Confermata la ricostruzione delle sentenze di condanna dei gradi di merito secondo le quali nelle ore in cui Federico Aldrovandi veniva ucciso dalle manganellate dei poliziotti un agente in servizio presso la Questura di Ferrara (commettendo i reati di reati di rifiuto di atti di ufficio e favoreggiamento personale) ha interrotto la registrazione di una telefonata ritenuta compromettente per i quattro agenti poi condannati per la morte di Federico Aldrovandi.
Un altro poliziotto, invece, non ha inserito nel fascicolo del Pm il registro delle telefonate arrivate al 113 (registro invece custodito in cassaforte della Questura), ed è stato condannato per rifiuto di atti di ufficio.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Sez. VI, Ord., (ud. 04/06/2014) 12-09-2014, n. 37647
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco - Presidente -
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere -
Dott. DI STEFANO Pierluig - rel. Consigliere -
Dott. APRILE Ercole - Consigliere -
Dott. BASSI Alessandra - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
B.M. nato il (OMISSIS);
P.M. nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza 1623/2012 del 9/7/2012 della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dr. PIERLUIGI DI STEFANO;
Udita la requisitoria del Procuratore Generale in persona del Dott. Volpe Giuseppe che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Udito il difensore di B., Avv. BD, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
Udito il difensore di P., Avv. PG, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Bologna con sentenza del 9 luglio 2012 confermava la sentenza in giudizio abbreviato del Tribunale di Ferrara che il 5/3/2010 aveva condannato B.M. e P.M., il primo per i reati di rifiuto di atti di ufficio e favoreggiamento personale ed il secondo per il reato di rifiuto di atti di ufficio, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
Le condotte ascritte ai due, dipendenti della Polizia di Stato, consistevano in violazioni che si collocavano in un contesto di attività finalizzate al contrasto ed allo sviamento delle indagini sulla responsabilità di altri dipendenti della Polizia di Stato nella morte del giovane Aldrovandi Federico.
B.M. era in servizio presso la centrale radio della questura di (OMISSIS) e riceveva la telefonata degli agenti che comunicano le circostanze di fatto relative al decesso del predetto Aldrovandi Federico; decesso conseguito alle loro attività per bloccare il giovane. Il B., secondo i giudici di merito, aveva commesso il reato di rifiuto di atti di ufficio per avere interrotto la doverosa registrazione della conversazione perchè non ne rimanesse traccia che fungesse da prova contro i colleghi e, nello stesso contesto, commetteva il reato di favoreggiamento personale perchè, su invito dell'agente C., interrompeva la registrazione per evitare di documentare le risposte su quanto stava accadendo sul posto.
P.M. aveva svolto, quale ufficiale di pg, attività di indagini su delega del PM. Nello svolgimento dei compiti delegatigli aveva omesso di trasmettere alla Procura della Repubblica la copia del registro delle chiamate pervenute al servizio 113 della Questura di (OMISSIS) dalle 00:00 alle 7:00; al PM trasmetteva la pag. n. 688 che presentava informazioni scritte in modo ordinato e riportava un dato orario quanto all'intervento della pattuglia cui era poi ascritta la responsabilità per l'omicidio Aldrovandi ma un ulteriore accertamento, svolto da altro ufficiale delegato, dimostrava però che la pag. 688 era il rifacimento della pag. 686 che riportava gli interventi della data notte ma che era caratterizzata da un orario diverso dell'intervento in questione e da numerosi segni quali correzioni e cancellature. La copia di tale pag. 686 era presente nel fascicolo originale degli atti raccolti dal P. al fine dell'espletamento del suo incarico, fascicolo custodito nella cassaforte del dirigente della Questura M..
In definitiva, valutando anche le dichiarazioni rese da entrambi gli odierni imputati, l'accusa giungeva alla conclusione che P., per scelta deliberata, su indicazione del B., non trasmetteva l'atto in questione. La Corte, valutati i motivi di appello, riteneva che non fosse sostenibile che il ricorrente avesse correttamente effettuato la scelta di non trasmettere l'atto in base ad una valutazione di utilità che non gli spettava e sulla scorta di una pretesa estraneità dell'atto stesso all'oggetto della delega.
E, valutata la posizione professionale del ricorrente, parimenti non era sostenibile che avesse tenuto tale comportamento senza averne consapevolezza.
B. e P. hanno proposto ricorso a mezzo dei rispettivi difensori.
Ricorso B.:
con il primo motivo deduce la violazione di legge per il difetto di correlazione tra il fatto contestato e la sentenza ai sensi dell'art. 521, comma 2 e art. 522.
Nella contestazione si faceva riferimento ad una telefonata al servizio 113 delle ore 6:32. In sentenza si era ritenuto tale orario frutto di un errore materiale dovendo intendersi la conversazione intervenuta alle ore 6:30.02.
Tale diversità ha comportato un concreto errore di contestazione in quanto la difesa aveva individuato una conversazione compatibile con l'orario indicato nel capo di imputazione e con la sua durata effettuata da C. con l'utenza in uso al collega F. - rispetto a questa telefonata il ricorrente si era difeso affermando che non era stata affatto interrotta.
Con secondo motivo deduce il vizio di motivazione:
Ripercorre analiticamente la motivazione della sentenza impugnata per rilevare errori di valutazione in più punti e la carenza di risposta su argomenti ed ipotesi alternative indicate dalla difesa nella ricostruzione dei fatti.
Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione contesta la inadeguata motivazione in particolare quanto alla sussistenza dell'elemento psicologico.
Con il quarto motivo deduce la violazione di legge non essendo stato adeguatamente motivato, pur a fronte degli specifici argomenti della difesa, il perchè la registrazione dovesse ritenersi un atto di ufficio.
Ricorso P.:
Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione per essere stata consentita nella sede di giudizio abbreviato la correzione della imputazione sostituendo il riferimento alla numerazione telefonica 112 con il riferimento alla numerazione 113 quale telefono di emergenza della Polizia di Stato.
Con il secondo motivo deduce la diversità tra il fatto contestato e quello per il quale vi è stata condanna consistito nel precisare che il servizio 113 è il servizio di urgenza della Polizia di Stato e che gli atti erano richiesti a fini di indagine e non di "corredo atti".
Con terzo motivo deduce la violazione di legge per non essere stata accolta la richiesta di acquisire gli originali degli atti del fascicolo delle indagini da lui svolte; il primo giudice aveva valutato tali atti ma nel giudizio di appello erano presenti solo le copie degli atti originali. Tali atti erano stati sostituiti da copie in sede di giudizio di appello.
In conclusione il ricorrente chiede annullarsi la sentenza impugnata non essendo stati utilizzati ai fini della decisione gli atti in originale.
Con il quarto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione sotto vari profili che indica analiticamente.
Con il quinto motivo deduce la violazione legge in relazione agli artt. 42 e 43 c.p., nonchè il vizio di motivazione. Rileva che il terzo motivo di appello intendeva dimostrare la insussistenza di consapevolezza della omissione di atti di ufficio ma, a fronte degli argomenti sviluppati al proposito, la Corte di Appello si è limitata ad elencare massime giurisprudenziali.
Con il sesto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione. La delega di indagine era riferita solo alla acquisizione della audiocassetta che registrava le chiamate pervenute al servizio di emergenza per cui la acquisizione del foglio di intervento dimostrava il regolare espletamento dell'incarico delegato.
Motivi della decisione
Il ricorso di P.M. è inammissibile perchè presentato tardivamente.
Il dispositivo della sentenza di appello è stato letto il 9 luglio 2012 con fissazione del termine di 90 gg. per il deposito della motivazione che veniva effettuato nei termini, il 3 ottobre 2012. Il termine di impugnazione scadeva quindi il 24 novembre 2012 in quanto la condizione di "assente" all'udienza di decisione, ma non "contumace", escludeva che fosse dovuto l'avviso di deposito della sentenza all'imputato. Il ricorso in favore del P. è stato invece presentato il 13/2/2013, quindi a termine ampiamente scaduto.
Quanto al ricorso di B., va in via preliminare ed assorbente rilevato che è intervenuta prescrizione dei reati a lui contestati.
Va, a tale fine, premesso che i motivi proposti non sono inammissibili in quanto affrontano in larga parte temi proponibili in sede di legittimità, rilevandosi, quanto alla motivazione, punti di apparente inadegutezza e, poi, violazioni di legge nella valutazione della esistenza di obbligo di compiere quanto omesso. Inoltre, in base allo sviluppo degli argomenti rispetto al contenuto della sentenza, non possono essere ritenuti manifestamente infondati.
Quindi, al fine della verifica dell'eventuale prescrizione, va tenuto conto della data della udienza innanzi a questa Corte e non la data di scadenza del termine di impugnazione della sentenza di appello.
Passando quindi al concreto computo della prescrizione va considerato, nel determinare interruzioni e sospensioni del corso della prescrizione, che: il 22 gennaio 2010 vi era stato il mutamento di rito, con l'accoglimento della richiesta di giudizio abbreviato nel corso della udienza preliminare. La sentenza in primo grado era, poi, stata emessa il 5 marzo 2010.
Nel corso del successivo giudizio di appello risulta una sospensione della prescrizione, nei confronti del solo B., dal 27 marzo 2012 al 5 giugno 2012.
A fronte della commissione del fatto il (OMISSIS), la data ultima di prescrizione, aumentata del predetto periodo di sospensione, è quindi quella del 3 giugno 2013.
Non ricorrendo palesemente le condizioni di cui all'art. 129 c.p.p., innanzitutto non essendovi condizioni per l'annullamento senza rinvio per ragioni di merito - tutti i motivi, difatti, tendono ad ottenere una nuova valutazione del giudice di appello - e, poi, in quanto, imponendo lo stesso art. 129 c.p.p., l'immediato proscioglimento, sarebbe precluso l'accoglimento del ricorso con rinvio per nuovo esame, i reati contestati a B. vanno dichiarati estinti con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei suoi confronti.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B.M. perchè i reati sono estinti per prescrizione.
Dichiara inammissibile per tardività il ricorso di P.M., che condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2014