Il delitto di atti persecutori ha natura di reato abituale di evento: l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione.
Le condotte persecutorie non necessitano di una reiterazione in una prolungata sequenza temporale, potendo essere sufficienti a configurare il delitto anche poche condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, ferma la necessità che gli atti siano tra loro autonomi e che la reiterazione di questi sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice.
In tema di atti persecutori, la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante.
La prova della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura è ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche e soprattutto da quest'ultima, la quale deve essere considerata tanto nella sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto nel suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata.
Nell'ipotesi di atti persecutori commessi nei confronti della moglie separata, l'attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all'interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia avuto transitori momenti di benevola rivalutazione del passato e di desiderio di pacificazione con il proprio persecutore ovvero nutra nei confronti di questi sentimenti ambivalenti.
Il temporaneo od episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore neppure può ritenersi che interrompa l'abitualità del reato ovvero mini la continuità delle condotte persecutorie, poichè l'ambivalenza dei sentimenti nutriti dalla prima nei confronti del secondo, ovvero una ripresa temporanea od episodica dei loro rapporti da qualsiasi motivo sia stata dettata, non rende di per sè irrilevante penalmente e "coperta" per il futuro la condotta persecutoria che si continui a commettere, nè tantomeno evidenzia l'insussistenza dello stato di paura o di ansia della vittima rispetto al comportamento dell'autore della condotta.
Nelle più frequenti ipotesi che realizzano il reato di cui all'art. 612-bis c.p. i rapporti tra chi agisce con la condotta persecutoria e chi la subisce si caratterizzano per complessità sentimentale e relazionale, ovvero sovente si radicano su strutture di legame familiare che, soprattutto quando vi siano figli minori, invitano a riallacciare una sorta di vicinanza.
In ogni caso, non potendo aver rilievo, ai fini della configurabilità del reato, il movente che spinga la vittima a determinarsi a ricucire, sia pur per brevi periodi o singoli momenti, il rapporto con il suo persecutore, ciò che conta è l'oggettiva e complessiva idoneità della condotta a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice, idoneità valutata e dedotta anche dalla (sola) natura dei comportamenti psicologicamente destabilizzanti tenuti dall'agente ai danni della persona offesa.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
(ud. 26/09/2019) 13-11-2019, n. 46165
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano - Presidente -
Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere -
Dott. MOROSINI Elisabetta M. - Consigliere -
Dott. BORRELLI Paola - Consigliere -
Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/05/2019 della CORTE APP. SEZ. MINORENNI di SALERNO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BRANCACCIO MATILDE;
udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. EPIDENDIO TOMASO che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d'Appello di Salerno, Sezione Minorenni, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale per i Minorenni di Salerno il 22.11.2018, ha rideterminato la pena inflitta ad M.A. per il reato di atti persecutori aggravati ai danni dell'ex fidanzata Ma.Ro. in anni uno e mesi due di reclusione, concessegli le attenuanti generiche, insieme alla già applicata diminuente per la minore età, prevalenti rispetto alla contestata aggravante. L'imputato, dopo l'interruzione del rapporto sentimentale tra lui e la persona offesa, si è quotidianamente recato sotto casa della persona offesa urlando ed inveendo nei confronti suoi e dei suoi genitori, minacciandola e denigrandola.
2. Avverso il provvedimento predetto propone ricorso l'imputato, tramite il difensore avv. S, deducendo vizio di motivazione carente ed apparente quanto alla sussistenza del reato ed alle eccezioni difensive addotte con l'atto di appello, nonchè violazione dell'art. 612-bis c.p., illogicità della motivazione e travisamento della prova in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di stalking. 2.1. La Corte d'Appello non avrebbe tenuto conto della tormentata evoluzione del rapporto sentimentale tra i giovanissimi M. e Ma., della loro gelosia reciproca e del fatto che alcuna condotta inscrivibile nell'alveo della fattispecie di atti persecutori sia stata posta in essere dal ricorrente prima che la relazione sentimentale fosse interrotta per scelta unilaterale della persona offesa, dopo la nascita del figlio della coppia.
In realtà l'imputato ha reagito al comportamento della fidanzata e dei suoi genitori volto ad escluderlo dalla vita del figlio minore appena nato, impedendogli di vederlo e di recarsi a casa loro, dove la persona offesa si era trasferita poco prima del parto, riconoscendo il bambino autonomamente, con un nome diverso da quello concordato tra i due giovani; è per tali ragioni che l'imputato ha protestato veementemente sotto casa della persona offesa e realizzato le condotte che gli sono contestate come delittuose e non per costringere la ragazza a ripristinare la relazione sentimentale.
Non vi sarebbe prova dello stato d'ansia provocato alla persona offesa, che anche dopo la nascita del figlio si incontrava con l'imputato all'insaputa dei suoi genitori, che erano contrari alla relazione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile poichè completamente formulato in fatto, volto a chiedere alla Corte di legittimità un sindacato non consentito sul merito della vicenda, una rivalutazione della piattaforma probatoria e, in ultima analisi, un diverso esito decisorio, corrispondente alle aspettative del ricorrente.
Ed infatti, piuttosto che addurre vizi di motivazione manifestamente illogica, la difesa propone diversi approdi delle risultanze processuali e di prova e chiede a questa Corte di legittimità non già di pronunciarsi sulla bontà e correttezza del percorso motivazionale adottato dal provvedimento impugnato, bensì di valutarne l'esattezza degli snodi decisionali.
Un'operazione siffatta non è consentita al giudice di legittimità che, come noto, vede l'orizzonte della sua verifica circoscritto alla ricerca di vizi logici ed argomentativi della sentenza, direttamente da essa desumibili nel confronto con i principi dettati dal diritto vivente per l'interpretazione delle norme applicate (cfr. ex multis Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794, nonchè Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, O., Rv. 262965).
2. Le ragioni proposte, peraltro, ricalcano pedissequamente l'atto di appello, non confrontandosi con gli accertamenti dei giudici di merito e sono, altresì, manifestamente infondate.
Dal provvedimento impugnato e da quello di primo grado, tra loro coerenti in punto di affermazione della responsabilità del ricorrente per il delitto di stalking, emerge un quadro di personalità aggressiva e violenta dell'imputato (gravato da numerosi carichi pendenti nonostante la giovanissima età: è nato nel 2000), il quale non ha riconosciuto il bambino nato dalla relazione con la persona offesa dopo la sua nascita ma intendeva frequentarlo comunque, superando con condotte prevaricatorie l'opposizione della famiglia della ex fidanzata dovuta proprio al mancato riconoscimento di paternità.
La Corte d'Appello, richiamando il giudice di primo grado, ha anche messo in risalto gli atti vandalici, di minaccia ed aggressione ai danni della persona offesa e dei suoi genitori e le lesioni da costoro subite, provati dalle concordi dichiarazioni di queste ultime e dai certificati medici.
2.1. Del resto, è opinione di questa Corte di legittimità che le condotte persecutorie non necessitino di una reiterazione in una prolungata sequenza temporale, potendo essere sufficienti a configurare il delitto anche poche condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo (Sez. 5, n. 33842 del 3/4/2018, P., Rv. 273622; Sez. 5, n. 46331 del 5/6/2013, D.V., Rv. 257560; Sez. 5, n. 6417 del 21/1/2010, Oliviero, Rv. 245881), ferma la necessità che gli atti siano tra loro autonomi e che la reiterazione di questi sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 33563 del 16/6/2015, B., Rv. 264356; Sez. 5, n. 38306 del 13/6/2016, C., Rv. 267954).
Inoltre, in tema di atti persecutori, la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Sez. 5, n. 24135 del 9/5/2012, G., Rv. 253764).
In altre parole, la prova della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura è ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche e soprattutto da quest'ultima, la quale deve essere considerata tanto nella sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto nel suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 6, n. 20038 del 19/3/2014, T., Rv. 259458; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 261535; Sez. 5, n. 17795 del 2/3/2017, S., Rv. 269621).
Ebbene, nel caso di specie, tutte le condizioni fattuali depongono nel senso della idoneità in astratto e in concreto della condotta dell'imputato a generare stato d'ansia e paura nelle vittime, non soltanto la ex fidanzata ma anche i suoi genitori.
La personalità dell'imputato aveva addirittura richiesto un approfondimento da parte dei giudici d'appello sulla sua capacità d'intendere e di volere, che è risultata, dopo l'esame peritale, non esclusa benchè egli sia stato ritenuto affetto da disturbo sociale di personalità che gli provocava una mancanza di controllo e atteggiamenti parossistici. Infine, non ha pregio alcuno la dedotta circostanza del riavvicinamento temporaneo della vittima al suo persecutore, nè ai fini della valutazione sulla credibilità della prima quale teste, nè ai fini della configurabilità del reato sotto il profilo del realizzarsi di uno degli eventi alternativi necessari alla sua consumazione.
Il Collegio condivide, infatti, le opzioni della giurisprudenza di legittimità secondo cui nell'ipotesi di atti persecutori commessi nei confronti della moglie separata, l'attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all'interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia avuto transitori momenti di benevola rivalutazione del passato e di desiderio di pacificazione con il proprio persecutore ovvero nutra nei confronti di questi sentimenti ambivalenti (Sez. 5, n. 41040 del 17/6/2014, D'A, Rv. 260395; Sez. 5, n. 5313, S., Rv. 262665; Sez. 6, n. 31309 del 13/5/2015, S., Rv. 264334).
Il temporaneo od episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore neppure può ritenersi che interrompa l'abitualità del reato ovvero mini la continuità delle condotte persecutorie, poichè l'ambivalenza dei sentimenti nutriti dalla prima nei confronti del secondo, ovvero una ripresa temporanea od episodica dei loro rapporti da qualsiasi motivo sia stata dettata, non rende di per sè irrilevante penalmente e "coperta" per il futuro la condotta persecutoria che si continui a commettere, nè tantomeno evidenzia l'insussistenza dello stato di paura o di ansia della vittima rispetto al comportamento dell'autore della condotta.
Nel caso di specie - e, probabilmente, nelle più frequenti ipotesi che realizzano il reato di cui all'art. 612-bis c.p. - i rapporti tra chi agisce con la condotta persecutoria e chi la subisce si caratterizzano per complessità sentimentale e relazionale, ovvero sovente si radicano su strutture di legame familiare che, soprattutto quando vi siano figli minori, invitano a riallacciare una sorta di vicinanza.
In ogni caso, non potendo aver rilievo, ai fini della configurabilità del reato, il movente che spinga la vittima a determinarsi a ricucire, sia pur per brevi periodi o singoli momenti, il rapporto con il suo persecutore, ciò che conta è l'oggettiva e complessiva idoneità della condotta a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 54920 del 8/6/2016, G., Rv. 269081), idoneità valutata e dedotta anche dalla (sola) natura dei comportamenti psicologicamente destabilizzanti tenuti dall'agente ai danni della persona offesa.
2.2. Quanto all'eccezione relativa alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, deve ribadirsi che, nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (Sez. 5, n. 43085 del 24/9/2015, A., Rv. 265230; Sez. 5, n. 18999 del 19/2/2014, C, Rv. 260411).
3. Deve disporsi, infine, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003,art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019