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Termine per rescissione del giudicato decorre anche all'estero (Cass. 36560/21)

8 ottobre 2021, Cassazione penale

La decorrenza "differenziata" del termine per chiedere la restituzione in termini per il condannato all'estero estradato in Italia dal momento della consegna e non della conoscenza non è trasponibile alla rescissione del giudicato.

Il termine di trenta giorni previsto per la presentazione della richiesta di resti tuzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale decorre, per chi si trovi, al momento della notificazione dell'atto giudiziale. detenuto all'estero, dalla data della consegna allo Stato italiano e non già dal giorno di avvenuta conoscenza dell'esistenza della condanna definitiva.

Corte di Cassazione

Sezione IV penale Num. 36560  Anno 2021

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA

Relatore: PEZZELLA VINCENZO

Data Udienza: 22/09/2021 - dep. 8/10/2021

 SENTENZA

sul ricorso proposto da:

VA nato il **/1973

avverso l'ordinanza del 24/11/2020 della CORTE APPELLO di TRIESTE

udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;

lette le conclusioni del PG

 RITENUTO IN FATTO

 1. La Corte di Appello di Trieste, in data  24/11/2020,  dichiarava inammissibile il ricorso teso ad ottenere la rescissione del giudicato della sentenza n. 944/2016 del 6/9/2016, irrevocabile il 20/1/2017, del Tribunale di Pordenone - con cui era stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione per il reato di cui all'art. 95 DPR n. 115/2002 commesso in data 7/3/2014 a Pordenone proposta in favore dell'odierno ricorrente VA, attualmente detenuto presso il Carcere di Bovington (Regno Unito) in virtù del mandato d'arresto europeo emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone nel proc. nr . SIEP 64/2017.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il V., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.  Il ricorrente, che allega al ricorso i documenti che menziona, premette che  dalla lettura del m.a.e. si evince che il V. è stato interessato da due sentenze  di condanna:

1. la pronuncia n. 374/2015 R.G. Sent., emessa dal Tribunale di  Pordenone in data 23/3/2015, divenuta irrevocabile in data 21/7/2016; 

2.  la pronuncia n. 944/2016 R.G. Sent. emessa dal Tribunale di Pordenone il 6/9/2016 e  divenuta irrevocabile il 20/1/2017.  Tuttavia -prosegue il ricorso- il già menzionato m.a.e. ha ad oggetto unicamente la sentenza di condanna n. 374/2015 R.G. Sent. riguardante il reato di cui  all'art. 256 co. 1 D.LVO n. 152/2006, non indicando di contro né il reato né tanto- meno la condotta contestata al V. nel diverso procedimento penale n.  611/2015 R.G. N.R. svoltosi dinnanzi al Tribunale di Pordenone e conclusosi con  la sentenza n. 944/2016 R.G. Sent.  

Tale mandato d'arresto europeo veniva notificato ed eseguito nei confronti del  V. il 18/7/2017 quando veniva arrestato durante un controllo di polizia nel  Regno Unito a Londra.  Ebbene, evidenzia il ricorrente che, a seguito dell'esecuzione del m.a.e., al  condannato detenuto all'estero non veniva mai notificato l'ordine di esecuzione di  pene concorrenti e di carcerazione emesso dalla Procura della Repubblica di Por- denone nei suoi confronti. né la copia delle sentenze di condanna sopra indicate.

Dunque, solo dopo la notifica del m.a.e., il V. si rendeva conto di essere stato  interessato, oltre che dalla sentenza di condanna n. 374/2015 R.G. Sent, anche  da un'altra pronuncia (la n. 944/2016) nell'ambito del procedimento penale n.  611/2015 R.G. N.R., svoltosi in sua assenza, alla pena di anni 2 di reclusione oltre  alla multa, senza però poter comprendere l'imputazione sollevatagli ed il reato contestatogli. né le circostanze di tempo e di luogo dei fatti, non essendo indicate  nel m.a.e.  

In seguito - prosegue il ricorso- al fine di far luce su tale pronuncia di con- danna, il V. prendeva contatti con il difensore oggi ricorrente e lo incaricava di  accedere alla cancelleria del Tribunale di Pordenone e di prendere visione del fa- scicolo processuale del procedimento penale n. 611/2015 R.G. N.R. nonché di  estrarre copia, come di fatto avvenuto, dopo pochi giorni dalla ricezione del man- dato fiduciario a mezzo posta, in data 17/9/2020.

Solo successivamente, allorquando il V. affidava mandato fiduciario al difensore, apprendeva che la pena  detentiva in esecuzione nei suoi confronti riguardava, oltre al reato di cui all'art.  256 co. 1 D.Ivo n. 152/2006, anche la condanna (pari ad anni 2 e mesi 2 di reclu- sione) emessa con la sentenza n. 944/2016 R.G. N.R. del Tribunale di Pordenone  nel processo svoltosi a suo carico per il reato di cui all'art. 95 DPR n. 115/2002  commesso in data 7/3/2014 a Pordenone per avere attestato nell'istanza di gra- tuito patrocinio presentata nel proc. pen. n. 2732/2012 R.G. N.R. della Procura  della Repubblica di Pordenone di non aver percepito alcun reddito nel 2013 ottenendo pertanto l'ammissione al gratuito patrocinio, omettendo di dichiarare i redditi percepiti dai familiari con lui conviventi complessivamente superiori ai limiti di  legge per l'ottenimento di tale beneficio.  

Il ricorrente dà atto delle risultanze del fascicolo processuale relativo al processo in questione da cui si evincerebbe che il Tribunale di Pordenone avrebbe  proceduto in violazione degli artt. 420bis e ss. allorquando ha dichiarato l'assenza  dell'imputato e ha proceduto al dibattimento nei suoi confronti.

La sentenza di  primo grado veniva poi depositata nei termini in data 24/10/2016, non veniva  impugnata dal difensore d'ufficio e, pertanto, diventava esecutiva in data  20/1/2017;  

Il ricorrente

-ribadito che al condannato, detenuto in esecuzione del m.a.e.  presso il carcere inglese, non sono stati notificati né la copia della sentenza di  condanna emessa nei suoi confronti (essendo stato abrogato l'art. 548 comma 3  cod. proc. pen. dalla I. n. 67/2014), né l'ordine di esecuzione di pene concorrenti  emesso dalla Procura della Repubblica di Pordenone

- ricorda che il V. non è  stato ancora consegnato all'autorità italiana e si trova ancora detenuto all'estero  in esecuzione del m.a.e. emesso dalla Procura pordenonese e notificatogli in data  18/7/2018.  

Ciò posto, il V., tramite il proprio procuratore speciale, avanzava, con atto  depositato in data 6/10/2020, richiesta di rescissione del giudicato a suo carico ai  sensi dell'art. 629-bis cod. proc. pen., ritenendo sussistenti tutti i presupposti di  legge e, in via preliminare (motivo n. 1 del ricorso), affrontava il profilo della  tempestività della richiesta laddove il difensore evidenziava che il V. si trova  ncora detenuto all'estero in virtù del m.a.e. (provvedimento che non ha efficacia  di un titolo esecutivo interno), non essendo ancora stato consegnato all'autorità  italiana né avendo mai ricevuto la notifica dell'ordine di esecuzione di pene con- correnti e/o della sentenza di condanna resa in sua assenza, con la conseguenza  che, ritenendo applicabile in via analogica l'art. 175 co. 2 bis cod. proc. pen. , il  dies a quo  di cui all'art. 629-bis cod. proc. pen. non risulterebbe ancora decorso.  

Oppure, qualora non si aderisse a tale interpretazione sistematica ed analogica  degli artt. 629 bis cod. proc. pen. e 175 co. 2 bis cod. proc. pen. il  dies a quo  per  valutare la tempestività della domanda di rescissione del giudicato presentata dal  V. doveva essere in ogni caso individuato nel giorno 17/9/2020, data in cui il  difensore di fiducia aveva fatto accesso alla cancelleria del dibattimento del Tribu- nale di Pordenone, così rendendo edotto il V. dell'addebito a lui contestato,  delle circostanze di tempo e di luogo del fatto, nonché dello svolgimento del pro- cesso in sua assenza con riguardo alla sentenza n. 944/16 R.G. Sent.

Tuttavia, come ricordato in premessa, la Corte d'Appello di Trieste, dopo avere  acquisito documentazione e assistito alla discussione delle parti durante la quale  il difensore ricorrente eccepiva - in via subordinata - la questione di illegittimità  costituzionale per violazione degli artt. 3. 24 e 111 Cost in relazione all'art. 629-  bis comma 2 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede una disposizione  uguale o similare a quella sancita dall'art. 175 comma 2 bis cod. proc. pen. nel  caso di condannato detenuto all'estero a seguito dell'esecuzione di un m.a.e. (con  conseguente decorrenza del  dies a quo  del rimedio straordinario dalla consegna  del condannato all'Italia), dichiarava inammissibile per tardività la richiesta di rescissione del giudicato.  

Con un  primo motivo  di ricorso il ricorrente lamenta violazione dell'art. 629bis co. 2 cod. proc. pen. in punto di decorrenza del termine per la richiesta di  rescissione del giudicato in caso di condannato detenuto all'estero, tenuto conto  in ogni caso dell'impossibilità di conoscere il procedimento penale sulla base di dati  meramente formali (numero di sentenza, numero di procedimento, pena irrogata).  

Si lamenta, in particolare, che la Corte d'Appello di Trieste abbia disatteso le  plurime considerazioni di diritto esposte dal difensore in merito alla doverosa applicazione analogica del principio sancito dall'art. 175 co. 2 bis cod. proc. pen.  anche in caso di rescissione del giudicato in favore di un condannato detenuto  all'esterno e non ancora estradato, disposizione speciale che individua in siffatto e  specifico caso il dies a quo  per il rimedio restitutorio dal giorno della consegna  all'Italia del condannato detenuto.  Per il ricorrente plurime considerazioni di diritto, sia nazionale che sovranazionale, depongono per l'applicazione analogica di tale principio anche al rimedio  della rescissione del giudicato in caso di condannato detenuto all'estero, vuoi in  virtù di un m.a.e. vuoi per una procedura di estradizione.  

Il difensore del V. richiama l'istituto della restituzione nel termine per impugnare ex art. 175 co. 2 cod. proc. pen. che della rescissione del giudicato rappresenta senz'altro il "dante causa" nell'avvicendamento di istituti configurato dal  legislatore ed ivi rilevanti, nonché la giurisprudenza formatasi in materia, al fine  di comprenderne la ratio e i conseguenti principi di diritto applicabili allo specifico  caso in esame (ossia un condannato detenuto all'estero in virtù di un m.a.e. italiano che debba ancora essere consegnato all'Italia).  

Sul rilievo che la rescissione del giudicato costituisce, quindi, un continuum  normativo rispetto all'istituto della restituzione in termini di cui all'art. 175 co. 2  cod. proc. pen. oggi abrogato, per l'uguale  ratio  perseguita e i medesimi presupposti applicativi, con conseguente possibile applicazione analogica dei principi di  diritto in precedenza sanciti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di restituzione in termine, il ricorrente ricorda che nella vigenza del rimedio di cui all'art.  175 co. 2 cod. proc. pen. la  giurisprudenza di legittimità si è più volta pronunciata  in ordine al  dies a quo  dal quale far decorrere, a pena di decadenza, i termini per  la proposizione del rimedio restitutorio in caso di condannato in contumacia detenuto all'estero - situazione che si assume essere similare a quella in cui si trova  l'odierno ricorrente (detenuto all'estero in virtù di un m.a.e. emesso dalla Procura  di Pordenone e non ancora consegnato all'autorità nazionale) - ancorandolo al momento di consegna dello stesso all'Italia.  

Osserva il ricorrente che l'art. 175 co. 2 bis cod. proc. pen., introdotto dalla  d.l. n. 17/2005 conv. nella L n. 60/2005, stabilisce testualmente che, in caso di  condannato detenuto all'estero, "la richiesta indicata al comma 2 è presentata, a  pena di decadenza, nel termine di trenta giorni da quello in cui l'imputato ha avuto  effettiva conoscenza del provvedimento. In caso di estradizione dall'estero, il termine per la presentazione della richiesta decorre dalla consegna del condannato".  Tale regola, tuttavia, vale oggi, a seguito dell'introduzione del nuovo rimedio  rescissorio ad opera della L n. 103/2017, solo per i decreti penali di condanna,  ambito residuale di applicazione dell'art. 175 co. 2 cod. proc. pen.  

Quanto alla remissione in termini, ricorda ancora il ricorrente, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità si è più volte espressa in merito alla peculiare  posizione del condannato detenuto all'estero, affermando, con un orientamento  granitico e ancora oggi incontrastato, che il termine di trenta giorni previsto per la  presentazione della richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza  contumaciale decorre, per chi si trovi al momento della notificazione dell'atto giudiziale detenuto all'estero, dalla data della consegna allo Stato italiano e non già  dal giorno di avvenuta conoscenza dell'esistenza della condanna definitiva (ven gono richiamate Sez. 3, n. 2320/2012; Sez. 4, sent. n. 24860/2015, Sez. 4, n.  4904/2015, Lanncja, Rv. 262027; Sez. 3, n. 2320/2013, 5., Rv. 254167)  

Nel 2017 il legislatore -prosegue il ricorso- in adempimento agli obblighi sovranazionali assunti, ha introdotto il rimedio specifico e straordinario della rescissione del giudicato in caso di condanna in absentia, rimedio dapprima previsto  dall'art. 625 ter cod. pen. e oggi dall'art. 629 bis cod. proc. pen., "dimenticandosi"  di introdurre una regola ad hoc in ordine al  dies a quo  per il condannato detenuto  all'estero.  

Ad avviso del ricorrente, alla luce di sovraesposti principi di diritto e della  formulazione letterale dell'art. 175 co. 2 bis cod. proc. pen. appare allora doveroso  interrogarsi sulla legittimità dell'indistinta individuazione del dies a quo  del termine  di 30 giorni sancito a pena di inammissibilità per la proposizione della richiesta di  rescissione del giudicato ex art. 629 bis comma 2 cod. proc. pen. anche nei confronti del condannato detenuto all'estero in esecuzione di un m.a.e. o di una procedura di estradizione attiva dalla mera conoscenza del procedimento penale svoltosi a suo carico e dunque dalla notifica del m.a.e. e/o del provvedimento di estradizione.

Ciò perché tale situazione appare del tutto similare ed anzi sovrapponibile  a quella disciplinata dall'art. 175 co. 2 bis cod. proc. pen., disposizione introdotta  in ossequio ai principi comunitari e all'art. 3 comma 2 Secondo Protocollo addizionale della Convenzione europea di estradizione del 19786.

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.  Quanto al m.a.e. il ricorrente ricorda che, con la L. n. 69/2005 si è andata, a  sostituire l'antecedente disposizione sull'estradizione nei rapporti tra gli Stati  membri dell'Unione Europea. introducendo una nuova disciplina sulla consegna tra  autorità giudiziarie di soggetti che hanno subito una sentenza passata in giudicato  o nei confronti dei quali è stata applicata una misura cautelare, al fine di renderla  più semplice.

Ne deriverebbe, stante la similitudine e la medesima ratio  di tali  istituti, che apparirebbero estendibili i principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimità in materia di consegna dell'estradato all'Italia e di restituzione in termini in  caso di processo contumaciale (il vecchio art. 175 co. 2 cod. proc. pen.), anche in  relazione al detenuto in esecuzione di un m.a.e. emesso dall'autorità italiana.  

Viene richiamato il dictum di sez. 5, n. 8464/2020 secondo cui il termine per  presentare richiesta di restituzione del termine per proporre impugnazione avverso  la sentenza contumaciale decorre in ogni caso, per la persona che al momento  della notificazione della stessa si trovi in stato di custodia cautelare all'estero, dal  trentesimo giorno a partire dalla data della consegna allo Stato, indipendentemente dal già avvenuto decorso di trenta giorni dal momento di avvenuta conoscenza della sentenza.  

A fronte dell'assenza di una disposizione analoga a quella di cui all'art. 175  co. 2 bis cod. proc. pen. in ordine all'individuazione del dies a quo  per la proposizione della richiesta rescissoria per il condannato detenuto all'estero nell'art. 629  bis cod. pen. occorre interrogarsi, ad avviso del ricorrente, se tale assenza costi- tuisca una scelta volontaria del legislatore o, diversamente, come si ritiene in ri- corso, una lacuna normativa che potrà essere colmata attraverso un'interpretazione analogica e sistematica.

Ne conseguirebbe che, in virtù di un'interpretazione  costituzionalmente e convenzionalmente conforme. di natura sistematica ed analogica, anche nella rescissione del giudicato, il dies a quo per la proposizione  dell'impugnazione per il condannato detenuto all'estero dovrebbe decorrere dalla  sua consegna all'autorità italiana, perché solo da tale momento l'interessato sarà  dotato di tutti gli strumenti per impugnare la sentenza emessa in absentia  e di  attivarsi  (ratio  perseguita con l'art. 175 co. 2 bis cod. proc. pen.).  

A parere del difensore ricorrente, in altre parole, in caso di condannato detenuto all'estero non si può far decorrere il dies a quo per la proposizione della  rescissione dalla mera notifica del m.a.e. o del provvedimento di estradizione,  avendo in tale momento conoscenza formale del procedimento svoltosi a suo ca- rico, ma bensì, come già previsto dal legislatore nazionale nell'art. 175 co. 2 bis  cod. proc. pen., dalla consegna dell'interessato all'autorità nazionale, ciò a prescindere da quando il prevenuto abbia avuto conoscenza del processo e della con- danna a suo carico.

In siffatti casi il dies a quo  del termine della presentazione  della domanda di rescissione dovrebbe necessariamente decorrere, parimenti all'istituto della restituzione in termini di cui all'art 175 co. 2 bis cod. proc. pen. , dal  momento dell'arrivo in Italia dell'estradato o del soggetto gravato da m.a.e. poiché  solo in tale momento egli si troverà nelle condizioni di esercitare effettivamente il  diritto alla rescissione del giudicato.

 Si tratterebbe -viene evidenziato- di un'interpretazione ed applicazione analogica  in bonam partem,  tesa a colmare la lacuna normativa esistente nell'istituto  di cui all'art. 629 bis cod. proc. pen. , alla luce di una disposizione (l'art. 175 co.  2 bis cod. proc. pen. ) diretta a tutelare il diritto di difesa del soggetto condannato  detenuto all'estero ed il suo diritto ad un equo processo in ossequio ai principi  nazionale e sovranazionali.  

Errata in diritto nonché illegittima per violazione di legge apparirebbe, dunque  l'ordinanza di inammissibilità impugnata, che ha ritenuto di far decorrere il dies a  quo per la proposizione del rimedio rescissorio dalla mera notifica del m.a.e. nei  confronti del V., avvenuta il 18/7/2018, pur trattandosi di un soggetto dete- nuto all'estero non ancora estradato.  

Ne conseguirebbe che nella vicenda in esame, sulla scorta dei principi sovre- sposti e di un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata  nonché dell'applicazione sistematica e analogica dell'art. 175 comma 2 bis cod.  proc. pen. , differentemente da quanto ritenuto dalla Corte d'Appello di Trieste,  per il V., soggetto detenuto all'estero in esecuzione di un m.a.e. e non ancora  consegnato all'Italia, non ha ancora iniziato a decorrere il termine di 30 giorni per  la proposizione della richiesta di rescissione del giudicato.  

In ogni caso - sottolinea il ricorrente- anche a voler già individuare un termine  dal quale far decorrere il dies a quo  per la proposizione del rimedio rescissorio  sarebbe incontrovertibile per il difensore ricorrente che il proprio assistito (il quale  è stato dichiarato come assente per tutto l'arco del procedimento penale, sia du- rante l'udienza preliminare che durante il processo dibattimentale, ed ha ricevuto  notifica unicamente del provvedimento m.a.e. emesso dall' A.G. di Pordenone e  non, di contro dell'ordine di esecuzione di pene concorrenti n. 64/2017 SIEP, né  della copia della sentenza di condanna in esame), è venuto a conoscenza del procedimento svoltosi a suo carico dinnanzi al Tribunale di Pordenone nell'ambito del  procedimento penale n. 186/15 R.G. N.R. - n. 611/15 R.G. TRIB. e della relativa  condanna n. 944/16 R.G. Sent. solo in data 17/9/2020, allorquando il difensore  fiduciario e procuratore speciale accedeva alla cancelleria dibattimentale visionava il fascicolo processuale estraendone copia e poi riferiva immediatamente al  proprio assistito quando emerso (ossia il reato contestato, la condotta oggetto del  capo d'imputazione, lo svolgimento del procedimento e del processo a suo carico,  nonché la motivazione della sentenza di condanna).

Nel caso di specie - è la tesi che si sostiene- non si potrebbe di certo far  decorrere la conoscenza del procedimento svoltosi a carico del prevenuto in sua  assenza dalla mera notifica del m.a.e. al V., atteso che tale provvedimento,  meramente amministrativo, ha ad oggetto la diversa sentenza n. 374/2015 R.G.  Sent. e che si limita a citare -  incidenter tantum - il  numero della pronuncia di cui  si domanda la rescissione con l'autorità e la data di emissione ed il numero del  procedimento penale svoltosi a suo carico, non indicando di contro il fatto di reato  contestato, la data ed il luogo di commissione, né i rimedi esperibili avverso tale  condanna divenuta irrevocabile, con la conseguenza che non appare integrato il  requisito dell'effettiva conoscenza del procedimento" e dunque della condanna  emessa a suo carico secondo i principi sovranazionali sanciti in materia, principi  che costituiscono la base giuridica sulla scorta della quale è stato

 Il ricorrente ribadisce che il m.a.e. notificato al V. in relazione alla sentenza di condanna di cui si chiede la rescissione del giudicato ai sensi dell'art. 629  bis cod. proc. pen. indica unicamente il numero della sentenza di condanna di cui  ci si occupa (la pronuncia n. 944/2016 R.G. Sent. emessa in data 6.09.2016 dal  Tribunale di Pordenone) ed il numero di procedimento penale (il proc. pen. n.  611/2015 R.G. N.R.), senza specificare la condotta addebitatagli e il reato conte- statogli in tale specifico procedimento penale.  Solo a seguito del conferimento del mandato fiduciario al difensore e al con- seguente accesso al tribunale friulano con visione ed estrazione delle copie del  fascicolo processuale (momento in cui il V., condannato detenuto ancora all'estero e non ancora consegnato all'Italia, è venuto a conoscenza del processo suintestato e della conseguente condanna), lo stesso avrebbe potuto esercitare i propri  diritti difensivi e richiedere la rescissione del giudicato.  Sulla scorta di tali considerazioni, pertanto, si sostiene che la richiesta di re- scissione del giudicato avanzata in favore del V. era tempestiva e doveva ritenersi ammissibile, per cui, in via principale, il ricorrente chiede l'annullamento  dell'ordinanza d'inammissibilità emessa dalla Corte d'Appello di Trieste con rinvio  alla stessa per la trattazione nel merito dell'impugnazione straordinaria proposta.  In subordine, il ricorrente propone un secondo motivo  di ricorso, con cui  solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 629-bis co. 2 cod. proc. pen.  in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost nonché agli artt. 6 CEDU e 2 Prot. 7 CEDU,  nonché all'art. 47 della Carta dell'unione Europea con riguardo al soggetto detenuto all'estero.  

Per il difensore del V., laddove non si dovesse ritenere operabile un'inter- pretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'art. 629 bis cod.  proc. pen. e/o un'applicazione sistematica ed analogica del principio sancito  dall'art. 175 co. 2 bis cod. proc. pen. , apparirebbe in ogni caso fondata e rilevante  la già eccepita questione di illegittimità costituzionale di tale disposizione laddove  non prevede che, in caso di condannato detenuto all'estero in esecuzione di un  m.a.e. il termine di 30 giorni per la proposizione della richiesta di rescissione del  giudicato decorra dalla consegna dell'interessato allo Stato Italiano e non dall'avvenuta conoscenza del procedimento/notifica del m.a.e.  

In punto di rilevanza della questione il ricorrente sottolinea che Trattasi, pertanto. di questione rilevante nel processo a quo. atteso che il ricorso rescissorio  proposto dal signor V. non può essere affrontato nel merito senza prima applicare la norma oggetto di dubbio di costituzionalità e dunque valutare l'ammis- sibilità/inammissibilità sotto il profilo della tempestività della richiesta rescissoria  proposta in suo favore.  Quanto alla fondatezza della questione sollevata, vi sarebbe conflitto, ad av- viso del ricorrente:  1.  con l'art. 3 Cost. (principio di ragionevolezza e di uguaglianza) in quanto,  prevedendo l'art. 175 co. 2 bis cod. proc. pen. la  decorrenza del  dies a quo  per la  restituzione del termine in relazione al decreto penale di condanna dalla consegna  dell'estradato mentre statuendo l'art. 629 bis cod. proc. pen. tale dies a quo  dall'avvenuta conoscenza del procedimento svolto  in absentia  a carico del condannato sempre detenuto all'estero (ossia dalla notifica del m.a.e. o del provvedimento di estradizione), vengono trattate in modo diverso situazioni uguali (soggetti condannati senza avere avuto conoscenza del procedimento penale svoltosi a loro carico e detenuti all'estero).  

Corollario del principio di uguaglianza - viene evidenziato- è, difatti, il più  generale principio di ragionevolezza alla luce del quale la legge deve regolare in  maniera uguale situazioni uguali ed in maniera diversa situazioni diverse, con la  conseguenza che la disparità di trattamento trova giustificazione solo nella diver- sità delle situazioni disciplinate. "Il principio di uguaglianza è violato anche quando  la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini  che si trovino in eguali situazioni" (cfr. Corte Cost. sent. n. 15 del 1960), "poiché  l'art. 3 Cost. vieta disparita di trattamento di situazioni simili e discriminazioni  irragionevoli" (cfr. Corte Cost. sent. n. 96 del 1980).

Quindi "si ha violazione  dell'art. 3 della Costituzione quando situazioni sostanzialmente identiche siano di- sciplinate in modo' come appunto nella vicenda in esame, laddove il termine di  trenta giorni dalla consegna allo Stato italiano concesso ex art. 175 co. 2 bis cod.  proc. pen. alla parte per proporre le proprie censure avverso il provvedimento  legittimante la procedura di consegna costituisca una garanzia che si aggiunge al  termine ordinariamente fissato a partire dalla data di avvenuta conoscenza del  provvedimento di condanna.  

Tale lettura della normativa risponde all'evidente volontà del legislatore di  assicurare alla persona detenuta in territorio estero, e dunque in condizione di  maggiore difficoltà, la possibilità di esercitare pienamente le proprie difese, una  volta giunta nel territorio dello Stato, avvalendosi dell'assistenza tecnica che lo  Stato comunque assicura, garanzia che deve essere estesa anche al condannato  in absentia  detenuto all'estero in caso di rescissione del giudicato di una sentenza  di condanna definitiva. Diversamente, equiparando il condannato detenuto all'estero a quello detenuto e/o libero nel territorio nazionale, si equiparerebbero situazione differenti per esplicazione dei propri diritti difensivi, facilità di attivazione e tempistiche collegate (si pensi solo al tempo necessario per affidare un mandato fiduciario ad un difensore nazionale da parte di un detenuto all'estero), con conseguente violazione del principio di uguaglianza e  con l'art. 24 Cost. (diritto di difesa) in quanto, ancorando la decorrenza del  dies a quo  per la proposizione della richiesta rescissoria per il condannato detenuto  all'estero all'avvenuta conoscenza del procedimento svoltosi in sua assenza - conoscenza ritenuta integrata dalla mera formale notifica del m.a.e. e/o del provvedimento di estradizione - si lede il diritto di difesa di tale condannato, poiché in tal  modo si limitano, ed anzi si aggravano, le possibilità per il condannato di esercitare  • in via principale annullarsi l'ordinanza impugnata con ogni ulteriore consequenziale statuizione di legge nonché con immediata scarcerazione del prevenuto se non detenuto per altra causa; • in via subordinata, sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell'art. 629 bis cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3, 24, 111 Cost, 11 e 117 Cost con riguardo all'art. 6 Cedu e 2 Protocollo n. 7 CEDU e art. 47 Carta dell'Unione Euro-pea laddove non prevede che al pari dell'art. 175 comma 2 bis cod. proc. pen. , in caso di condannato detenuto all'estero in esecuzione di un m.a.e. attivo, il termine entro il quale presentare la richiesta di rescissione del giudicato decorra dalla consegna del condannato all'Italia.

3. Il P.G. presso questa Corte in data 7/9/2021 ha rassegnato le proprie conclusioni scritte chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO


1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.

2. Non pare accoglibile la richiesta difensiva di un'interpretazione analogica della previsione di cui all'art. 175 co. 2bis cod. proc. pen. in quanto appare evidente la scelta del legislatore, allorquando ha introdotto l'istituto della rescissione
del giudicato, di non prevedere una specifica disciplina per il condannato detenuto all'estero.

Corretta, dunque, appare l'applicazione della norma - e pertanto infondato si  palesa il primo motivo di ricorso- da parte della Corte triestina laddove ha ritenuto che il dies a quo del termine di trenta giorni normativamente previsto per proporre
l'istanza, non potesse essere individuato nel giorno in cui il difensore aveva effettuato l'accesso agli atti presso la cancelleria competente, ma in quello della notifica del m.a.e., nel quale risultavano riportati gli estremi del procedimento, la
sentenza di condanna, l'autorità giudiziaria emittente la sentenza (Tribunale di Pordenone), la data della pronuncia e l'entità della pena (anni due e mesi due di reclusione)".

Priva di aporie logiche appare, inoltre, la motivazione del provvedimento impugnato laddove vi si legge che non è con divisibile l'obiezione della difesa secondo cui il V. non avrebbe avuto conoscenza completa del provvedimento da
rescindere perché l'art. 629 bis cod. proc. pen. fa riferimento, come correttamente argomentato dal P.G. in quella sede, alla conoscenza del procedimento, e non già del provvedimento divenuto irrevocabile, di tal che il termine inizia a decorrere pur
quando l'interessato non abbia una compiuta conoscenza dei contenuti del provvedimento da rescindere.

2. Ancorché evidentemente rilevante ai fini del decidere, manifestamente infondata appare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 629 bis co. 2 cod. proc. pen. per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost nella parte in cui non prevede, ugualmente all'art. 175 co. 2 bis cod. proc. pen., che in caso di un condannato detenuto all'estero in esecuzione di un m.a.e. il termine per la presentazione della richiesta di rescissione del giudicato decorra dalla consegna del condannato
all'autorità nazionale.

Va ricordato che, nell'impostazione originaria del codice di procedura penale del 1988, la tutela del contumace destinatario di un provvedimento irrevocabile (sentenza contumaciale o decreto di condanna) era demandata al meccanismo
della restituzione nel termine per impugnare (art. 175, co. 2 cod. proc. pen.), insieme alla previsione di una specifica ipotesi di rinnovazione dell'istruzione probatoria nel giudizio di appello conseguente alla restituzione in termini (art. 603,
co. 4 cod. proc. pen.).

Nel suo assetto originario, l'art. 175 co. 2 cod. proc. pen. contemplava due diverse fattispecie di restituzione nel termine per impugnare, per la cui proposizione della domanda il termine era quello di 30 giorni da quello di effettiva conoscenza del provvedimento da parte dell'imputato. La prima - avente ad oggetto l'impugnazione tardiva della sentenza contumaciale e l'opposizione al decreto penale di condanna - riguardava l'evenienza che l'imputato provasse di non avere
avuto, senza sua colpa, effettiva conoscenza del provvedimento, sempre che l'impugnazione non fosse stata proposta dal difensore; la seconda - avente ad oggetto la sentenza contumaciale notificata per estratto al difensore ai sensi degli artt. 159, 161 comma 4 e 169 cod. proc. pen., essendo l'imputato irreperibile - concerneva l'ipotesi in cui il soggetto giudicato in contumacia dimostrasse di non essersi sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento.

In entrambe le situazioni descritte il legislatore accollava all'imputato gravosi oneri probatori: nel primo caso, egli era chiamato a provare, cumulativamente, la mancata cognizione del provvedimento e il carattere incolpevole della medesima;
nel secondo caso, l'oggetto dell'onere probatorio era l'assenza di un comportamento intenzionale diretto a sottrarsi alla conoscenza degli atti del procedimento.

3. Per le condizioni cui venne subordinata la restitutio in integrum, però, tali rimedi non si sono però rivelati idonei a garantire i diritti dell'imputato che non avesse avuto conoscenza del processo, tanto da prestare il fianco a ripetute censure della Corte europea dei diritti dell'uomo, che, tuttavia, non si è mai spinta fino ad affermare l'assoluta incompatibilità del processo contumaciale con l'art. 6 CEDU.

Ed invero, pur attribuendo massima importanza al diritto dell'imputato di partecipare al processo a proprio carico, i giudici di Strasburgo hanno sempre dedotto che la procedura che si svolge in assenza dell'imputato non determina un vulnus all'equità processuale allorché l'accusato, ritualmente ed effettivamente informato dell'esistenza del processo, abbia rinunciato in modo inequivoco a parteciparvi.

Inoltre, anche quando non sia stata accertata un'inequivoca rinuncia a comparire, si è sempre esclusa una violazione convenzionale qualora al soggetto processato in contumacia venga comunque data la possibilità, una volta a cono-
scenza della condanna, di ottenere che una giurisdizione statuisca nuovamente, dopo averlo sentito e nel rispetto dei diritti convenzionali, sul merito dell'accusa.

Ciò premesso, va rimarcato che i profili di maggior attrito dell'istituto ripristinatorio in discorso (ex art. 175 co. 2 cod. proc. pen.) con gli standard di Strasburgo hanno riguardato le restrizioni - di ordine probatorio e temporale - poste dal legislatore italiano per l'accesso alla restituzione nel termine per impugnare.

Nel caso Seidovic (cfr. Corte E.D.U., sent. 10 novembre 2004, Seidovic c. Italia, § 37-140), infatti, alla luce dei pesanti oneri probatori di cui era gravato l'imputato in base all'art. 175, co. 2, cod. proc. pen. , nonché dell'estrema brevità del termine allora previsto per la presentazione dell'istanza (il termine era di 10
giorni dal giorno in cui 11 condannato ha avuto dall'effettiva conoscenza dell'atto), la Corte ha sottolineato che il rimedio in discorso, oltre ad essere di difficile accesso per gli "ostacoli oggettivi" frapposti al suo utilizzo, "avrebbe [comunque] avuto scarse possibilità di successo", per la difficoltà, da parte del ricorrente, di dimostrare i fatti-presupposto della restituzione nel termine.

4. Nell'intento di conformarsi ai parametri di Strasburgo e agli obblighi derivanti dalla Decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea 2002/584/GAI in materia di mandato di arresto europeo, il legislatore italiano è intervenuto in via
d'urgenza con il d.I 21 febbraio 2005, n. 17, conv. con modificazioni in legge 22 aprile 2005, n. 60.

L'asse portante della novella del 2005 va individuato nella riscrittura dell'articolo 175 co. 2 cod. proc. pen., con conseguente capovolgimento dell'onere probatorio in ordine ai presupposti di operatività dell'istituto, anch'essi parzialmente riformulati, e con altresì allungamento del termine sancito a pena di decadenza per
la proposizione della domanda di restituzione (30 giorni da quello di effettiva conoscenza da parte dell'imputato). Caduto ogni riferimento al carattere incolpevole o volontario dell'ignoranza del procedimento, la restituzione nel termine veniva subordinata unicamente alla mancata effettiva conoscenza "del procedimento o del provvedimento".


Il novellato art. 175 co. 2 cod. proc. pen. introduceva una sorta di presunzione juris tantum di non conoscenza da parte dell'istante, e poneva in capo al giudice il dovere di verificare la sussistenza di fatti ostativi all'accoglimento della
richiesta di restituzione nel termine. Eventuali dubbi in proposito avrebbero giocato a favore del contumace, perché il giudice avrebbe dovuto ammetterlo all'impugnazione tardiva.

Nella vigenza del rimedio di cui all'art. 175 co. 2 cod. proc. pen. la giurisprudenza di questa Corte di legittimità si è più volta pronunciata in ordine al dies a quo dal quale far decorrere, a pena di decadenza, i termini per la proposizione del
rimedio restitutorio in caso di condannato in contumacia detenuto all'estero, situazione similare a quella in cui si trova l'odierno ricorrente (detenuto all'estero in virtù di un m.a.e. emesso dalla Procura di Pordenone e non ancora consegnato
all'autorità nazionale).

L'art. 175 co. 2 bis cod. proc. pen. , introdotto dalla d.l. n. 17/2005 conv. nella L n. 60/2005, così stabilisce in caso di condannato detenuto all'estero: "la richiesta indicata al comma 2 è presentata, a pena di decadenza, nel termine di
trenta giorni da quello in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento. In caso di estradizione dall'estero, il termine per la presentazione della richiesta decorre dalla consegna del condannato".

Tale regola vale oggi, a seguito dell'introduzione del rimedio rescissorio ad opera della L n. 103/2017, solo per i  decreti penali di condanna. In altre parole con riguardo alla peculiare posizione del condannato detenuto all'estero e non ancora estradato il legislatore, recependo le indicazioni sovranazionali espresse sul punto, ha deciso di individuare, diversamente dalla regola generale, quale momento specifico dal quale far decorrere il rimedio restitutorio la consegna all'autorità giudiziaria nazionale, ritenendo irrilevante in tal caso il momento di effettiva conoscenza del procedimento svolto a suo carico e alla conseguente sentenza.

Tale scelta appare dettata a tutela della certezza del diritto e del diritto di difesa del condannato detenuto all'estero. E anche questa Corte di legittimità si è più volte espressa in merito alla peculiare posizione del condannato detenuto all'estero, affermando - con un orientamento granitico e ancora oggi incontrastato - che il termine di trenta giorni previsto per la presentazione della richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale decorre, per chi si trovi, al momento della notificazione dell'atto giudiziale. detenuto all'estero, dalla data della consegna allo Stato italiano e non già dal giorno di avvenuta conoscenza dell'esistenza della condanna definitiva (cfr. Sez. 3, n. 2320/2012).

In senso conforme anche questa Sez. 4, n. 24860/2015, con la quale è stata accolta la richiesta di annullamento del diniego alla rimessione in termini per l'impugnazione della sentenza di condanna resa in contumacia, per reati relativi al traffico di stupefacenti, decisa della Corte di appello di Roma, stabilendo il seguente principio di diritto: "per la persona che, al momento della notificazione dell'atto giudiziale, si trovi in stato di custodia all'estero il termine finale entro cui far valere l'istanza di
restituzione nel termine per proporre impugnazione è rappresentato, ai sensi dell'art. 175 cod. proc. pen. , comma 2 bis, dal trentesimo giorno a partire dalla data della consegna allo Stato, non operando autonomamente la limitazione del trentesimo giorno a far data dalla conoscenza del provvedimento dell'autorità giudiziale italiana".

La richiesta ex art. 175 co. 2 cod. proc. pen. era stata respinta dalla Corte di appello che riteneva che i termini fossero già scaduti dal momento che la conoscenza della condanna era avvenuta molto prima rispetto alla consegna. Una conclusione non condivisa da questo giudice di legittimità secondo la quale il termine
di 30 giorni fissato dall'articolo 175 cod. proc. pen. decorre dal momento della consegna indipendentemente dalla conoscenza del procedimento o dalla nomina dei difensori.

Si tratta - osservò la Corte dell'epoca - di una garanzia aggiuntiva
che serve a consentire l'esercizio pieno dei diritti di difesa per colui che è detenuto all'estero. Si legge in Sez. 4, n. 24860/2015 che "la tempestività della presentazione dell'istanza di rimessione in termini da parte del V. discende dall'applicazione
del principio giurisprudenziale più volte affermato dalla Corte di legittimità (Sez. 4, n. 4904 del 27/11/2014, dep. 2015, Lamcja, Rv. 262027; Sez. 3, n. 2320 del 21/11/2012 - dep. 2013, 5., Rv. 254167) secondo cui il termine di trenta giorni dalla consegna allo Stato italiano concesso alla parte per proporre le proprie cen-
sure avverso il provvedimento legittimante la procedura di consegna costituisce una garanzia che si aggiunge al termine ordinariamente fissato a partire dalla data di avvenuta conoscenza del provvedimento di condanna. Tale lettura della normativa rispondeva all'evidente volontà del legislatore di assicurare alla persona detenuta in territorio estero, e dunque in condizione di maggiore difficoltà, la possibilità di esercitare pienamente le proprie difese, una volta giunta nel territorio dello Stato, avvalendosi dell'assistenza tecnica che lo Stato comunque assicura".

Sia il testo che la ratio della disciplina esposta vennero ritenute in quel caso contrastanti con l'interpretazione fornita dalla corte di appello, non potendosi considerare intempestiva la richiesta che la persona arrestata proponga anteriormente alla consegna e, dunque, anteriormente alla decorrenza del termine concesso dall'ordinamento per l'esercizio del diritto di difesa ex art. 175 co. 2-bis cod. proc. pen.

5. Benché la nuova impostazione dell'art. 175 co. 2 cod. proc. pen. avesse superato positivamente il vaglio di Strasburgo, il sistema di tutela basato sulla restituzione nel termine per impugnare e sulla specifica ipotesi di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello ai sensi dell'art. 603 co. 4 cod. proc. pen. non appariva, però, ancora del tutto appagante. E questo non solo - o non tanto - perché i nuovi presupposti applicativi della restituzione nei termini risultavano ancora lacunosi o comunque dai contorni incerti.

Il vero nodo problematico era piuttosto ravvisato nel quantum - decisamente modesto - di restitutio in integrum assicurato al contumace. Invero, anche dopo l'estensione della possibilità di proporre impugnazione tardiva, il soddisfacimento dell'esigenza di garantire all'accusato, una volta a conoscenza del processo, l'opportunità di una fresh determination of the merits of the charge, restava, infatti, demandato alla celebrazione del giudizio di appello, e, al suo interno, ad una rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ancora condizionata da pesanti oneri probatori e che per di più faceva salvi i risultati delle attività probatorie pregresse, compiute in assenza del necessario contradditore.

Oltre a privare il contumace ignaro del processo di un grado di giurisdizione nel merito, il sistema incontrava il limite di precludergli l'esercizio di una serie di facoltà (si pensi alle facoltà di richiedere i riti alternativi a carattere premiale o di
fare valere eventuali questioni preliminari di cui all'art. 491 cod. proc. pen.) riservate al primo grado, e oltretutto lasciava privo di tutela l'imputato incolpevolmente dichiarato contumace in sede di appello.

Pertanto, nelle intenzioni del legislatore, la rescissione del giudicato e le innovazioni introdotte in materia di impugnazioni ordinarie con la L n. 67/2014 avrebbero dovuto consentire il superamento dei limiti strutturali poc'anzi menzionati,
così da garantire all'imputato "assente incolpevole" al proprio processo una celebrazione ex novo.

6. Come ricorda il ricorrente il rimedio della rescissione del giudicato è stato introdotto - inizialmente - mediante l'inserimento dell'art. 625 ter cod. proc. pen. ad opere dell'art. 11 comma 5 L n. 67/2014, a completamento della manovra
normativa che ha espunto dal nostro ordinamento la figura del contumace, disciplinando nel contempo il processo in assenza.

La relazione di accompagnamento al disegno di legge delega n. 519, presentato dal Governo in data 29 febbraio 2012— i cui contenuti sono stati recepiti nelle proposte di legge unificate n. 331-927-A - esplicita l'intervento normativo "si rende necessario anche alla luce delle diverse pronunce della Corte europea dei
diritti dell'uomo che, richiamandosi all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, ha affermato che tra le garanzie dell'equo pro-
cesso va annoverato anche il diritto dell'imputato a essere presente al proprio processo, diritto che, ancorché non espressamente statuito nella norma, tuttavia è indubitabilmente presupposto negli affermati diritti «di difendersi personalmente», «di interrogare e far interrogare i testimoniare», «di farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata nell'udienza», tutti contemplanti garanzie che sarebbero inattuabili ove non fosse salvaguardata anche la presenza dell'imputato".


Si tratta di un rimedio restitutorio c.d. "finale", posto a presidio delle situazioni in cui non hanno funzionato gli altri rimedi previsti dalla L n. 67/2014 in via preventiva (ossia la sospensione del processo ex art. 420 quater comma 2 cod. proc. pen.) o in via restitutoria nella fase processuale di primo grado (artt. 420 bis
co.i 4 e 5 e 489 co. 2 cod. proc. pen. ) e nelle fasi di impugnazione ordinaria.

La procedura inizialmente prevista dall'art. 625 ter cod. proc. pen. (ora abrogato dalla L n. 103/2017) affidava la decisione sulla rescissione del giudicato dalla Corte di Cassazione, con la conseguente aggravio di lavoro per la Suprema Corte nonché con la necessità di compiere una valutazione attinente più al merito
che non alla verifica della legittimità che le è propria. Per tale motivo la L n. 103/2017, attraverso l'abrogazione dell'art. 625 ter cod. pen. ed il contestuale inserimento dell'art. 629 bis cod. pen. , ha affidato la cognizione delle richieste di rescissione alla Corte d'Appello.

L'accesso al rimedio ripristinatorio presuppone che l'imputato, processato in assenza per tutta la durata del processo a suo carico, sia destinatario di uno dei provvedimenti tassativamente indicati dal legislatore (ossia sentenza di condanna, ivi compresa una sentenza di patteggiamento) e provi che la sua assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.


7. Per quanto concerne le modalità e i termini di presentazione della richiesta di rescissione la c.d. Riforma Orlando (L n. 103/2017) ha confermato quanto in precedenza stabilito, prevedendo che la richiesta debba essere presentata "nelle
forme previste dell'art. 583 comma 3 cod. proc. pen. " e "a pena di inammissibilità entro 30 giorni dall'avvenuta conoscenza del procedimento".

Come si evidenziava in precedenza, il tenore testuale dell'art. 629 bis cod. proc. pen. è chiaro nel senso di stabilire e prevedere che il rispetto del termine per la presentazione della istanza di rescissione di giudicato è di trenta giorni "dall'avvenuta conoscenza del procedimento", termine espressamente previsto "a pena di inammissibilità", non riproducendo tale norma una disposizione simile a quella inserita nell'art. 175 co. 2 bis cod. proc. pen. con riguardo al detenuto all'estero che debba essere estradato in favore dell'autorità nazionale.

Quindi, presupposto indefettibile perché il condannato possa accedere a tale rimedio restitutorio è che l'istanza venga proposta tempestivamente.

Nel 2017, come detto, il legislatore in adempimento agli obblighi sovranazionali assunti, ha introdotto il rimedio specifico e straordinario della rescissione del giudicato in caso di condanna in absentia, rimedio dapprima previsto dall'art. 625 ter cod. pen. e oggi dall'art. 629 bis cod. proc. pen. , tuttavia scegliendo di non introdurre una regola ad hoc in ordine al dies a quo per il condannato detenuto all'estero.

Ebbene, pare indubbio che la decorrenza "differenziata" del termine per chiedere la restituzione in termini per il condannato all'estero estradato in Italia (di cui all'art. 175, comma 2-bis, cod. proc. pen.) non è trasponibile alla rescissione del giudicato; del resto, a ben vedere, anche nel testo vigente prima della legge 67/2014 (che fra l'altro aveva anche introdotto l'istituto della rescissione del giudicato di cui all'abrogato art. 625-ter cod. proc. pen.) l'art. 175 cod. proc. pen. prevedeva che la decorrenza del termine per chiedere la restituzione in termini fosse dal momento di effettiva conoscenza "del provvedimento", e non "del procedimento"; ed inoltre, a seguito delle ricordate vicende in ambito CEDU nel caso Sejdovic c. Italia, veniva escluso l'onere della prova in capo al richiedente, che invece - e peraltro la cosa non è passata indenne al vaglio della dottrina - grava sulle spalle di colui il quale chiede la rescissione del giudicato (sia nel testo di cui all'art. 625-ter, sia in quello oggi vigente ex art. 629-bis).

E' insomma evidente che i due istituti nascono su presupposti e per finalità solo apparentemente affini, ma in realtà differenti; è vero, peraltro, che il testo dell'art. 175 co. 2 cod. proc. pen., come riformato in concomitanza con l'entrata in vigore dell'istituto della rescissione del giudicato, fa riferimento solo al decreto
penale di condanna e non più alla sentenza contumaciale.

A fronte dell'assenza di una disposizione analoga a quella di cui all'art. 175 comma 2 bis cod. proc. pen. in ordine all'individuazione del dies a quo per la proposizione della richiesta rescissoria per il condannato detenuto all'estero
nell'art. 629 bis cod. pen. appare doveroso interrogarsi se tale assenza costituisca una scelta volontaria del legislatore o, diversamente, una lacuna normativa che potrà essere colmata attraverso un'interpretazione analogica e sistematica.

A parere del difensore ricorrente la risposta non può che essere la seconda.

Diversamente, invece, tale conclusione ad avviso del Collegio non può ritenersi scontata, apparendo invece da privilegiarsi il principio che "ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit".

Nemmeno pare fondata la tesi difensiva secondo cui, anche disancorandolo dalla consegna dell'odierno ricorrente all'Italia, nel caso di specie non si potrebbe di certo far decorrere la conoscenza del procedimento svoltosi a carico del prevenuto in sua assenza dalla mera notifica del m.a.e. atteso che tale provvedimento meramente amministrativo ha ad oggetto la diversa sentenza n. 374/2015 R.G. Sent. e che si limita a citare - incidenter tantum - il numero della pronuncia di cui
si domanda la rescissione con l'autorità e la data di emissione ed il numero del procedimento penale svoltosi a suo carico, non indicando di contro il fatto di reato contestato, la data ed il luogo di commissione, né i rimedi esperibili avverso tale condanna divenuta irrevocabile.

Diversamente da quanto si opina in ricorso, infatti, con tali indicazioni appare pienamente integrato il requisito dell' "effettiva "conoscenza del procedimento" e dunque della condanna emessa a suo carico secondo la previsione di cui all'art.
629 bis cod. proc. pen.

Questa Corte di legittimità, di recente ha già avuto modo di affermare, condivisibilmente - e va qui ribadito- che, in tema di rescissione del giudicato, il termine di trenta giorni per la presentazione della relativa richiesta decorre, non già dal momento in cui il condannato ha avuto compiuta conoscenza degli atti del processo e della sentenza conclusiva, bensì da quello in cui lo stesso ha avuto conoscenza del procedimento, ferma restando, in caso di particolare complessità della vicenda processuale, la possibilità per lo stesso di chiedere la restituzione nel termine per esercitare pienamente il diritto all'impugnazione straordinaria (Sez. 1, n. 32267 del 30/10/2020, Scimone, Rv. 279994).

In altri termini l'art. 629-bis è chiaro: il termine di trenta giorni per la presentazione della richiesta decorre dal momento in cui il condannato ha avuto "conoscenza del procedimento".

La scelta legislativa non è in alcun modo lesiva dei diritti dell'interessato, dovendo il medesimo, se agisce per la rescissione del giudicato, soltanto prospettare di non avere avuto, non per sua colpa, conoscenza del procedimento.

E questo non significa, in linea di principio, che debba avere conoscenza completa del contenuto degli atti del processo e della sentenza conclusiva.

Se così si opinasse, del resto - come rileva la condivisibile Sez. 1 n.
32267/2020- "lo svolgimento di un termine posto a pena di inammissibilità sarebbe affidato a determinazioni prive della necessaria certezza, dovendo farsi carico di individuare, con inevitabile margine di soggettività valutativa, il momento
in cui possa dirsi realizzata in capo al condannato una conoscenza adeguata, approfondita, degli atti del processo e della sentenza conclusiva.

In termini astratti non fa differenza che l'interessato ne abbia conoscenza quando è detenuto all'estero, in attesa di estradizione oppure per altra causa, o detenuto in Italia o quando si trovi comunque in qualsivoglia altra località.

La differenza la fa il fatto che non abbia potuto per forza maggiore o caso fortuito esercitare il diritto di chiedere la rescissione. Resta in tal caso, però, ferma la possibilità per il condannato che ritenga, per la complessità della vicenda pro-
cessuale, di non aver potuto esercitare pienamente il diritto all'impugnazione straordinaria in un termine rivelatosi in concreto insufficiente, di chiedere una restituzione nello stesso, secondo quanto disposto dall'art. 175 co. 1 cod. proc. pen.

8. La richiesta di rimessione degli atti al giudice delle leggi si palesa manifestamente infondata anche perché, tra l'altro, prospetta una questione diretta ad ottenere una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata (cfr. le sentenze
della Corte Costituzionale, nel 2004, n. 121; nel 2006, n. 223; nel 2009, n. 243; nel 2010, n. 103; nel 2013, n. 226; nel 2014, n. 30) e, in ogni caso, prospetta una questione diretta ad interferire in scelte riservate alla discrezionalità del legislatore, in mancanza di una soluzione costituzionalmente obbligata (così la Consulta nel 1992, n. 187; nel 1994, n. 5; nel 1996, n. 354; nel 1998, n. 425; nel 2012, n. 36; nel 2014, n. 81).

Va ricordato, inoltre, che per poter dirsi non manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale dovrebbe sussistere -e così non è nel caso che ci occupa- l'impossibilità di dare alla disposizione impugnata un'interpretazione conforme a Costituzione (vedasi la Corte Costituzionale nel 1996, n. 356;
nel 2000, n. 13, 177; nel 2001, n. 338; nel 2002, n. 116; nel 2005, n. 399; nel 2009, n. 146), sempre che non vi sia un "diritto vivente" contra Constitutionem.

E comunque la questione sollevata non deve fondarsi - come ritiene il Collegio sia nel caso che ci occupa - su un erroneo presupposto interpretativo, su un cattivo esercizio dei propri poteri interpretativi o comunque essere mancante del vaglio
della praticabilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base del dubbio di legittimità costituzionale ipotizzato (così i giudici delle leggi, ad es. nel 1991, n. 480; nel 1997, n. 306; nel 2002, n. 71, 395; nel 2003, n. 151; nel 2005, n. 245; nel 2014, n. 218).

Dunque, nella specie la richiesta di rescissione del giudicato era intempestiva e correttamente la Corte di Appello di Trieste l'ha dichiarata inammissibile.

Potrà l'odierno ricorrente, qualora ne dimostri la sussistenza dei presupposti, adire il giudice per la restituzione nel termine ex art. 175 co. 1 cod. proc. pen. per esercitare pienamente il diritto all'impugnazione straordinaria.

9. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 22 settembre 2021