati.

347.  Il Governo ha inoltre richiamato l'attenzione della Corte sull'emanazione della Legge 26 maggio 2016, n. 14 (Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti), denominata "Legge regionale sul ciclo dei rifiuti" (cfr. paragrafo 61).

348 .  Per quanto riguarda la capacità di trattamento dei rifiuti della Regione Campania, il Governo ha sostenuto che i requisiti per la costruzione di nuovi impianti, come stabilito nella sentenza della CGUE del 2015, erano basati su dati non aggiornati e che non tenevano conto né dei recenti sviluppi né dell'emanazione del Piano regionale per la gestione dei rifiuti. Il Governo ha osservato che la Rappresentanza permanente d'Italia presso l'UE ha chiesto che la sanzione giornaliera sia ridotta di un terzo, dato che alcune misure sono già state introdotte.

(b)    I terzi intervenienti

(i)       Il Forum per i diritti umani e la giustizia sociale (Università di Newcastle), il Gruppo di ricerca sulla regolamentazione ambientale di Newcastle (Università di Newcastle), Let's Do It! Italia e Legambiente

349.  I terzi intervenuti hanno fornito una panoramica di quelle che considerano caratteristiche importanti del fenomeno Terra dei Fuochi.

350.  I relatori hanno iniziato a concentrarsi sul primo aspetto del fenomeno, ossia il traffico illegale di rifiuti. A loro avviso, ciò derivava in parte dalla limitata capacità delle strutture italiane di smaltire i rifiuti urbani, industriali e pericolosi. Hanno sottolineato come la camorra, un'organizzazione criminale, abbia creato joint venture con aziende del Nord e del Centro Italia, con l'obiettivo di trasformare la gestione dei rifiuti in un business illegale che, secondo la ONG ambientalista Legambiente, negli anni '90 ha generato oltre 1200 miliardi di lire all'anno. La stessa ONG ha stimato che il business illegale dei rifiuti gestito dalla camorra ha avuto un fatturato di oltre 16,7 miliardi di euro nel 2013.

351.  Hanno citato un rapporto di Legambiente del 2015 in cui si afferma che tra il 1991 e il 2015 sono state aperte in Campania ottantadue inchieste giudiziarie relative al business illegale dei rifiuti (cfr. paragrafo 53). Hanno sottolineato che lo stesso rapporto stimava che, nel corso di ventitré anni, 10 milioni di tonnellate di rifiuti, compresi quelli pericolosi, erano stati smaltiti illegalmente in Campania.

352.  Per quanto riguarda il secondo aspetto, la combustione illegale dei rifiuti, hanno affermato che le sue cause possono essere individuate, tra l'altro, nelle carenze del ciclo dei rifiuti urbani, che hanno portato all'accumulo e all'abbandono dei rifiuti solidi urbani, insieme allo scarico illegale di rifiuti industriali da parte delle acciaierie, degli impianti tessili e delle concerie locali. A sostegno di queste ultime affermazioni hanno fatto riferimento alle dichiarazioni rilasciate dal funzionario delegato alla quinta Commissione parlamentare d'inchiesta il 21 ottobre 2015 (cfr. paragrafo 58).

353.  Hanno affermato che la portata del problema della combustione illegale di rifiuti è chiara dai dati disponibili del Ministero dell'Interno, che indicano che tra il 2012 e il 2018 sono stati registrati 14.457 incendi nei comuni delle province di Napoli e Caserta. Questi incendi hanno interessato comuni all'interno e all'esterno dei confini della Terra dei Fuochi ufficialmente delimitata. Hanno inoltre affermato che la combustione illegale di rifiuti ha contribuito al degrado ambientale della Campania e ha portato alla dispersione nell'atmosfera e alla successiva deposizione nel suolo di inquinanti tossici come le diossine.

354.  Inoltre, quello che hanno definito un "disastro ambientale" in Campania è stato aggravato da due fattori principali, ossia l'assenza di quello che hanno definito un "approccio precauzionale" rispetto all'affrontare e rimuovere tutte le fonti di inquinamento ambientale dannose per la salute umana, e la mancanza di un quadro giuridico efficace per affrontare i reati ambientali.

355.  Per quanto riguarda il primo fattore, hanno sostenuto che, nonostante le organizzazioni non governative ambientaliste, come Legambiente, avessero sollecitato fin dal 1997 l'introduzione di un quadro giuridico per affrontare i reati ambientali, il primo reato ambientale è stato creato solo nel 2001. Esaminando l'introduzione di disposizioni penali per la lotta al danno ambientale in Italia, hanno fatto notare che, fino a poco tempo fa, la maggior parte dei reati ambientali in Italia erano reati minori e che questo aveva avuto un impatto sull'effetto deterrente della legislazione. A questo proposito, hanno sottolineato che i reati minori comportano termini di prescrizione più brevi.

356.  Per quanto riguarda il secondo fattore, i terzi intervenienti hanno sostenuto che vi sono prove di gravi ritardi nella valutazione del rischio che i siti contaminati rappresentano per la salute umana e di lenti progressi nelle attività di decontaminazione dei siti interessati in Campania. Hanno fatto riferimento alla relazione della Regione Campania sullo stato di attuazione del Piano regionale di decontaminazione per il 2018 (cfr. paragrafo 80). Tra i siti identificati come richiedenti un'indagine sugli inquinanti dannosi per la salute umana, le procedure formali per condurre un'analisi di rischio erano state avviate solo per il 25% dei siti in questione e solo il 3,5% di questi era stato bonificato.

357.  Hanno inoltre osservato che le informazioni sull'entità del business illegale dei rifiuti in Campania sono state coperte dal segreto di Stato fino al 2013. Hanno sottolineato, a questo proposito , che il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle implicazioni per i diritti umani della gestione e dello smaltimento ecologicamente corretto di sostanze e rifiuti pericolosi ha sottolineato che le informazioni sulla salute e sulla sicurezza delle sostanze chimiche tossiche non devono mai essere riservate.

358.  I terzi intervenuti hanno inoltre affermato che i tribunali regionali per i diritti umani e gli organismi internazionali per i diritti umani si basano sempre più su norme e principi di diritto ambientale nel valutare le violazioni dei diritti umani. Si sono concentrati, in particolare, sul principio di prevenzione e sul principio di precauzione, ribadendo che la mancanza di certezza scientifica sugli effetti reali o potenziali di un'attività non dovrebbe impedire agli Stati di adottare misure adeguate per prevenire i danni ambientali. Hanno citato il parere consultivo n. OC-23/18, emesso dalla Corte interamericana dei diritti dell'uomo, in cui la Corte considerava il principio di precauzione rilevante per determinare se uno Stato avesse adempiuto ai suoi doveri ai sensi della Convenzione americana dei diritti dell'uomo. Hanno anche notato che, secondo la Corte interamericana, gli Stati devono agire in conformità con il principio di precauzione, anche in assenza di certezza scientifica, e adottare misure per prevenire danni gravi o irreversibili all'ambiente.

359.  I terzi intervenienti hanno inoltre sottolineato che il diritto a un ambiente salubre ha ottenuto il riconoscimento e la tutela costituzionale in più di cento Stati, tra cui l'Italia.

(ii)     Client Earth

360.  Il terzo interveniente ha affermato che le persone colpite dall'inquinamento ambientale devono affrontare diverse sfide per ottenere un risarcimento legale, come la scoperta della sua esistenza, l'identificazione delle sue fonti (che spesso sono molteplici) e la determinazione del nesso causale tra l'inquinamento e gli impatti sulla salute.

361.  La natura dell'inquinamento, insieme alle relative incertezze scientifiche, è stata quindi affrontata con lo sviluppo di concetti giuridici nell'ambito del diritto ambientale, richiedendo ai legislatori e ai tribunali di adottare un approccio proattivo e protettivo. A questo proposito, il principio di prevenzione sancisce il dovere di prevenire, ridurre e controllare l'inquinamento e i danni ambientali. Si basa sulla consapevolezza che i danni causati dall'inquinamento alla salute umana e all'ambiente sono spesso irreversibili. Il principio di precauzione era uno strumento utilizzato per superare l'incertezza scientifica sui rischi per la vita e la salute umana o per l'ambiente. Era strettamente legato al principio di prevenzione. La sua importanza risiede nel garantire la protezione in una fase precoce e nell'abbassare lo standard probatorio del rischio.

362.  Il terzo interveniente ha affermato che entrambi i principi sono riconosciuti nelle dichiarazioni delle Nazioni Unite e nel diritto internazionale consuetudinario, oltre ad essere sanciti in diverse convenzioni internazionali di cui l'Italia è parte, riguardanti l'inquinamento atmosferico, l'inquinamento idrico e la gestione dei rifiuti.

363.  Facendo riferimento alla sentenza Tătar (citata in precedenza), ha sottolineato che la Corte aveva precedentemente identificato il principio di precauzione come una fonte di diritto internazionale rilevante, e vi aveva fatto riferimento nel ragionamento giuridico in casi di inquinamento ambientale.

364.  Il terzo interveniente ha sostenuto che, in base al principio di prevenzione, non appena emerge un insieme di prove scientifiche che indicano l'esistenza di una minaccia per la vita e la salute umana, gli Stati sono tenuti ad adottare misure attive per prevenire e mitigare l'inquinamento ambientale. Inoltre, in base al principio di precauzione, anche se l'esistenza o la portata di certi rischi non era certa, ciò non giustificava l'inazione, ma imponeva agli Stati di essere prudenti.

365.  Client Earth ha sottolineato il lavoro delle procedure speciali del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, tra cui il Relatore speciale sui diritti umani e l'ambiente e il Relatore speciale sulle implicazioni per i diritti umani della gestione e dello smaltimento ecologicamente corretto di sostanze e rifiuti pericolosi.

366.  Il terzo interveniente ha sostenuto che la raccolta di informazioni sull'inquinamento ambientale è il primo, essenziale, passo per proteggere efficacemente la vita e la salute di una popolazione. Una volta raccolte, le informazioni devono essere messe a disposizione del pubblico. L'interveniente ha sostenuto che l'obbligo di uno Stato di raccogliere e diffondere informazioni si applica in modo continuativo e indipendentemente da una specifica procedura decisionale. Se una condotta dannosa per l'ambiente viene attuata senza un'autorizzazione ufficiale, come nel caso in esame, l'obbligo positivo dello Stato di monitorare la situazione e di fornire alla popolazione informazioni relative alla protezione della salute acquista un significato ancora maggiore. Ha richiamato l'attenzione della Corte sull'articolo 5 § 1 (c) della Convenzione di Aarhus (cfr. paragrafo 182).

367.  Il terzo interveniente ha inoltre affermato che tale obbligo non solo richiede la diffusione delle informazioni in possesso di un'autorità pubblica, ma richiede anche che le autorità raccolgano informazioni in modo proattivo. Ha sottolineato che, secondo la Guida all'attuazione della Convenzione di Aarhus, la raccolta e la diffusione attiva delle informazioni implica un senso di urgenza nel far giungere al pubblico determinati tipi di informazioni. Mentre l'obbligo di base era quello di rendere disponibili le informazioni ambientali "progressivamente", la Convenzione di Aarhus imponeva un chiaro obbligo di "diffondere immediatamente e senza indugio" tutte le informazioni "che potrebbero consentire al pubblico di adottare misure per prevenire o attenuare i danni derivanti" da "qualsiasi minaccia imminente alla salute umana o all'ambiente", sia essa causata da attività umane o dovuta a cause naturali. Questa disposizione mirava a garantire che le persone fossero informate di qualsiasi rischio per la loro salute derivante da attività inquinanti, in modo che potessero prendere le precauzioni necessarie e/o rivolgersi alle autorità competenti per ottenere misure urgenti.

(iii)    Macro Crimini

368.  Il terzo interveniente ha affermato che le relazioni delle Commissioni parlamentari d'inchiesta emanate a partire dal 1995 (cfr. paragrafi 10, 13, 28 e 74), nonché la relazione della 12a Commissione del Senato (cfr. paragrafo 73), contenevano resoconti precisi dell'inquinamento dell'area interessata dall'interramento e dalla combustione illegale di rifiuti, unitamente a dati allarmanti sull'aumento statistico dei tumori, confermato da numerosi studi epidemiologici. È quindi innegabile che lo Stato non solo fosse a conoscenza del grave fenomeno in esame, ma addirittura, su iniziativa delle sue stesse Commissioni parlamentari, fosse costantemente informato degli sviluppi.

369.  Il terzo interveniente ha sostenuto che i dati epidemiologici disponibili, ottenuti da studi specificamente condotti nelle aree interessate dal fenomeno in esame, come lo studio Sentieri, avevano rivelato un aumento dell'incidenza di malattie che la letteratura scientifica internazionale collegava alle sostanze rilasciate nell'ambiente dai rifiuti pericolosi (cfr. paragrafi 57 e 83). A loro avviso, ciò costituisce una prova dell'esistenza del rischio che la popolazione esposta all'inquinamento generato dallo smaltimento illegale di tali rifiuti contragga malattie potenzialmente mortali.

(iv)   G. D'Alisa (Università di Coimbra) e il Professor M. Amiero (KTH Institute of Technology, Svezia)

370.  I terzi intervenuti hanno affermato che le autorità statali erano a conoscenza del coinvolgimento di gruppi criminali organizzati nel traffico di rifiuti tossici almeno dalla metà degli anni '90, ma avevano deciso di tenere segrete queste informazioni, concentrandosi invece sulla cosiddetta "emergenza rifiuti", legata alle carenze nello smaltimento dei rifiuti urbani.

(v)     Professor F. Bianchi (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Pisa, Italia)

371.  La terza parte interveniente ha affermato che le pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti da parte di gruppi criminali organizzati, che si traducono in discariche abusive e roghi a cielo aperto di rifiuti urbani e pericolosi, sono state documentate sin dai primi anni Ottanta. Alla fine degli anni '90, una parte dei diversi tipi di rifiuti prodotti nella Regione Campania, e grandi quantità di rifiuti pericolosi portati in Campania da altre regioni, erano stati smaltiti e inceneriti illegalmente per circa due decenni.

372.  Il terzo interveniente ha richiamato l'attenzione della Corte su pubblicazioni scientifiche che, già nel 2004, avevano segnalato tassi di mortalità, morbilità e anomalie congenite in eccesso nelle zone della Campania interessate da pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti (cfr. paragrafo 18). Con particolare riferimento a uno studio pubblicato alla fine del 2004, ha evidenziato, tra l'altro, che la mortalità per cancro era aumentata in modo significativo, in particolare per alcuni tipi di tumore, nell'area di studio (cioè i comuni di Giugliano in Campania, Qualiano e Villaricca). Ha osservato che l'area in questione è caratterizzata dalla presenza documentata di discariche non autorizzate, dove i rifiuti vengono anche bruciati, e da siti in cui i rifiuti industriali sono stati interrati illegalmente (cfr. paragrafo 19). Ha inoltre citato i risultati dello studio condotto dall'OMS su richiesta del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale tra il 2005 e il 2008 (cfr. paragrafi 21 e 25) e altri articoli scientifici che hanno rafforzato l'ipotesi di un'associazione tra la residenza in aree interessate dallo smaltimento incontrollato dei rifiuti e vari effetti negativi sulla salute umana.

373.  Secondo il terzo interveniente, le conoscenze disponibili raccolte tra il 2004 e il 2008 sull'associazione tra le pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti e la salute, benché descrittive e non indicative di legami causali certi, erano comunque sufficienti a far scattare un approccio precauzionale. Ciò comportava la necessità per le autorità di introdurre misure protettive per la salute pubblica.

374.  Ha inoltre sottolineato che anche le persone che non soffrono di una particolare malattia possono essere considerate vulnerabili in termini di salute, perché una maggiore esposizione a fattori ambientali riconosciuti come pericolosi per la salute comporta una maggiore probabilità, o rischio, di esiti negativi per la salute.

(c)    La valutazione della Corte

(i)       Principi rilevanti

375.  La Corte ribadisce che l'articolo 2 della Convenzione non riguarda solo le morti derivanti dall'uso della forza da parte di agenti dello Stato, ma stabilisce anche, nella prima frase del suo primo paragrafo, un obbligo positivo per gli Stati di adottare tutte le misure appropriate per salvaguardare la vita di coloro che rientrano nella loro giurisdizione (si vedano, tra le altre autorità, L.C.B. c. Regno Unito, 9 giugno 1998, § 36, Reports of Judgments and Decisions 1998-III; Öneryıldız c. Turchia [GC], no. 48939/99, § 71, CEDU 2004-XII, e Budayeva e altri, sopra citata, § 128). Inoltre, questo articolo, letto nel suo complesso, copre non solo situazioni in cui una certa azione o omissione da parte dello Stato ha portato alla morte lamentata, ma anche situazioni in cui, sebbene un richiedente sia sopravvissuto, esisteva chiaramente un rischio per la sua vita (si veda, mutatis mutandis, Makaratzis v. Greece [GC], no. 50385/99, §§ 49-55, CEDU 2004-XI, e Kolyadenko e altri c. Russia, n. 17423/05 e altri 5, § 151, 28 febbraio 2012).

376 .  La Corte ha ritenuto che tale obbligo debba essere interpretato come applicabile nel contesto di qualsiasi attività, pubblica o meno, in cui possa essere in gioco il diritto alla vita (si vedano, tra le altre, Öneryıldız, citata sopra, § 71; e Brincat e altri c. Malta, nn. 60908/11 e altri 4, § 101, 24 luglio 2014). La Corte ha affermato che l'obbligo di adottare tutte le misure appropriate per salvaguardare la vita si applica a maggior ragione nel contesto di attività che possono rappresentare un rischio per la vita umana a causa della loro natura intrinsecamente pericolosa. Tra queste, la gestione di siti di raccolta di rifiuti (cfr. Öneryıldız, cit., § 71), gli esperimenti nucleari (cfr. L.C.B. c. Regno Unito, cit., § 36) e la gestione di un bacino idrico in una regione soggetta a forti piogge e tifoni (cfr. Kolyadenko, cit., § 164).

377 .  La Corte ha inoltre ritenuto che, affinché l'articolo 2 si applichi nel contesto di un'attività che, per sua natura, è in grado di mettere a rischio la vita di un individuo, deve sussistere un rischio "reale e imminente" per la vita. Può essere impossibile elaborare una regola generale su cosa costituisca un rischio "reale e imminente" per la vita, poiché ciò dipenderà dalla valutazione della Corte delle circostanze particolari di un caso (si veda, mutatis mutandis, Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera [GC], no. 53600/20, §§ 511-12, 9 aprile 2024). Tuttavia, la giurisprudenza della Corte indica che il termine rischio "reale" corrisponde al requisito dell'esistenza di una minaccia grave, reale e sufficientemente accertabile per la vita (ibidem, § 512, con ulteriori riferimenti). L'"imminenza" di tale rischio comporta un elemento di prossimità fisica della minaccia e di prossimità temporale (ibidem, con ulteriori riferimenti).

378.  Nello stabilire se le autorità avessero l'obbligo positivo di adottare tutte le misure appropriate per salvaguardare la vita, la Corte ha anche considerato se le autorità nazionali sapevano o avrebbero dovuto sapere che i ricorrenti erano stati esposti a una minaccia per la vita (cfr. Öneryıldız, sopra citata, § 101; Brincat, sopra citata, § 105; e, mutatis mutandis, Vilnes e altri c. Norvegia, (nn. 52806/09 e 22703/10, §§ 222-23, 5 dicembre 2013).

379.  Una volta accertata quest'ultima, il compito della Corte è quello di determinare se, date le circostanze del caso, lo Stato abbia fatto tutto ciò che poteva essere richiesto per evitare che la vita del richiedente fosse messa a rischio in modo evitabile (si veda L.C.B. c. Regno Unito, sopra citato, § 36).

380.  La Corte ribadisce che l'obbligo positivo di adottare tutte le misure appropriate per salvaguardare la vita ai fini dell'articolo 2 comporta, in primo luogo, un dovere primario per lo Stato di mettere in atto un quadro legislativo e amministrativo volto a fornire un'efficace deterrenza contro le minacce al diritto alla vita (cfr. Öneryıldız, sopra citata, § 89, e Budayeva e altri, sopra citata, § 129).

381.  Per quanto riguarda la scelta di particolari misure operative volte a proteggere i cittadini la cui vita potrebbe essere messa in pericolo dai rischi intrinseci delle attività pericolose, la Corte ha costantemente affermato che quando lo Stato è tenuto ad adottare misure positive, la scelta dei mezzi è in linea di principio una questione che rientra nel margine di apprezzamento dello Stato contraente (cfr. Öneryıldız, cit., §§ 71 e 90). Esistono diverse vie per garantire i diritti della Convenzione, e anche se lo Stato non ha applicato una particolare misura prevista dal diritto interno, può comunque adempiere al suo dovere positivo con altri mezzi. A questo proposito, non si deve imporre alle autorità un onere impossibile o sproporzionato senza tenere conto, in particolare, delle scelte operative che devono compiere in termini di priorità e risorse; ciò deriva dall'ampio margine di apprezzamento di cui godono gli Stati, come la Corte ha già affermato in precedenza, in ambiti sociali e tecnici difficili (cfr. Budayeva e altri, sopra citata, §§ 134-35, e le autorità ivi citate). La Corte ha anche osservato, in alcuni contesti, che affinché le misure siano efficaci, spetta alle autorità pubbliche agire in tempo utile, in modo appropriato e coerente (si veda, ad esempio, nel contesto del cambiamento climatico, Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri, citata sopra, § 548).

382 .  La Corte ha anche affermato che, tra le misure preventive, si dovrebbe dare particolare importanza al diritto del pubblico all'informazione (cfr. Öneryıldız, sopra citata, §§ 89-90, e Budayeva e altri, sopra citata, § 132). In relazione all'articolo 8, la Corte ha affermato che esiste un obbligo positivo per gli Stati di fornire l'accesso alle informazioni essenziali che consentano agli individui di valutare i rischi per la loro salute e la loro vita (cfr. Guerra e altri, sopra citata, §§ 57-60; López Ostra, sopra citata, § 55; McGinley e Egan c. Regno Unito , 9 giugno 1998, §§ 98-104, Reports of Judgments and Decisions 1998-III; e Roche c. Regno Unito [GC], no. 32555/96, §§ 157-69, ECHR 2005-X ). La Corte ha accettato che tale obbligo possa, in alcune circostanze, comprendere anche il dovere di fornire tali informazioni (cfr. Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri, citata sopra, § 538; Brincat e altri, citata sopra, § 102; Vilnes a e altri, citata sopra, § 235, e L.C.B. c. Regno Unito, citata sopra, §§ 38-41; e Tătar, citata sopra, § 122). Essa ha inoltre riconosciuto che, nel contesto delle attività pericolose, la portata degli obblighi positivi previsti dagli articoli 2 e 8 della Convenzione si sovrappongono ampiamente (cfr. Brincat e altri, sopra citata, § 102).

(ii)     Applicazione al caso di specie

(α)      Se le autorità avessero l'obbligo di proteggere la vita dei ricorrenti

383 .  Alla luce dei principi sopra esposti, il compito della Corte è, in primo luogo, quello di stabilire se le autorità avessero l'obbligo di adottare misure adeguate per salvaguardare la vita dei ricorrenti.

384 .  La Corte riconosce subito che il caso in esame si differenzia da quelli in materia ambientale che hanno riguardato un'unica fonte di inquinamento, identificata e circoscritta, o l'attività che la provoca, e un'area geografica più o meno limitata (si vedano, tra gli altri esempi, López Ostra c. Spagna, 9 dicembre 1994, Serie A n. 303; Fadeyeva c. Russia, no. 55723/00, CEDU 2005-IV; Giacomelli c. Italia, no. 59909/00, CEDU 2006-XII; Ledyayeva e altri c. Russia, nn.   53157/99 e altri 3, 26 ottobre 2006; Tătar, citata sopra; Dubetska e altri c. Ucraina, no. 30499/03, 10 febbraio 2011; e Kotov e altri c. Russia, nn. 6142/18 e  13, 11 ottobre 2022) o l'esposizione a una particolare sostanza rilasciata da una fonte chiaramente identificabile (si veda, ad esempio, Brincat e altri, sopra citata). Nel caso di specie, la Corte si trova di fronte a una forma particolarmente complessa e diffusa di inquinamento che si verifica principalmente, ma non esclusivamente, su terreni privati. Come già osservato, nelle parole del Senato italiano, il cosiddetto fenomeno della Terra dei Fuochi è caratterizzato da una molteplicità di fonti di inquinamento molto diverse tra loro per tipologia, estensione geografica, sostanze inquinanti rilasciate, modalità di contatto con le stesse e impatto ambientale (cfr. paragrafo 73). Inoltre, la Corte sottolinea che il caso in esame non riguarda attività pericolose, come quelle industriali, svolte nel contesto di un quadro normativo esistente, come nella maggior parte dei casi sottoposti al suo esame. Al contrario, il caso in questione riguarda attività svolte da soggetti privati, ossia gruppi criminali organizzati, nonché da industrie, imprese e individui, al di fuori di qualsiasi forma di legalità o regolamentazione giuridica. La Corte terrà conto di queste considerazioni nel valutare se gli obblighi di tutela previsti dall'articolo 2 siano stati attivati nel caso di specie. A questo proposito, la Corte ribadisce che il suo approccio all'interpretazione dell'articolo 2 è guidato dall'idea che l'oggetto e lo scopo della Convenzione, in quanto strumento per la protezione dei singoli esseri umani, richiede che le sue disposizioni siano interpretate e applicate in modo da rendere le sue garanzie pratiche ed efficaci (si veda, tra le molte altre autorità, Öneryıldız, citata sopra, § 69).

385 .  Passando alla sua valutazione, la Corte ritiene innanzitutto che non vi siano dubbi sul fatto che lo scarico illegale e quindi completamente non regolamentato, spesso accompagnato da incenerimento, e il seppellimento di rifiuti pericolosi oggetto del presente caso siano attività intrinsecamente pericolose che possono rappresentare un rischio per la vita umana. La gravità del potenziale danno per la salute umana derivante da tali attività, che interessano tutti gli elementi ambientali come il suolo, l'acqua e l'aria, sembra essere indiscussa tra le parti.

386.  La Corte osserva, inoltre, che il Governo non sembra contestare che l'esposizione a sostanze tossiche, come quelle rilasciate nell'ambiente a seguito del fenomeno di inquinamento in esame, e che includono noti agenti cancerogeni come diossine e metalli pesanti, comporti un rischio per la vita e la salute. Piuttosto, il Governo ha incentrato le proprie argomentazioni sulla mancanza di una relazione causale scientificamente provata tra l'esposizione all'inquinamento in questione e l'insorgenza di una specifica malattia per quanto riguarda i singoli richiedenti o i loro parenti deceduti.

387 .  La Corte ritiene che vi siano ampie prove nel fascicolo che suggeriscono che le autorità nazionali erano a conoscenza dell'esistenza delle attività pericolose sopra descritte, e in particolare dello scarico e dell'interramento illegale di rifiuti pericolosi, almeno dall'inizio degli anni '90, se non prima. Da diversi documenti del fascicolo risulta che le indagini penali su tali pratiche erano state avviate già all'inizio degli anni Novanta (cfr. paragrafi 10, 16 e 35). Inoltre, nel 1997 il collaboratore di giustizia C.S. ha confermato al Parlamento italiano l'esistenza di pratiche su larga scala e sistematiche di interramento e scarico illegale di rifiuti pericolosi, in diverse zone della Campania, iniziate alla fine degli anni '80 (cfr. paragrafo 40). C.S., che era a conoscenza in prima persona di queste pratiche per via del suo ruolo in una delle organizzazioni criminali che le perpetrano, ha anche confermato al Parlamento che le prove di queste pratiche erano state messe a disposizione delle forze dell'ordine fin dal 1993 (cfr. paragrafo 40). Nel 1996 e nel 1998, la prima Commissione parlamentare d'inchiesta ha riferito sulla presenza di molteplici discariche illegali nelle province di Napoli e Caserta e ha rilevato che il fenomeno dell'interramento e dello scarico di rifiuti pericolosi era in aumento in alcune aree (cfr. paragrafi 10 e 13). Dai documenti agli atti risulta inoltre che tra il 2000 e il 2002 sono state registrate circa 980 discariche abusive nelle province di Napoli e Caserta (cfr. paragrafo 16). Per quanto riguarda la pratica dell'incenerimento illegale dei rifiuti, la Corte osserva che, secondo il materiale agli atti, la combustione illegale di rifiuti in aree della Campania, e in particolare nelle province di Napoli e Caserta, era nota al Parlamento italiano almeno dal 2004 (cfr. paragrafi 16 e 17), sebbene le pratiche di incenerimento illegale in alcuni comuni fossero già state denunciate dalla ONG ambientalista Legambiente nel 2003 (cfr. paragrafo 5).

388 .  La Corte osserva inoltre che il Parlamento italiano era stato informato già nel 1996 dalla sua prima commissione d'inchiesta dell'aumento dei tassi di cancro in alcune zone della Campania (cfr. paragrafo 10). Nel 1998, dopo aver rilevato un aumento dei tumori nella provincia di Caserta, la stessa commissione d'inchiesta aveva chiesto di indagare sui possibili legami tra questo aumento e lo scarico illegale di rifiuti pericolosi in quella provincia (cfr. paragrafo 14). Nel 2004 e nel 2005 sono stati pubblicati studi che rivelavano un aumento dell'incidenza del cancro e dei tassi di mortalità nelle aree della Campania caratterizzate dallo smaltimento illegale dei rifiuti e dall'esistenza di discariche abusive (cfr. paragrafi 18, 19 e 21). Sebbene questi studi iniziali non abbiano rivelato una correlazione certa e diretta tra l'esposizione all'inquinamento generato dalle pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti e l'insorgenza di alcune malattie, hanno sollevato preoccupazioni credibili prima facie su implicazioni sanitarie gravi e potenzialmente letali per i cittadini colpiti, individualmente e collettivamente, sulle quali sono state sollecitate ulteriori ricerche in via prioritaria.

389.  La Corte non può fare a meno di osservare, inoltre, che nel 2011 la Marina statunitense ha emesso misure precauzionali nei confronti del proprio personale che vive e lavora in alcune aree delle province di Napoli e Caserta, nonostante la nota limitata disponibilità di informazioni da parte delle autorità italiane e la necessità di ulteriori indagini sulla natura e sull'entità della contaminazione ambientale in tali aree (cfr. paragrafo 32 supra).

390 .  Sulla base di questi elementi, e tenendo conto della particolare natura del fenomeno dell'inquinamento in questione e della condotta che lo ha generato (si veda il paragrafo 384 supra), la Corte ammette l'esistenza di un rischio per la vita "sufficientemente grave, reale e accertabile" da far scattare l'articolo 2 della Convenzione e l'obbligo di agire da parte delle autorità. La Corte ammette anche che il rischio può essere considerato "imminente" nei termini stabiliti dalla giurisprudenza della Corte (cfr. paragrafo 377), dato che i ricorrenti hanno risieduto, per un periodo di tempo considerevole, in comuni identificati dalle autorità statali come interessati dal fenomeno dell'inquinamento in questione, che era stato continuo, onnipresente e inevitabile per decenni e non era cessato al momento della presentazione dei ricorsi alla Corte. Essendo convinta che i ricorrenti fossero esposti a un rischio così descritto, la Corte non ritiene necessario o appropriato richiedere che i ricorrenti dimostrino un nesso comprovato tra l'esposizione a un tipo identificabile di inquinamento o addirittura a una sostanza nociva e l'insorgenza di una specifica malattia potenzialmente letale o il decesso in conseguenza di essa (contrasto Brincat, § 83).

391.  La Corte ritiene inoltre che, in linea con un approccio precauzionale (cfr. Tătar, sopra citata, § 120), dato che il rischio generale era noto da tempo (cfr. paragrafi 387 e 388), il fatto che non vi fosse certezza scientifica sugli effetti precisi che l'inquinamento avrebbe potuto avere sulla salute di un particolare richiedente non può negare l'esistenza di un dovere di protezione, laddove uno degli aspetti più importanti di tale dovere è la necessità di indagare, identificare e valutare la natura e il livello del rischio (cfr., mutatis mutandis, Kurt c. Austria [GC], cit. Austria [GC], n. 62903/15, § 159, 15 giugno 2021; si veda anche il successivo paragrafo 395). Se si dovesse ritenere il contrario, nelle circostanze specifiche del caso in esame, le autorità statali potrebbero basarsi su un'inadempienza o su un ritardo nell'adempimento di un obbligo per negarne l'esistenza stessa, rendendo così inefficace la tutela dell'articolo 2.

392 .  Alla luce di quanto sopra, la Corte conclude che l'articolo 2 è applicabile nel caso di specie e che gli obblighi positivi degli Stati ai sensi di tale articolo imponevano alle autorità nazionali di adottare tutte le misure appropriate per salvaguardare la vita dei ricorrenti residenti nei cosiddetti comuni della Terra dei Fuochi, come delimitati dalle direttive interministeriali, che le autorità stesse hanno identificato come interessati dal fenomeno dell'inquinamento in questione (si veda il paragrafo 7 sopra).

393.  La Corte si occuperà ora di determinare la portata degli obblighi che incombono alle autorità statali e di valutare se le autorità hanno rispettato tali obblighi.

(β)       Le autorità hanno adottato misure adeguate alle circostanze?

394.  La Corte ribadisce che la portata degli obblighi che incombono alle autorità statali in un determinato contesto dipende dall'origine della minaccia, dal tipo di rischio in questione e dalla misura in cui l'uno o l'altro rischio è suscettibile di essere mitigato (si vedano Budayeva e altri, sopra citata, §§ 136-37; Kolyadenko, sopra citata, § 161; e Smiljanić c. Croazia, no. 35983/14, § 70, 25 marzo 2021).

395 .  Nel contesto del caso in esame, la Corte ritiene che le autorità avessero innanzitutto il dovere di effettuare una valutazione completa del fenomeno dell'inquinamento in questione, in particolare identificando le aree interessate e la natura e l'entità della contaminazione in questione, e quindi di intervenire per gestire qualsiasi rischio emerso. Le autorità dovevano inoltre indagare sull'impatto di questo fenomeno di inquinamento sulla salute degli individui che vivono nelle aree interessate. Allo stesso tempo, ci si poteva ragionevolmente aspettare che le autorità intervenissero per contrastare le condotte all'origine del fenomeno dell'inquinamento, ovvero lo scarico, il seppellimento e l'incenerimento illegali di rifiuti. Le autorità avevano inoltre l'obbligo di fornire alle persone che vivono nelle aree interessate dal fenomeno dell'inquinamento informazioni tempestive che consentissero loro di valutare i rischi per la loro salute e la loro vita.

396 .  La Corte ribadisce inoltre che le autorità nazionali godono di un ampio margine di manovra nella scelta delle misure pratiche specifiche per adempiere ai loro obblighi, anche alla luce delle complesse scelte operative che devono compiere in termini di priorità e risorse (cfr., mutatis mutandis, Budayeva e altri, sopra citata, §§ 134-35). Ciò è tanto più vero se si considera, come già più volte osservato, che il fenomeno dell'inquinamento in esame è caratterizzato da un eccezionale grado di complessità (cfr. paragrafo 73 supra). Ciò detto, è di competenza della Corte valutare se le autorità abbiano affrontato il problema con la necessaria diligenza, data la natura e la gravità della minaccia in questione. A questo proposito, la Corte sottolinea che la tempestività della risposta delle autorità acquisisce un'importanza primordiale (cfr. Verein KlimaSeniorinnen Schweiz, citato sopra, § 538). Essa ritiene inoltre che la natura e la gravità della minaccia richiedessero una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle autorità.

397 .  In questo contesto, la Corte passerà a valutare le misure adottate dalle autorità, come presentato dal Governo.

     -Misure per identificare le aree inquinate e verificare i livelli di inquinamento di aria, suolo e acqua

398 .  La Corte ritiene innanzitutto che l'identificazione delle aree interessate dall'inquinamento e l'accertamento dell'entità della contaminazione ambientale siano un prerequisito necessario sia per una valutazione significativa dei rischi per la salute sia per la definizione delle misure di gestione di tali rischi.

399.  Come considerazione generale, la Corte osserva che, nelle loro osservazioni, il Governo si è basato quasi esclusivamente sulle misure introdotte dopo l'emanazione del Decreto Legge n.   136 nel dicembre 2013, convertito nella Legge n.   6 del 2014. Il Governo ha posto notevole enfasi sul fatto che il decreto legge del 2013 prevedeva la mappatura dei terreni agricoli della Regione Campania al fine di rilevare la presenza di contaminazione legata allo scarico, all'interramento e alla combustione illegale di rifiuti (cfr. paragrafo 104 supra). La Corte prende inoltre atto delle affermazioni del Governo sull'importanza di questo strumento come sforzo per accertare, in modo sistematico, la natura del fenomeno dell'inquinamento in questione.

400.  Per quanto riguarda le azioni precedenti al 2013, il fascicolo contiene alcune prove delle attività svolte dall'ARPAC per individuare le discariche abusive già nei primi anni 2000 e dei test per identificare i contaminanti in tali discariche (cfr. paragrafo 16). Tuttavia, il Governo non ha fornito alla Corte un quadro completo di queste attività. La Corte ribadisce inoltre che nel 2011 il Dipartimento della Marina degli Stati Uniti, nel condurre la sua valutazione della salute pubblica, ha rilevato la limitata disponibilità di informazioni da parte delle autorità italiane per determinare la natura e l'estensione della contaminazione nelle aree in cui risiedeva il personale della Marina degli Stati Uniti, e che erano necessarie ulteriori indagini da parte delle autorità italiane per documentare la natura e l'estensione di tale contaminazione (cfr. paragrafo 32).

401.  La Corte è colpita da quella che sembra essere l'assenza di un approccio sistematico all'identificazione delle aree interessate e delle sostanze inquinanti rilasciate a seguito del fenomeno Terra dei Fuochi prima dell'emanazione dello strumento del 2013, nonostante le autorità fossero a conoscenza di tutti gli aspetti significativi del problema da quasi due decenni (si vedano i precedenti paragrafi 10 e 14). Alla luce di quanto sopra, la Corte non è convinta che, almeno fino al 2013, le autorità abbiano adottato misure adeguate per identificare le aree interessate dal fenomeno dell'inquinamento e la natura e l'entità della conseguente contaminazione.

402.  Per quanto riguarda le misure introdotte a partire dal 2013, la Corte riconosce l'importanza, evidenziata dal Governo, del decreto legge n. 136 come misura che consente di individuare le aree inquinate e di testare gli elementi ambientali alla ricerca di contaminanti. Per quanto riguarda l'attuazione concreta di tale strumento, dal materiale presentato dal Governo risulta che le attività di analisi svolte tra il 2014 e il 2020 hanno riguardato 240 ettari di terreno che erano stati classificati nelle categorie di rischio presunte più elevate, e che tali analisi sono state completate e che il Gruppo di lavoro ha classificato gli appezzamenti di terreno in questione nelle loro categorie di rischio definitive (cfr. paragrafo 100 supra).

403 .  Pur apprezzando gli importanti sforzi descritti nel paragrafo precedente, e consapevole che attività di valutazione ambientale complesse come quelle in questione possono comportare processi lunghi, la Corte non può trascurare il fatto che, come si è detto, lo strumento che prevedeva tale valutazione è stato emanato in modo intempestivo, ma anche che, otto anni dopo la sua emanazione, non era ancora stata condotta alcuna valutazione per alcuni appezzamenti di terreno identificati e i progressi erano lenti per altri. Infatti, secondo il materiale presentato dal Governo, nel 2021 c'erano ancora aree appartenenti alle categorie di rischio identificate per le quali i test erano in fase preliminare e altre per le quali la classificazione e i test non erano nemmeno iniziati (si veda il paragrafo 101 sopra). Inoltre, alla stessa data non sembra essere stata intrapresa alcuna azione per quanto riguarda i terreni dei due comuni che sono stati inclusi nella Terra dei Fuochi dal Decreto interministeriale del 10 dicembre 2015. A questo proposito, e in assenza di argomentazioni o prove nel fascicolo sulle ragioni di tali ritardi nell'attuazione, la Corte non può concludere che le autorità abbiano agito con la diligenza loro richiesta.

404 .  La Corte rileva inoltre che nella sua relazione 2018 sulla Campania, la sesta Commissione parlamentare d'inchiesta ha preso atto dell'importanza delle azioni del Gruppo di lavoro in materia di mappatura e test. Allo stesso tempo, ha espresso preoccupazione per il fatto che il Gruppo di lavoro sia stato costretto, senza alcuna colpa, a condurre la sua valutazione concreta della contaminazione e del rischio associato per la salute e l'ambiente senza alcuna normativa che stabilisca i parametri e le procedure pertinenti per i terreni agricoli, sebbene l'emanazione di un tale strumento sia stata prevista dalla legge fin dal 2006 (cfr. paragrafo 74 sopra). Secondo la Commissione, ciò avrebbe potuto creare problemi in termini di sottovalutazione del rischio in alcuni casi e di sopravvalutazione in altri (ibidem). La Corte osserva che la legge n. 6 del 2014 prevedeva che il regolamento in questione dovesse essere adottato entro novanta giorni dalla sua entrata in vigore (cfr. paragrafo 106 supra), ma che anche così il regolamento è stato adottato solo nel 2019 (cfr. paragrafo 87 supra). È stato quindi necessario circa un altro anno per ottenere una risposta alle richieste del Gruppo di lavoro su come l'adozione di tale regolamento avrebbe influito sul suo lavoro (cfr. paragrafo 101). Tenendo conto anche delle preoccupazioni espresse dalla commissione parlamentare, la Corte è ancora una volta indotta a mettere in dubbio la diligenza delle autorità.

405.  La Corte osserva inoltre, come sottolineato anche dai ricorrenti, che il Decreto Legge n. 136 si concentra esclusivamente sui terreni utilizzati per l'agricoltura e sull'acqua utilizzata per l'irrigazione agricola. Le indagini riguardanti, ad esempio, l'inquinamento atmosferico o l'individuazione di aree inquinate che non fanno parte di terreni agricoli non rientrano nell'ambito di applicazione dello strumento. A questo proposito, la Corte osserva che nella sua relazione 2018 sulla Campania, la sesta Commissione parlamentare d'inchiesta ha raccomandato, tra l'altro, che le misure di monitoraggio relative al fenomeno della Terra dei Fuochi siano rivolte a tutti i siti interessati da pratiche illegali di smaltimento dei rifiuti e non solo a quelli situati all'interno di terreni agricoli, essendo il problema dell'inquinamento in questione, secondo le parole della Commissione, "di natura più ampia" (cfr. paragrafo 74 supra).

406.  Per quanto riguarda le misure di accertamento della contaminazione del suolo e delle acque che non rientrano nell'ambito delle attività di monitoraggio previste dal Decreto Legge n. 136 e l'entità dell'inquinamento atmosferico nella cosiddetta Terra dei Fuochi, il Governo ha fatto riferimento al piano di monitoraggio integrato "Campania Trasparente" adottato nel 2015 (cfr. paragrafo 55). È stato presentato un solo documento relativo allo stato di attuazione di questo piano di monitoraggio. Da esso si evince che una parte delle attività di monitoraggio previste dal piano è stata realizzata a marzo 2017 (cfr. paragrafo 68). Il Governo ha indicato che questo programma è stato lanciato nel 2015, anche se non è chiaro per quanto tempo sia rimasto in vigore e se le attività di test e monitoraggio siano mai state completate. Un documento contenente un programma di attività da svolgersi nel 2019-2021 da parte della Regione Campania nell'ambito del "Piano d'azione per il contrasto del fenomeno delle discariche abusive e dell'incenerimento dei rifiuti" (cfr. paragrafo 66) indica che era effettivamente previsto un "follow-up" del programma Campania Trasparente e che questo includeva il monitoraggio dell'aria e dell'acqua, non solo nelle aree agricole ma anche in ambito urbano. Alla data di pubblicazione di tale documento, nell'aprile 2019, le azioni previste sembravano essere in una fase preliminare, che prevedeva uno studio delle attività di monitoraggio esistenti al fine di pianificare più attività mirate in una fase successiva; le attività di campionamento sarebbero state pianificate al fine di definire le aree di interesse (ibidem).

407 .  Il Governo ha anche menzionato, senza approfondire la dichiarazione, che l'ARPAC ha svolto attività di monitoraggio ambientale, tra cui il monitoraggio della qualità dell'aria e le analisi delle acque superficiali, sotterranee e di balneazione. La Corte non è stata in grado di ottenere un quadro chiaro e completo di queste attività, né di stabilire se e in che modo esse siano collegate ad altri sforzi di monitoraggio.

408 .  Sulla base delle osservazioni e dei documenti presentati dal Governo, la Corte non può che concludere che quanto è stato fatto o previsto in termini di accertamento della contaminazione del suolo, dell'acqua e dell'aria - al di là delle attività descritte in relazione al Decreto del 2013, che, come detto, riguardava solo i terreni agricoli nei comuni ufficialmente designati Terra dei Fuochi - è stato alquanto frammentario.

409.  Per quanto riguarda gli sforzi per identificare le aree interessate da discariche illegali, interramento e incenerimento di rifiuti al di fuori della sfera di competenza del Decreto del 2013, la Corte prende atto della creazione, nel 2016, di una piattaforma informativa per registrare l'ubicazione dei siti in cui venivano scaricati e inceneriti i rifiuti, in linea con il "Piano d'azione per contrastare il fenomeno delle discariche illegali e dell'incenerimento dei rifiuti" a livello regionale (si veda il paragrafo 66 sopra). Secondo le informazioni presentate dal Governo, la piattaforma era operativa entro il 2019. La Corte osserva inoltre che il Governo ha fatto un riferimento non specifico al fatto che l'ARPAC ha raccolto dati sui siti interessati dallo smaltimento illegale e dall'incenerimento dei rifiuti. Per la Corte non è chiaro se e in che modo questi sforzi fossero interconnessi o coordinati. Per quanto riguarda l'istituzione di registri delle aree interessate dall'abbandono e dall'incenerimento dei rifiuti ai sensi della Legge Regionale n. 20 del dicembre 2013 (si veda il paragrafo 42 sopra), e in risposta a una domanda della Corte sull'attuazione di questa disposizione, il Governo nelle sue osservazioni del settembre 2019 ha elencato solo sette comuni che hanno istituito tali registri, pur sottolineando che era responsabilità dei singoli comuni farlo.

410 .  Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che, per quanto riguarda le misure adottate per identificare le aree interessate dal fenomeno di inquinamento in questione e per accertare la natura e l'entità della contaminazione che non rientra nel campo di applicazione del decreto legge n. 136 del 2013, non vi è alcuna prova nel materiale presentato alla Corte di una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle autorità.

411.  Infine, la Corte osserva che, secondo i documenti presentati dalle parti e risalenti al periodo 2018-2021, il fenomeno dell'inquinamento in questione non sembra essere terminato, in quanto si sono continuate a scoprire discariche illegali e a segnalare incenerimenti illegali (cfr. paragrafi 73, 84 e 99). La Corte osserva che, in questo contesto, le misure volte a garantire un aggiornamento periodico della situazione nelle aree interessate sono particolarmente significative. La Corte osserva che il Governo non ha presentato alcuna osservazione specifica su questo punto, nonostante l'invito della Corte a fornire informazioni al riguardo.

     -Misure per la gestione dei rischi

412 .  La Corte osserva che il Governo ha dato ampio risalto alle misure adottate per la gestione del rischio ai sensi del decreto legge n. 136 del 2013 (cfr. paragrafo 104). Ha richiamato l'attenzione della Corte sul fatto che gli appezzamenti di terreno esaminati nell'ambito di questo strumento sono stati classificati in categorie di rischio che comportano diversi gradi di restrizione delle attività agricole, al fine di proteggere la salute (cfr. paragrafo 116 supra). Il Governo ha inoltre citato i decreti interministeriali dell'11 marzo 2014 e del 12 febbraio 2015, che hanno formalizzato la classificazione dei terreni effettuata dal Gruppo di lavoro e le restrizioni allo svolgimento delle attività agricole. Detto questo, da alcuni dei documenti presentati dal Governo emerge che c'è stato un certo ritardo nell'adozione di alcuni degli strumenti legislativi che formalizzano le conclusioni del Gruppo di lavoro e introducono le relative restrizioni, comportando così ritardi nell'attuazione delle misure di protezione (si vedano i paragrafi 100 e 101 supra).

413.  Passando ad analoghe misure di tutela che esulano dall'ambito di applicazione del decreto del 2013, che riguarda solo i terreni agricoli, la Corte osserva che la legge regionale n. 20 del dicembre 2013 (cfr. paragrafo 42) di cui sopra prevedeva l'istituzione di registri delle aree interessate dall'abbandono e dall'incenerimento dei rifiuti e che le aree individuate in tali registri non potevano essere utilizzate per attività agricole, produttive, edilizie, turistiche o commerciali in attesa di prove, tra l'altro, che potessero essere esclusi rischi per la salute. Pur rilevando ancora una volta che, secondo il Governo, solo sette Comuni avevano istituito tali registri a partire dal 2019, la Corte osserva che non vi sono informazioni in suo possesso, né sono state presentate dal Governo, in merito alle azioni di protezione intraprese in conformità a tali disposizioni.

414.  La Corte osserva che il Governo ha anche dato grande risalto agli sforzi compiuti per la decontaminazione dei terreni interessati dal fenomeno di inquinamento in questione. A questo proposito, ha indicato il Programma nazionale di decontaminazione 2018 come uno strumento chiave per realizzare misure urgenti di decontaminazione e messa in sicurezza in quelli che sono stati definiti "terreni contaminati" nella zona della Terra dei Fuochi. Tuttavia, la Corte osserva che il materiale presentato in merito a questo strumento riguarda solo le attività preparatorie necessarie per l'avvio del programma (cfr. paragrafo 93).

415.  Per quanto riguarda gli sforzi di decontaminazione a livello regionale, secondo la relazione sullo stato di avanzamento del Programma regionale di decontaminazione, pubblicata nel marzo 2019 dalla Regione Campania, e su cui si sono basati i terzi intervenienti, per circa il 70% dei siti in tutta la Regione individuati come da decontaminare nel programma del 2013, così come per quelli aggiunti successivamente, non era stata avviata alcuna procedura (cfr. paragrafo 81 supra). Dalla stessa relazione emerge che, al momento della sua stesura, le attività di decontaminazione erano state concluse solo nel 3% dei siti (ibidem). Ciò premesso, la Corte osserva che questo rapporto non si riferisce solo alla decontaminazione in relazione al fenomeno dell'inquinamento oggetto del presente caso, ma a tutte le aree che necessitano di decontaminazione a livello regionale.

416 .  Con specifico riferimento al fenomeno della Terra dei Fuochi, la Corte prende atto dell'affidamento fatto dal Governo sulle misure adottate nel 2017 e nel 2018 per accelerare l'attuazione degli interventi di messa in sicurezza e decontaminazione delle aree individuate nel Piano regionale di decontaminazione del 2013 e nelle successive integrazioni, gran parte delle quali riguardano quella che i documenti indicano come area Terra dei Fuochi (cfr. paragrafi 70 e 76 supra). Gli interventi riguardanti i comuni elencati in quelli ufficialmente designati come Terra dei Fuochi, come evidenziato dal Governo, hanno incluso la messa in sicurezza di alcune discariche abusive e la conseguente decontaminazione dell'area interessata; la classificazione e la decontaminazione dei terreni agricoli individuati ai sensi della Legge n. 6 del 2014 (si veda il paragrafo 103 sopra); la rimozione dei rifiuti da vari siti, compresi i rifiuti solidi urbani dai siti di stoccaggio temporaneo, e la conduzione di indagini preliminari sul suolo e l'adozione delle misure di sicurezza e decontaminazione necessarie. Sebbene tali sforzi per accelerare le attività di decontaminazione siano certamente da riconoscere, la Corte osserva che diverse attività prevedono solo una classificazione preliminare delle aree in questione. Inoltre, il documento presentato dal Governo individua le difficoltà incontrate nello sviluppo del piano e mette in guardia da possibili ulteriori ostacoli che potrebbero rallentare il processo (si veda il paragrafo 76 sopra). Infine, la Corte osserva che, a partire da settembre 2019, in termini di attuazione concreta, il Governo ha rilevato solo la pubblicazione di documenti di gara pubblici.

417 .  Per quanto riguarda le misure di decontaminazione eseguite a livello comunale, nelle osservazioni del settembre 2019 il Governo ha menzionato che alcune attività di decontaminazione sono state eseguite direttamente dai Comuni con finanziamenti regionali e che la Regione Campania si è impegnata ad assistere i Comuni che non avevano la capacità di eseguire tali attività da soli. Tuttavia, non sono stati forniti ulteriori dettagli. Sebbene dai documenti del fascicolo emerga che alcune azioni erano previste nel Piano d'azione e nelle sue successive articolazioni (cfr. paragrafi 66, 78 e 85), il Governo non le ha approfondite. In sintesi, è difficile per la Corte valutare, in modo sufficientemente dettagliato, in che misura gli sforzi siano stati pianificati o attuati a livello locale e se e come le azioni elencate dal Governo siano interconnesse.

418 .  La Corte osserva che la sesta Commissione parlamentare d'inchiesta, nella sua relazione del 2018 sulla Campania, ha sottolineato la lentezza dei progressi complessivi nella regione per quanto riguarda la decontaminazione dei siti inclusi come "siti di interesse nazionale" e che richiedono una decontaminazione urgente (cfr. paragrafo 74). Ha anche fatto riferimento, tra gli altri punti, a difficoltà generalizzate nelle procedure di gara pubbliche necessarie per la selezione dei fornitori, che hanno portato a uno "stallo" delle attività di decontaminazione richieste con urgenza (ibidem).

419.  La Corte osserva inoltre che nella sua relazione del dicembre 2020, il Gruppo di lavoro istituito dall'Istituto Superiore di Sanità e dalla Procura di Napoli Nord (cfr. paragrafo 63 supra) ha riferito che, al momento dell'avvio dell'indagine nel 2016, non erano state condotte attività di bonifica e risanamento significative nell'area di studio, che copriva trentotto comuni, di cui trentasette erano comuni individuati dai decreti come facenti parte dell'area Terra dei Fuochi (cfr. paragrafo 98 supra).

420.  La Corte prende inoltre atto delle preoccupazioni espresse dal Relatore speciale delle Nazioni Unite su sostanze tossiche e diritti umani in merito agli sforzi di decontaminazione in relazione al fenomeno della Terra dei Fuochi, a seguito di una visita in Italia nel 2021 (cfr. paragrafo 178). Il Relatore speciale ha sottolineato l'insufficienza dei fondi stanziati a questo scopo e ha ritenuto necessario un maggiore sostegno da parte del Governo centrale.

421 .  Complessivamente, sulla base delle informazioni trasmesse, che spesso si riferiscono all'intera Regione Campania, la Corte trova difficile ottenere una chiara percezione degli sforzi di decontaminazione previsti nei comuni interessati dal fenomeno Terra dei Fuochi, in particolare per quanto riguarda l'inquinamento che ne è derivato, e delle misure concrete adottate per attuarli. Evidenzia, a tal proposito, che la sesta Commissione parlamentare d'inchiesta, nel suo rapporto 2018 sulla Campania, ha dichiarato di aver incontrato difficoltà nell'ottenere una ricostruzione affidabile delle attività di decontaminazione nella Regione Campania, anche se non solo in relazione alla Terra dei Fuochi, e che le informazioni che le sono state presentate dalle autorità responsabili di tali attività erano spesso frammentarie e non aggiornate (cfr. paragrafo 74 supra). Secondo la Corte, il fatto stesso che una commissione d'inchiesta istituita dallo Stato abbia constatato di non essere in grado di raccogliere un quadro completo e di non poter ottenere dati aggiornati e sufficientemente ampi è rivelatore e rivela di per sé un motivo di preoccupazione.

422 .  Ciò che emerge dalle informazioni presentate alla Corte, in termini molto generali, è un lento progresso generale negli sforzi di decontaminazione, con molte delle azioni descritte dal governo che comportano solo passi preliminari, già nel 2017 e nel 2019. Anche gli sforzi di decontaminazione a vari livelli sembrano essere caratterizzati da ritardi, nonostante le dichiarazioni sulla necessità urgente di decontaminazione in alcune aree colpite da pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti. Per la Corte non è chiaro se e in che modo i vari sforzi previsti a livello comunale, regionale e nazionale siano stati interconnessi e/o coordinati. A quest'ultimo proposito, la Corte fa riferimento alle preoccupazioni espresse dalla sesta Commissione parlamentare d'inchiesta, nel suo rapporto 2018 sulla Campania, in merito a un problema generalizzato di coordinamento e di attribuzione delle responsabilità nell'ambito della decontaminazione, in particolare per quanto riguarda l'identificazione dei soggetti responsabili delle attività di decontaminazione a diversi livelli dell'apparato statale (cfr. paragrafo 74 supra). La stessa Commissione aveva constatato la lentezza dei progressi, nonostante quella che descriveva come una situazione estremamente grave che richiedeva un'azione rapida, efficiente ed efficace (ibidem).

423 .  Infine, la Corte non è riuscita a capire in che modo le aree non ancora decontaminate o con ostacoli alla decontaminazione debbano essere "rese sicure".

     - Misure per studiare gli impatti sulla salute

424.  Secondo le dichiarazioni del Governo, sono state intraprese numerose azioni per studiare l'impatto del fenomeno dell'inquinamento sulla salute, al fine di proteggere gli individui che risiedono in quella che viene definita la Terra dei Fuochi.

425.  Passando all'esame del materiale fornito dal Governo a sostegno delle proprie argomentazioni, la Corte non può che rilevare, in via preliminare, che il Governo ha fatto un riferimento generale a una nota redatta dalla Regione Campania (cfr. paragrafo 322 supra).

426.  La Corte osserva, come ha fatto in relazione alle altre categorie di misure, che la maggior parte delle azioni elencate si riferisce a misure introdotte dopo il 2013. Tra le prove di azioni precedenti rilevate dal Governo vi è la commissione da parte del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale dello studio condotto in collaborazione con l'OMS (cfr. paragrafi 21 e 25). Ancora una volta, la Corte non può escludere che siano state condotte altre indagini, non elencate dal Governo e non incluse nel materiale presentato dalle parti. Allo stesso tempo, rileva che il Senato italiano, attraverso la sua XII Commissione, ha richiamato l'attenzione sui ritardi nel riconoscimento della gravità del fenomeno Terra dei Fuochi, in particolare per quanto riguarda i rischi per la salute e la necessità di adottare misure per la diagnosi dei tumori tra i gruppi di popolazione interessati (cfr. paragrafo 73 supra). Nella stessa relazione, il Senato italiano ha concluso che almeno fino al 2013, e in una certa misura anche al momento della stesura della relazione nel 2018, le autorità non avevano raccolto dati sufficienti sull'impatto dell'inquinamento legato al fenomeno della Terra dei Fuochi sull'ambiente e sulla salute pubblica (cfr. paragrafo 73 sopra).

427 .  Passando alle misure introdotte a partire dal 2013, e dopo un esame complessivo dei materiali presentati dal Governo, la Corte osserva che una delle azioni chiave menzionate nei documenti delle autorità sanitarie regionali della Campania è l'attuazione delle disposizioni in materia di salute introdotte dalla legge n. 6 del 2014 (cfr. paragrafo 107 sopra). Tali disposizioni includevano l'introduzione di misure per definire i test e gli screening medici necessari per monitorare la salute della popolazione residente nei comuni interessati dalle pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti, come individuati dalle direttive interministeriali pertinenti. La Corte rileva inoltre che il Governo ha presentato una documentazione che attesta i progressi compiuti nell'attuazione di tali disposizioni. In particolare, risulta che sono stati compiuti notevoli progressi nell'ambito degli screening oncologici e dei percorsi di cura in Campania, con l'assegnazione di finanziamenti speciali e iniziative specificamente rivolte ai Comuni della Terra dei Fuochi, e nell'attuazione di misure di prevenzione delle patologie potenzialmente connesse all'esposizione all'inquinamento derivante dalle pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti in tali Comuni. La Corte prende atto anche delle misure adottate per rafforzare i registri dei tumori e la sorveglianza epidemiologica, con il risultato che nel 2018 l'intera popolazione della Regione Campania era sottoposta a sorveglianza epidemiologica.

428 .  La Corte prende inoltre atto di un gran numero di indagini epidemiologiche condotte sotto l'egida delle autorità. Prende atto, in particolare, degli studi volti a monitorare l'esposizione umana ai contaminanti ambientali e ai rischi per la salute nella Regione Campania, come elencati dal Governo (cfr. paragrafi 55 e 86). La Corte osserva che, ad eccezione dello studio "SPES", che è stato avviato nel 2015 (cfr. paragrafo 55) e sembra essere stato completato (dato che era previsto uno studio di follow-up), non sono state fornite date o altre informazioni per gli altri studi (cfr. paragrafo 86). Il Governo ha sottolineato la collaborazione tra le procure e gli enti coinvolti nella sorveglianza epidemiologica (cfr. paragrafi 63 e 69 ). A quest'ultimo proposito, la Corte prende atto dello studio che indaga i possibili impatti sulla salute delle pratiche di smaltimento dei rifiuti, sia legali che illegali, in trentotto comuni sotto la giurisdizione della Procura di Napoli Nord, condotto dal gruppo di lavoro istituito in base a un accordo tra l'Istituto Superiore di Sanità e la Procura di Napoli Nord; i risultati sono stati pubblicati nel 2020 (cfr. paragrafo 98 supra). La Corte prende inoltre atto del progetto "Sentieri" e, in particolare, degli aggiornamenti degli studi condotti nel 2015 (cfr. paragrafo 57) e nel 2019 (cfr. paragrafo 83).

429 .  In questo contesto, e sulla base del materiale presentato, la Corte non è convinta che, almeno prima del 2013, le autorità abbiano adottato misure adeguate per indagare sugli impatti sulla salute relativi al fenomeno dell'inquinamento in questione. La Corte osserva che già nel 1998 la seconda commissione parlamentare d'inchiesta, nel constatare un aumento dei tumori nella provincia di Caserta, aveva sollecitato le autorità a indagare su eventuali legami tra questo aumento e lo scarico illegale di rifiuti pericolosi sul territorio in questione (si veda il precedente paragrafo 14). Pur riconoscendo i progressi compiuti nel periodo intercorso, come descritto nei paragrafi precedenti, e non sottovalutando in alcun modo l'importanza delle misure adottate, la Corte trova sorprendente che il primo tentativo di un approccio coordinato, sistematico e completo per monitorare la salute e garantire la sorveglianza epidemiologica della popolazione residente nell'area interessata dal fenomeno dell'inquinamento in questione sia stato proposto quasi due decenni dopo, con l'emanazione della legge n. 6 del 2014 (cfr. paragrafi 105 e 107 supra). La Corte non può fare a meno di notare, inoltre, che gli sforzi per attuare quelle che sono indicate dal Governo come le "disposizioni in materia di salute" della Legge n. 6 del 2014 sembrano aver preso forma concreta solo a partire dal 2016. Infatti, dal materiale presentato dal Governo emerge che fino a giugno 2016 non è stata intrapresa alcuna azione per l'attuazione di tali disposizioni e che, a causa di tale inerzia, si è reso necessario l'adozione di un decreto da parte di un Commissario straordinario che delineasse un programma d'azione, al fine di garantire l'attuazione delle disposizioni in questione (cfr. paragrafo 62 supra).

430.  Alla luce di quanto sopra, la Corte non è convinta che le autorità abbiano agito con la diligenza richiesta nella loro indagine sull'impatto sanitario del fenomeno dell'inquinamento in questione.

     -Misure per combattere lo scarico, il seppellimento e l'incenerimento illegale dei rifiuti

431.  La Corte ribadisce che il fenomeno dell'inquinamento in questione derivava dallo scarico, dall'interramento e dall'incenerimento di rifiuti da parte di gruppi criminali organizzati, nonché di industrie, imprese e individui che operavano al di fuori di qualsiasi condotta lecita. Per quanto riguarda le misure di prevenzione e dissuasione, il Governo si è concentrato sul monitoraggio del territorio interessato da parte delle forze dell'ordine e sulla repressione di tali comportamenti da parte del sistema penale.

     -Monitoraggio del territorio da parte delle forze dell'ordine

432.  Per quanto riguarda la prima categoria di misure evidenziate dal Governo, l'attenzione della Corte è stata attirata dalla creazione del Funzionario delegato nel novembre 2012, una figura istituzionale creata per fungere da collegamento tra le forze dell'ordine e i diversi attori istituzionali coinvolti negli sforzi per combattere le pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti (cfr. paragrafo 34 supra). I due rapporti del funzionario delegato del 2019 e del 2020, presentati dal Governo, rivelano gli sforzi profusi da questo attore istituzionale per riunire le varie entità e coordinare le attività di monitoraggio (cfr. paragrafi 84 e 99). I rapporti rivelano anche ampi sforzi concreti in termini di monitoraggio territoriale da parte delle diverse forze dell'ordine (esercito, varie forze di polizia), anche attraverso operazioni congiunte supervisionate dal funzionario delegato. Un passo particolarmente importante è la raccolta da parte del funzionario delegato di dati statistici, non solo sul numero di incendi e discariche illegali segnalati o scoperti, ma anche sulle attività svolte dalle forze dell'ordine. Ad esempio, il rapporto di gennaio 2021, presentato dal Governo, elenca il numero di unità delle forze dell'ordine dispiegate, il numero di controlli su aziende, persone e veicoli, il numero di sequestri di aziende e veicoli e il numero di sanzioni amministrative emesse nel secondo semestre del 2020 (cfr. paragrafo 99). Detto questo, va notato che il funzionario delegato ha segnalato gli ostacoli incontrati nell'esercizio delle sue funzioni. In particolare, il rapporto 2021 fa riferimento, ad esempio, alla mancanza di cooperazione da parte delle autorità regionali (ibidem). Sono state sollevate preoccupazioni anche in riferimento alla carenza di personale negli organi preposti all'applicazione della legge (cfr. paragrafo 84).

433.  La Corte osserva che il Governo ha anche posto una notevole enfasi sulle misure per rafforzare le attività di monitoraggio nell'ambito del Piano d'azione del 2016 (cfr. paragrafo 66). Secondo il preambolo del Piano d'azione, ciò è stato ritenuto necessario in considerazione del fatto che i metodi di smaltimento illegale dei rifiuti erano particolarmente diffusi nelle aree con una presenza meno visibile delle forze dell'ordine, il che contribuiva a generare un senso di impunità. Oltre al dispiegamento di forze dell'ordine e di personale dell'esercito, il piano prevedeva anche il monitoraggio aereo e l'uso di telecamere di sorveglianza. Il governo ha anche menzionato il "Piano d'azione" rivisto del 2018, che prevedeva un aumento del numero di agenti di polizia e di personale dell'esercito per il pattugliamento e l'istituzione di una rete di monitoraggio potenziata mediante telecamere di sorveglianza, droni e altri dispositivi (cfr. paragrafo 78).

434.  Se da un lato la Corte riconosce certamente l'importanza della creazione della figura del Funzionario Delegato nel 2012 al fine di garantire un certo grado di coordinamento tra gli attori coinvolti nel contrasto alle pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti, in particolare per quanto riguarda il monitoraggio e il controllo del territorio, e di fornire dati concreti sulle azioni intraprese per contrastare tali condotte, dall'altro osserva che tale figura è stata creata quando le autorità erano a conoscenza delle condotte che hanno dato origine al fenomeno in questione, in tutte le sue componenti, da quasi un decennio, se non di più. Allo stesso modo, pur accogliendo con favore lo sforzo di razionalizzare gli sforzi di monitoraggio nell'ambito del "Piano d'azione" del 2016, la Corte si interroga ancora una volta sulla tempestività di tale azione, ancor più se considerata alla luce della successiva necessità di introdurre un nuovo piano d'azione nel 2018, che includeva nuove misure per intensificare tali sforzi (cfr. paragrafo 78 supra).

     -Indagini penali e procedimenti giudiziari

435 .  La Corte prende atto della tesi generale del Governo secondo cui le autorità hanno agito in modo rigoroso, puntuale ed efficace per punire i responsabili dei danni ambientali in quella che chiamano Terra dei Fuochi. A sostegno delle loro affermazioni, hanno fatto riferimento alle indagini penali sulle pratiche illegali di smaltimento dei rifiuti nell'area in questione e ai procedimenti penali che ne sono seguiti, sottolineando anche che sono state adottate misure legislative significative in ambito penale.

436.  Per quanto riguarda queste misure legislative, la Corte osserva che, nella sua relazione del 1996, la prima commissione parlamentare d'inchiesta ha sottolineato la necessità di inserire i reati ambientali nel quadro penale come reati gravi e non come reati minori (cfr. paragrafo 10). Nel suo rapporto del 1998, la seconda commissione parlamentare d'inchiesta ha evidenziato le difficoltà segnalate dalla magistratura nel garantire la punizione dei reati ambientali, la maggior parte dei quali erano reati minori (cfr. paragrafo 13). La Corte osserva che, come sostenuto dai ricorrenti e dai terzi intervenienti, il primo reato grave (delitto) di "attività organizzate per il traffico di rifiuti" è stato introdotto nel 2001 (cfr. paragrafo 131 supra).

437.  La Corte osserva inoltre che, nel 2004, la terza commissione parlamentare d'inchiesta ha espresso l'opinione che la protezione ambientale offerta dal quadro penale era scarsamente efficace e aveva solo un modesto effetto deterrente (cfr. paragrafo 20 ). Ha sottolineato l'assenza di un quadro giuridico unificato e coordinato per i reati ambientali. Ha ribadito il fatto che la maggior parte dei reati è di natura minore, un fatto che secondo la Commissione solleva di per sé una serie di preoccupazioni in termini di reale efficacia di tali disposizioni. In particolare, ciò comportava brevi periodi di prescrizione, precludeva l'uso di alcuni strumenti investigativi e limitava anche l'applicabilità di alcune misure provvisorie. La Commissione ha inoltre osservato che, sebbene l'introduzione del reato di "attività organizzate per il traffico di rifiuti" nel 2001 abbia segnato un importante sviluppo, le autorità investigative intervistate hanno espresso dubbi sulla sua efficacia, viste le difficoltà incontrate nel provare la condotta alla base del reato.

438.  La Corte riconosce inoltre l'introduzione del reato di incenerimento illecito di rifiuti nel 2013 (cfr. paragrafo 132 supra), che, nelle parole della sesta Commissione parlamentare d'inchiesta, è stato un intervento legislativo volto ad affrontare un aspetto della specificità del fenomeno che si verifica nella cosiddetta Terra dei Fuochi (cfr. paragrafo 74 supra). Pur lodando l'intenzione di affrontare un problema estremamente grave attraverso una specifica fattispecie penale, la stessa Commissione d'inchiesta, nel suo rapporto 2018 sulla Regione Campania, ha affermato che la fattispecie penale in questione non si è dimostrata nella pratica uno strumento efficace per contrastare il fenomeno dell'incenerimento illegale (cfr. paragrafo 74 supra). In un precedente rapporto, anch'esso pubblicato nel 2018, la commissione aveva descritto l'applicazione limitata della disposizione in questione rispetto alla frequenza del fenomeno che intendeva contrastare.

439.  La Corte osserva, come rilevato anche dai ricorrenti e dai terzi, che solo nel 2015, con l'emanazione della legge n. 68, è stata introdotta una serie di specifiche fattispecie penali al fine di contrastare il traffico e lo scarico illegale di rifiuti (si veda il precedente paragrafo 133). Nel 2018 la sesta Commissione parlamentare d'inchiesta, pur accogliendo con favore l'adozione di queste ultime disposizioni, ha ritenuto che sarebbe stato necessario monitorare se e in che misura i reati ambientali introdotti da quest'ultima legge sarebbero stati in grado di fornire strumenti più efficaci nella lotta ai crimini ambientali (cfr. paragrafo 74 supra).

440.  Senza intraprendere una valutazione in astratto di tale quadro, la Corte ritiene che, come descritto sopra, e sullo sfondo delle preoccupazioni espresse dalle Commissioni parlamentari d'inchiesta, emergono dubbi sull'efficacia del quadro giuridico dato nella prevenzione dei reati ambientali, compresi quelli derivanti dalla condotta oggetto del presente caso, almeno fino all'emanazione della Legge n. 68 nel 2015. Inoltre, fino al 2015, la risposta legislativa sembra essere stata non solo poco convincente in termini di efficacia, ma anche lenta e frammentaria, con la creazione di singoli reati gravi nel corso del tempo, ma senza alcun tentativo di rivisitare in modo organico le carenze del sistema penale individuate dalle stesse Commissioni del Parlamento italiano.

441 .  Per quanto riguarda le osservazioni del Governo relative alle indagini penali e ai procedimenti penali che ne sono scaturiti, la Corte osserva che il fascicolo indica che le indagini penali sullo scarico e l'interramento di rifiuti da parte di gruppi criminali organizzati erano state avviate già negli anni '90 (cfr. paragrafi 10, 16, 20 e 53). Tuttavia, le informazioni contenute nel fascicolo non consentono alla Corte di avere un quadro chiaro ed esaustivo delle indagini penali condotte in relazione allo scarico, all'interramento e all'incenerimento dei rifiuti nell'area della Terra dei Fuochi, né dell'esito di tali indagini. Allo stesso modo, il Governo non ha fornito una panoramica delle stesse, concentrandosi invece su sette serie di procedimenti penali.

442.  Per quanto riguarda i due gruppi di procedimenti descritti dal Governo nelle sue osservazioni (cfr. paragrafi 335 e 336), la Corte osserva che gli unici documenti forniti a sostegno sono i dispositivi delle relative sentenze. Da tali documenti emerge che un procedimento è stato interrotto a causa della scadenza dei termini di prescrizione previsti dalla legge e, nel secondo procedimento, diverse persone sono state condannate in primo grado per il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e alcuni reati sono stati dichiarati prescritti. Tuttavia, i documenti presentati non forniscono alcun dettaglio sui fatti che hanno dato origine ai casi o sul loro collegamento con il fenomeno della Terra dei Fuochi.

443.  Un'altra serie di procedimenti a cui fa riferimento il Governo si è conclusa con una sentenza di condanna di un individuo per reati minori riguardanti il deposito non autorizzato di veicoli e parti di veicoli (si veda il paragrafo 163).

444.  Infine, un'altra causa citata dal Governo, riguardante lo scarico illegale di rifiuti pericolosi nel comune di Casal di Principe, è stata infine trasferita a un altro tribunale di primo grado per una questione di giurisdizione, e non sono state fornite informazioni sugli sviluppi successivi (cfr. paragrafi 153-155).

445.  La Corte ritiene che, in assenza di ulteriori elaborazioni o prove, questi procedimenti difficilmente possono essere considerati una prova dell'effettivo perseguimento di reati penali derivanti dalla condotta illecita oggetto del presente caso e relativi al fenomeno dell'inquinamento in questione, come sembra sostenere il Governo.

446 .  La Corte osserva, tuttavia, che in tre casi sono state pronunciate condanne per reati penali in relazione allo smaltimento illegale di grandi quantità di rifiuti pericolosi in comuni compresi nell'area della Terra dei Fuochi (cfr. paragrafi 148-152 e 156-159). I reati contestati erano il reato di disastro in due casi e di avvelenamento di corsi d'acqua nel terzo. In un altro caso sono state ottenute condanne per il reato di "attività organizzate per il traffico di rifiuti" (cfr. paragrafo 131) in relazione all'infiltrazione della criminalità organizzata nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti in un comune compreso nell'area della Terra dei Fuochi (cfr. paragrafi 160-162). Sebbene questi casi forniscano la prova dell'esistenza di procedimenti giudiziari efficaci, la Corte ritiene che l'esiguo numero di procedimenti invocati dal Governo non sia tale da convincere la Corte che - sulla base delle sole prove di questi procedimenti - lo Stato abbia adottato le misure necessarie per proteggere i residenti dell'area della Terra dei Fuochi.

447 .  La Corte osserva che il Governo non ha presentato alcuna prova di procedimenti avviati in relazione al reato di incenerimento illegale di rifiuti, né di procedimenti avviati in relazione ai nuovi reati ambientali introdotti nel 2015.

     -Misure relative alla gestione del ciclo dei rifiuti

448.  La Corte sottolinea che il presente caso non riguarda direttamente la cosiddetta "crisi dei rifiuti" in Campania di per sé, o l'incapacità delle autorità italiane di garantire la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti nella regione, una questione che è stata trattata, in quanto tale, in altri casi decisi dalla Corte (cfr. Di Sarno, sopra citato, e Locascia e altri c. Italia , no. 35648/10, 19 ottobre 2023). Detto ciò, poiché da numerosi documenti del fascicolo risulta che un fattore che contribuisce al fenomeno della Terra dei Fuochi potrebbe essere individuato nelle carenze del sistema di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti (si vedano, ad esempio, i paragrafi 58, 74, 78 e 84), e dato che il Governo ha presentato osservazioni sulle misure adottate dalle autorità per ovviare a tali carenze nell'ambito delle misure adottate per affrontare il problema dell'inquinamento in questione, la Corte procederà ora all'esame di tali misure.

449.  La Corte osserva che il Governo ha fatto riferimento a una serie di relazioni, in particolare una redatta dalla Regione Campania nel 2018 (cfr. paragrafo 77 supra) e un'altra della Direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento del Ministero dell'Ambiente nel 2019 (cfr. paragrafo 94 supra). Il Governo ha inoltre depositato una copia dell'informativa presentata al Comitato dei Ministri il 4 aprile 2019 in relazione all'esecuzione della sentenza Di Sarno della Corte (citata in precedenza; cfr. paragrafo 85). Questi documenti indicano che sono stati adottati leggi e altri strumenti per affrontare le carenze nella gestione dei rifiuti nella regione. Essi contengono prove di progressi in diversi settori, come la raccolta differenziata dei rifiuti domestici, e rivelano che la capacità di smaltimento e trattamento dei rifiuti nella regione è stata aumentata o sta per essere aumentata.

450.  La Corte sottolinea che la sesta commissione parlamentare d'inchiesta ha elogiato alcuni risultati ottenuti dalle autorità in questo ambito, pur sottolineando che a febbraio 2018 permanevano alcune preoccupazioni (cfr. paragrafo 74). La Corte osserva inoltre che, nella sua relazione del gennaio 2021, il funzionario delegato ha sottolineato il persistere di "gravi preoccupazioni sistemiche", in particolare le inadeguatezze che incidono sul funzionamento del ciclo dei rifiuti e l'assenza di strutture, che contribuiscono alla persistenza di pratiche di incenerimento illegali (cfr. paragrafo 99 supra).

451.  La Corte osserva inoltre che, almeno a partire dal settembre 2019, secondo il Governo, l'Italia stava pagando la sanzione giornaliera imposta dalla CGUE nella sentenza del 2015 (cfr. paragrafo 173 supra).

452.  Per quanto riguarda l'esecuzione della citata sentenza Di Sarno, la Corte osserva che la decisione del Comitato dei Ministri del giugno 2019, pur riconoscendo gli sforzi delle autorità italiane volti a promuovere i sistemi di raccolta differenziata e gli incoraggianti risultati raggiunti al riguardo, ha anche rilevato con preoccupazione che, almeno fino al 15 febbraio 2018, solo una minima parte dei cosiddetti "rifiuti storici" accumulati prima del 2009 era stata rimossa (cfr. paragrafo 175 sopra). Nel settembre 2021 il Comitato dei Ministri ha rilevato con preoccupazione che continuavano ad essere segnalate disfunzioni in relazione allo smaltimento dei rifiuti in Campania (cfr. paragrafo 176 supra). Tuttavia, la Corte sottolinea anche che, nel settembre 2022, il Comitato dei Ministri ha preso atto con soddisfazione dei progressi compiuti verso l'eliminazione dei "rifiuti storici" e degli ulteriori progressi previsti nello stesso anno, pur rilevando con una certa preoccupazione che non sono stati compiuti progressi significativi a livello di raccolta dei rifiuti differenziati.

453.  Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte si limiterà a concludere che per molti anni dopo la dichiarazione dello stato di emergenza in Campania a metà degli anni '90 in relazione alla cosiddetta "crisi dei rifiuti", e almeno fino al 2019, le autorità italiane sembrano essere state piuttosto lente nell'affrontare le carenze del sistema di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti della Regione Campania.

     -Misure relative alla fornitura di informazioni

454 .  La Corte ritiene in primo luogo che, nel caso di specie, la valutazione se le autorità abbiano adempiuto all'obbligo di fornire alle persone, come i ricorrenti, che vivono in aree interessate dal fenomeno dell'inquinamento, informazioni che consentano loro di valutare i rischi per la loro vita e la loro salute, si sovrappone in una certa misura alla questione se esse abbiano prima adottato misure per identificare le aree interessate e per accertare la natura e l'entità della contaminazione. La Corte ha già rilevato l'assenza di un approccio sistematico in tal senso prima del 2013 e, pur riconoscendo una serie di passi compiuti dalle autorità nel periodo intercorso (cfr. paragrafi 398-407 supra), non è persuasa che la risposta delle autorità in termini di raccolta di informazioni sulla natura e l'entità del fenomeno di inquinamento in questione sia stata sufficientemente sistematica, completa e coordinata, in particolare per quanto riguarda gli sforzi che trascendono la valutazione dei terreni agricoli ai sensi del decreto legge n. 136 del 2013 (cfr. paragrafi 408 e 410 supra). A parere della Corte, ciò non può che riflettersi negativamente sulla capacità delle autorità di fornire alle persone che vivono nelle aree interessate dal fenomeno dell'inquinamento le informazioni disponibili necessarie per consentire loro di valutare i rischi per la loro vita e la loro salute.

455.  Per quanto riguarda la diffusione delle informazioni raccolte e disponibili, la Corte osserva che, a parte la menzione della pubblicazione sul sito web dell'ARPAC dei risultati del gruppo di lavoro istituito ai sensi del decreto del 2013 (cfr. paragrafi 111-116 supra), il Governo non ha presentato alcuna osservazione specifica sulla diffusione pubblica o sul rilascio di informazioni relative al fenomeno dell'inquinamento in questione e/o ai suoi impatti reali o potenziali sulla salute. Ciò detto, la Corte osserva che diversi studi epidemiologici condotti sotto l'egida delle autorità statali (si vedano i paragrafi 21, 25, 57, 64, 83 e 98) sono stati resi pubblici.

456 .  La Corte ritiene che, nel valutare se le autorità abbiano adempiuto al loro dovere di informazione, debba necessariamente prendere in considerazione la natura specifica del fenomeno di inquinamento in questione e i tipi di rischio interessati. La Corte ha già rilevato la natura su larga scala del fenomeno della Terra dei Fuochi e la sua ampia diffusione geografica. Ha anche osservato che è derivato da varie forme di comportamento illegale - e quindi completamente non regolamentato - per molti anni, vale a dire lo scarico e l'interramento di rifiuti pericolosi e di altro tipo, spesso associati al loro incenerimento. La Corte osserva inoltre che gli inquinanti rilasciati nell'ambiente a seguito del fenomeno hanno interessato tutti gli elementi ambientali (aria, suolo, acqua); inoltre, come evidenziato dalla 12a Commissione del Senato, le modalità di rilascio nell'ambiente di tali inquinanti sono state diverse e, di conseguenza, diverse sono state le modalità con cui la popolazione è potuta entrare in contatto con essi (si veda il precedente paragrafo 73).

457 .  In questo contesto, pur riconoscendo che gli studi epidemiologici e altre informazioni, come i risultati del Gruppo di lavoro citati dal Governo, sono stati resi pubblici su base individuale, la Corte non ritiene tali misure sufficienti nelle circostanze del caso in esame. Ritiene piuttosto che un fenomeno di inquinamento di tale portata, complessità e gravità richiedesse, come risposta da parte delle autorità, una strategia di comunicazione completa e accessibile, al fine di informare il pubblico in modo proattivo sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi.

458 .  Infine, la Corte non può fare a meno di notare che, nel caso di specie, le informazioni che erano state fornite al Parlamento italiano nel 1997 sulle pratiche sistematiche di interramento e scarico di rifiuti pericolosi, pratiche che si verificavano almeno dal 1988 (si veda il paragrafo 12 supra), erano coperte da segreto di Stato e sono state declassificate e rese disponibili al pubblico solo nel 2013, cioè quindici anni dopo (si veda il paragrafo 40 supra). Pur non mettendo in discussione il fatto che possa esistere un forte interesse pubblico a mantenere la segretezza di alcune informazioni (si veda, ad esempio, nel contesto della lotta al terrorismo, Al-Hawsawi c. Lituania , n. 6383/17, § 185, 16 gennaio 2024), la Corte è colpita dalla durata complessiva e dalla natura onnicomprensiva del segreto d'ufficio imposto nel caso di specie.

(γ)       Conclusioni generali

459.  Senza voler ripetere le conclusioni tratte in relazione alle specifiche serie di misure analizzate nei paragrafi precedenti, la Corte formula le seguenti osservazioni generali in merito alla risposta delle autorità italiane al fenomeno dell'inquinamento della Terra dei Fuochi.

460 .  La Corte non può fare a meno di notare che il Governo, nelle sue osservazioni, si è basato quasi esclusivamente su misure introdotte dopo il 2013, anche se dal materiale presentato alla Corte emerge che alcune azioni erano già state intraprese prima di tale data. In effetti, la Corte è colpita dal fatto che il primo strumento di carattere generale adottato al fine di accertare la portata del fenomeno dell'inquinamento in questione e di affrontarne le componenti sia stato emanato solo nel dicembre 2013 (si veda il paragrafo 103 supra), nonostante le autorità fossero a conoscenza almeno di alcuni aspetti significativi del problema fin dai primi anni '90, e del fenomeno nella sua interezza almeno dai primi anni 2000 (si vedano i paragrafi 16-18 supra).

461 .  La Corte non può escludere che ulteriori misure isolate, non elencate dal Governo e non incluse nel materiale presentato dalle parti, possano essere state adottate dalle autorità prima del 2013. Tuttavia, la Corte osserva che nel 2018 la XII Commissione del Senato italiano ha dichiarato che le autorità avevano "iniziato" a valutare la portata critica della situazione nell'area campana nota come Terra dei Fuochi, di cui erano ben informate, e a prendere provvedimenti, con notevole ritardo, e avevano iniziato ad adottare misure concrete per affrontare il fenomeno solo nel 2013 (si veda il paragrafo 73 sopra). Data la natura del problema dell'inquinamento in questione e il tipo di rischi, la Corte ritiene che un tale ritardo nell'agire sia inaccettabile. La Corte è inoltre indotta a concludere, sulla base del materiale a sua disposizione, che prima del 2013 le misure per affrontare il fenomeno dell'inquinamento erano nel migliore dei casi frammentarie e che non è possibile individuare alcuno sforzo significativo per affrontare il problema in modo sistematico, completo e coordinato.

462 .  La Corte è anche colpita dal fatto che un "Piano d'azione" per combattere il fenomeno delle discariche abusive e dell'incenerimento dei rifiuti a livello regionale è stato adottato solo nel 2016 (cfr. paragrafo 66 sopra). Inoltre, la Corte osserva che nel novembre 2018 è stata ritenuta necessaria una nuova strategia di attuazione del Piano d'azione (cfr. paragrafo 78). Pur riconoscendo che questa nuova strategia rappresenta un importante tentativo di affrontare il problema della Terra dei Fuochi in modo più strutturato e coordinato, la Corte fa diverse osservazioni. In primo luogo, osserva che la necessità di un approccio più strutturato e coordinato si è concretizzata in una proposta concreta solo alla fine del 2018, ossia ben oltre due decenni dopo che il problema è stato portato per la prima volta all'attenzione delle autorità (cfr. paragrafo 78 sopra). Inoltre, la Corte è preoccupata dal fatto che il preambolo del documento sembra suggerire che, anche nel 2018, si riteneva ancora necessario, in primo luogo, identificare e, in secondo luogo, coordinare le responsabilità delle diverse entità coinvolte nella lotta alle pratiche di incenerimento illegale (ibidem). La Corte osserva inoltre che la strategia del 2018 sembra aver spostato l'attenzione principale su un aspetto specifico del fenomeno oggetto del presente caso, ossia l'incenerimento illegale. Infine, sulla base dei documenti presentati, è difficile per la Corte capire se, e in che modo, le misure previste dal Piano d'azione siano interconnesse o coordinate con gli altri sforzi in atto da parte di altri attori istituzionali coinvolti nell'affrontare il problema della Terra dei Fuochi.

463 .  Inoltre, la Corte osserva che il Governo non ha fornito informazioni sufficienti in merito a diverse serie di misure elencate per consentire alla Corte di farsi un'idea di come siano state attuate nella pratica e di quali progressi siano stati compiuti (si vedano, ad esempio, le sentenze 417, 421, 423, 428 e 441).

464 .  Infine, la Corte non può fare a meno di osservare che il materiale che le è stato presentato indica che l'attuazione di alcune serie di misure è stata caratterizzata da ritardi (si vedano, ad esempio, i paragrafi 403, 404, 412, 416, 418, 422 e 429).

465.  Alla luce delle considerazioni generali che precedono, unitamente a quelle formulate in relazione ad alcune serie di misure specifiche, la Corte ritiene che il Governo non abbia dimostrato che le autorità italiane abbiano affrontato il problema della Terra dei Fuochi con la diligenza giustificata dalla gravità della situazione e ritiene che non abbia dimostrato che lo Stato italiano abbia fatto tutto ciò che poteva essere richiesto per proteggere le vite dei ricorrenti.

466.  Alla luce delle conclusioni della Corte ai paragrafi 384-392, l'obiezione del Governo secondo cui i ricorrenti non potrebbero essere considerati vittime della violazione denunciata a causa dell'assenza di un comprovato nesso di causalità tra le presunte violazioni della Convenzione e il danno subito dai ricorrenti deve essere respinta.

467.  Da quanto sopra si evince che vi è stata una violazione dell'articolo 2 della Convenzione.

468.  La Corte ritiene che, alla luce di quanto precede, e in particolare del ragionamento svolto ai paragrafi 435-447, la questione dell'esistenza di un adeguato quadro giuridico che consenta alle autorità di perseguire i responsabili dell'inquinamento non meriti un esame separato.

2.    Presunta violazione dell'articolo 8

469.  Tenuto conto delle sue conclusioni in merito all'articolo 2, vale a dire che il Governo non è riuscito a dimostrare che lo Stato italiano ha fatto tutto ciò che poteva essere richiesto per proteggere la vita dei ricorrenti, e considerando che per quanto riguarda l'articolo 8 i ricorrenti si sono basati essenzialmente sulle stesse argomentazioni addotte per la loro denuncia ai sensi dell'articolo 2, la Corte ritiene che non sia necessario esaminare se vi sia stata anche una violazione separata dell'articolo 8 a causa di un'asserita mancata protezione della salute e del benessere dei ricorrenti.

470.  Per quanto riguarda l'asserita violazione dell'articolo 8 a causa della mancata fornitura ai ricorrenti di informazioni sui rischi per la salute, viste le conclusioni tratte ai sensi dell'articolo 2, e in particolare le sue argomentazioni ai paragrafi 454-456, la Corte ritiene che non sia necessario esaminare questa denuncia separatamente.

            V. ALTRE PRESUNTE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE

471.  Invocando l'articolo 13 della Convenzione, i ricorrenti hanno sostenuto che non erano disponibili rimedi efficaci per contestare le presunte violazioni. Il ricorrente n. 5 ha inoltre lamentato una violazione della parte procedurale dell'articolo 2 della Convenzione.

472.  Tuttavia, considerati i fatti della causa, le osservazioni delle parti e le sue conclusioni ai sensi dell'articolo 2 della Convenzione, la Corte ritiene di aver esaminato le principali questioni giuridiche sollevate nel presente ricorso e che non sia necessario pronunciarsi separatamente sulla ricevibilità e sul merito delle restanti doglianze.

           VI.         APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 46 DELLA CONVENZIONE

473.  L'articolo 46 della Convenzione prevede:

"1. Le Alte Parti Contraenti si impegnano a rispettare la sentenza definitiva della Corte in ogni causa in cui sono parti.

2.  La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri, che ne controlla l'esecuzione.

474.  La Corte ribadisce che una sentenza che accerta una violazione della Convenzione impone allo Stato convenuto l'obbligo giuridico non solo di versare agli interessati le somme riconosciute a titolo di giusta soddisfazione, ma anche di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali da adottare nel proprio ordinamento giuridico interno per porre fine alla violazione constatata dalla Corte e per rimediare, per quanto possibile, ai suoi effetti. Spetta in primo luogo allo Stato interessato scegliere, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri, i mezzi da utilizzare nel proprio ordinamento giuridico interno per adempiere all'obbligo previsto dall'articolo 46 della Convenzione. Tuttavia, al fine di aiutare lo Stato convenuto ad adempiere a tale obbligo, la Corte può cercare di indicare il tipo di misure generali che potrebbero essere adottate per porre fine alla situazione che ha riscontrato (si veda Centro per le risorse legali per conto di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], no. 47848/08, §§ 158-59, CEDU 2014; Stanev v. Bulgaria [GC], no. 36760/06, §§ 254-55, CEDU 2012; Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, § 148, 17 settembre 2009; e Broniowski c. Polonia [GC], no. 31443/96, § 194, CEDU 2004-V).

A.   Le osservazioni delle parti in merito all'idoneità della procedura di giudizio pilota

1.    Il Governo

475.  Il Governo ha ritenuto non necessario che la Corte avviasse una procedura di giudizio pilota, dato che, a suo avviso, i fatti del caso in questione non avevano rivelato l'esistenza di un problema strutturale.

476.  Hanno sottolineato che, come già sottolineato nelle loro osservazioni sul merito del caso, lo Stato italiano ha adottato tutte le misure appropriate per monitorare i terreni agricoli, prevenire i rischi per la salute pubblica, scoraggiare lo scarico illegale e l'incenerimento dei rifiuti e punire i responsabili, e attuare misure urgenti di sicurezza e decontaminazione all'interno della cosiddetta area della Terra dei Fuochi.

477.  Basandosi su Lakatos c. Ungheria (n. 21786/15, §§ 88-91, 26 giugno 2018), il Governo ha sostenuto che quando lo Stato convenuto ha già adottato misure per porre rimedio ai reclami dei ricorrenti, la Corte ha escluso l'applicazione della procedura di giudizio pilota.

478.  Inoltre, il Governo ha sostenuto che la presenza di rimedi interni accessibili ed efficaci consentirebbe ai potenziali ricorrenti di ottenere riparazione per eventuali violazioni simili a quelle lamentate dagli attuali ricorrenti. Per questo motivo, il Governo ha sostenuto che il rischio che venga presentato un gran numero di ricorsi simili appare remoto, rafforzando così la propria tesi secondo cui la procedura del giudizio pilota non sarebbe giustificata.

2.    I richiedenti

(a)    Domanda n. 51567/14

479.  I ricorrenti hanno contestato le argomentazioni del Governo.

480.  Esse sostengono che le violazioni denunciate derivano da un problema diffuso e strutturale che deriva dall'inadempienza dello Stato italiano, dall'inefficacia del quadro legislativo in materia e dall'uso insufficiente o inefficiente delle risorse per la prevenzione, la gestione e la repressione dei comportamenti che hanno dato origine al fenomeno della Terra dei Fuochi e per la bonifica delle aree inquinate. A causa di queste carenze, circa tre milioni di persone hanno subito e continuano a subire una violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione.

481.  A sostegno della tesi della diffusione del problema o della sua natura su larga scala, i ricorrenti hanno affermato che l'area ufficialmente delimitata della Terra dei Fuochi comprende circa il 52% della popolazione della Regione Campania. Hanno nuovamente fatto riferimento alla relazione 2018 della 12a Commissione del Senato, in cui si affermava che l'elenco dei comuni individuati da leggi e decreti come facenti parte della Terra dei Fuochi era stato redatto sulla base di presunzioni, e che ciò non doveva essere interpretato come un'implicazione del fatto che alcune aree non incluse in tale elenco non fossero interessate dal fenomeno dell'inquinamento (cfr. paragrafo 73 supra). Hanno anche citato lo stesso comitato, in cui il fenomeno della Terra dei Fuochi è stato descritto come un fenomeno irresponsabile e incontrollato relativo allo scarico e all'incenerimento di sostanze tossiche e di tutte le forme di rifiuti, e come una catastrofe ambientale (ibidem).

482.  I ricorrenti hanno ribadito le loro argomentazioni riassunte nel precedente paragrafo 312 in merito all'impatto del fenomeno della Terra dei Fuochi sulla salute umana. Hanno inoltre sottolineato le carenze nella risposta delle autorità italiane in termini di identificazione e monitoraggio dei terreni contaminati e hanno ribadito le loro argomentazioni secondo cui gli sforzi di decontaminazione sono stati insufficienti, come affermato nel paragrafo 313 sopra.

483.  I ricorrenti hanno sottolineato che denunce simili erano state sollevate in un gran numero di altri ricorsi pendenti dinanzi alla Corte, e che altri ricorsi sulle stesse questioni sarebbero stati probabilmente introdotti in futuro.

484.  Sulla base di queste considerazioni, i ricorrenti hanno invitato la Corte ad adottare una procedura di giudizio pilota per indicare le misure che lo Stato italiano deve adottare per eliminare le disfunzioni strutturali in questione.

(b)    Domanda n. 74208/14

485.  I ricorrenti hanno contestato l'affermazione del Governo secondo cui erano state adottate tutte le misure necessarie per affrontare le dannose ripercussioni ambientali dell'inquinamento. Hanno inoltre contestato l'affermazione del Governo che suggerisce che la probabilità che un gran numero di ricorsi simili venga presentato alla Corte è remota. A questo proposito, hanno osservato che vi erano diversi casi simili pendenti davanti alla Corte.

486.  Tuttavia, hanno concordato con il Governo che una procedura pilota nel caso in questione non sarebbe stata necessaria. A sostegno della loro conclusione, e facendo riferimento ai casi Lakatos e Cordella, entrambi citati in precedenza, hanno sottolineato la complessità tecnica delle misure in questione, in particolare quelle necessarie per la decontaminazione delle aree interessate dall'inquinamento.

B.   La valutazione della Corte

1.    Principi generali

487.  La Corte ribadisce che l'articolo 46 della Convenzione, interpretato alla luce dell'articolo 1, impone agli Stati convenuti l'obbligo giuridico di applicare, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri, misure generali e/o individuali adeguate per garantire i diritti del ricorrente che la Corte ha ritenuto violati. Tali misure devono essere adottate anche nei confronti di altre persone che si trovano nella posizione dei ricorrenti, in particolare risolvendo i problemi che hanno portato alla constatazione di una violazione da parte della Corte (si vedano, tra le altre autorità, Rutkowski e altri c. Polonia, nn. 72287/10 e altri, § 200, 7 luglio 2015; Ališić e altri c. Bosnia-Erzegovina, Croazia, Serbia, Slovenia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia [GC], n. 60642/08, § 78, CEDU 2014; Torreggiani e altri c. Italia, nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10, § 83, 8 gennaio 2013; e Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, §§ 192-93, CEDU 2004-V, e i riferimenti ivi citati).

488.  Al fine di agevolare l'effettiva esecuzione delle sue sentenze, la Corte può adottare una procedura di sentenza pilota che le consenta di individuare chiaramente i problemi strutturali alla base delle violazioni della Convenzione e di indicare le misure che gli Stati convenuti devono applicare per porvi rimedio (si veda la Risoluzione Res(2004)3 sulle sentenze che rivelano un problema sistemico di fondo, adottata dal Comitato dei Ministri il 12 maggio 2004, e Broniowski, sopra citata, §§ 189-94). Questo approccio giudiziario è tuttavia perseguito nel rispetto delle rispettive funzioni delle istituzioni della Convenzione: spetta al Comitato dei Ministri valutare l'attuazione delle misure individuali e generali ai sensi dell'articolo 46 § 2 della Convenzione (cfr. Rutkowski e altri, sopra citata, § 201, e i riferimenti ivi citati).

489 .  La Corte ribadisce che la procedura di sentenza pilota è stata concepita come risposta all'aumento del carico di lavoro della Corte, causato da una serie di casi derivanti dalla stessa disfunzione strutturale o sistemica, e per garantire l'efficacia a lungo termine dell'apparato della Convenzione. Ribadisce che il duplice scopo della procedura di sentenza pilota è, da un lato, quello di ridurre la minaccia all'effettivo funzionamento del sistema della Convenzione e, dall'altro, quello di facilitare la risoluzione più rapida ed efficace di una disfunzione che incide sulla tutela dei diritti della Convenzione in questione nell'ordinamento giuridico nazionale (cfr. Burmych e altri c. Ucraina (striking out) [GC], nn. 46852/13 e altri, § 158 e 159, 12 ottobre 2017).

2.    Applicazione dei principi di cui sopra al caso in esame

(a)    Se la situazione nel caso di specie giustifichi l'applicazione della procedura di giudizio pilotato

490 .  La Corte osserva innanzitutto che la violazione riscontrata nel presente caso ha avuto origine da un fenomeno di inquinamento diffuso e su larga scala, derivante non da un incidente isolato, ma dallo scarico illegale, dall'interramento e/o dall'abbandono incontrollato di rifiuti pericolosi, speciali e urbani, spesso associati al loro incenerimento, effettuato nel corso di decenni, in un modo spesso descritto come "sistematico" (si vedano i paragrafi 16, 68, 73 e 148). La Corte sottolinea anche le sue conclusioni sulla lentezza con cui le autorità statali hanno reagito al problema (cfr. paragrafi 460, 461 e 462) e sui ritardi che hanno continuato a caratterizzare gli sforzi per affrontarlo (cfr. paragrafo 464). Ciò denota, a parere della Corte, un'incapacità sistemica di rispondere adeguatamente, sia in termini di tempo che di sforzi, al problema dell'inquinamento in esame. Inoltre, la Corte osserva che lo stato di cose denunciato non può essere considerato come cessato, almeno nella misura in cui lo dimostrano i documenti più recenti presentati dalle parti, che sono datati tra il 2018 e il 2021 e rivelano che continuano a essere scoperti siti di smaltimento illegale dei rifiuti e che l'incenerimento illegale dei rifiuti è ancora segnalato (si vedano, ad esempio, i paragrafi 73, 83, 84 e 99 sopra).

491.  Inoltre, la Corte non può trascurare il fatto che, secondo la sua banca dati di gestione dei casi, sono stati presentati settantadue ricorsi che sollevano questioni simili, di cui trentasei ricorsi, per un totale di circa quattromilasettecento richiedenti, sono attualmente pendenti dinanzi ad essa per quanto riguarda l'Italia. Non si può non notare che la zona della Terra dei Fuochi, come definita dalle direttive interministeriali, ha una popolazione di circa 2.963.000 abitanti (cfr. paragrafi 7 e 8). Come sottolineato dai ricorrenti, ciò equivale a circa la metà della popolazione della regione Campania.

492 .  Tenendo conto della natura persistente del problema e delle carenze sistemiche che hanno caratterizzato la risposta dello Stato ad esso, unitamente all'elevato numero di persone che ha colpito e che è in grado di colpire, nonché all'urgente necessità di garantire loro una riparazione rapida e adeguata, la Corte ritiene opportuno applicare la procedura del giudizio pilota nel presente caso (si vedano Burdov (n. 2), sopra citato, § 130, e Finger c. Bulgaria, n. 37346/05, § 128, 10 maggio 2011). 37346/05, § 128, 10 maggio 2011).

(b)    Misure generali

493.  Poiché le sentenze della Corte sono essenzialmente dichiarative, lo Stato convenuto rimane libero, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi con cui adempiere all'obbligo previsto dall'articolo 46 della Convenzione, purché siano compatibili con le conclusioni raggiunte nella sentenza della Corte. Tuttavia, al fine di aiutare lo Stato convenuto ad adempiere ai propri obblighi, la Corte può eccezionalmente indicare il tipo di misure che potrebbero essere adottate per porre fine a un problema da essa individuato (cfr. Varga e altri, sopra citata, §§ 101-102, e Sukachov c. Ucraina , n. 14057/17, § 144, 30 gennaio 2020). A questo proposito, la Corte ritiene opportuno fornire indicazioni più dettagliate sulle misure generali da adottare in relazione al problema sistemico sopra individuato (cfr. paragrafo 490).

(i)       Strategia globale che riunisce le misure esistenti o previste

494 .  La Corte ribadisce fin dall'inizio la sua conclusione secondo cui la natura della minaccia in questione nel presente caso ha richiesto, a suo avviso, una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle autorità (cfr. paragrafo 396 supra). Pur riconoscendo che sono stati compiuti sforzi significativi - anche se tardivi - per affrontare il problema della Terra dei Fuochi in modo più strutturato (si veda, in particolare, il paragrafo 462 del sito ), la Corte esorta le autorità statali ad adottare ulteriori misure per garantire la completezza e il coordinamento del loro approccio, con una chiara delimitazione delle competenze in modo da evitare un'inutile frammentazione delle responsabilità tra i diversi livelli dell'apparato statale (governo locale, regionale e centrale) e le diverse agenzie statali e gli attori istituzionali coinvolti nell'affrontare il problema.

495.  In questo contesto, le autorità statali devono fare tesoro degli sforzi già compiuti, al fine di sviluppare, in adeguata consultazione con le parti interessate a livello locale, regionale e/o nazionale (compresi i rappresentanti della società civile e delle associazioni interessate), una strategia globale che riunisca tutte le misure esistenti o previste, a ogni livello dell'apparato statale, al fine di affrontare il fenomeno dell'inquinamento in questione. Ciò include tutte le misure volte a identificare le aree interessate dalle pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti e a valutare la natura e l'entità della loro contaminazione (suolo, acqua e aria); a gestire qualsiasi rischio rivelato; a indagare sugli impatti sulla salute del fenomeno dell'inquinamento in questione; e a combattere la condotta che ha dato origine al fenomeno dell'inquinamento, ovvero lo scarico, il seppellimento e l'incenerimento illegale dei rifiuti (si veda il paragrafo 395 sopra). Qualsiasi strategia di questo tipo dovrebbe contenere chiari calendari di attuazione a breve, medio e lungo termine e l'identificazione, in linea di principio, delle risorse necessarie e la loro assegnazione agli attori statali competenti.

496.  Per quanto riguarda, in particolare, l'identificazione delle aree interessate dall'inquinamento in questione e l'accertamento della natura e dell'estensione della contaminazione ambientale, la Corte ricorda di aver già rilevato che tali passi costituiscono un prerequisito necessario sia per una valutazione significativa dei rischi potenziali o effettivi per la salute, sia per la definizione delle misure necessarie per gestire tali rischi (cfr. paragrafo 398 supra). Prende atto degli sforzi sostanziali compiuti dalle autorità in questo ambito dal 2013, in particolare per quanto riguarda le misure di identificazione, analisi e classificazione dei terreni agricoli introdotte dal decreto legge n. 136 del dicembre 2013, convertito nella legge n. 6 del 2014 (cfr. paragrafo 104), e le autorità statali dovrebbero completarne l'attuazione senza indugio. Lo Stato deve inoltre garantire, nell'ambito della propria strategia, che le misure relative alla valutazione dei siti colpiti, oltre a quelli situati all'interno di terreni agricoli, siano eseguite in modo completo e coordinato.

497.  La Corte osserva inoltre che il fenomeno dell'inquinamento in questione è stato descritto dalla sesta Commissione parlamentare d'inchiesta come "in evoluzione", man mano che emergevano informazioni dagli sforzi di analisi o che le indagini portavano alla luce nuovi siti di interramento o di scarico dei rifiuti, e dato che le segnalazioni di roghi, sebbene ridotte nel corso degli anni, continuavano a essere registrate (si veda il paragrafo 74 sopra). Le autorità statali devono quindi provvedere, nell'ambito della loro strategia, all'aggiornamento continuo delle aree interessate dalle pratiche di smaltimento illegale dei rifiuti oggetto del presente caso, e alla loro valutazione in termini di natura e portata della contaminazione.

498 .  La Corte ritiene inoltre che la decontaminazione delle aree colpite dall'inquinamento ambientale in questione sia di primaria e urgente importanza (si veda, mutatis mutandis, Cordella, sopra citata, § 182), così come la messa in sicurezza delle aree contaminate. La Corte fa riferimento alle conclusioni della sesta commissione parlamentare d'inchiesta, secondo cui i suoi membri non erano stati in grado di ottenere una ricostruzione obiettiva e aggiornata della situazione della decontaminazione a causa di dati frammentari e incompleti, presentati da diversi enti con competenze sovrapposte, la cui sfera d'azione a volte non era del tutto chiara alla commissione (si veda il paragrafo 74 sopra). Alla luce di quanto sopra, la Corte esorta le autorità statali a prevedere, nell'ambito della loro strategia, la presentazione di relazioni periodiche e dettagliate sulle misure di decontaminazione intraprese e/o completate e sulla loro efficacia, al fine di orientare meglio le misure future.

(ii)     Meccanismo di monitoraggio indipendente

499 .  La Corte ribadisce inoltre le sue constatazioni relative alla mancata risposta tempestiva a un problema noto alle autorità da molti anni (cfr. paragrafi 460-461), ai ritardi che caratterizzano l'attuazione di alcune serie di misure (cfr. paragrafo 464) e all'assenza di informazioni sull'attuazione concreta di altre (cfr. paragrafo 463). In questo contesto, e in considerazione del principio di sussidiarietà, le autorità statali dovrebbero istituire un meccanismo a livello nazionale per monitorare l'attuazione e l'impatto delle misure introdotte nell'ambito di qualsiasi strategia globale sul problema della Terra dei Fuochi e per valutare il rispetto dei tempi previsti (cfr. paragrafi 494-498). Le autorità devono assicurarsi che siano messe in atto adeguate misure di salvaguardia per garantire l'indipendenza del meccanismo, comprese misure per garantire che la sua composizione includa persone - come rappresentanti della società civile e delle associazioni interessate - che siano libere da qualsiasi affiliazione istituzionale con le autorità statali. Al fine di aumentare la trasparenza, il meccanismo dovrebbe rendere pubbliche le sue conclusioni (si veda il paragrafo 500).

(iii) Piattaforma informativa   

500 .  Infine, la Corte sottolinea la sua conclusione secondo cui le autorità non avevano adeguatamente adempiuto all'obbligo di fornire alle persone che vivevano nelle aree interessate dal fenomeno dell'inquinamento informazioni che consentissero loro di valutare i rischi per la loro salute e la loro vita (cfr. paragrafi 454-457). A questo proposito, ha sottolineato l'assenza di una strategia di comunicazione completa e accessibile volta a informare il pubblico sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle azioni intraprese o previste per gestire tali rischi. A questo proposito, lo Stato italiano dovrebbe istituire un'unica piattaforma informativa pubblica che raccolga, in modo accessibile e strutturato, tutte le informazioni rilevanti relative al problema della Terra dei Fuochi e alle misure adottate o previste per affrontarlo, con informazioni sul loro stato di attuazione (si veda il paragrafo 499 sopra), e prendere disposizioni per il suo regolare aggiornamento.

(c)    Limite di tempo

501 .  La Corte ha deciso di applicare la procedura del giudizio pilota nel caso di specie, facendo riferimento in particolare alle carenze sistemiche che hanno caratterizzato la risposta dello Stato al problema in questione, come illustrato nella presente sentenza, all'elevato numero di persone colpite e all'urgente necessità di garantire loro una riparazione rapida e adeguata a livello nazionale (si veda il paragrafo 492 sopra). Sulla base di queste considerazioni, la Corte ritiene che l'obiettivo della presente sentenza possa essere raggiunto solo se le misure saranno attuate senza ritardi ingiustificati, ossia entro due anni dalla data in cui la presente sentenza diventerà definitiva, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri.

(d)    Procedura da seguire in casi simili

502 .  La Corte ha riconosciuto come inerente alla procedura di sentenza pilota il fatto che la Corte esamini le questioni in questione anche dal punto di vista degli interessi di altre persone potenzialmente interessate. Tale valutazione comprende necessariamente la procedura per casi simili - sia quelli attualmente pendenti che quelli che potrebbero essere presentati alla Corte in futuro ( e Wałęsa c. Polonia , n. 50849/21, § 333, 23 novembre 2023). Dalla sentenza Broniowski è prassi costante della Corte includere nelle sentenze pilota, oltre alle sentenze sul caso pilota, varie decisioni procedurali riguardanti il futuro trattamento dei casi successivi - quelli comunicati al governo convenuto e quelli nuovi. Ad esempio, la Corte ha spesso deciso di rinviare casi simili in attesa dell'attuazione di misure generali da parte dello Stato convenuto (cfr. Wałęsa, sopra citata, § 334, con ulteriori riferimenti). Tuttavia, il rinvio è facoltativo e non obbligatorio, come dimostrano le parole "a seconda dei casi" contenute nell'articolo 61, paragrafo 6, del Regolamento della Corte e la varietà di approcci adottati nelle precedenti cause pilota (cfr. Ananyev e altri, sopra citata, § 235, con ulteriori riferimenti).

503.  La Corte decide che, in attesa dell'adozione da parte delle autorità nazionali, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, delle misure necessarie a livello nazionale, rinvierà l'esame delle domande di cui il Governo non è ancora stato informato, per un periodo di due anni a partire dalla data in cui la presente sentenza diventerà definitiva.  Essa ricorda che può comunque decidere in qualsiasi momento di dichiarare irricevibile o di stralciare un caso del genere in caso di composizione amichevole tra le parti o di risoluzione della questione con altri mezzi, conformemente agli articoli 37 o 39 della Convenzione (cfr. Torreggiani e altri, sopra citata, § 101, e Rezmiveș e altri c. Romania , nn. 61467/12 e altri 3, § 128, 25 aprile 2017).

         VII.         APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

504.  L'articolo 41 della Convenzione prevede:

"Se la Corte constata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente interessata consente una riparazione solo parziale, la Corte accorda, se necessario, una giusta soddisfazione alla parte lesa".

A.   Danno non patrimoniale

505.  I ricorrenti hanno presentato le seguenti richieste di risarcimento del danno non patrimoniale:

a)      i richiedenti n. 5 (Mario Cannavacciuolo), 7 (Maria José Ardizzone), 10 (Luciano Centonze) e 12 (Dario Letizia) hanno chiesto 100.000 euro (euro) ciascuno;

b)      il richiedente n. 21 (Rosa Auriemma) ha chiesto 30.000 euro;

c)      La ricorrente n. 24 (Giuseppina Campolattano) ha chiesto 35.000 euro;

d)      il richiedente n. 25 (Maria Lucia Capaldo) ha chiesto 45.000 euro.

506.  Il Governo ha ritenuto che le loro richieste fossero eccessive.

507.  La Corte ritiene che la questione dell'applicazione dell'articolo 41 della Convenzione non sia pronta per la decisione.  Di conseguenza, deve essere riservata e la procedura successiva deve essere fissata dopo la scadenza del termine di cui al paragrafo 501.

508.  Nella futura valutazione di qualsiasi questione ai sensi dell'articolo 41, l'approccio della Corte potrebbe dipendere dalla valutazione del Comitato dei Ministri della risposta delle autorità alle carenze individuate e alle misure correttive raccomandate ai sensi dell'articolo 46 nella presente sentenza (si vedano i paragrafi 494-499).

B.   Costi e spese

509.  I ricorrenti hanno chiesto le seguenti somme per i costi e le spese sostenute davanti alla Corte:

a)      i ricorrenti nel ricorso n. 51567/14 (ricorrenti nn. 5, 7, 10 e 12) hanno chiesto 20.000 euro congiuntamente;

b)      i ricorrenti nel ricorso n. 74208/14 (ricorrenti nn. 21, 24 e 25) hanno chiesto congiuntamente 23.520,70 euro;

510.  Essi hanno chiesto alla Corte che l'eventuale riconoscimento dei costi e delle spese sia versato direttamente sul conto bancario dei loro rappresentanti legali.

511.  Il Governo ha contestato questi importi.

512.  Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente ha diritto al rimborso di costi e spese solo nella misura in cui sia stato dimostrato che questi sono stati effettivamente e necessariamente sostenuti e sono ragionevoli nel loro ammontare. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri di cui sopra, la Corte ritiene ragionevole riconoscere ai ricorrenti nel ricorso n. 51567/14 la somma di 20.000 euro, congiuntamente, e ai ricorrenti nel ricorso n. 74208/14 la somma di 20.000 euro, congiuntamente, per il procedimento dinanzi alla Corte, oltre ad eventuali imposte a loro carico. Tali importi devono essere versati direttamente sui conti bancari dei rappresentanti dei ricorrenti (cfr. Khlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, § 288, 15 dicembre 2016).

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

Decide, all'unanimità, di aderire alle richieste;
2.    Decide, all'unanimità, di eliminare dalla lista dei casi il ricorso n. 39742/14, presentato dai ricorrenti nn. 1-4;

3.    Respinge, all'unanimità, l'obiezione preliminare del Governo secondo cui la Corte sarebbe stata interdetta dall'esaminare le domande in quanto sostanzialmente identiche a una questione sottoposta a un'altra procedura di indagine o regolamento internazionale;

4.    Accoglie, con sei voti contro uno, l'obiezione del Governo in merito allo status di vittima/locus standi delle associazioni ricorrenti (ricorrenti nn. 15, 16, 17, 18 e 19) ai sensi degli articoli 2 e 8 della Convenzione e dichiara irricevibili i loro ricorsi;

5.    Si unisce, all'unanimità, al merito dell'obiezione del Governo in merito allo status di vittima dei singoli ricorrenti ai sensi degli articoli 2 e 8 della Convenzione, e la respinge;

6.    Accoglie, all'unanimità, l'obiezione del Governo per quanto riguarda lo status di vittima ai sensi degli articoli 2 e 8 dei ricorrenti che non hanno risieduto, o i cui parenti deceduti non hanno risieduto, nei comuni elencati nelle direttive interministeriali pertinenti (ricorrenti n. 9, 14, 26, 27, 28, 30, 31, 32 e 33) e dichiara i loro ricorsi irricevibili;

7.    Respinge, all'unanimità, l'obiezione del Governo sul mancato esaurimento delle vie di ricorso interne;

8.    Respinge, all'unanimità, l'obiezione del Governo relativa al rispetto del termine di sei mesi per quanto riguarda i ricorrenti nn. 5, 7, 10, 12, 21, 24 e 25;

9.    Accoglie, all'unanimità, l'obiezione del Governo sul rispetto del termine di sei mesi per quanto riguarda i ricorrenti nn. 6, 8, 11, 13, 20, 22, 23, 29 e 34 e dichiara irricevibili i loro ricorsi;

10. Dichiara all'unanimità ricevibili i reclami presentati dai ricorrenti nn. 5, 7, 10, 12, 21, 24 e 25 ai sensi degli articoli 2 e 8 della Convenzione;

11. Ritiene, all'unanimità, che vi sia stata una violazione dell'articolo 2 della Convenzione;

12. Dichiara, con sei voti contro uno, che non è necessario esaminare separatamente i reclami dei ricorrenti ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione;

13. Dichiara, con sei voti contro uno, che non è necessario esaminare la ricevibilità e il merito del ricorso dei ricorrenti ai sensi dell'articolo 13 della Convenzione;

14. Dichiara, con sei voti contro uno, che non è necessario esaminare la ricevibilità e il merito del reclamo presentato dal ricorrente n. 5 ai sensi dell'articolo 2 della Convenzione;

15.   Dichiara, all'unanimità, che lo Stato convenuto deve introdurre, senza indugio e sotto il controllo del Comitato dei Ministri, entro due anni dalla data in cui la presente sentenza diventerà definitiva, misure generali in grado di affrontare in modo adeguato il fenomeno dell'inquinamento in questione, in linea con le raccomandazioni di cui ai paragrafi 494-500 della presente sentenza;

16. Decide, all'unanimità, di rinviare, in attesa dell'adozione delle misure necessarie a livello nazionale, tutte le domande analoghe contro l'Italia di cui il Governo non sia stato ancora informato per due anni dalla data in cui la presente sentenza diventerà definitiva;

17. Dichiara, all'unanimità, che la questione dell'applicazione dell'articolo 41 della Convenzione per quanto riguarda i danni non pecuniari non è pronta per essere decisa; di conseguenza,

(a)   si riserva di rispondere integralmente alla domanda;

(b)   si riserva l'ulteriore procedura e delega al Presidente della Camera il potere di fissarla, se necessario, in non meno di due anni dalla data in cui la presente sentenza diventa definitiva;

18. Regge, all'unanimità,

(a)   che lo Stato convenuto dovrà versare, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diventerà definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, i seguenti importi:

(i)   20.000 euro (ventimila euro), congiuntamente, ai ricorrenti n. 5, 7, 10 e 12, oltre a qualsiasi imposta a loro carico, a titolo di costi e spese, da versare direttamente sui conti correnti bancari dei loro rappresentanti e

(ii)   20.000 euro (ventimila euro), congiuntamente, ai ricorrenti n. 21, 24 e 25, oltre a qualsiasi imposta a loro carico, a titolo di costi e spese, da versare direttamente sui conti bancari dei loro rappresentanti;

(b)   che, a partire dalla scadenza dei suddetti tre mesi e fino al saldo, gli importi di cui sopra saranno gravati da interessi semplici a un tasso pari al tasso di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante il periodo di inadempienza, maggiorato di tre punti percentuali;

19. Respinge, con sei voti contro uno, il resto della domanda dei ricorrenti per le spese e i costi.

Fatto in inglese e notificato per iscritto il 30 gennaio 2025, ai sensi dell'articolo 77, paragrafi 2 e 3, del Regolamento della Corte.

 

 Ilse Freiwirth Ivana Jelić
 Presidente del Registro

Ai sensi dell'articolo 45 § 2 della Convenzione e dell'articolo 74 § 2 del Regolamento della Corte, i seguenti pareri separati sono allegati alla presente sentenza:

(a) Parere favorevole del giudice Krenc;

(b) Parere parzialmente concorde e parzialmente dissenziente del giudice Serghides.

 

 


PARERE CONCORDE DEL GIUDICE KRENC

(Traduzione)

1.  Ho condiviso tutte le disposizioni operative della presente sentenza, che è della massima importanza in quanto constata una violazione dell'articolo 2 della Convenzione e indica una serie di misure che lo Stato convenuto deve adottare in risposta al grave problema dell'inquinamento ivi individuato dalla Corte.

Vorrei tuttavia esporre separatamente le mie perplessità su un unico punto, relativo all'approccio della Corte al locus standi delle associazioni nelle cause ambientali.

2.  Nel caso di specie, nel rifiutare di riconoscere alle associazioni ricorrenti la legittimazione ad agire (punto 4 del dispositivo), la Corte si basa sulla sua tradizionale giurisprudenza secondo cui un'associazione può essere legittimata ad agire dinanzi alla Corte solo se è in grado di dimostrare di essere stata direttamente colpita dalla misura contestata, in altre parole, di averne subito essa stessa l'impatto (si vedano i paragrafi 215-22 della presente sentenza; si vedano anche Fédération nationale des associations et syndicats de sportifs (FNASS) e altri c. Francia, nn. 48151/11 e 77769/13, §§ 93-95, 18 gennaio 2018, e Čonka e Ligue des droits de l'homme c. Belgio (dec.), n. 51564/99, 13 marzo 2001).

3.  Nella causa Verein KlimaSeniorinnen Schweiz, la Corte ha alleggerito in modo significativo questa giurisprudenza, riconoscendo la possibilità per le associazioni, a determinate condizioni, di essere legittimate ad adire la Corte a causa delle azioni o dell'inazione degli Stati in materia di cambiamenti climatici (cfr. Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera [GC], no. 53600/20, §§ 489-503 e 525-26, 9 aprile 2024).

4.  La presente sentenza conferma, tuttavia, che questo alleggerimento della giurisprudenza è limitato al contesto molto specifico del cambiamento climatico e non può essere esteso ad altre forme di danno ambientale. I paragrafi 220 e 221 della presente sentenza sono inequivocabili su questo punto.

5.  Per molti questa posizione è comprensibile. Sebbene il cambiamento climatico sia un fenomeno globale che riguarda tutta l'umanità e che inevitabilmente si ripercuoterà sulle generazioni future, si sostiene che il danno ambientale è invece tracciabile e le sue vittime sono identificabili nel qui e ora.

6.  Tuttavia, devo confessare un certo sconcerto.

Sebbene il cambiamento climatico sollevi indubbiamente questioni specifiche e inedite, non è forse artificioso tracciare una distinzione così netta tra le questioni legate al clima, da un lato, e l'ambiente, dall'altro?

In entrambi i casi, è in gioco il diritto a un ambiente sano. A mio modesto parere, tutte le forme di danno ambientale, siano esse locali, transnazionali o globali, meritano la stessa attenzione per quanto riguarda il loro impatto sull'effettivo godimento dei diritti sanciti dalla Convenzione per le persone interessate. Non dobbiamo perdere di vista il fatto che in questo caso si tratta dell'articolo 2 della Convenzione, che sancisce il diritto alla vita, il cui rispetto determina il godimento degli altri diritti della Convenzione.

Inoltre, il danno ambientale derivante dall'inquinamento su larga scala ha effetti diffusi e non si può certo affermare che sia perfettamente circoscritto in un determinato perimetro e che non possa manifestarsi in futuro. Come si possono tracciare con certezza i confini del danno ambientale? Come si possono determinare con precisione le persone che saranno colpite da questo danno? Come si può essere così sicuri che questo danno non avrà un impatto sulle generazioni future, soprattutto in termini di salute? È ridicolo sostenere che l'onere del disinquinamento graverà anche sulle generazioni future, vista non solo la sua portata, ma anche i costi che comporta?

In altre parole, e per dirla chiaramente, clima e ambiente sono così distinti ed ermetici da giustificare due approcci fondamentalmente diversi per quanto riguarda il locus standi delle associazioni?

7.  Ricordo che nella Dichiarazione di Reykjavík (2023), i capi di Stato e di governo hanno sottolineato solennemente l'"urgenza" di agire per contrastare non solo il cambiamento climatico, ma anche l'inquinamento e la perdita di biodiversità. Tutte e tre le questioni fanno parte della "triplice crisi globale" che l'umanità sta affrontando. Hanno inoltre affermato che un ambiente pulito, sano e sostenibile è essenziale per il pieno godimento dei diritti umani da parte delle generazioni presenti e future.

8.  Non ignoro la fonte di questa discrepanza. Essa deriva dalla stessa sentenza Verein KlimaSeniorinnen Schweiz. In essa, la Corte ha allentato notevolmente il suo approccio al locus standi delle associazioni (cfr. Verein KlimaSeniorinnen Schweiz, §§ 489-503) e ha inasprito in modo significativo le condizioni relative allo status di vittima dei singoli richiedenti (ibidem, §§ 478-88). Più precisamente, la Corte ha allentato notevolmente il suo approccio al locus standi delle associazioni perché ha inasprito in modo significativo le condizioni relative allo status di vittima dei singoli richiedenti[4] . Non c'è dubbio che se la Corte non avesse aperto le porte alle associazioni, ciò avrebbe potuto comportare una lacuna estremamente dannosa in termini di tutela giudiziaria nel campo del clima.

9.  Il caso in esame è diverso, in quanto le persone interessate dall'inquinamento contestato hanno potuto rivolgersi alla Corte e ottenere da essa lo status di vittima. È inoltre degno di nota il fatto che tale status sia concesso, ai sensi dell'articolo 2 della Convenzione, alle persone che vivono nei comuni interessati dall'inquinamento, senza che sia necessario che esse dimostrino, individualmente, di essere state colpite da una malattia potenzialmente letale direttamente collegata alla loro esposizione all'inquinamento in questione (si vedano i paragrafi 390-392 della presente sentenza).

Pertanto, non vi è dubbio che la soluzione adottata nella presente sentenza sia coerente con la giurisprudenza consolidata della Corte, che riconosce alle associazioni un locus standi solo in "circostanze eccezionali" (cfr. Centre for Legal Resources per conto di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], no. 47848/08, §§ 104-14, CEDU 2014, e Association Innocence en Danger e Association Enfance et Partage c. Francia, nn. 15343/15 e 16806/15, §§ 119-32, 4 giugno 2020), o perché le vittime dirette sono morte senza eredi, o perché la loro estrema vulnerabilità impedisce loro di agire. Tuttavia, tali circostanze non sono state dimostrate nel caso in questione. Per questo motivo ho potuto votare con i miei stimati colleghi, in linea con l'attuale giurisprudenza.

10.  Tuttavia, l'approccio della Corte sembra discutibile in un momento in cui la legislazione interna degli Stati parte è sempre più incline a concedere alle associazioni il diritto di intraprendere azioni giudiziarie in materia ambientale.

Pertanto, e concretamente, dalla giurisprudenza attuale si evince che se un'associazione è stata costituita con lo scopo specifico di difendere i propri membri, che sono stati colpiti dalle conseguenze di un danno ambientale, le sarà negata la legittimazione ad agire dinanzi alla Corte, in quanto non può affermare di essere essa stessa vittima di una violazione della Convenzione, e questo anche se ha rappresentato i propri membri nel corso del procedimento interno. Spetta esclusivamente alle persone fisiche colpite dal danno ambientale rivolgersi alla Corte individualmente (cfr. Yusufeli İlçesini Güzelleştirme Yaşatma Kültür Varlıklarını Koruma Derneği v. Turkey (dec.), no. 37857/14, § 42, 7 dicembre 2021), un approccio che la presente sentenza conferma in modo inequivocabile (cfr. paragrafo 219) .[5]

Un'eccezione riguarda i casi in cui l'associazione lamenta l'iniquità del procedimento giudiziario interno di cui è stata parte. In tale situazione, è incontestato che l'associazione possa affermare di essere vittima diretta di una violazione dell'articolo 6 (cfr. Collectif national d'information et d'opposition à l'usine Melox - Collectif stop Melox e Mox c. Francia (dec.), n. 75218/01, 28 marzo 2006) .[6]

11.  A mio avviso, vi sono validi argomenti a favore della concessione della legittimazione ad agire dinanzi alla Corte alle associazioni che sono state autorizzate a rappresentare i propri membri dinanzi ai tribunali nazionali su questioni ambientali.

Ci sono, innanzitutto, ovvie ragioni legate all'efficacia dell'azione legale, alla concentrazione delle risorse umane e logistiche e alla condivisione dei costi. Un'associazione è un canale ideale per portare avanti un gran numero di richieste di risarcimento da parte delle vittime di danni ambientali. Nel caso di specie, la Corte riconosce espressamente il "ruolo chiave" svolto dalle associazioni ricorrenti (cfr. paragrafo 218).

In secondo luogo, vi sono considerazioni legate alla corretta amministrazione della giustizia. Di fronte a un disastro ambientale su larga scala, che può colpire centinaia di migliaia di persone[7] , è davvero ragionevole richiedere un ricorso alla Corte da parte di ciascuno degli individui interessati, i cui interessi sono stati validamente difesi da un'associazione a livello nazionale? La Corte non ha già adottato un approccio globale nel caso di specie, rinunciando a esaminare la situazione di ciascun individuo in relazione all'esposizione contestata ?[8]

In terzo luogo, se la sussidiarietà, che è alla base della Convenzione, non impedisca alla Corte di rimettere in discussione il locus standi concesso a un'associazione dalle autorità nazionali, dal momento che, secondo le stesse autorità, è l'azione di tale associazione quella più idonea a garantire una tutela effettiva della Convenzione a livello nazionale, al fine di prevenire, porre fine o riparare a una violazione. In effetti, la Corte ha già attribuito "notevole importanza" alla concessione di un locus standi a un'associazione a livello nazionale quando decide di riconoscere la sua legittimazione ad agire (cfr. Centro per le risorse legali per conto di Valentin Câmpeanu c. Romania, § 110; cfr. anche Association Innocence en Danger e Association Enfance et Partage c. Francia, § 122).

È chiaro che non si può pensare di aprire alle associazioni un accesso incondizionato alla Corte. Un'actio popularis deve ovviamente rimanere vietata. In realtà, siamo molto lontani da quest'ultimo scenario quando gli individui decidono di raggrupparsi e di ricorrere all'azione collettiva per dare voce alle loro rivendicazioni ambientali in modo più efficace, di fronte ad attori statali o privati che dispongono di risorse particolarmente ingenti .[9]

Si tratta infatti di una questione di accesso alla giustizia ambientale, per garantire che i diritti della Convenzione siano effettivamente "pratici ed effettivi" per tutte le persone interessate.

12.  Va notato a questo proposito che il riconoscimento della legittimazione ad agire non va confuso con la concessione dello status di vittima (cfr. Verein KlimaSeniorinnen Schweiz, § 464). Nella causa Verein KlimaSeniorinnen Schweiz, la Corte ha riconosciuto all'associazione ricorrente la legittimazione ad agire ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione (cfr. Verein KlimaSeniorinnen Schweiz, §§ 525 e 526; punto 4 del dispositivo), mentre ha ritenuto che essa potesse essere considerata "vittima" ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione (cfr. Verein KlimaSeniorinnen Schweiz, § 623; punto 9 del dispositivo).

13.  Nel caso di specie, sebbene "la Corte riconosca la funzione vitale delle associazioni come cani da guardia pubblici", applica la sua giurisprudenza consolidata secondo cui "quando un'associazione ricorrente si basa esclusivamente sui diritti individuali dei suoi membri, senza dimostrare di essere stata in qualche modo colpita in modo sostanziale, non le può essere riconosciuto lo status di vittima ai sensi di una disposizione sostanziale della Convenzione" (cfr. paragrafo 218). Inoltre, sottolineando che il caso di specie "non riguarda evidentemente la questione del cambiamento climatico", rifiuta di riconoscere alle associazioni ricorrenti la legittimazione ad agire per conto dei loro membri (cfr. paragrafo 221). In questo modo, la Corte intende chiaramente limitare la portata della sentenza Verein KlimaSeniorinnenSchweiz.

Con il dovuto rispetto, è difficile capire come un'associazione possa essere considerata l'organo ideale per intraprendere un'azione giudiziaria in materia di clima, ma che questa stessa constatazione non valga in materia ambientale, anche quando si tratta di inquinamento su larga scala che interessa un'ampia area e un gran numero di persone.

Ci si potrebbe legittimamente chiedere se l'approccio della Corte non sia "in contrasto con la realtà della società civile odierna, in cui le associazioni svolgono un ruolo importante, tra l'altro difendendo cause specifiche dinanzi alle autorità o ai tribunali nazionali, in particolare nell'ambito della protezione dell'ambiente" (cfr. Stop Melox (dec.), citato sopra).

14.  A mio avviso, la protezione dell'ambiente deve essere considerata nel suo complesso, indipendentemente dalla natura locale, transnazionale o globale delle minacce poste. Ciò che conta è l'impatto di queste violazioni sui diritti umani degli individui coinvolti.

È altrettanto chiaro che l'effettività del diritto a un ambiente salubre (per il quale la protezione della Convenzione è indiretta ma indiscutibile) dipende dalla possibilità di far valere tale diritto in giudizio di fronte all'inerzia delle autorità.

15.  Ritengo che il pragmatismo che domina l'attuale giurisprudenza sull'accesso delle associazioni alla Corte abbia i suoi limiti. La Corte si è già permessa di discostarsi in diverse occasioni dalla giurisprudenza che stabilisce che, per essere legittimata a ricorrere alla Corte, un'associazione deve essere stata essa stessa colpita dalla misura di cui si lamenta. Negli ultimi anni sono stati compiuti diversi e significativi passi in questo senso. È ora importante stabilire linee guida chiare e coerenti, specificando le eccezioni in termini generali e astratti, piuttosto che continuare ad autorizzare esenzioni, qua e là, caso per caso, sulla base di "circostanze eccezionali" (Centro per le risorse legali per conto di Valentin Câmpeanu, § 112) o "considerazioni speciali" (Verein KlimaSeniorinnen Schweiz, § 475).

 

 


PARERE PARZIALMENTE CONCORDE E PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEL GIUDICE SERGHIDES

1.  Il presente caso, molto delicato e sfortunato, riguarda l'asserita mancata adozione da parte delle autorità italiane di misure adeguate e sufficienti a tutelare la vita, la salute e il diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti in aree della Regione Campania interessate da un fenomeno di inquinamento su vasta scala derivante da discariche abusive, interramento e/o abbandono incontrollato di rifiuti pericolosi, speciali e urbani, spesso associati al loro incenerimento. Non si tratta di un semplice problema, ma di un fenomeno potenzialmente letale.

2.  Ho votato a favore di tutti i punti del dispositivo della sentenza ad eccezione dei punti 4, 12-14 e 19. In particolare:

(a) Non ho condiviso la decisione di accogliere l'obiezione del Governo in merito alla mancanza dello status di vittima/locus standi delle associazioni ricorrenti (ricorrenti nn. 15, 16, 17, 18 e 19) ai sensi degli articoli 2 e 8 della Convenzione e di dichiarare i loro ricorsi irricevibili. La sentenza nel presente caso (si vedano i paragrafi 220-222) si distingue da Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera ([GC], n. 53600/20, §§ 498-499, 9 aprile 2024) e conclude che, poiché non si tratta di cambiamenti climatici come in quel caso, ma piuttosto di inquinamento ambientale, non vi erano considerazioni specifiche che pesassero a favore del riconoscimento della possibilità per le associazioni di avere la legittimazione ad agire davanti alla Corte. A mio modesto avviso, questa conclusione è errata per quattro motivi. In primo luogo, tale distinzione è molto tecnica e non sostanziale; in secondo luogo, Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri si è limitata ai propri fatti senza escludere l'esistenza di considerazioni specifiche in altri casi, come il presente, che giustificano l'applicazione della procedura del giudizio pilota (si vedano i paragrafi 490-92 della sentenza); in terzo luogo, nel caso di specie sussistevano circostanze specifiche che richiedevano la concessione della legittimazione ad agire alle associazioni ricorrenti; infine, il termine "vittima" di cui all'articolo 34 della Convenzione deve essere interpretato e applicato in modo autonomo, ampio ed evolutivo secondo il principio di effettività (cfr. Gorraiz Lizarraga e altri c. Spagna, no. 62543/00). Spagna, n. 62543/00, §§ 35 e 38, 27 aprile 2004), in modo da includere le associazioni ricorrenti nel presente caso.

Diversi fattori o considerazioni possono sostenere l'argomentazione presentata secondo cui il caso in esame presenta "caratteristiche speciali" che giustificano il recepimento del test del locus standi per le ONG sviluppato in Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri, e che distinguono il caso in esame da Yusufeli Ilçesini Güzelleştirme Yaşatma Kültür Varliklarini Koruma Derneği c. Turchia (dec.), no. 37857/14, 7 dicembre 2021, che, probabilmente, riguardava una fonte localizzata di inquinamento chimico su piccola scala. In primo luogo, come si evince dai fatti del caso, l'inquinamento da rifiuti in Campania è su larga scala e diffuso in una regione agricola molto densamente popolata; le sostanze tossiche che ne derivano sono state trovate nel suolo, nell'acqua e nell'aria. Gli effetti di questo inquinamento sono diffusi e a lungo termine, dato che è noto che gli inquinanti provenienti da una cattiva gestione dei rifiuti urbani si bioaccumulano nella catena alimentare e nel latte materno, con potenziali conseguenze multigenerazionali[10] . In secondo luogo, come affermato in diversi rapporti pubblicati, tra gli altri, dal Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, i rifiuti incontrollati non conoscono confini, poiché vengono trasportati dai corsi d'acqua attraverso e tra i Paesi[11] . I rifiuti smaltiti sulla terraferma possono causare l'inquinamento a lungo termine delle fonti di acqua dolce da parte di agenti patogeni, metalli pesanti, sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino e altri composti pericolosi[12] . La combustione a cielo aperto dei rifiuti rilascia inquinanti organici persistenti non intenzionali, le cosiddette "sostanze chimiche per sempre", che possono essere trasportate per lunghe distanze nell'aria, persistere nell'ambiente, biomagnificarsi e bioaccumularsi negli ecosistemi[13] . Le emissioni derivanti dalla combustione e dallo scarico a cielo aperto dei rifiuti si depositano negli ecosistemi terrestri e acquatici e nell'atmosfera[14] . L'inquinamento da rifiuti è associato a una serie di effetti negativi sulla salute e sull'ambiente, molti dei quali durano per generazioni[15] . È stato stimato che ogni anno muoiono tra 400.000 e 1 milione di persone a causa di malattie legate alla cattiva gestione dei rifiuti, tra cui diarrea, malaria, malattie cardiache e cancro[16] . In terzo luogo, "le pratiche di gestione dei rifiuti pericolose o non sicure, come la combustione all'aperto, possono danneggiare direttamente i lavoratori dei rifiuti o i residenti delle comunità vicine [e] i gruppi vulnerabili, tra cui le donne, i bambini e le comunità emarginate, sono a maggior rischio di esiti negativi per la salute"[17] . In quarto luogo, i rifiuti sono intrinsecamente legati alla triplice crisi planetaria del cambiamento climatico, dell'inquinamento e della perdita di biodiversità[18] . In particolare, "i rifiuti mal gestiti generano un'ampia gamma di emissioni che contribuiscono al cambiamento climatico, in particolare il metano proveniente dalle discariche e dai siti di smaltimento, il black carbon e una serie di altre emissioni derivanti dalla pratica diffusa di bruciare i rifiuti a cielo aperto"[19] . In quinto luogo, la bonifica (clean-up) dei siti contaminati dai rifiuti accumulati e il ripristino di tali siti (riportando le aree interessate al loro stato ecologico iniziale) comporteranno necessariamente misure tecniche complesse, a lungo termine e costose, che richiederanno una spesa significativa da parte dei fondi pubblici[20] . Il miglioramento della gestione dei rifiuti può richiedere anche il coinvolgimento del settore privato e un cambiamento nelle abitudini di consumo della società .[21]

Alla luce di tutte queste considerazioni, è lecito concludere che la situazione nel caso di specie, non dissimile da quella del Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri, solleva una questione di ripartizione intergenerazionale degli oneri e si ripercuote più pesantemente su vari gruppi vulnerabili della società, che necessitano di particolare attenzione e protezione da parte delle autorità[22] . Inoltre, le emissioni derivanti dallo smaltimento incontrollato dei rifiuti, analogamente a quelle dei gas serra, producono conseguenze dannose come risultato di una complessa catena di effetti e non hanno alcun riguardo per i confini nazionali[23] . Allo stesso modo, l'inquinamento da rifiuti e la sua gestione colpiscono e continueranno a colpire intere popolazioni, anche se in modi e gradi diversi e con conseguenze più o meno gravi e imminenti[24] . Sebbene le misure di mitigazione possano essere generalmente localizzate e limitate a siti specifici da cui provengono gli effetti nocivi, la dimensione già ampia e ancora in crescita del problema dei rifiuti rende la mitigazione necessariamente una questione di politiche normative globali e di cooperazione tra vari enti pubblici, il settore privato e la società. In questo senso, l'inquinamento da rifiuti, come il cambiamento climatico, è una questione policentrica che richiede una trasformazione globale e profonda in vari settori dell'economia, nonché "un insieme complesso e ampio di azioni, politiche e investimenti coordinati che coinvolgono sia il settore pubblico che quello privato"[25] . Poiché la lotta efficace al problema dei rifiuti richiederà una riduzione significativa della loro produzione, anche i singoli cittadini saranno chiamati ad assumersi una parte di responsabilità e di oneri. Pertanto, le politiche di lotta all'inquinamento da rifiuti implicano inevitabilmente questioni di accomodamento sociale e di condivisione degli oneri intergenerazionali, sia nei confronti delle diverse generazioni di coloro che vivono attualmente, sia nei confronti delle generazioni future .[26]

Il presente parere può essere considerato un buon esempio di dimostrazione del fatto che la scienza svolge un ruolo importante nell'affrontare le questioni giuridiche, in particolare nei settori dei diritti umani e del diritto ambientale. Esaminando come la presenza di conoscenze scientifiche cognitivamente autorevoli influisca sulle modalità di formulazione di sentenze convincenti e (epistemicamente) legittime, Sulyok conclude, tra l'altro, che:

"Se i giudici dovessero trascurare le importanti differenze tra le modalità di creazione di giustificazioni epistemicamente legittime per accettare o confutare le affermazioni di conoscenza basate sulla scienza, le loro decisioni diventerebbero imprecise e vulnerabili alle sfide di legittimità. Tuttavia, se i giudici rispettano le condizioni di legittimità epistemica, sono in grado di sfruttare l'autorità cognitiva della scienza per rafforzare la forza convincente delle loro scoperte".[27]

(b) Non sono d'accordo con i paragrafi 469-472 e con i corrispondenti punti 12-14 del dispositivo, vale a dire che non è necessario esaminare separatamente i reclami dei ricorrenti ai sensi degli articoli 8 e 13 della Convenzione e il reclamo presentato dal ricorrente n. 5 ai sensi dell'articolo 2, parte procedurale. Poiché ho recentemente assunto la stessa posizione nella mia opinione parzialmente dissenziente nella causa Adamčo c. Slovacchia (n. 2) (n. 55792/20 e altri 2, 12 dicembre 2024 (non ancora definitiva)), in cui ho presentato in modo esauriente tutte le argomentazioni rilevanti per la questione in oggetto, in particolare il mio disaccordo sulla distinzione tra reclami "principali" e "secondari", scelgo di fare riferimento a tale opinione piuttosto che riproporre le stesse argomentazioni in questa sede.

(c) Avendo dissentito dai punti 12-14 del dispositivo della sentenza e dai corrispondenti punti 469-472 del testo della sentenza, dissento anche dal rigetto della restante richiesta di spese dei ricorrenti ai sensi del punto 19 del dispositivo.

3.  Passo ora alla parte della mia opinione in cui concordo. Condivido pienamente il ragionamento della sentenza che porta alla violazione dell'articolo 2 della Convenzione. Tuttavia, desidero fare riferimento ad alcune prospettive per chiarire ulteriormente il mio ragionamento e fornire ulteriori spunti di riflessione sulla questione, anche fornendo umilmente una spiegazione della base giuridica, del fondamento e della fonte della protezione ambientale ai sensi dell'articolo 2 della Convenzione, nonché elaborando alcune delle componenti di tale protezione.

4.  A titolo introduttivo, ritengo utile fare riferimento al commento del Comitato per i diritti umani sulla portata del diritto alla vita:

"Il diritto alla vita è un diritto che non deve essere interpretato in modo restrittivo. Riguarda il diritto degli individui di essere liberi da atti e omissioni che sono destinati o possono essere previsti per causare la loro morte innaturale o prematura, così come di godere di una vita con dignità".[28]

A questo proposito, è opportuno fare riferimento anche a un'importante osservazione fatta da Pikis, J., in una causa cipriota, ovvero Community of Pyrga and Others v. Republic of Cyprus and Others, ((1991) 4 Cyprus Law Reports 3498, a p. 3507) in cui ha profondamente osservato che il diritto alla vita - facendo riferimento all'articolo 7 § 1 della Costituzione cipriota, che si basa sull'articolo 2 § 1 della Convenzione - "non si limita alla protezione dell'esistenza, ma si estende anche alle condizioni fondamentali necessarie per la sopravvivenza umana nell'ambiente in cui si vive".

5.  Ciò premesso, mi permetto di affermare che un aspetto del diritto alla vita di cui all'articolo 2 della Convenzione - la sua protezione dall'inquinamento ambientale e da altri rischi - comprende il sottodiritto ad essere liberi dall'inquinamento ambientale o da altri rischi ambientali che possono mettere in pericolo la vita umana[29] . Questo sottodiritto è implicito nell'articolo 2, come lo è nell'articolo 8 e in molte altre disposizioni della Convenzione e non è diverso dal sottodiritto a un ambiente sano, pulito e sostenibile ai sensi della Convenzione che ho trattato nelle mie opinioni concordanti in Pavlov e altri c. Russia, no. 31612/09, 11 ottobre 2022, e Kotov e altri c. Russia, nn. 6142/18 e altri 13, 11 ottobre 2022, in cui ho anche sostenuto la necessità di un nuovo protocollo che tratti il diritto sostanziale a un ambiente sano, pulito, sicuro e sostenibile.

6.  Come ho sostenuto in quei casi, il fondamento della protezione ambientale nella Convenzione è la norma di efficacia sancita dalle sue disposizioni. È la suddetta norma di efficacia, in quanto matrice o fonte fondamentale che alimenta, genera e sviluppa un diritto, nella fattispecie il diritto di cui all'articolo 2, tenendo conto dell'oggetto e dello scopo della Convenzione, in particolare dell'articolo 2, e il quale diritto richiede e comporta anche il diritto implicito a un ambiente sano, indispensabile per l'esercizio e il godimento del diritto al rispetto del proprio diritto alla vita. Questo sottodiritto dell'art. 2 è un diritto umano implicito o implicito di carattere ambientale. È un diritto implicito nello stesso modo in cui il diritto di accesso a un tribunale è un diritto implicito, accessorio o secondario rispetto al diritto a un equo processo ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione (cfr. Golder c. Regno Unito, 21 febbraio 1975, Serie A n. 18).

7.  L'emergere del sottodiritto in questione ai sensi dell'articolo 2, dalla norma di effettività, può essere concretizzato attraverso un'interpretazione ampia, evolutiva e dinamica data dalla Corte, aiutata dalla dottrina dello strumento vivente (che adatta la Convenzione alle condizioni attuali) e dagli sviluppi del diritto internazionale e della dottrina degli obblighi positivi, secondo la quale gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire l'esercizio e il godimento del diritto alla vita libera da rischi ambientali. Queste due dottrine sono, a mio avviso, capacità o funzioni o dimensioni del principio di effettività come norma di diritto internazionale, investite della particolare missione di assistere lo sviluppo della norma di effettività e di assicurare che i diritti della Convenzione siano sempre concreti ed effettivi. D'altra parte, il principio di effettività come metodo di interpretazione può aiutare la norma di effettività nella sua applicazione pragmatica nelle circostanze particolari di un caso. Senza l'espansione della norma sull'effettività e lo sviluppo di questo sottodiritto, mancherebbe un aspetto del diritto alla vita, completamente non tutelato e in pericolo per i rischi ambientali. Pertanto, questo sottodiritto o diritto indiretto derivante dalla norma di effettività è estremamente importante per la protezione dell'ambiente. Come sostiene perspicacemente Kobylarz,

"Il sistema di protezione indiretta dell'ambiente di Strasburgo può garantire, da un lato, una risposta più adeguata alle rivendicazioni dei diritti umani della società odierna e, dall'altro, una protezione più significativa dell'ambiente naturale".[30]

8.  La norma dell'effettività, alla base della protezione dell'ambiente ai sensi dell'articolo 2, non va ricercata solo nel "diritto" alla vita in sé, ma anche nell'ambito della "vittima" di una presunta violazione ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione. Il termine "vittima" deve essere letto insieme alla parola "tutti" nell'articolo 2 della Convenzione, in modo da includere senza discriminazioni ogni persona che sia vittima di una violazione di carattere ambientale, come i ricorrenti nel presente caso. A mio avviso, sono il principio di effettività come norma di diritto internazionale e l'interpretazione data dalla Corte ad ampliare la portata sia del "diritto" che della "vittima", in modo da proteggerli da qualsiasi inquinamento e pericolo ambientale.

9.  Desidero sottolineare l'importanza della dovuta diligenza come elemento della norma di effettività del diritto alla vita di cui all'articolo 2 e, in particolare, la sua dimensione consistente nell'adempimento da parte degli Stati membri dei loro obblighi positivi di proteggere le vite umane dall'inquinamento ambientale e da altri pericoli. Nel contesto dei diritti umani e del diritto internazionale, la dovuta diligenza sottolinea la responsabilità degli Stati di adottare misure ragionevoli e proattive per prevenire i danni, sostenere il diritto alla vita e altri diritti umani e garantire la sicurezza. In altre parole, la dovuta diligenza richiede che gli Stati agiscano con cura e vigilanza nell'adempimento dei loro obblighi, tra cui prevenire i danni, assicurare la responsabilità, rispettare le norme internazionali, come lo stato di diritto e la buona fede, e adempiere ai doveri proattivi.

10.  La dovuta diligenza, come sancito dalla norma sull'effettività del diritto alla vita, richiede agli Stati membri non solo di riconoscere questo diritto in teoria, ma anche di assicurarne la realizzazione pratica. Rientra nella giurisdizione o nella sfera di competenza della Corte valutare se lo Stato abbia affrontato il problema con la diligenza richiesta, data la natura e la gravità della minaccia in questione (si veda il paragrafo 396 della sentenza)[31] . Lo standard della dovuta diligenza è stato espresso attraverso il dovere di adottare misure "ragionevoli e appropriate"[32] . Nel contesto della dovuta diligenza e del principio di prevenzione nell'ambito del diritto a un ambiente sano in quanto tale, il seguente passaggio della sentenza adottata dalla Corte interamericana il 4 luglio 2024 nel Caso Pueblo Indígena U'wa y sus miembros vs. Colombia è molto pertinente:

"293. ... la Corte ha sottolineato che il principio della prevenzione del danno ambientale fa parte del diritto internazionale consuetudinario e comporta l'obbligo per gli Stati di adottare le misure necessarie ex ante al verificarsi del danno ambientale, tenendo conto che, a causa delle sue peculiarità, spesso non sarà possibile, dopo che tale danno si è verificato, ripristinare la situazione preesistente. In virtù di questo principio, gli Stati sono tenuti a utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione per evitare che le attività sotto la loro giurisdizione causino danni significativi all'ambiente. Tale obbligo deve essere adempiuto nel rispetto dello standard di dovuta diligenza, che deve essere appropriato e proporzionato al grado di rischio del danno ambientale, il che implica che nelle attività notoriamente più rischiose, come l'uso di sostanze altamente inquinanti, l'obbligo ha uno standard più elevato. D'altra parte, la Corte ha sottolineato che, sebbene non sia possibile enumerare tutte le misure che gli Stati potrebbero adottare per rispettare l'obbligo di prevenzione, è possibile individuarne alcune, relative ad attività potenzialmente dannose. [Si tratta degli obblighi di: (i) regolamentare; (ii) supervisionare e monitorare; (iii) richiedere e approvare valutazioni di impatto ambientale; (iv) stabilire piani di emergenza; e (v) mitigare, quando si è verificato un danno ambientale".[33]

L'azione tempestiva è una componente fondamentale della due diligence, perché influisce direttamente sulla capacità di prevenire i danni, proteggere gli interessati e garantire la responsabilità.

Per quanto riguarda la "tempestività" come parte della dovuta diligenza, un principio pertinente della giurisprudenza della Corte è che le misure pertinenti devono essere applicate in modo tempestivo ed efficace[34] . A causa dell'obbligo internazionale di prevenire il danno ambientale e di ridurre al minimo il rischio ambientale, la tempestività della risposta delle autorità a una situazione di inquinamento pericoloso acquisisce un'importanza primordiale[35] , come giustamente sottolineato nella presente sentenza al paragrafo 396.

La norma dell'efficacia, sancita dall'articolo 2 e da altre disposizioni della Convenzione, rafforza ulteriormente l'importanza della tempestività. I diritti non devono esistere solo in teoria, ma devono essere garantiti in modo significativo nella pratica. Risposte non tempestive, anche se ben intenzionate, possono non riuscire a proteggere adeguatamente gli individui, rendendo il diritto alla vita e gli altri diritti umani non pratici ed effettivi, ma teorici e illusori. La tempestività è fondamentale anche nell'indagare e affrontare le violazioni dei diritti. Gli Stati membri hanno l'obbligo di condurre indagini rapide e approfondite sulle presunte violazioni per stabilire le responsabilità e fornire rimedi.

11.  Oltre alla partecipazione pubblica al processo decisionale e all'accesso alla giustizia, un importante elemento procedurale del diritto implicito a un ambiente sano, indispensabile per l'esercizio e il godimento del diritto al rispetto del proprio diritto alla vita, è l'accesso alle informazioni ambientali. Kobylarz sostiene in modo pertinente che:

"Ai sensi dell'articolo 2, la fornitura di informazioni essenziali sulle situazioni di pericolo di vita fa parte dell'obbligo dello Stato di adottare misure preventive. Tali informazioni consentono agli individui di valutare i rischi per la loro vita o la loro salute e di ridurre al minimo le conseguenze dell'esposizione. L'applicabilità dell'articolo 2 richiede, da parte del richiedente, il verificarsi della morte o di una situazione di pericolo di vita, compresa una malattia letale, e, da parte dello Stato, che la minaccia fosse nota o avrebbe dovuto essere nota".[36]

La sentenza in esame discute giustamente l'importanza dell'accesso alle informazioni ambientali nel paragrafo 382 (relativo ai principi generali) e conclude giustamente che tale diritto non è stato rispettato nel caso di specie (si vedano i paragrafi 454-458 in cui la Corte effettua la propria valutazione sull'applicazione dei principi generali, in particolare alla voce "Se le autorità abbiano adottato misure adeguate alle circostanze" e alla sottovoce "Misure relative alla fornitura di informazioni". Vale la pena di fare riferimento a quanto stabilito dalla sentenza al paragrafo 457:

"... che un fenomeno di inquinamento di tale portata, complessità e gravità richiedeva, come risposta da parte delle autorità, una strategia di comunicazione completa e accessibile, al fine di informare il pubblico in modo proattivo sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi".

Va notato che l'accesso all'informazione ambientale, che può essere considerato come un sottodiritto del suddetto diritto implicito e parte della sua norma di efficacia, è stato riconosciuto come esistente, oltre ad altre disposizioni della Convenzione, anche nell'ambito dell'articolo 2[37] . Ciò premesso, mi permetto di affermare che questo sottodiritto avrebbe dovuto essere goduto anche dalle associazioni ricorrenti (nn. 15, 16, 17, 18 e 19).

12.  Alla luce di quanto detto nei paragrafi 383-464 della presente sentenza e nel presente parere, concludo, come fa la sentenza nel paragrafo 465, cioè "che il Governo non ha dimostrato che le autorità italiane hanno affrontato il problema della Terra dei Fuochi con la diligenza giustificata dalla gravità della situazione" e "che non hanno dimostrato che lo Stato italiano ha fatto tutto ciò che poteva essere richiesto per proteggere le vite dei ricorrenti". Concludo quindi, come fa la sentenza al paragrafo 467, "che vi è stata una violazione dell'articolo 2 della Convenzione".

13.  Infine, per quanto riguarda la parte della presente sentenza relativa all'applicazione dell'articolo 46 della Convenzione che condivido pienamente, desidero fare riferimento alla mia opinione concorrente nella causa Georgiou c. Grecia (n. 57378/18, 14 marzo 2023), in cui ho approfondito le basi giuridiche del potere della Corte di contribuire all'attuazione delle proprie sentenze e ho spiegato la differenza tra l'attuazione e l'esecuzione delle sue sentenze. Nell'ambito di queste basi giuridiche, ho incluso il principio di effettività come norma di diritto internazionale, a cui ho fatto riferimento anche in questo parere in un contesto diverso.

 

 

 


ALLEGATO I

 

No.
Domanda n. 
Alloggiato

su:
Richiedente

Data di nascita

Luogo di residenza
Rappresentato da :
Persona deceduta, data del decesso e legame con il richiedente 
Luoghi di residenza precedenti del richiedente o della persona deceduta 
Stato della vittima
Malattia
1.
39742/14
28/04/2014
Annamaria DI CAPRIO

07/08/1958

SAN TAMMARO (CE)
Giuseppe AMBROSIO
 
Santa Maria Capua Vetere (CE), 07.08.1958 19.03.1996

 

San Tammaro (CE) dal 19.03.1996
Vittima diretta 
Cancro al seno 
2.
39742/14
28/04/2014
Annamaria DIANA

20/07/1945

ERCOLANO (NA)
Giuseppe AMBROSIO
 
Ercolano (NA) dal 01.01.1984
Vittima diretta 
Cancro uterino
3.
39742/14
28/04/2014
Carolina OLIVIERO

07/08/1975

TORRE DEL GRECO (NA)
Giuseppe AMBROSIO
 
Torre del Greco (NA)

dal 07.08.1975
Vittima diretta
Cancro del colon in fase terminale
4.
39742/14
28/04/2014
Anna INSERVIENTE

12/02/1937

BOSCOREALE (NA)

Coniuge della persona deceduta

 

Elisabetta TORRENTE

26/04/1959

BOSCOREALE (NA)

Figlia del defunto 
Giuseppe AMBROSIO
TORRENTE Giovanni

Morto il

01.04.2010

 

 
Boscoreale (NA), 19.07.1975 01.04.2010
Vittima indiretta 
Carcinoma del colon con metastasi
5.
51567/14
12/11/2014
Mario CANNAVACCIUOLO

09/01/1950

ACERRA
Antonella MASCIA

 

Valentina CENTONZE

 

Armando

CORSINI
 
Acerra (NA)

dal 09.01.1950
Vittima diretta
 
6.
51567/14
12/11/2014
Giulia ANGELINI

03/06/1970

VILLARICCA

Genitore della persona deceduta

 

Salvatore D'ALTERIO

02/09/1968

VILLARICCA

Genitore della persona deceduta 
Antonella MASCIA

 

Valentina CENTONZE

 

Armando

CORSINI
D'ALTERIO

Alessia

Morto il 31.05.12
Giugliano in Campania (NA), 02.09.2003

19.08.2011

Villaricca (NA), 19.08.2011

31.05.2012
Vittima indiretta
Tumore al cervello
7.
51567/14
12/11/2014
Maria Jose ARDIZZONE

28/01/1932

CASALE DI PRINCIPE
Antonella MASCIA

 

Valentina CENTONZE

 

Armando

CORSINI
 
San Cipriano d'Aversa (CE), 14.12.1965 21.11.1974

Castelvolturno (CE)

21.11.1974 15.10.1983

Casal di Principe (CE)

dal 27.11.1985
Vittima diretta
Problemi respiratori
8.
51567/14
12/11/2014
Raffaella ARENA

16/10/1975

GIUGLIANO IN CAMPANIA

Madre della persona deceduta

 

 

Daniele MICCINELLI

21/12/1973

GIUGLIANO IN CAMPANIA

Padre del defunto 
Antonella MASCIA
MICCINELLI

Francesco

Morto il 21.02.13
Giugliano in Campania (NA), 28.06.2004

21.02. 2013
Vittima indiretta
Carcinoma del fegato, della cistifellea e dei dotti biliari